Contatto, equilibrio infranto
“Perché parli al maschile?” domandò un giorno Dmitrij,
alzando gli occhi da una carta planetaria e puntandoli su Sofia.
Per un attimo Sofia ebbe un brivido lungo la schiena, un senso di
allarme la immobilizzò e lui le disse
di stare attenta, perché da questo momento in poi tutta la perfetta e fragile
facciata che si erano creati, insieme,
sarebbe andata in mille pezzi.
Eppure l’eccitazione per il pericolo la invitò a essere
imprudente, a tentare di camminare come una funambola sul filo spinato e
rischiare. Per un attimo fu tentata di ignorarlo, ma lui era insistente:
sembrava quasi preoccupato.
Per me? Per la mia incolumità?
“Per noi”
“Come, scusate?” domandò Sofia, aggrottando interdetta le
sopracciglia e cancellando quel brivido di eccitazione che prima l’aveva
scossa.
“Alcune volte, ho notato, parli di te al maschile. Perché?”
Sofia si alzò dalla sua poltrona e si diresse in punta di piedi –
una cosa che, aveva notato Dmitrij, faceva spesso
mentre pensava – verso la libreria, scorrendo assorta con il dito i vari
titoli.
“Ho fatto teatro per un paio di anni e molto spesso ero costretta
a interpretare ruoli maschili, dato che, alla fine, restavano solo quelli e io
mi sentivo più… A mio agio in quelle vesti. Shakespeare era il mio preferito”
“Ti trovavi a tuo agio a fingere di essere un uomo?” chiese
sorpreso Dmitrij.
“Sì. Credo sia un lato che tutte le donne possiedono, ma poche lo
lasciano trapelare: io sono una delle eccezioni e, come vedete, è una brutta
abitudine che persiste anche nella mia parlata” concluse, estraendo un volume
dalla libreria e sfogliandolo mentre si dirigeva alla sedia della scrivania.
La sedia, come spinta da mani invisibili, si mosse con uno scatto
nella sua direzione e la fece sedere, girando senza l’aiuto delle gambe di
Sofia e spostandosi a zig-zag per la stanza. Sofia, come se ciò fosse la cosa
più normale del mondo, sedeva a gambe incrociate, la fronte aggrottata e
concentrata.
Dmitrij sospirò, di nuovo con
rassegnazione, ormai abituato a quella scena che niente aveva di normale come
lei voleva far credere; aveva rinunciato a estrapolarle altre informazioni sui
suoi “trucchi”, come quello del piano che suonava da solo o degli oggetti che
talvolta vedeva levitare per aria, con la figura statica di Sofia al centro e
seduta beatamente sulla sua poltrona.
All’inizio aveva provato solo orrore, spavento per quei fatti
inspiegabili e alquanto “sinistri”, soprattutto per l’aspetto di colei che ne
era l’artefice: Sofia, in quei momenti, aveva gli occhi luminosi, di un verde
quasi inusuale, i capelli che sembravano dotati di vita propria, il volto
rilassato come poche volte l’aveva visto e uno strano sorriso, quasi
malinconico, che le compariva sulle labbra. In quei momenti non sembrava
neppure lei. Dmitrij aveva l’impressione di avere
davanti un’altra persona, ma non osava mai ammetterlo ad alta voce.
Poi ci aveva ormai fatto l’abitudine e gli pareva quasi uno
spettacolo abituale. Vederla levitare, suonare senza mani, trasformare l’acqua
che gli serviva nei bicchieri in ghiaccio divenne per lui parte della sua nuova
routine, e questo lo inquietò.
Gli sembrava di allontanarsi sempre più dalla sua realtà, dallo
spazio che si era edificato intorno con tanta pazienza, e ogni volta si
domandava se era un bene.
E, come ogni volta, non trovava mai una risposta.
Allo stesso modo non trovava risposta alle domande che poneva a
Sofia. Così aveva smesso di chiedere, sicuro che prima o poi lei si sarebbe
scoperta o che, semplicemente, l’avrebbe fatto tornare alla sua realtà, dimentico
di ciò che aveva visto. Come se tutto fosse stato un semplice sogno.
