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Autore: CaskaLangley    09/04/2007    13 recensioni
Da quando Riku Natsume è entrato nella sua vita, per Sora non c'è più un momento di pace. Mentre Kairi cerca di capire qualcosa del nuovo arrivato, Naminé cerca di sopportare una cotta e una situazione sociale sempre peggiori, e Roxas cerca di convincere sé stesso che la sua non-relazione con l'essere più sexy e più sbagliato possibile di tutta la scuola non significhi niente, Sora cerca di stare dietro a tutto e di realizzare il suo piano geniale: diventare amico di Riku. E Riku? Che cosa cerca in realtà, Riku?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[ wasukara ]

Note dell’autrice

Ben arrivati alla prima parte del terzo capitolo!

Vi ringrazio tutti per le recensioni, siete molto carini ^o^ Anche se siete troppo aggressive, ragazze, sempre a prendervela con qualcuno ;__; *paura* Comunque, trovate una risposta per ogni vostra recensione, e quindi ad ogni eventuale osservazione o domanda, su High Fidelity, il mio nuovo blog di fanfics. Non illudetevi di trovarci qualcosa di interessante, ma guardiamo in faccia la realtà: avete quasi tutti l’adsl, probabilmente a un certo punto della giornata vi ritrovate a cliccare nel vuoto il desktop trascinando le icone e continuando ad aprire MSN –dove in linea c’è solo gente bloccata e altra con cui finireste per intrattenere una patetica discussione di circostanza sul tempo – quindi avete tutto il tempo per venire a trovarmi e lasciarmi un saluto è_é

Ho pensato molto alla faccenda del rating, e ho deciso che quando sarà il momento diventerà NC17 e basta. Pubblicarne una versione scolorita non sarebbe onesto, oltre che poco fattibile: è la trama ad essere NC17, non eventuali scene più o meno eliminabili. Mi dispiace ;_; Però :O! Continuerò a pubblicare questa storia sul mio archivio, quindi potete andare a leggerla lì esaltare a vostra discrezione quello che ritenete necessario.

Vi ringrazio ancora per le recensioni, mi fanno molto piacere e mi stimolano a scrivere più velocemente -e se mi conosceste bene come mi conosce la sezione di Evangelion sapreste che cosa significa questo XD Quindi continuate a lasciarmene e io continuerò a rispondervi su High Fidelity è*é

Buona lettura <3

 

 

3. Se non puoi batterli -1

Nel momento in cui uscì dall’infermeria subito, prima ancora che lei potesse rendersi conto del perché, i suoi occhi si sgranarono di una lucida, quieta eppure travolgente gioia, che le fece tirare le guance ed incresparle di nuovo nel tentativo di combattere uno sciocco sorriso.

Dopo quel momento che le sembrò eterno, tanto pessima sarebbe stata la figura che avrebbe fatto se lui se ne fosse accorto, la sua espressione si stemperò come un acquerello in una preoccupata.

"Non ti --" come a bacchettarle le mani per essere stata invadente, l’album da sotto il braccio. Il tonfo che fece sul pavimento fu come un’accusa che la risvegliò.

Naminé era solamente una ragazzina invisibile. L’ombra delle ragazze vere, quelle fatte di carne, una lucertola bianca che sguscia sui muri sperando di non essere vista.

Fai silenzio si disse, quasi con rabbia, inginocchiandosi in preda alla vergogna per raccogliere i fogli. Stai zitta, stai zitta.

Aprì l’album per riporre il ridicolo mazzetto raccolto, e sotto gli occhi sene ritrovò degli altri. Non alzò la testa, si limitò a sorridere nel modo meno invadente possibile, annuendo per ringraziare, e li sistemò.

Non lo aveva assolutamente sentito avvicinarsi.

Natsume si spostava come se scivolasse a pochi centimetri da terra. I suoi movimenti erano silenziosi, anche quando coinvolgevano altri oggetti -alzarsi da una sedia, raccogliere dei fogli- eppure nel momento in cui ti accorgevi di lui la sua presenza fisica diventava palpabile, presente al punto da toglierti lo spazio.

Alzò gli occhi e vide che Natsume teneva ancora in mano un disegno, e lo stava guardando. Non stava ridendo, né facendo smorfie, ma nemmeno uno di quei sorrisi da chi fa finta di capirne e scambia un passatempo per un talento nella speranza di impreziosirlo in qualche modo.

Stava osservando il suo viso attento, sprofondando lentamente in una pericolosa estasi contemplativa, quando lo sguardo le cadde sul foglio e riconobbe in controluce la nuvola viola di fiori e farfalle.

Arrossì di colpo, e senza pensarci due volte si buttò praticamente sul pavimento, appoggiando una mano per terra, e con l’altra glielo strappò via. Subito dopo realizzò quello che aveva fatto e arrossì ancora di più.

Quando realizzò quello che aveva fatto si allontanò, sempre strisciando, e ficcando malamente il figliol prodigo nell’album spiegò in fretta "Scusa. Non è finito."

"Perché quella ragazza è pelata?"

"Perché non le crescono i capelli…?"

Lo sbirciò e vide che Natsume aveva un’espressione indecisa sul prenderla o meno sul serio. Questo la fece ridacchiare, una risata che le rimbalzò tra le guance e poi inghiottì in segreto.

Le sembrò che quel suono avesse il sapore di Natsume, qualsiasi esso fosse.

Per coprire quel pensiero stupido disse: "No, è che non riesco a disegnarli. Appena comincio mi sembrano…sbagliati. Sai, no?"

"No."

"Uh…sì, certo, scusa" sorrise imbarazzata "Non ha molto senso, a pensarci bene."

"No, ce l’ha. Solo che non capisco. Spiegamelo."

Naminé si guardò per un attimo intorno. Erano seduti sul pavimento dell’infermeria e non c’era nessuno oltre a loro. Natsume le stava davvero chiedendo di spiegargli una cosa così insignificante come le sue assurde fisime sui disegni?

"E’ meglio di no, non credo che sia molto interessante…"

"Come fai a dirlo."

"Proprio perché lo so, so che non è interessante."

"Questo non ha senso. Tu lo sai, quindi non puoi sapere come si senta qualcuno che non lo sa e che vuole saperlo, quindi non puoi giudicare quanto per me sia interessante o meno saperlo."

Naminé lo guardò per un attimo e accennò una risata.

"Appena muovo la mano per cominciare a disegnare, mi sembra che quelli che sto per fare non siano i suoi capelli. E sarebbe offensivo metterle dei capelli non suoi, no? Solo che poi mi fermo a pensare, ehy, un attimo, se lemetto dei capelli non suoi significa che ho preso i capelli di un’altra…quindi sto rendendo calva un’altra ragazza in un altro disegno? Eeee…finisce che ci penso sopra e non combino più niente."

Rimasero in silenzio per un attimo, guardandosi, poi l’espressione seria di Natsume diventò una bellissima risata. Naminé mise appena un accenno di muso. "Te l’avevo detto che era stupido…"

"No, avevi detto che non era interessante, e per essere interessante lo è" rise ancora per un attimo, poi chiuse gli occhi come per scacciare la risata e li riaprì "Sei strana. Prendi tutto così sul serio?"

Sei strana. Glielo aveva detto in quel modo in cui ti fa piacere sentirtelo dire. Per Naminé era la prima volta.

"Sì. Mi pare di avertelo più o meno già detto. Anche tu prendi troppo sul serio i vaneggiamenti di una ragazzina che si annoia."

"Non è una grande osservazione. Anche io te lo avevo più o meno già detto."

"Visto? Risposte da persone troppo serie."

"Strano, perché in questo momento mi sento estremamente poco serio."

Naminé si guardò attorno, ancora con le ginocchia a terra e l’album da disegno scomposto in braccio, annuì sorridendo: "Hai ragione, nemmeno io. Siamo falsificatori di serietà recidivi."

Natsume rise di nuovo. Aveva una risata bellissima, per niente impostata rispetto a quello che la sua immagine avrebbe lasciato supporre. Era cristallina, un po’ sguaiata, come quella dei bambini sulla spiaggia.

Era la risata di qualcuno che ricordava con amore e gratitudine la propria infanzia, pensò.

Lui si alzò e le porse la mano. Naminé esitò solo per un attimo prima di prendergliela, e lui la strinse forte, sollevandola in modo quasi brusco.

Natsume aveva sicuramente avuto moltissime ragazze. Non doveva essere nuovo a trattare il corpo femminile, ma il suo era un tocco poco attento, come quello di un fratello maggiore, inconsapevole della propria forza e del proprio potere. Tuttavia, fu incredibilmente piacevole.

Naminé si mise in piedi e spolverò i collant bianchi, che erano diventati un po’ più scuri all’altezza delle ginocchia.

"Li porti sempre?"

"Sì."

"Come mai?"

"Mi sento a disagio senza."

"Anche fuori da scuola?"

Naminé alzò lo sguardo e lo guardò, un po’ confusa. "Sì, anche."

Natsume continuò a stuzzicarla come se volesse coglierla a tutti i costi in fallo: "E al mare?"

"Non mi piace il mare. Non d’estate, almeno."

"E in piscina?"

"La piscina è come il mare, solo senza tutte le cose belle."

"Quindi non metti mai il costume da bagno."

Lei fece un sorriso a metà tra l’imbarazzato e il divertito e scosse la testa.

"Ci dormi anche?"

Naminé allora si sentì un po’ troppo nervosa e arretrò di un passo. Natsume sbatté gli occhi e rise, scuotendo la testa. Rise anche lei.

"Era maniacale. Va bene. Chiedo perdono."

Normalmente se ne sarebbe andata in preda all’imbarazzo, invece rise ancora. "Figurati, non importa. E’ una domanda legittima, no? Quando fa caldo dormo in camicia da notte, ma mi vede solo Rokuchan, quindi va bene."

"Tu e i tuoi fratelli dormite nella stessa stanza?" incrociò le braccia come per rimproverarla "Non vi hanno separati a sette anni?"

Lei ridacchiò: "No, io e Rokuchan dormiamo ancora nello stesso letto."

"Quindi se il tuo fratello gay e quello che sembra uscito da una soap scolastica degli anni ottanta ti vedono non è un problema?"

"In effetti la descrizione di So-chan è azz…" si fermò "Come hai fatto a capire che a Rokuchan piacciono i ragazzi?"

"Perché, era un segreto?"

"Non ben custodito, a quanto pare."

"No, è che ho dovuto disgraziatamente assistere ad una dimostrazione pratica della cosa."