Eppure sapeva che non era così.
“Un altro libro sulla mitologia nordica? Lo sai, vero, che non
esiste solo quella?” la stuzzicò Dmitrij, ormai
completamente deconcentrato dal suo lavoro.
Sofia parve non averlo sentito, assorta com’era nella sua lettura.
La sedia continuava a trasportarla da un lato all’altro della stanza, fino a
fermarsi accanto a lui. A quel punto, la ragazza alzò gli occhi dalle pagine e
li fissò in quelli di Dmitrij.
Il Nulla sembrava esistere in quelle iridi.
“Lo so, ma io preferisco di gran lunga questa. La trovo più…
Interessante, e avvincente”
Scandiva ogni parola con lentezza, quasi a volerle imprimere nella
mente di Dmitrij.
Per la prima volta la sua voce, come poté notare solo più tardi Dmitrij, non era infastidita, ma sembrava più propensa a
parlare, a spiegare.
Come se avesse l’impellente bisogno di comunicare finalmente con
qualcuno, dopo tanto tempo.
“Avvincente? Hai mai letto l’Iliade?
Lì puoi trovare tutta l’azione che vuoi, volendo”
“Per essere precisi, ho letto tutti i generi epici, nessuno
escluso. Ma niente mi ha soddisfatto come le leggende nordiche”
“Perché?”
“Oggi fate un sacco di domande, batjuska”
“E oggi tu hai voglia di rispondere” ribatté Dmitrij,
sorridendo sornione.
Sofia ricambiò con soddisfazione. Chiuse il libro e se lo pose in
grembo, sempre mantenendo quel sorriso compiaciuto: ora era disposta a
rispondere.
“Perché le avventure degli eroi e degli déi
dei poemi nordici mi affascinano più dei poemi greci o assiri. Soprattutto gli déi. Sono delle creature così affascinanti e capricciose…
Per loro, i miseri mortali sono solo delle formiche da calpestare o graziare,
che lavorare incessantemente alla ricerca di qualcosa. Gli déi,
invece, non ne hanno bisogno, poiché possiedono tutto: immortalità, bellezza,
forza, intelligenza…”
“Li stai praticamente osannando” le fece notare con disappunto Dmitrij.
Sofia gli lanciò uno sguardo di ghiaccio e il sorriso svanì dietro
un’espressione seria, e alquanto adirata.
“Cosa c’è di sbagliato nel pensare questo? La mia è semplice
stima, niente di più”
“A me sembrava più amore fanatico…”
“Questo non è amore! Tu che l’hai conosciuto dovresti saperlo
molto meglio di me!” gridò Sofia, alzandosi di scatto in piedi e scrutandolo
con disprezzo dall’alto.
Dmitrij rimase al suo posto, pacato, con
una strana e fredda calma che gli permeava tutto il corpo. Restò in silenzio,
attendendo pazientemente che lei si calmasse, o almeno tornasse a sedere; ma
vedendo che non accadeva niente di tutto questo – la situazione invece stava
forse peggiorando –, si ritrovò a sorridere tristemente nel vedere un altro
spettacolo inusuale.
Negli occhi di Sofia, così accesi da forti sentimenti, vide la
familiare presenza dell’odio, e un’altra ombra, così profonda che nessuno
potesse scorgerla.
Dolore. E una profonda solitudine.
Lei è forse molto più sola di me…, pensò, senza smettere di
sorridere.
“Finalmente ci sei riuscita”
“A fare cosa?” domandò lei interdetta, stupita della domanda fuori
argomento.
Che sia impazzito?
“A darmi del tu”
La risposta spiazzò così tanto Sofia che Dmitrij
non riuscì a trattenere una risata. Si accorse che era da tempo che non rideva,
dato che sentiva i muscoli facciali gemere di dolore.
Rise perché aveva scoperto che c’era qualcuno più solo di lui.