"Una dimostrazione?" scossela testa e aggiunse in fretta "Scusa, sono affari tuoi, non devi rispondermi."

Natsume rise, poi le disse in modo…poteva dirlo? affettuoso "Non devi scusarti. Ti ricordi quella volta che un bel ragazzo ti ha chiesto che cosa indossi per dormire?" alzò la mano "Sono io."

Naminé fece una breve risata, ma sempre con le labbra sigillate. Lui aveva ragione, ma lei si sarebbe sentita sempre e comunque in quel modo, come se ogni persona fosse nata con delle regole diverse da seguire, e la sua fosse chiedere permesso, inchinarsi mille volte sulla soglia e chiedere scusa ad ogni passo.

Solamente con Roxas si sentiva a casa. Loro camminavano lentamente, per osservare le cose con il loro ritmo, studiarle nei minimi dettagli, e camminavano distanti dagli altri affinché nessuno sentisse i loro commenti sprezzanti.

Si vive più facilmente lasciando che gli altri ti pensino una tonta.

Si vive più facilmente guardando tutto quanto, ma fingendo di non vedere niente.

"Diciamo che capitavo da quelle parti mentre tuo fratello era con qualcuno."

"…oh". Non disse nient’altro.

Cominciò a passare in rassegna nella mente gli atteggiamenti che Natsume poteva avere mal interpretato. Una pacca sulla spalla da parte di Hayner, una discussione con Seifer…

…era possibile che Roxas avesse conosciuto qualcuno e non le avesse detto nulla…?

Certo, non poteva negare che negli ultimi giorni Roxas l’avesse esclusa dalla propria vita in modo sufficientemente palese da farle pensare che voleva a tutti i costi che lei se ne accorgesse. Pensava che fosse perché ce l’aveva con lei. Anche se in modo non definito, aveva sempre saputo che a Roxas avrebbe dato fastidio se si fosse presa una cotta per qualcuno. Era normale, anche a lei avrebbe dato fastidio se fosse successo a lui, ma era una cosa abbastanza insana da avere il buon senso di non manifestarla.

Ma se avesse conosciuto qualcuno –se gli fosse piaciuto qualcuno- glielo avrebbe detto…giusto?

"Ti accompagno in classe."

Le parole di Natsume furono abbastanza per distoglierla dal suo stato di muta contemplazione.

Lei lo guardò e lui le sorrise: "Prometto di non fare altre uscite da maniaco."

"Ma non dovevi andare in…" dalla sua espressione capì, e non dovette nemmeno finire la frase. Si sentì un po’ in imbarazzo, ma immensamente lusingata. In quel momento le pensò che non le importava molto se Roxas ce l’avesse o meno con lei a causa della sua cotta -cotta? quindi era una cotta?.

A lei piaceva quella cotta. O qualunque cosa fosse.

Quando uscirono dall’infermeria, si rese conto che quella era la prima volta che parlava con Natsume all’aperto. Era come se quello avesse reso ufficiale: loro parlavano. Lui le rivolgeva la parola. A lei. All’insignificante Yamaguchi con il seno piatto come una tavola e lo sguardo sempre chino sui fogli.

Ma in quello stesso momento realizzò anche un’altra cosa.

Natsume usciva con Kairi.

"Hai mai pattinato, Naminé?"

"Come, scusa?"

"Hai mai pattinato?"

…c’era da dire che Natsume aveva delle uscite un po’ strane, a volte. Pattinare? Come gli era venuto in mente?

"Qualche volta…quando ero piccola, con i pattini a rotelle…"

"E sul ghiaccio?"

Lei scosse la testa.

"Ti piacerebbe?"

"Non ci ho mai pensato…sì, credo di sì."

"Un giorno potremmo andarci insieme."

Erano sulle scale, in quel momento, e lei si bloccò lì, con l’album sottobraccio e la sensazione di stare facendo qualcosa di terribilmente sbagliato. Natsume era un paio di gradini avanti a lei. Si girò e aggiunse gentilmente: "Se ti va, è naturale."

Lei ricominciò a camminare e si sforzò di ridere, ma le uscì solamente un pietoso soffio appena appena tinto da un suono storpio e goffo. "Non credo sarebbe il caso…"

Natsume scese proprio sul gradino dove lui stava salendo, e nella fretta di tornare indietro per non scontrarsi, per non toccarlo, per non rischiare di sentire il suo profumo che era sicuramente buonissimo e le avrebbe fatto venire le vertigini, inciampò. Pensò anche che fosse meglio così. Era molto meglio rompersi la testa che toccare il ragazzo di Kairi. Ma con un movimento praticamente invisibile lui le prese il blocco, che le stava cadendo di nuovo, e tirandola per un polso la rimise in equilibrio.

"Ti sono antipatico?"

Naminé guardò la sua mano che la stringeva ancora, poi scosse con troppa, troppa forza la testa. Lui le sorrise dolcemente: "Allora non ti fidi di me? Non chiedo a tutte quante con che cosa dormono, lo giuro."

"Non è questo …"

Natsume la guardò ancora per un attimo, poi scossela testa e la lasciò andare.

"Va bene. In fin dei conti hai ragione. Scusami se ti ho aggredita."

"No, io--" si affrettò a dire, allungando una mano verso di lui senza una ragione precisa. Quando se ne rese conto la ritrasse e ammise debolmente: "Mi farebbe piacere venire a pattinare con te, sempai…"

Natsume allungò una mano e con un dito arricciò le punte dei suoi capelli. Qualsiasi pensiero, qualsiasi turbamento riguardo all’aver detto la cosa più compromettente della sua vita, evaporò davanti al suo bel sorriso.

"E’ meglio che ritorni in classe."

Naminé annuì, e trattenne il respiro senza rendersene conto quando lui la salutò e le passò accanto.

Rimase lì immobile, con l’album stretto al petto ad ascoltare i suoi passi che si allontanavano. Poi, mossa da una forza che non aveva mai sentito prima, scattò verso la ringhiera e si sporse.

"Sempai!"

Natsume guardò in alto. Naminé inghiottì.

"Qual è il tuo colore preferito?"

Natsume la fissò stupito per un attimo. "Non ci ho mai pensato."

Lei accennò una risatina incerta, sentendosi in imbarazzo al punto da tremare, e allontanandosi dalla ringhiera balbettò: "Scusami, era una domanda stupida, non…"

"Non è stupida. Fammici pensare, va bene?"

Naminé tornò a guardare giù. Per quale ragione quegli occhi bellissimi la guardavano con tanta serietà e dolcezza? Si sentiva così presa in giro, ma non riusciva a voltargli le spalle. Gli sorrise e annuì. Lui le sorrise a sua volta e si allontanò.

Naminé scivolò lentamente contro la ringhiera, che spingeva le fredde sbarre metalliche tra le ossa fragili della sua schiena. Si sedette sul gradino, stanca come dopo una lunghissima corsa che non avrebbe dovuto nemmeno cominciare, e rimase lì a lungo, immobile, con l’album da disegno tra il petto e le ginocchia, e le guance che le bruciavano tanto che le sembrava di avere la febbre.

*

"Oh, sempai, c’è qualcosa che posso fare per lenire la patina di dolore che offusca i tuoi profondi occhi verdi?" disse Sora facendo una orribile vocina stridula, poi la cambiò in un timbro gravoso e aggrottò le sopracciglia "Non puoi fare niente, baby. Il mio passato tormentato mi perseguita come una maledizione. Oh, ma è terribile! Lascia stare, è un peso con il quale ho imparato a convivere. Piuttosto, fai attenzione a come i miei capelli scintillano sotto la luce del sole quando muovo la testa in questo modo. Ma è meraviglioso! Ti amo! No! Non innamorarti di me. Ti farei soffrire."

"Sora…?"

Ancora con la fronte increspata e il tono di voce roco e profondo, Sora chiese: "Che c’è?"

Un attimo dopo Donald si era alzato sulle ginocchia, gli aveva letteralmente afferrato la faccia e l’aveva girato verso la sua: "Tu li stai doppiando?"

"No."

Come per farlo rendere conto della totale idiozia della sua risposta, lo girò nuovamente verso il punto in cui aveva guardato da quando avevano cominciato a pranzare. In lontananza, appena un po’ isolati dalle altre coppie, Kairi e Riku Natsume stavano parlando tra loro con l’espressione di chi si trova schifosamente a proprio agio. Donald lo girò di nuovo verso di se e disse, rivolto a Goofy: "Li stava doppiando!"

"Era divertente." constatò lui allegramente.

"Ha la testa piccola!" sbottò Sora, totalmente fuori dal contesto "Come fa a non accorgersene?!"

Donald fece uno dei suoi lunghi lamenti che lo facevano sembrare davvero Paperino e decretò: "Dobbiamo lavorare su questa cosa, Sora, non puoi andare avanti così."

"Certo, bisognerebbe gonfiargli la testa come si è gonfiato i muscoli, così sarebbe più proporzionato!" "Dobbiamo fare qualcosa per te!"

"Sì, vai da quel tipo e digli di ridarmi la ragazza!"

Donald lo guardò con occhi accusatori e decretò: "Sei infantile."

"Non sono infantile!"

Donald si girò, agitò un braccio e un attimo dopo Tidus, Wakka e Selphie erano lì accanto. Sora li guardò, per un attimo perplesso, poi decise che non avrebbe sprecato un secondo di più a stupirsi di queste cose.

"Trovate che Sora sia infantile?"

"Amico, sì." rispose Wakka tranquillamente, come se avesse seguito tutta conversazione.

"Super-ovvio." aggiunse Selphie.

"Di brutto." terminò Tidus.

Donald guardò Sora e rimarcò: "Tidus pensa che tu sia infantile." una breve pausa, poi di nuovo "Tidus."

Tidus lo guardò offeso: "Che vorrebbe dire quel corsivo?"

"Sora, devi tirarti su! Kairi ti vuole bene, lo sanno tutti. Lascia passare la cotta e tornerà da te."

"E se non tornasse affatto? E se tornasse impura?"

Calò il silenzio.

Donald lo guardò a lungo e alla fine, seriamente preoccupato, disse: "A volte non credo alle cose che dici. Le sento con le mie orecchie, ma semplicemente non ci credo."

Sora si impuntò: "Non voglio che quel tizio con la testa piccola si approfitti dell’innocenza di Kairi e poi la scarichi!"

"Natsume non ha la testa piccola, da qua può sembrare solo perché ha le spalle larghe e il petto così ampio…" constatò Wakka. Tutti si girarono turbati verso di lui.

"Beh? Almeno io non l’ho baciato."

"Nemmeno io l’ho baciato, è lui che ha baciato me!" scattò subito Sora, poi si imbronciò "Lasciatemi in pace, tra voi e quei due…svergognati mi state facendo diventare il riso cattivo." e detto questo ricominciò a mangiare come se ogni movimento nelle bacchette fosse una pugnalata al cuore del suo nemico.

Mentre stava mandando raggi d’odio alla coppietta felice, la campanella suonò la prima volta. Donald si alzò subito e lo afferrò per un braccio, facendogli capire che non gli avrebbe permesso di farsi del male anche per i cinque minuti che precedevano il suono della seconda campanella.

Nei corridoi, affollati per il rientro, intravide Naminé che guardava fuori da una finestra chiusa. Le si avvicinò per un attimo, la salutò e le chiese: "Rokuchan?"

"Non so."

"E’ con i suoi amici?"

"No."

"Allora dov’è?"

"Non so."

I suoi fratelli sapevano essere odiosamente criptici, a volte.

"Non hai visto dov’è andato…?"

"E’ uscito durante la lezione e non è più tornato" poi sbatté i piedi e sbuffò: "Per me può fare quello che gli pare!" e di diresse a passo marziale in classe. Naminé a scuola era tranquilla fino all’inverosimile, ma a casa si arrabbiava e lamentava come qualsiasi altra persona sulla faccia della terra, e solitamente lo faceva con Roxas o contro Roxas, ragion per cui Sora non si preoccupò più di tanto e si limitò a scrollare le spalle.

Sulla soglia della propria aula venne letteralmente travolto da tre ragazze non meglio specificate. Nemmeno il tempo di rendersene conto che queste lo avevano trascinato al suo banco, lo avevano spinto sulla sedia e lo avevano circondato. Una di loro aveva lo sguardo annoiato, mentre le atre due risplendevano di pure estasi. Dovevano essere delle koai. Stavano parlando di qualcosa che Sora non aveva afferrato.

Tirò indietro la sedia per prendere un po’ d’aria e disse, finalmente: "Ohayo…?"

"Tu sei Yamaguchi, vero??"

"Yamaguchi Sora!"

"Certo che è Sora, Roxas ha i capelli più chiari!"

"Non era una domanda, lo dicevo per fargli capire che non lo avevamo scambiato per suo fratello!"

"Perché doveva credere una cosa del genere?!"

"Perché l’hai assalito! Sei una maleducata Ricchan!"

Sora sorrise nervosamente e si allontanò ancora di più, strisciando la sedia fino a scontrarsi col banco dietro al suo –dove Tidus era appollaiato a fissare una delle tre ragazze in particolare.

Una era bionda e piuttosto abbronzata, e tutti gli accessori che indossava tintinnavano col suono squillante della sua voce. Doveva essere una kanguro. Sora era terrorizzato dalle kanguro.

L’altra sembrava un po’ più moderata, anche se un lungo codino colorato le scendeva dai capelli e…ehy. Erano lenti a contatto, quelle?

"Yamaguchi!" disse solennemente la bionda, prendendogli entrambe le mani come a fargli forza "Sappi che noi siamo con te!"

La ragazza castana con le lenti a contatto annuì decisa. Poi la bionda prese per i capelli l’altra ragazza, quella silenziosa, e costrinse ad annuire anche lei.

"Volevamo farti sapere che noi facciamo il tifo per te!"

"So che viviamo in un mondo difficile, ma dovete essere coraggiosi." disse l’altra, quasi commossa.

Sora finalmente riuscì a completare il download dei dati e disse: "Di che cosa state…?"

La ragazza castana sembrava triste: "Non devi fare finta di niente. Deve essere così doloroso…"

"Non è giusto che due ragazzi non si possano amare liberamente! La società fa schifo!"

Lui cominciò a macinare e all’improvviso spalancò gli occhi, ma un movimento brusco dovuto allo spavento lo fece sfracellare contro il banco di Tidus: "CHE COSA?!"

"Noi siamo dalla vostra parte, Yamaguchi! E non perché siamo delle pazze o cosa, è che tu e Natsume siete fatti chiaramente l’uno per l’altro!"

"CHE COSA?!"

Dietro di lui, Tidus e l’altra decina di gente che si era ammucchiata sul suo banco stava ridendo talmente forte che la sua voce sull’orlo dell’isterismo risultava quasi bassa.

"Se vi servisse qualsiasi cosa, qualsiasi, anche soltanto parlare di come vi sentite, noi siamo qui."

"Noi tre saremo gli angeli del vostro amore!!"

La bionda si era arrampicata sul banco e lo stava puntando col dito. Sora ne aveva paura come se avesse potuto sputare fuoco e si buttò sul banco di Tidus, afferrando il poco consenziente collo di Donald e gridando in ordine casuale "Non avete capito niente!" "Io e Natsume non stiamo insieme!" e "Avete frainteso tutto, tutti quanti hanno frainteso tutto!"

La ragazza castana salì sul banco insieme alla bionda: "Non devi essere reticente, non hai motivo di nasconderti." Poi l’amica al suo fianco si rabbuiò, e guardando il proprio pugno stretto con rabbia disse: "Se sono quell’infida Yoshizuki si facesse da parte, grrr…"

Sora scosse forte la testa e diede una spinta a Donald, che gli stava ridendo nell’orecchio così forte da assordarlo: "Smettetela, vi ho detto che non avete capito, le cose non stanno affatto così! Kairi non si è messa tra me e Natsume, è Natsume che si è messo tra me e Kairi!"

"Guarda che non devi spiegare queste cose a delle estranee…" fece notare Donald.

"Ma lei non ha nessun rispetto per te, So-chan!"

SO-CHAN?! Sua sorella lo chiamava So-chan!

"Se ne sta tutto il tempo a flirtare con Natsume come se niente fosse…"

In un accumulo di stress, Sora gridò: "Per me Natsume e quella stupida di Kairi possono fare quello che vogliono, non mi importa niente di niente!"

"Ah, sì?" domandò una voce fuori campo.

Oh, no. Non queste cose da manga di Katsura, no.

Sora si girò.

Kairi lo stava guardando sorridente.

"Allora lasci a questa stupida il permesso di fare quello che vuole?"

Sora non fece in tempo a dare un senso ai suoi balbettii che Kairi si mosse e uscì dalla sua visuale –coperta dalle persone che si erano annidiate lì attorno per assistere alla sua umiliazione. Ma…c’era pure gente di altre classi!

"Che antipatica…" bofonchiò la bionda. L’altra lo guardò con determinazione: "Non ti arrendere, Yamaguchi-kun. Ricordatelo, noi saremo sempre con te!"

"Noi e tutto il fan club!"

"IL FAN CLUB?!"

Da dietro arrivò un coro di risate e di "Come ci si iscrive?"

"Ricordati, se hai bisogno di qualsiasi cosa, cercaci!"

"Noi siamo Yuna, Rikku, e Paine!"

"Cos’è questa storia del fan club?!"

Le ragazze saltarono giù dal banco e quella castana -Yuna?- domandò con un sorriso: "Tu fratello è nella sezione B della terza inferiore, esatto?"

Non capendoci più niente, Sora si limitò ad annuire. Le due ragazze si guardarono vittoriose e fecero un saltello di gioia, poi si girarono nuovamente verso di lui: "Vogliamo dargli il nostro supporto per la sua storia d’amore con Axel!"

…Pausa.

Riavvolgimento.

Play.

Storia – d’amore – con – AXEL.

"Che…che cosa?"

"Sono così carini!" cinguettò Rikku "Io l’ho sempre detto che sarebbero stati bene insieme."

"Che bugiarda, non sapevi neanche che Yamaguchi esistesse prima di ieri." la punzecchiò Yuna.

"Non è vero, un ragazzo così carino lo avevo notato da molto più tempo di te!"

"Che cos’è questo pettegolezzo su mio fratello?!"

"Non è un pettegolezzo, è tutto vero." disse tranquillamente Yuna. Questo non aiutava Sora, visto che per loro era vero anche che lui e Natsume avevano una tormentata storia d’amore.

A quel punto, Selphie scavalcò il banco di Tidus: "Sul serio c’è qualcosa di vero in quel pettegolezzo?"

"Quindi entrambi li Yamaguchi sono gay?" domandò una voce indistinta. Sora strillò: "Io non sono gay!" poi guardò Selphie. "Tu sai qualcosa di questa stupida voce?!"

Lei annuì, come se niente fosse: "Avevo sentito qualcosa, sì. La scuola è così noiosa, bisogna pur raccontarsi qualcosa…"

"Beh, allora dimmi da dove arriva che vado subito a zittirla!"

"Come si fa a sapere da dove arrivano le voci, Sora, non hai mai spettegolato?!" chiese oltraggiata. A quel punto un’altra ragazza, da lontano, disse: "Prima a lezione stavo maillando con una koai delle medie, e mi ha detto che Yamaguchi è uscito nel bel mezzo della lezione e non è più tornato."

…un attimo. Anche Naminé glielo aveva detto…

"Sì!" esclamò Rikku, trovando terreno fertile "E non è la prima volta che succede! Pensa che la prima volta è stato…" e Selphie e l’altra ragazza si accorarono subito "—Natsume, a chiamarlo!"

A Sora sembrò che tutti i capelli non modellati dal gel gli si fossero drizzati sulla testa.

"Natsume avrebbe fatto cosa…?"

"Presto, mailla la koai e chiedile se Roxas è rientrato" suggerì Selphie all’altra ragazza, ma l’informatissima Rikku disse subito: "No, eravamo d’accordo con una nostra amica della terza che ci avrebbe avvisate se fosse tornato."

Sora non intendeva ascoltare altro. Qualcosa divampava dentro di lui come un incendio e lo consumava dall’interno. Stava perdendo il controllo.

Si alzò e si fece largo nel muro di persone che gli si era formato attorno.

Quel…maledetto…Natsume…

Il suo passo, da lento e deciso, divenne sempre più veloce, e dopo essersi scontrato col professore sulla soglia e avergli promesso che sarebbe tornato subito, cominciò a correre.

*

"Come fai a parlare così bene l’inglese?"