Rise perché finalmente aveva trovato un punto di contatto con la
figura evanescente di Sofia.
Rise perché gli aveva dato del tu,
dopo le numerose discussioni su questo punto.
Sofia, invece, non trovò altrettanto divertente la faccenda e
continuò a fissarlo con freddezza, come si guarderebbe un bambino che non vuol
capire.
Alla fine si stufò di guardarlo e, stizzita, gli diede le spalle e
si diresse a rimettere a posto il libro.
Dmitrij ci mise qualche secondo a finire
di riprendersi e, vedendo che lei si era offesa, tentò di trovare una scusa per
il suo eccesso di ilarità. Notò con fastidio che era sempre lui a doversi
scusare per i suoi comportamenti “umani”; non l’aveva mai sentita ringraziare o
anche solo scusarsi per i suoi atteggiamenti bruschi e, talvolta, alquanto
altezzosi. Sembrava trattarlo come un essere inferiore.
Per questo si sorprese dopo aver sentito ciò che Sofia disse.
“Ti ringrazio”
Fu solamente un soffio, un sussurro leggero come la brezza di
maggio, niente di più. Ma Dmitrij lo sentì, e per lui
fece lo stesso effetto del calore che gli riscaldava le ossa e l’anima.
Sofia si voltò di nuovo. Un sorriso di sincera gratitudine era
riaffiorato dai meandri più profondi di quella maschera di ghiaccio, di
quell’impenetrabile gabbia dorata che si era costruita intorno alla sua
umanità.
Quello era il sorriso della ragazza che era.
“Mi hai aiutato molto, nonostante io ti abbia costretto. Sarai
ricompensato nel giusto modo” continuò, tornando seria e facendo sparire ogni
traccia di quella strana smorfia che tutti chiamano “sorriso”.
“In verità, ci sarebbe un modo per pagare adeguatamente i miei
servigi”
Sofia lo osservò incuriosita, e all’erta. L’uomo che le stava di
fronte la osservava con i suoi profondi occhi neri, come se cercasse quasi di
carpirle ogni segreto allo stesso modo in cui faceva lei. Per un attimo, si
sentì nuda, scoperta.
Si sentì in pericolo.
Una parola. Basta una parola e
tutto finirà.
“Una sola parola e non avrà
neppure il tempo per pentirsene: morirà”
La sentenza gli parve più dura di quanto si aspettasse. E ne provò
quasi dispiacere.
Attese in silenzio la mossa del suo avversario, tesa come la corda
di un violino, gli occhi ridotti a due fessure fissi su di lui.
“Potresti suonare il piano?”
Come un piccolo serpente, anche l’ansia scivolò via nella sua
tana, per lasciare il posto all’antica sicurezza e tranquillità.
“Tutto qui? Non vuoi del denaro?”
“Ne ho abbastanza di denaro. Voglio sentirti suonare. Con le tue mani, però” aggiunse Dmitrij.
Sofia sentì un brivido lungo la schiena e tutto, intorno a lei,
parve vorticare e sfocare lentamente, come se perdesse i sensi. La stanza, Dmitrij, tutto svanì in una fitta nebbia, e i ricordi – i
tristi fantasmi del passato – si ridestarono dal loro riposo, crudeli spietati.
Al centro del vortice di immagini, voci e suoni, nell’occhio del
ciclone della sua anima, c’era lui, l’incubo che per i dieci anni della sua
esistenza l’aveva tormentata: il pianoforte.
Poi il resto fu confuso.
Sentì una voce – una voce viva, familiare, presente – chiederle se
stava bene, poi un grido angosciato, uno strappo nei suoi ricordi, frasi
sconnesse, disperate, che le urlavano di svegliarsi, di andarsene, di
abbandonare quel luogo.
E infine la suoneria di un cellulare.
Tutto riprese colore e la stanza familiare ricomparve al suo
posto. Dmitrij le stava di fronte, una mano protesa
verso il suo volto, l’altra che cercava frenetica nella tasca dei pantaloni.
Gli occhi, fortunatamente, erano abbassati.