Il soffio della risata soffice di Axel contro il suo collo lo riempì di brividi, che corsero lungo l’umida scia che la sua lingua aveva appena tracciato. Con un gesto incurante gli avvicinò la sigaretta alle labbra, e Roxas la prese; non aspirava davvero, e per non farsi prendere in giro teneva il fumo in bocca per un po’ prima di lasciarlo andare poco alla volta –un trucco che si palesava dal momento in cui, aprendola, ne usciva una fumina che sembrava avessero appiccato un incendio ad una fabbrica di copertoni. Era comunque una sensazione tranquillizzante.

"Credevo avessi detto che non volevi sapere niente di me."

Roxas sfregò la lingua intorpidita dal fumo contro il palato asciutto, aspettando a rispondere come stesse aspettando di ricordare di aver effettivamente detto una cosa simile. L’aveva detta, lo sapeva bene. E ne era anche piuttosto fiero, gli era uscita sufficientemente fluida e tranquilla da non suonare come "seguo Sex and the City dalla prima stagione e finché non mi chiederai di sposarti fingerò di non mescolare il sesso ai sentimenti".

Si sistemò meglio contro il suo petto, facendovi aderire la schiena ed esitando un po’ di più nel premersi contro il suo bacino. Abbastanza velocemente da farlo sembrare casuale, abbastanza lentamente da lascia intendere che non lo fosse affatto.

"I giapponesi parlano l’inglese in modo offensivo. Le scuole giapponesi lo insegnano di merda, e anche i corsi specialistici fanno cagare il cazzo. Non sei stupido, lo sai benissimo, quindi chiedendomi come mai parlo bene l’inglese mi stai chiedendo A, se sono di origini straniere, B, se ho viaggiato molto. E questo la rende una domanda personale."

"…sì. Vabbé. Tu rispondimi."

Axel lo baciò piano dietro l’orecchio. Poi glielo prese in bocca e lo accarezzò con la lingua, stordendolo e contemporaneamente dandogli i brividi lungo tutta la base della schiena. Non sapeva se fosse un modo per schiacciarli o per rispondere al loro richiamo, ma si spinse più forte contro di lui e per giustificarlo finse di stiracchiarsi.

"Scappo da questo pugno di isole squallide appena posso."

"Davvero?"

Axel annuì e gli mordicchiò una guancia. Roxas odiava che lo mordesse, anche così piano -specialmente così piano, lo irritava da matti, ma in quella situazione sentiva di dover applicare la regola secondo la quale non si guarda in bocca a caval donato.

"Che fortuna…"

"Io non la chiamerei fortuna, non è che inciampo in un qualche cazzo di portale perché ho dei poteri ESP ereditari e a un certo punto mi ritrovo a Barcellona…Ci sono quei grossi cosi con le ali. So che sembra pazzesco, ma volano. Tu fai il biglietto e ti portano dove devono. Qualche volta. Altre volte si schiantano e tu muori tra atroci sofferenze, ma questa è la vita…"

"Fanculo. Dove sei stato?"

"In Europa, principalmente. Un paio di volte negli Stati Uniti. Una volta quello stronzo di Demyx ha sbagliato a fare il biglietto e siamo finiti in Canada."

"Come sono gli americani?"

"Repubblicani."

"Che vuol dire?"

"Non vuoi saperlo. Credimi."

"E gli europei?"

"Nevrotici. Totalmente. Non hai idea di quanto siano incasinati. E i loro cellulari non prendono in metropolitana."

Roxas girò la testa e lo guardò diffidente: "Non è vero."

"I swear."

"E come fanno a mandarsi le mail?"

"Non si mandano le mail col cellulare, i loro cellulari a momenti non sanno che cazzo è una mail. Ma lo sai che si soffiano il naso in pubblico?"

Roxas rise: "Bleah!"

"Comunque non fraintendermi. Sono incasinati quanto noi, solo in modo più plateale."

"Anche io voglio andare ad incasinarmi all’estero. Odio il Giappone. E’ il buco del culo del mondo."

"Io non lo definirei il buco del culo, non è così importante. Diciamo che al massimo è l’ascella."

Roxas ridacchiò, ma subito le labbra di Axel che tornarono a posarsi sul suo collo lo zittirono. Seguì con attenzione il loro tragitto di baci finché non si fermarono e gli succhiarono con forza la pelle, tirandola fino a fargli male, e nonostante l’irritazione e la voglia di mollargli uno schiaffo per farlo smettere, tutto quello che Roxas riuscì ad esternare fu una moina che sembrava molto più compiaciuta che non contrariata. Non sapeva che cosa di Axel gli cavasse fuori quei versi dalla bocca, ma aveva capito che lui invece li interpretava come se li conoscesse benissimo, e in risposta gli dava quello che Roxas nemmeno sapeva di volere.

Di più.

Ormai era passata una settimana da quando Axel lo aveva trascinato nel ripostiglio degli attrezzi, e da allora si erano visti tutti i giorni, sempre per una serie di coincidenze a cui Roxas aveva presto imparato a dare una piccola spinta. Si appartavano da qualche parte e lui lo faceva venire. Poi se era presto e non avevano altro da fare, fumavano una sigaretta e scambiavano quattro chiacchiere. Axel era una di quelle persone che sanno parlare per ore di niente. Avrebbe potuto fare il truffatore o lo show man. Roxas lo ascoltava e guardava le sue labbra, chiedendosi se sarebbe stato strano baciarle senza che stessero facendo niente. Concludeva sempre di sì, per questo non lo aveva mai fatto.

Non aveva motivi per baciare Axel.

I loro baci erano atti sessuali, niente di più.

Anche in quel momento, mentre lui gli infilava una mano nei pantaloni ancora sbottonati della divisa, le loro lingue che s’intrecciavano erano semplicemente un modo per non stare in silenzio e farla sembrare più seria di quanto non fosse.

Non era seria. Non era niente.

Roxas si strusciò contro di lui, morbido, languido come non avrebbe mai pensato di poter essere, e cominciò a fare praticamente le fusa. Axel imitò i suoi versi con un sorriso derisorio e compiaciuto insieme, poi prese una boccata dalla sigaretta e gli soffiò lentamente il fumo in bocca, ricominciando a baciarlo.

Roxas sapeva benissimo che Axel stava solamente giocando un po’ con lui.

Sapeva anche che in quel momento lui era il suo giocattolo preferito, e lo aveva realizzato senza entusiasmo, come un semplice dato di fatto, in quanto era altrettanto chiaro che come tale sarebbe stato presto sostituito da un acquisto più recente. Non per noia, o per cattiveria. Solamente perché questa è la natura dei bambini.

A Roxas, questo andava benissimo.

Sapere che quella cosa aveva una data di scadenza come il latte lo aiutava a prenderla come veniva e a non pensarci. Sapere che entrambi se ne sarebbero presto dimenticati senza troppi problemi lo aiutava a chiudere gli occhi e godere senza preoccuparsi.

Un’altra cosa che Roxas sapeva, era che essere il preferito non significa essere l’unico. Axel aveva sicuramente una di quelle ceste ricolme di giocattoli anonimi, che svuoti sul pavimento della tua stanza all’occorrenza. Doveva avercela per forza, visto che non si era mai preso niente da lui.

Niente di niente.

Questa era l’unica cosa che gli dava da pensare. Provava come un senso di parassitismo, e a volte mentre Axel lo masturbava gli tornava in mente sua madre che gli diceva di non andare mai a cena da qualcuno a mani vuote, perché è cattiva educazione e lo costringerai a non invitarti più.

Il fatto che quella cosa avesse una data di scadenza non significava che dovesse per forza non essere a lunga conservazione.

Non voleva che Axel smettesse di interessarsi a lui prima del tempo, visto che aveva finito Final Fantasy XII e lui era attualmente l’unico perno d’interesse delle sue giornate.

Non sopportava più la scuola. La sua tolleranza per i suoi compagni stava raggiungendo livelli paurosamente bassi ed era sempre più vicina a manifestarsi spaccando una sedia sulla schiena a qualcuno solo perché commetteva l’errore di dirgli "Ciao Yamaguchi!" al mattino. Non sopportava la vista dei suoi compagni, dei professori, dei suoi amici, di Sora e persino di Naminé.

Axel era l’unico che non gli desse la nausea.

Era vuoto, dissacrante, e freddo. Non aveva slancio. Rideva sempre perché aveva tutto e non gli interessava niente.

Si somigliavano.

Roxas non fingeva che gli fregasse qualcosa di Axel e Axel non fingeva che gli fregasse qualcosa di lui.

Con gli altri doveva sempre fingere di provare interesse per i loro patetici umori, chiedere come stavano, che cosa ci fosse che non andava quando li vedeva tristi e che cosa fosse successo di bello quando invece erano allegri. Ad Axel non doveva chiedere niente. Axel non chiedeva niente a lui.

Axel non aveva nessuna stima di lui e questo lo eccitava.

Gli si sfregò contro, insistendo sul bacino, sul calore tra cosce, solo un attimo, giusto il tempo di farsi sentire, prima di salire un po’ di più e saggiare la solidità del suo corpo con la schiena. Sembrava così magro, a vederlo, che quando gli stava vicino e sentiva i rilievi del suo petto, la compattezza degli addominali sotto il soprabito, dentro di lui si accendeva uno strano interesse, una curiosità affamata che sembrava impossibile da soddisfare.

Cominciò a scivolare lentamente verso destra, dove sentiva il rigonfiamento imponente dei suoi pantaloni, e soddisfatto sorrise tra se e se al pensiero che anche un giocattolo in fondo potesse farsi desiderare.

Axel rise appena contro il suo orecchio, che non aveva smesso un attimo di corteggiare con baci sussurri morsi e leccate: "Se ti stai strusciando apprezzo il pensiero, ma quello non è il mio cazzo."

Roxas si fermò per un attimo. "E allora che cos’è?"

"Dopo te lo spiego…" gli sussurrò in fretta, prima di spostarlo impazientemente più verso sinistra "…adesso continua."

"Ma qui non c’è niente."

In risposta Axel gli schiaffeggiò la testa. "Tu continua a muoverti."

Roxas annuì e fece come lui gli aveva detto, mentre ricominciava a cogliere gli inviti della sua mano a gemere e sospirare. Aveva capito abbastanza velocemente che era la vanità l’organo sessuale più attivo di Axel, e che farlo sentire apprezzato, alzare la voce e ammettere che gli piaceva, era il modo migliore per ottenere di più. Intanto finalmente sentiva il suo membro duro e bollente premuto forte tra le natiche, e più la stretta diventava brusca e veloce nei suoi pantaloni più i suoi movimenti diventavano intensi, più il piacere cresceva più lui saliva, fino a soffocare i gemiti contro il suo collo, più il viso gli diventava rosso e accaldato più Axel lo incitava a muoversi, e più lui parlava più Roxas si muoveva, finché la testa quasi non gli faceva male, finché la forma delle cose attorno a lui si confondeva, e più tutto si confondeva più il corpo di Axel diventava chiaro, e più lo diventava e più si muoveva, e più lui si muoveva più Axel si spingeva contro di lui, e più lui spingeva più Roxas si muoveva ancora, e ancora, e ancora.

Cazzo, era bello. Cazzo. Che bello, cazzo, cazzo…

"AAAAAAAAH!!"

Il so corpo lo riconobbe prima ancora che il cervello lo elaborasse.

Roxas spalancò di colpo gli occhi e fermò con una botta la mano di Axel, facendosi fra l’altro un male pazzesco. Tempo tre secondi Sora aveva ricominciato a gridare in modo secco, addirittura preciso, come se ciascun grido seguisse le precise direttive del direttore d’orchestra.

"AAAAH! AAAAAH! AAAAAH!"

So…Sora?

"Sora?!"

"AAAAAAAH!!!"

Sì, non ci pioveva, era Sora.

Fece giusto in tempo ad essere sicuro di questo, che continuando a strillare con il suo caratteristico modo da scimmia in cattività impazzita suo fratello avanzò implacabile verso di lui, gli afferrò un braccio, ed il suo corpo ancora sotto shock per il cambiamento di stato da sublime ad adesso-mi-sveglio-adesso-mi-sveglio non fece la minima resistenza. La fece invece qualcos’altro, perché si sentì tirare indietro, e solo quando Axel domandò "Yamaguchi, quella me la fai tenere?" Roxas capì che aveva ancora la sua mano incastrata nei pantaloni. Anche Sora se ne rese conto in quel momento, diventò della più terrificante tonalità di rosso acceso che avesse mai visto in un cocktail tropicale e con un "AH!" gracchiante lo lasciò andare e si allontanò di scatto.

Sebbene lo manifestassero in modalità del tutto differenti –Roxas sbatteva gli occhi con il fare stranito di chi si sta riprendendo da una sbronza, Sora continuava ad aprire la bocca, tapparsela con le mani, gridare cose e tapparsela di nuovo indicandolo con l’altra- sembrava che nessuno dei due si fosse ancora reso perfettamente conto della situazione in cui si trovavano.

Poi, contemporaneamente, ebbero come l’illuminazione e si guardarono con improvvisa consapevolezza.

Roxas capì che gli era appena successa la cosa peggiore che poteva appena succedergli.

Sora riuscì a formulare la prima frase con più di una sola vocale estesa all’infinito: "SI PUO’ SAPERE CHE COSA STAI FACENDO?!"

Stavo per avere un orgasmo. Forse stavo per farne avere uno a lui. Stavo da Dio.

Finalmente lucido, Roxas si trovò fisso nello sguardo invasato del fratello.

"Vai via!" riuscì solamente a dire, con l’imbarazzo e la tensione per l’orgasmo abortito che si mangiavano qualsiasi altra parola sensata.

Sora aveva la bocca larga, larghissima.

Avrebbe parlato. Oh, avrebbe parlato. Con sua madre, con suo padre, con gli impiegati sul treno, con tutti.

Era nella merda. Cristo, era nella merda.

Sora, in un’esplosione di rabbia da bambina isterica a cui hanno rubato la palla da sotto il naso, cominciò a prendergli a schiaffi le spalle. "SI PUO’- SAPERE- CHE COSA - STAVI - FACENDO?!"

Le botte lo risvegliarono definitivamente e Roxas cominciò ad agitare il braccio che lui gli aveva afferrato, fino a liberarsi.

"Che cosa ti sembra che stessi facendo, eh?! EH?!"

"Sei diventato scemo?!" lo colpì di nuovo "SEI.DIVENTATO.SCEMO?!"

La cosa peggiore era che Roxas sapeva di avere torto.

Saltava le lezioni per farsi masturbare da un tizio di cui non conosceva il nome di battesimo, e la verità era che per quanto poco seria fosse aveva nascosto questa cosa persino a Naminé, e così facendo l’aveva fatta diventare segreta, le aveva dato un fottuto significato.

Era diventato scemo, cazzo.

Era diventato scemo sul serio.

"Abbassa la voce" fu tutto quello che riuscì a dire davanti all’evidenza.

La sua fortuna era che Sora fosse troppo poco sveglio, o troppo poco malizioso, da rendersi conto di quando poteva dichiararsi vincitore e cominciare ad infierire. Riusciva sempre a dire qualcosa da usare contro di lui.

"Siamo a scuola! A scuola! Sei diventato pazzo?! Non lo sai che la gente spettegola su di te già così?! Già pensano tutti che tu sia gay, e poi fai queste cose! Che cosa dovrebbero pensare, adesso?!"

Eccolo. Piccolo, stupido Sora.

Roxas si riallacciò i pantaloni che gli scivolavano lungo i fianchi. "Che è la verità."

Lo disse con molta più freddezza di quanto non avrebbe sperato. In realtà era turbato al limite del tremore.

Era la verità?

Oh. Oh. Oh mamma. Oh mamma.

Sora sembrava offeso, come se gli avesse detto un’orribile bugia solo per ferirlo. Non è possibile diceva, anche senza parole –era sempre stato ottusamente cristallino. Questo offese lui, e molto. Come si permetteva di guardarlo così? Come si permetteva di non prenderlo sul serio, di decidere che cosa fosse o non fosse possibile?

Va bene, era ufficiale, gli piacevano i ragazzi. Va bene, era gay. E va bene, doveva scavarsi un buco ed elaborare la cosa perché stava per venirgli un infarto. Ma come diavolo si permetteva Sora di sentirsi offeso da questo?

Come se parlasse con un moccioso che ha esagerato, suo fratello decretò: "Andiamo" e lo prese nuovamente per un braccio. Roxas puntò i piedi. "Lasciami, smettila, non sono un bambino, lasciami!"

Sora lo prese come un segnale per girarsi e ricominciare a strillare.

"Non sei un bambino, sei un pazzo! E’ molto peggio! Quello è un criminale, Roxas! E’ pericoloso! Non puoi sapere che cosa gli passi per la testa, non ha rispetto per le regole, non ha rispetto per nessuno!"

"…e quando arrivano i motivi per cui non venire a letto con me…? " domandò Axel.

Sora allora fece quello che chiunque vorrebbe fare almeno una volta nella vita: si tolse una scarpa e gliela lanciò dietro. Se non fosse stato così sconvolto e arrabbiato, Roxas avrebbe riso.

Su un piede solo, Sora ordinò: ""Fila subito in classe!"

Lui sgranò gli occhi, umiliato: "Tu non mi dici di tornare in classe, hai capito?!"

"Certo che te lo dico, te lo dico eccome, fila subito in classe! Sei uno…uno…" ribollì per un po’ e poi lanciò il peggior insulto del suo vocabolario "Sei uno svergognato!"

"E tu sei un omofobico del cazzo, ecco cosa!"

Era la prima cosa che gli era venuta in mente. Grazie al cielo funzionò, perché Sora scattò come alla puntura di una vespa: "Non è vero per niente!"

"Non avresti fatto tutte queste storie se fossi stato con una ragazza!"

"Questo non c’entra assolutamente niente!" si sbracciò, rosso di rabbia "Scusa tanto se non do al mio fratellino di quattordici anni una pacca sulla spalla perché vuole diventare la nuova prostituta dei Tredici!"

"Visto? Parli subito di prostituzione, non ti ha nemmeno sfiorato l’idea che forse io e Axel ci amiamo?"

"Certo che no, fare quelle cose non è amore!"

Fino alla sua risposta, Roxas aveva creduto che io e Axel ci amiamo sarebbe stata ufficialmente la frase più fantascientifica del giorno.

Piccolo, stupido Sora.

A volte desiderava più di ogni altra cosa ucciderlo.

"Quello che voglio dire" si corresse "è che l’amore non si vede da quelle cose lì."

"E da che cosa si vede? Da quanto forte è il tonfo che fai cadendo dal letto per non baciare la tua ragazza?"

"Questo non c’entra assolutamente niente…!"

"No, certo, quella era una cosa seria. Tutto quello che riguarda Sora è così serio."

Quanto veleno inaspettato. Sora sembrava turbato, così indeciso ma così ferito.

Gli faceva venire voglia di infierire.

Gli faceva venire voglia di ammazzarlo.

"Quando Sora ha un problema, tutto il mondo si deve fermare al suo capezzale e compatirlo. Tutti devono fare le carezzine alla sua testa vuota e fingere di prendere sul serio le sue stronzate, perché altrimenti il suo cuoricino si spezzerebbe. E’ sempre Sora, Sora, Sora, sempre e solo Sora."

Sora aveva gli occhi sgranati e sembrava faticare a seguirlo. Certo, faticava a seguire sempre tutto, quell’idiota, ma invece di dirglielo e fargli presente quanto patetica fosse la sua lentezza ecco che tutti erano sempre pronti a rallentare il passo per lui, a spiegargli la lezione in parole semplici, a girargli la minestrina e a imboccarlo, invece che prenderlo semplicemente a calci nel culo come si sarebbe meritato.

Perché nessuno stava al passo di Roxas per compiacerlo?

Perché non arrivava un cazzo di qualcuno a cambiargli la vita?

"Quando è stata l’ultima volta che ti sei fermato a guardarti attorno?"

La voce gli tremava. Dio, avrebbe potuto strappargli la testa da quel collo da gallina e prenderla a calci fino a casa. Come si permetteva quell’idiota di fargli gli affari suoi? Come si permetteva di andare lì, urlare come se fosse sua madre, dargli ordini e giudicarlo – come si permetteva di fargli fare una simile figura davanti ad Axel?

"Quand’è stata l’ultima volta in cui ti sei chiesto che cosa provasse qualcun altro all’infuori di te, Sora?"

"Questo non c’entra niente, adesso smettila" sibilò lui, smorzato, privo di qualsiasi energia avesse avuto fino a un attimo prima.

"Ti sei chiesto come mai Kairi si sia messa con qualcun altro? Ti sei chiesto come mai Naminé non si sia espressa sul tuo gravissimo problema del bacio di Natsume?"

Sora abbassò lo sguardo, ancora con un cipiglio arrabbiato.