Sofia, sentendo il sudore imperlarle la fronte, si allontanò con
uno scatto, tentando di ristabilire il respiro. Perfino lui, da dentro, sembrava esausto.
Per cancellare ogni immagine riguardante la visione di prima, si
mise a osservare Dmitrij, che intanto aveva trovato
il cellulare e aveva iniziato a gesticolare, preoccupato.
“Signor Stark, buongiorno! Come…? Sì,
sto meglio, perché?”
“Perché sono due mesi e mezzo che
non ti fai più vedere”
Dmitrij quasi lasciò cadere il cellulare
dalla sorpresa. Due mesi e mezzo. Non se ne era reso conto: aveva perso ogni
cognizione del tempo a stare con Sofia.
“Mi perdoni, signor Stark…”
“Se avevi ripreso i tuoi studi,
potevi anche avvertirmi”
“Come lo sa?”
“Io so tutto di tutti, non c’è
nulla che mi sfugga, e tu, al momento, sei l’oggetto dei miei interessi.
Naturalmente dopo di me”
Che egocentrismo…
“Mi perdoni, ma all’inizio non lo pensavo nemmeno io di
ricominciare a lavorare al mio progetto, quindi mi sono dimenticato di
avvertire, e…”
“Non mi interessano i motivi per
cui hai ripreso i tuoi studi, ma dovresti tornare da me qualche volta, se tieni
al tuo lavoro. E alla tua salute. Come stanno le mie creature?”
Dmitrij sforzò impercettibilmente gli
arti di metallo, fino a sentirli gemere.
Avevano bisogno di essere revisionati.
“Forse necessitano di un controllo”
“Me lo immaginavo. Puoi passare
domani alla Stark Tower, o
i tuoi studi ti tengono troppo occupato?”
“Credo di poter fare una pausa…” disse a disagio Dmitrij, lanciando un’occhiata a Sofia, che era sempre lì a
fissarlo.
“Bene. Ti aspetto domani alle due”
Dall’altro lato sentì riattaccare. La conversazione era dunque
terminata.
Dmitrij sospirò, sentendo dentro di sé
il sollievo che gli rilassava le membra di carne. In quel delicato momento, in
cui nemmeno lui era certo della sua sanità fisica – e soprattutto mentale –,
non poteva fare a meno dell’aiuto, seppur riluttante, dell’aiuto di Tony Stark. Se fosse stato licenziato, e infine allontanato
dalla Stark Tower, non
avrebbe saputo cosa fare, né dove andare.
Potrei tornare all’università,
oppure…
Si volse verso Sofia. La ragazza lo osservava in silenzio, tesa:
una strana scintilla brillava impercettibile negli occhi impenetrabili, e di
nuovo lontani.
Il breve attimo in cui, forse, si erano avvicinati, toccati, sembrava scomparso, come se si
fosse trattato di una semplice illusione.
Ripensò a cosa avrebbe fatto nel peggiore dei casi, e l’immagine
di Sofia pareva la sua ancora di salvezza, un porto sicuro e accogliente,
seppur freddo e distante, dalla sua realtà caotica e ormai sconnessa.
Eppure, per quanto irraggiungibile, sapeva che prima o poi lo
avrebbe raggiunto di nuovo. Senza poi allontanarsene più.
Scostandosi da questi pensieri, ritenne opportuno dire qualcosa
per spezzare il pesante silenzio creatosi. Tossì, riordinando le parole che
aveva scelto.
“Come avrai immaginato, mi hanno scoperto…” rise con voce roca,
guardandola di sottecchi.
“Ho visto”
“Dunque domani devo ritornare da Stark
per dargli una ragionevole spiegazione, per revisionare i miei arti meccanici,
nella speranza che non mi licenzi”
Sofia non rispose, ancora tesa al suo posto. Dmitrij
si rese conto che in tutto quel tempo non aveva mai sbattuto le palpebre.
Forse capì ciò che la turbava, e tentò la sorte, come faceva ogni
volta che parlava con lei.