"Ti sei mai chiesto per un solo secondo come mai tutta la scuola abbia un’opinione ben chiara della mia sessualità tranne te?"

Lui sbatté gli occhi e lo guardò. Roxas si sentì improvvisamente più calmo.

"Sei talmente egocentrico da non aver nemmeno intuito una cosa che degli estranei hanno capito da anni."

Lo sguardo si Sora andò ammorbidendosi lentamente, e sembrò tremare per un attimo.

"Rokuchan, non…" cominciò, con un filo di voce. Non riuscì adire altro perché all’improvviso, come un tuono del tutto in atteso in uno splendente pomeriggio d’estate, qualcuno gridò: "Allora era davvero un segreto!"

Si immobilizzarono entrambi. Poi in sincronia perfetta alzarono gli occhi.

Natsume era affacciato a una finestra. Natsume e beh, certo, anche TUTTA LA SCUOLA stipata nelle finestre come api in un alveare in sezione.

Adesso mi sveglio.

Adesso mi sveglio.

"Che avete da guardare, sciò!" strillò Sora. Mai nessuno aveva fatto cosa più inutile. Come se non fosse ovvio che se ti metti a urlare nel cortile della scuola prima o poi tutti escono a vedere che cosa sta succedendo. Oddio, ma non era il professor Pete quello?!

"E’ stato simpatico, ma devo fare almeno tre ore di lezione al giorno se non voglio che Ansem me la meni troppo."

Roxas quasi si era dimenticato della sua presenza. Stava cercando un buco qualsiasi dove nascondersi e morire, quando il nero gli coprì la visuale e si sentì afferrare possessivamente i fianchi.

Un attimo dopo, Axel gli stava dando il bacio più pazzesco che quella scuola pidocchiosa avesse mai visto.

Roxas spalancò gli occhi, e vide i suoi così verdi, verdissimi, che lo guardavano come se il suo sforzo di stare al passo con la sua lingua imperiosa fosse eccitante. Chiuse gli occhi, perché non poteva resistere così senza che le gambe gli cedessero, e in un attimo Sora sparì, la scuola sparì, la collera sparì, e tutto quello che rimase fu la sensazione di stare per impazzire di piacere.

Anche quando Sora ricominciò a fare versi incomprensibili, e i professori gridavano sopra agli schiamazzi degli studenti di tornare in classe, Roxas sentì solamente Axel che si allontanava dalle sue labbra e gli sussurrava con il suo sorriso irresistibile: "Hope to see you soon, baby."

Un attimo dopo il suo profumo si era affievolito e le voci si erano fatte più forti, sempre più forti, fino ad assordarlo e non avere più senso.

Non gliene importava niente.

Era come se Axel si stesse portando via la parte razionale di lui, e invece di fermarlo e riprendersela Roxas gliela lasciava come un pegno, una promessa.

Sentiva solo l’odore del fumo sui vestiti, e Sora che aveva la meglio e lo trascinava in classe.

*

 

Gli sembrò che Donald fosse scivolato verso destra quando aveva dato cenno di volersi sedere accanto a lui. Sora lo guardò per un attimo, cercando di capire se avesse visto bene, poi mosse un altro passo verso di lui e Donald si allontanò ancora. Sì, aveva visto bene.

Per sfida fece velocemente un passo e poi ne fece un altro indietro, per vedere Donald spostarsi ancora e poi tornare al proprio posto scampato il pericolo. Continuarono così per un po’. Alla fine i pantaloni della divisa di Donald erano tutti sporchi d’erba e Goofy lì a fianco dava l’impressione di avere il mal di mare.

"Che c’è?"

"Non rivolgermi la parola, nessuno deve sapere che ti conosco."

Sora incrociò le braccia. "Lo sanno tutti che mi conosci, siamo sempre insieme dalla prima media!"

Donald lo guardò come se fosse arrabbiato per la ragionevolezza della sua osservazione, e dopo aver sospirato pesantemente gli fece spazio tra lui e Goofy. In quel momento un gruppetto di ragazze di seconda passò dietro di loro e disse qualcosa con quel tono da parliamo-piano-ma-se-ci-sente-poco-male. Lui capì solo "Yamaguchi" e "Axel dei Tredici", ma era a sufficienza. Nascose la testa tra le braccia e Donald disse: " La prossima volta che programmi di disintegrare la tua vita sociale avvisami, resto a casa da scuola."

"Secondo me c’è tanto rumore per nulla…" osservò Goofy facendo spallucce "Non è mica la prima volta che qualcuno viene sorpreso con uno dei Tredici."

"Sora. Tanto rumore. Sora. Tanto rumore. Perché queste parole hanno lo stesso significato, per me…?"

"Senti, vorrei proprio vedere te al mio posto!" cercò di difendersi "Non mi interessa se abbiamo fatto una figuraccia, anzi! Ben venga! Magari quello sprovveduto si rende conto dei guai in cui si è andato a cacciare." sbuffò "L’unica cosa che mi secca è che devo tornare a cercare la mia scarpa."

Si sentì il rumore particolarmente forte di una palla che veniva respinta da una mazza. Le seconde stavano giocando a baseball, mentre la loro classe stava praticamente pascolando in attesa che la terza media liberasse un campo. Non vedeva Roxas in giro, il che lasciava supporre che fosse ancora nell’ufficio del preside. Meglio così, un po’ di autorità poteva solo dargli una raddrizzata, a quell’incosciente.

Sora rivolse la sua attenzione alla partita di baseball, e neanche a dirlo era Natsume ad aver colpito la palla, e neanche a dirlo questa era volata fuori campo come se fosse stata pilotata. Probabilmente lo era.

Alieni. Ve lo dico io.

"E’ fatto di steroidi!" gridò con le mani a megafono "Fategli il test del dopping!"

Incredibile, visto che erano abbastanza distanti, ma vide chiaramente che Natsume si era girato verso di lui e lo aveva guardato malissimo. Oh mamma, oltre alla super forza aveva anche il super udito e la super vista. Se aveva anche il super-pene e il super-portafoglio era fottuto.

"Nessuno può correre così veloce! E’ drogato!" gridò ancora, il più forte possibile, e in preda alla frenesia cercò un sasso o qualcosa dal genere da tirargli dietro per spaccargli la testa. Chissà se sarebbe riuscito a superare la rete.

Quella maledetta rete, era da lì che tutto era cominciato.

Sora si alzò e camminò a passo deciso verso il campo. Donald e Goofy gli chiesero che cosa avesse intenzione di fare, poi con la riluttanza tipica degli amici discordi, ma fedeli, lo seguirono.

Si aggrappò alla rete. Non sapeva che cosa l’avesse spinto lì, ma la rabbia cresceva, e cresceva, e le sue dita si stringevano così forte attorno ai soliti fili metallici da sentire che quasi si tagliavano.

Cresceva. E cresceva.

E stringeva, e stringeva, fino a bloccare il sangue.

Fissava Natsume come un obbiettivo, come se solo desiderando avrebbe potuto fargli esplodere la testa.

E cresceva. Il sangue ribolliva. Il cervello si stringeva. Solo altro sangue nella testa.

Poco lontane da lì, le ragazze stavano facendo il tifo.

C’era Kairi insieme a loro.

Natsume le fece un cenno con la mano. Lei gli sorrise e gli rispose.

"Questo è troppo." sibilò.

"Che cosa?" domandò Goofy, che subito arretrò spaventato, come se l’aria attorno a lui fosse cominciata a scottare.

Era troppo. Oh, era troppo.

"Questo…è…TROPPO!"

"Sora, che cosa---" Donald non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase che cacciò un urlo. Goofy si tappò la bocca, e tutte le ragazze -Kairi compresa- cominciarono a fissarlo e indicarlo gridandolo e chiamando i professori chiudendosi in uno stormo agitato. "E’ pazzo! E’ pazzo!" Il professore delle seconde cominciò ad urlargli "ehy, ehy, ehy" avvicinandosi. Attorno a loro si erano radunati gli altri studenti allo stato brado, un tifo di curva, sguardi impressionati, Tidus che lo incentivava e Donald e Goofy ce cercavano di afferrargli le gambe e riportarlo a terra. Kairi che lo supplicava . Persino quel bastardo di Natsume si fermò a guardarlo.

Sora stava scalando la rete.

Indemoniato, con gli occhi rossi il respiro pesante e tutto il corpo raggrumato come quello di un animale sotto sforzo, la bava quasi alla bocca, poteva sentire da solo il tema dell’Eva 01 che gli cresceva alle spalle e come a sottolinearlo qualcuno urlò "Yamaguchi è in berserk!"

Piombò in campo con un tonfo, saldo sulle gambe, con un polverone minacciosissimo tutto attorno, le ginocchia solo un po’ provate dall’impatto. Non gli importava. Avrebbe potuto lasciarci anche un braccio in quella rete, sarebbe potuta essere di spine, il campo poteva essere minato, lui sarebbe avanzato diritto verso una sola cosa: Riku Natsume.

Quando gli fu davanti, e lui lo guardava con i suoi occhi freddi ed il suo ghigno strafottente, fu abbastanza.

Avrebbe ucciso quel ragazzo.

Oh, sì, prima o poi l’avrebbe ucciso.

"Che cosa vuoi da me?" ansimò, sporco di terra e con le mani che gli tremavano di rabbia, ancora indolenzite e profondamente segnate dalla scalata. Natsume aprì la bocca per dare una delle sue rispostine sagaci del cazzo, ma Sora lo interruppe: "Arrivi in questa scuola. Mi rubi il record di corsa. Esci con la mia ragazza. Fai il cascamorto con mia sorella--" strinse i denti e alzò la voce "e adesso organizzi incontri tra i Tredici e mio fratello?! Che cosa ti ho fatto, che cosa vuoi da me?!"

Il professore, del tutto ignorato, cominciò a dire di ricominciare la partita, come se questo sarebbe servito a smaterializzarlo fuori dal campo.

Natsume lo stava guardando come se niente fosse. Come se la persona che gli stava davanti non lo odiasse così tanto da scalare una parete di ferraglia come neanche Xena la principessa guerriera solo per poterglielo dire in faccia. Davanti alla sua rabbia, davanti alla sopportazione ormai nulla che Sora aveva della sua sola presenza, lui si limitò a dire: "Sei tu che sei sempre in mezzo."

Sora fece una specie di risata distorta e folle: "Quindi è un caso? Mi stai tormentando per caso?"

"Sei tu che mi stai tormentando, Yamaguchi. Smettila, è un consiglio."

Adesso il suo sguardo era duro. Lo guardava come se fosse stato un insetto.

Come…si…permetteva, quel…quel

"Un consiglio?" rise ancora. Sembrava il Joker di Batman. Rideva come il Joker di Batman. Natsume lo stava facendo diventare un cazzo di nemico pazzoide di Batman. "Oh, grazie. Grazie per la tua magnanimità. E che cosa mi fai sei non smetto? Eh?"

"Sei fastidioso."

"Farai il figo fino ad uccidermi?"

"Davvero. Smettila di essere fastidioso."

"Potresti prenderti la mia ragazza, illudere mia sorella e far diventare gay mio fratello. Ah, no L’HAI GIA’ FATTO!"

"Adesso."

"Vuoi il record di corsa? Tienitelo! Quello di salto in lungo, salto in alto, salto con l’asta –tieniteli tutti, non m’interessa, ma lasciami in pace! Lascia in pace la mia ragazza!" avanzò fino a poter quasi sentire le sue grida che si infrangevano su quella faccia di cazzo "Lascia in pace mia sorella! Lascia in pace mio fratello! E ridammi il mio primo bacio! RIDAMMI IL MIO PRIMO BACIO!!"

Poi qualcuno gridò "palla!"

Sora era troppo furibondo, troppo accaldato, troppo concentrato sugli occhi verde elettrico di Riku Natsume per rendersene conto.

E un secondo dopo era a terra, con i principi di una commozione celebrale e il suo peggior nemico che lo trascinava per un piede fuori dal campo, come se fosse stato la carcasse di un animale morto.

*

Un bip acuto e regolare si era insinuato lentamente nella sua testa ancora sconnessa e aveva agganciato la sua conoscenza. Sempre più forte, sempre più forte. Quando divenne fortissimo, Sora aprì gli occhi.

Era in infermeria.

Rimase a fissare il soffitto per un po’, riprendendosi con calma dallo stordimento, mentre il bip continuava a battergli colpi ad un ritmo lento e costante nel cervello.

"Quando è successo l’ultima volta?"

Una voce femminile che non gli suonava famigliare. Sbatté gli occhi e si girò verso la tenda bianca tirata. Le due ombre si confondevano e deformavano tra le onde del tessuto leggero.

"L’altro ieri."

Natsume. Sora si sentì pervadere istantaneamente dalla rabbia, ma questo gli fece venire istantaneamente il mal di testa, come se il suo corpo volesse dirgli di lasciar perdere. Si portò una mano sulla fronte e sentì che era fasciata. Si mosse appena, ma un dolore fortissimo dietro la nuca lo convinse a stare fermo.

"Ti sei sforzato troppo?"

"Non più del solito."

"Sei sicuro che non sia successo qualcosa?"

"Ti ho detto di no."

Il bip, che era continuato fino a quel momento, si arrestò. Una sedia strisciò a terra per un breve tratto e qualcuno si alzò.

"Quanto durano questi attacchi?"

"Un po’."

"Non puoi essere più specifico?"

"La prossima volta che sto per schiattare tiro fuori il cronometro e ti mando un sms al volo, Aerith."

Una leggera risata. "Sarebbe il minimo."

Strappi e rumori metallici. Un armadietto che si apriva.

Non era la voce della solita dottoressa.

Era una voce limpida, incredibilmente piacevole da ascoltare. Sensuale, in un modo affatto sessuale, ma completamente avvolgente. Somigliava un po’ alla voce di Namichan, a pensarci bene.

Fogli che si giravano. "Sai come si chiama il ragazzo di là?"

"Yamaguchi."

Lo aveva detto borbottando, come se stesse parlando di una cosa fastidiosa. Sora morse le lenzuola per non saltare fuori e rompergli qualcosa in testa.

"…Yamaguchi? Quel Yamaguchi?"

"No, questo è quello stupido."

"Oh, capisco."

Come sarebbe a dire capisco?!

"Dunque l’altro sarebbe…"

"Suo fratello minore."

"Pensi che riusciresti a portarlo qui? Senza contusioni gravi, magari."

"Come altro pretendi che ti porti la gente in infermeria?"

"Vacci solo piano, ok?"

Qualcosa che veniva scartato.

"Penso che tu possa fare a meno di me. Pare che abbia una specie di tresca con Axel."

"Con Axel?"

"Yup."

"Mh. In un modo o nell’altro dovrei incontrarlo presto, allora."

"Sempre se ritrovano il corpo."

Un’altra risata. "Oh, Riku!"

Sentì buttare qualcosa nel cestino, poi dei passi cominciarono ad avvicinarsi. Chiuse gli occhi in tempo per sentire gli anelli della tenda che strisciavano contro la struttura metallica. La voce dolce lo chiamò.

"Yamaguchi? Sveglia, pigrone."

Lui fece qualche verso, per sembrare che lo stessero disturbando, poi aprì indeciso gli occhi. Davanti a lui c’era una ragazza con grandi occhi verdi e le labbra a cuoricino più rosa che avesse mai visto. La lunga frangia le incorniciava il viso minuto, ma dall’aspetto estremamente maturo nonostante fosse chiaramente così giovane. Il primo pensiero di Sora fu alzare le coperte per controllare di avere ancora tutti gli organi. Sembrava di sì. La ragazza rise.

"Tranquillo per i segni, abbiamo studiato nuovi metodi che non lasciano nessunissima traccia. Potresti vivere per sempre con un solo rene e non lo sapresti mai."

Non gli sembrava una cosa molto divertente. Si toccò dove gli sembrava che dovessero esserci i reni, stranamente non stupendosi quando constatò che sembrava tutto a posto. Ma onestamente, che ne capiva lui di medicina? Potevano avergli asportato tutto lo stomaco e non se ne sarebbe accorto fino all’ora di cena (dove va il cibo a uno senza lo stomaco? Gli mettono tipo un sacchetto di plastica dentro e loporti fuori come la spazzatura? Che schifo). La ragazza fece un sorriso e inclinò la testa su un lato.

"Non ti preoccupare Yamaguchi, sono la dottoressa Gainsborough. Starò con voi per un po’ di tempo. Come ti senti?"

Sora guardò per un attimo dietro le sue spalle sottili, che sembravano un po’ più larghe per via del camice. Appoggiato al tavolo, Natsume si stava tamponando l’avambraccio con un batuffolo di cotone.

Sora tornò a guardare la ragazza. Oh, al diavolo, sembrava così simpatica! in fondo che gli importava se gli aveva preso un rene? Per fortuna ne aveva un altro!

"Ho un bozzo dietro la testa."

"E’ stata una bella botta. Hai dormito per quasi venti minuti. Che cosa ci facevi in mezzo al campo da baseball?"

Sora lanciò un’occhiata a Natsume e grugnì un vago "passavo di lì" che lasciava intendere non volesse dare ulteriori spiegazioni.

"Allora sei stato fortunato che la palla non l’abbia tirata Riku. A quella stessa distanza avrebbe potuto romperti la testa, non è vero Riku?" disse sorridente, come se fosse una cosa di cui andare fieri.

"Certe fortune non capitano mai." rispose lui. Sora alzò il medio e glielo mostrò nel modo più evidente possibile. Intanto la dottoressa si sporse su di lui e gli abbassò il bendaggio, coprendogli la visuale con la sua frangia ballonzolante e l’enorme fiocco rosa che raccoglieva una treccia lunghissima, di quelle che ti aspetti di vedere solamente nei cartoni animati.

"Qui va tutto bene, non dovrebbe faticare a cicatrizzarsi. Perde un po’ di sangue, ma non è il caso di tagliare i capelli per applicare un tampone; cerca solo di portare la medicazione per un paio di giorni, di sostituirle e disinfettare la ferita, va bene? Per cambiare le bende fatti aiutare da qualcuno, così sei sicuro di coprire bene il bollo, intesi?"

Sora annuì.

"Sei stato fortunato, una palla da baseball a quella distanza poteva costringermi a ricucirti la testa, o peggio. Fai più attenzione la prossima volta, intesi?"

Sora annuì di nuovo.

…un attimo. Ma aveva davvero scalato la rete? Fortissimo!

L’euforia durò tre secondi precisi. Al quarto si rese conto che se avesse scalato la rete per Kairi niente di tutto quello sarebbe successo. Forse il suo amore per Kairi non era abbastanza forte. Forse lui era una creatura d’ombra governata dall’odio. Apparteneva al Lato Oscuro. Destino meschino.

La dottoressa interruppe le sue elucubrazioni.

"Bene!" gli sorrise, poi si girò verso Natsume "A te faccio sapere qualcosa questa sera."

Lui non fece nemmeno un cenno, e si limitò a riallacciare alcuni dei bottoni slacciati della camicia.

"Adesso io mi assento per dieci minuti. Speriamo che a nessun altro venga in mente dimettersi a strillare in mezzo al campo da baseball."

Ah, allora era inutile che facesse la finta tonta, qualcosa sapeva! Sora ribollì un po’ per conto suo, ma non disse niente. Si mise a sedere sul letto e vide che aveva tutta la divisa sporca di terra. Ora che ci pensava: Natsume lo aveva trascinato fino in infermeria per una gamba!

La dottoressa si tolse il camice. Sotto indossava un ampio abito rosa scuro. "A presto Yamaguchi. E Riku…"

Sora alzò gli occhi al cielo. Ecco che arrivava la frase enigmatica.

La dottoressa sorrise: "Ciao!" e uscì. Sora ci rimase quasi male.

Rimasti soli, guardò sbrigativamente Natsume e borbottò: "A me però non hai preso sulle spalle, eh? Chissà come mai."

"Chissà come mai, appunto" rispose lui, guardandolo come per fargli intendere che già trascinarlo e non lanciarlo con una fionda facendogli sfondare il vetro della finestra era stato un enorme favore. Sora si toccò dietro la testa e sussultò: "Ahio!" –ovviamente. Adesso capiva un po’ di più Kairi che si era fatta portare in spalla, ma non gliel’avrebbe mai detto. E comunque lui l’aveva presa a distanza molto più ravvicinata quella maledetta palla, quindi il paragone non sussisteva.

"E’ probabile che per la festa dello sport non sarò nemmeno più in questa scuola."

Sora tornò a guardare Natsume. "Perché, il diavolo verrà a prendere la tua anima prima?"

"Non me ne frega niente dei tuoi stupidi record. Non mi sento in competizione con te e non ti ruberò la scena, quindi smettila di infastidirmi."