“Non temere, non farò il minimo accenno su di te e sulla tua
richiesta” promise, voltandosi e prendendo la direzione della porta.
Con la coda dell’occhio vide Sofia rilassare per poco i muscoli
tesi fino allo spasmo. Il suo volto fu più calmo e di quello strano attacco di
panico che l’aveva colpita poco fa non sembrava esserci più traccia.
Ma un’ombra le oscurò gli occhi, mentre un proposito già da tempo
meditato cominciò a farsi strada nella sua mente.
E di ciò, Dmitrij non se ne accorse.
“Lasci qui tutto?” domandò Sofia, indicando la mappa stellare e i
fogli sul tavolo.
Dmitrij scrollò le spalle indifferente e
aprì la porta.
“Sì, mi fido. Posso contare nel ritrovarli al loro posto domani?”
Nel suo tono trovò quasi un accento di ordine, cosa che la
infastidì un poco.
“Certo” fu la sua risposta secca.
Dmitrij la salutò con una mano e,
chiudendosi la porta alle spalle, sentì per la prima volta tutta la stanchezza
di quei pesi sulle spalle. Guardò fuori da una finestra del palazzo: era buio.
Con il segreto delle tenebre, zoppicò stancamente per le scale,
per poi uscire nel gelo e sparire nella notte di New York, ombra su ombra.
Sofia, invece, rimase al suo posto, gli occhi verdi ancora fissi
sulla porta da poco chiusa.
Un’agitazione che ben conosceva la faceva scuotere dai brividi di
eccitazione.
“Dunque è arrivato il momento…”
“Alla fine è stato un buon piano
aspettare: Stark non è un uomo così paziente e si irrita
quando non ha più notizie delle sue cose”
“Allora domani?”
“Sì. Domani forse tutto finirà…”
“E tu riavrai la tua vendetta”
“Non ancora, ma avrò il piacere
di veder strisciare Stark ai miei piedi. O meglio, ai
tuoi piedi. Ne sei ancora certa?”
“Non sono arrivata a questo punto per poi tirarmi indietro, Loki”
“Bene, sono fiero di te”
“Loki?”
“Cosa?”
“Dopo aver fatto ciò, non mi abbandonerai, vero?”
Il silenzio dall’altra parte la spaventò. Ma non appena sentì la
familiare presenza confermare le parole che da quattro anni le ripeteva, si
sentì di nuovo tornare indietro agli anni in cui era rimasta rinchiusa in
quella bianca prigione.
“Siamo destinati a restare
insieme, come vedi. Non posso abbandonarti, come tu non puoi fare altrettanto con
me. Il destino ci ha fatti incontrare e sempre esso ci terrà uniti, finché il
suo capriccio vorrà: quando tutto ciò sarà finito, tu verrai insieme a me ad Asgard”
“E quell’uomo?”
“Molto presto non ci sarà più
utile; semplicemente, ce ne sbarazzeremo, non sei d’accordo?”
Sofia sentì qualcosa di più vicino al dispiace che al sollievo. Loki parve accorgersene.
“È forse dispiacere quello che
sento riecheggiare?”
“Affatto, solo pietà. Ha sofferto molto”
“Tutti si soffre. Tu più di
tutti”
Sofia finalmente si mosse e si diresse verso la porta della sua
stanca: si sentiva stanca.
Aveva bisogno di recuperare forze per domani.
Domani.
“Domani tutto finirà”
“Finalmente”
SPAZIO DELL’AUTRICE:
sono in mega-ritardo, lo so. L’inizio della scuola, i compiti
(tanti!), la danza… E l’indecisione per questo capitolo. Sì, perché all’inizio
doveva racchiudere due eventi importanti, ma mi sono accorta della lunghezza
eccesiva e ho avuto pietà di chi doveva leggerlo XP… Così l’ho diviso.
La seconda parte verrà pubblicata a breve, non appena avrò tempo
(spero presto!).
Ringrazio per la recensione: Shi_Tsu_Geass, SenzaNome.
See you again!