"Io ti infastidisco?!" saltò giù dal letto "Tu hai--"

Lo sguardo di Natsume fu lampante come una supplica e gli fece mangiare le parole. In effetti anche lui cominciava a stancarsi di fare il riassunto. "Sei tu che infastidisci me!"

"Sì, sì, va bene" rispose Natsume, agitando una mano come per scacciare una mosca. "Non sto cercando di concupire tua sorella. E men che meno prendo una percentuale sui ragazzini che si sbatte Axel. Passavo di lì e mi ha chiesto di andare in classe a chiamarglielo una volta, per caso. Tutto qui. Non sapevo nemmeno che fosse tuo fratello, e se lo avessi saputo fidati che mi sarei tagliato un braccio pur di dover aggiungere anche questa al tuo nelle puntate precedenti. E’ chiaro?"

Sora aveva una specie di broncio. Natsume si stava giustificando con lui? I conti non gli tornavano e preferiva diffidare.

"E me lo stai dicendo perché…?"

Natsume sbatté incredulo gli occhi. "Scusa? Sono due settimane che mi stai addosso. Ti stavo spiegando che non ce n’è motivo e che quindi puoi anche piantarla."

"E come la mettiamo con Kairi?"

"E’ davvero questa la tua preoccupazione al momento? Me e Kairi?"

Glielo aveva chiesto con tanta serietà, come se non stesse vedendo qualcosa di estremamente chiaro, che storse un po’ il naso e domandò "Quale altra dovrebbe essere?"

"Tu lo sai chi è Axel?"

"E’ uno dei Tredici."

"Tutto qui?"

Beh, non gli sembrava poco. Sora ci pensò su per un attimo, poi aggiunse: "Fuma."

"Fuma." ripeté Natsume, guardandolo come se fosse scemo. Sora si spazientì: "Beh, e allora?"

"Non hai mai sentito parlare di Xenmas?"

Sora scosse la testa quasi fieramente. Lo sguardo di Natsume si fece ancora più infastidito e fastidioso. "Ma tu frequenti questa scuola?"

"Certo che la frequento! Questo che cosa c’entra, che cosa cavolo stai cercando di dirmi?!"

"Xenmas è il capo dei Tredici."

Sora piegò la testa su un lato: "Hanno pure un capo?"

"Certo che hanno un capo. Cristo Santo Yamaguchi, sei in prima superiore, quindi correggimi se sbaglio sospettando che tu abbia almeno otto anni. Sono una banda, certo che hanno un capo!"

Sora si offese e si indispose ancora di più, stringendo i pugni lungo i fianchi: "E che ne so io?! Che se ne fanno di un capo, serve un capo per tingersi i capelli e riunirsi sotto un albero a fumare?!"

"Ma tu chi credi che siano i Tredici?"

"Sono come gli F4 di Hanayori Dango, solo più sgargianti!"

Lo aveva detto con una tale serietà che per un attimo sembrò essere la risposta giusta. Poi Natsume lo guardò come se la sua stupidità lo offendesse. Lui sbuffò: "Basta indovinelli, dovevi dirmi qualcosa su Axel o farmi un test di cultura generale?!"

"Quello credo che lo passeresti. Hanayori Dango. Non puoi leggere Naruto come tutti i maschi eterosessuali normali?"

Uffa, ma che avevano tutti contro i suoi fumetti?!

"Allora?!" domandò spazientito.

"Axel è il sicario di Xenmas."

Sora esitò sul significato di quella parola. Rimase in silenzio per un po’, poi domandò: "Il sicario?"

Natsume quasi sorrideva: "Hai capito bene."

"…no, non ho capito."

Natsume smise immediatamente di sorridere: "Poi ti chiedi come mai Kairi esce con me."

Lui gonfiò le guance all’affronto.

Un sicario? Inserì il termine nel suo motore di ricerca mentale.

Sniper Wolf di Metal Gear Solid era un sicario.

Che cosa faceva oltre a girare con la pancia di fuori in Siberia e ammaestrare lupi?

…ammazzava la gente.

Come se avesse colto la sua intuizione, Natsume tornò a sorridere.

"Preoccupati del tuo fratellino e lasciami in pace, che ne dici?"

Sora era ancora un po’ stordito e faticava a metabolizzare l’informazione. Cioè, andava a scuola con uno che ammazzava la gente per soldi? E-e-e…non lo sospendevano nemmeno!

"Ah, e per quel bacio…piantala. Era solo un bacio."

Lui sussultò. Tasto dolente, dolentissimo. Non sopportava che nessuno –nessuno- si fosse degnato di prenderlo sul serio -di prendere sul serio quanto si era sentito preso in giro, e umiliato, e…derubato. Come se i sentimenti di Sora, perché fuori moda, valessero meno come un vecchio maglione di un colore che non si usa più.

"Era importante, e tu te ne sei fregato. Non ti perdonerò mai per questo. Mai."

Non era nemmeno riuscito a dirlo in modo che sembrasse meno grave di quanto non sembrasse a lui. Gli dava così fastidio che non riusciva nemmeno a salvare la faccia. Cavolo. Si morse un labbro e cominciò a fissare il pavimento. Dopo essere rimasti in silenzio per un po’, Natsume domandò: "Era davvero così importante?"

Sembrava serio. Sora era imbarazzato, ma annuì.

"Perché era il primo." –non era una domanda, ma era come se non ne fosse stato del tutto sicuro. Beh, per essere un genio - perché ovvio, gli era giunta voce che Natsume fosse anche più intelligente di Sailor Mercury- era davvero poco sensibile. Sora cercò di capire se dicesse sul serio, poi ci rinunciò.

"Sì. Era il primo e non volevo darlo a te."

"Ok. Ho capito."

Un secondo dopo, Natsume aveva appiccicato le labbra alla sue. Di nuovo.

Sora mancò contemporaneamente un battito cardiaco e un respiro, quindi tecnicamente Natsume lo aveva ucciso per un secondo. Ripresosi dallo shock si staccò bruscamente da lui e strillò come la peggior donnetta dei film di King Kong: "Allora non hai capito niente!"

"E’ un problema perché era il primo, no? Perché era speciale." Un sogghigno. Quel bastardo si stava prendendo gioco di lui. La testa gli faceva improvvisamente malissimo. Stava per dire qualcosa, non sapeva che cosa, ma Natsume lo prese per un polso –terrorizzandolo e costringendolo ad arretrare ancora di più- e continuò a torturarlo: "Quanti ce ne vogliono perché tu capisca che un bacio non vale un cazzo? Dieci, trenta, duecento? Avanti, forza."

Lo tirò a se e lo baciò ancora. E ancora. E ancora.

Sora stava andando in iperventilazione e aveva gli occhi a girandola come nei cartoni animati. Andò a sbattere contro il letto. L’ultima cosa che voleva era finirci rovesciato sopra e dare così vita ad una scena di equivoci e rossori alla Love Hina, così in un modo di forza premette le mani sul petto di Natsume e lo spinse via, ma quel contatto brevissimo lo fece sentire ancora più male.

Oddio, gli girava la testa. Non vedeva niente. Oh mamma. Oh mamma.

Appena Natsume si mosse, Sora scattò come una molla e si nascose dietro la tendina, stringendola il più forte possibile come se fosse stata uno scudo.

"Piantala."

Aprì gli occhi, che aveva serrato sia per la paura sia perché il pavimento continuava ad alzarsi in volo contro la sua faccia. Natsume era serio. Sembrava che ce l’avesse con lui.

"Svegliati, Yamaguchi. Non ti rendi conto che queste cose sono cazzate? Il primo bacio, il secondo, il terzo, i baci in generale, quanti anni dhai? Cresci, sei irritante. Non ti sopporto. Mi fai venire voglia di torturarti."

Sora arrossì ben oltre qualsiasi tonalità di rosso avesse mai raggiunto prima. "Allora non baciarmi, se mi trovi irritante!"

"Ho detto che mi fai venire voglia di torturarti." –una specie di sorriso sadico. Sora cominciò a tremare e provò a scappare via, ma Natsume afferrò prima la tenda, poi lui, e gli diede un altro bacio. Sora cominciò a strillare e ad agitare disperatamente le braccia, ma non riusciva a muoversi –Natsume gli aveva afferrato la vita con un solo braccio ed era forte, maledizione se era forte. Gli occhi gli bruciavano. Le labbra gli bruciavano. Gli pulsavano, come se fossero state vive, come se si stessero ribellando a qualcosa. Gli girava la testa. Oddio, gli girava la testa. Con tutta la forza che aveva riuscì a mettere una mano tra le loro bocche e cominciò a gridare: "STUPRO! STUPRO!"

"Taci!" gli ordino Natsume, guardandosi attorno preoccupato.

"Non taccio se uno stupratore mi dice di tacere, STUPRO! STUPR--" Natsume gli tappò la bocca.

"Non montarti la testa, non ho la minima intenzione di stuprarti. Come ti viene in mente una cosa simile, tu sei malato!"

"MUMHPRHO!" si agitò contro la sua mano calda. Natsume lo lasciò andare.

"Credi che riuscirei a baciare un idiota insignificante come se, se avesse un significato?"

Sora si tappò da solo la bocca come per proteggersela. Aprì le dita per dire: "Però l’hai fatto!"

"Avrei potuto darti uno schiaffo e sarebbe stata la stessa cosa. Solo che non sarebbe stato così divertente vederti dare di matto. Senza contare che un mio schiaffo probabilmente ti ammazzerebbe."

"Ma pensa un po’!" bofonchiò, poi tolse la mano "Ti odio, non vedo l’ora che il diavolo venga a prendersi la tua anima e ti porti via da questa maledetta scuola!"

Natsume rise e si leccò le labbra. Sora arrossì e si allontanò di scatto. Lui rise ancora, della sua goffaggine e di chissà che cos’altro, poi si girò e andò verso la porta.

Sora era stordito come se fosse caduto dalle scale e il sangue gli turbinava impazzito nelle orecchie.

"Tieni la tua boccaccia lontana da Kairi, hai capito?!"

Natsume si limitò a dirgli che era insistente, e se ne andò.

Una volta chiusa la porta, Sora cominciò a barcollare e cadde seduto a terra.

Vedeva ogni cosa appannata e puntinata. Aveva caldo, un caldo insopportabile. Che cos’era quella, nausea? Sì, ma non stava per vomitare. Oh mamma. Chiuse gli occhi. Aveva la febbre? Si tappò di nuovo la bocca con la mano.

Oh, mamma.

  
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