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Autore: BrokenAngel    27/09/2012    1 recensioni
Allison e Daniel si incontrano per la prima volta in collegio, quando lei ha 12 anni e lui 15. Si confidano fra loro, e diventano molto amici. Si capiscono, e si aiutano a superare le loro paure.
Lei si sentiva molto sola senza di lui, dato che è stata abbandonata dai suoi genitori e non ha amici. Lui è l'unico su cui adesso può contare.
Dopo due settimane di amicizia sono costretti a separarsi perché Allison viene adottata.
Si rincontreranno 8 anni dopo, quando entrambi saranno ormai molto grandi. Capiranno che molte cose nelle loro vite sono cambiate, ma che si sono sempre voluti bene e che anche dopo 8 anni, nonostante tutto ciò che succederà se ne vorranno sempre. E chissà magari potranno anche sperare in qualcosa di più.. Seguite i capitoli e lo saprete!
Spero vi piaccia.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Once again
-Please, stay with me, and don't let me fall-







 

 
Se quando ero piccola, qualcuno fosse venuto da me e mi avesse detto che un giorno sarei tornata qui, gli avrei sicuramente riso in faccia, e gli avrei dato dello stupido. Magari, avrei detto qualcosa del tipo ‘con questa frase ti sei guadagnato il premio per la battuta più cretina dell’anno’. O magari, lo avrei guardato male e me ne sarei andata senza rispondere, perché hai miei occhi sembrava una cosa impossibile.
Non avrei mai pensato di poter trovare la forza e il coraggio per farlo. Non avrei mai pensato di essere abbastanza pronta e abbastanza sicura per tornare. Oppure semplicemente, avrei pensato di non poterlo fare per orgoglio. Dopo tutto quello che mi ero promessa, non potevo farlo. Non dovevo.
Perciò, adesso, mentre sto percorrendo questo corridoio, mi chiedo, cos’è cambiato? Perché sono qui? È davvero solo perché voglio scoprire cose in più su mia madre? No, non è così, ed è estremamente difficile da ammettere.
Non è così, perché io avevo rinchiuso tutto ciò che mi legava a lei in un cassetto, chiudendolo e buttando la chiave. O almeno credevo di averlo fatto. Credevo di poter parlare di lei come se nulla fosse, e che se mio figlio un giorno di avrebbe chiesto ‘dov’è la tua mamma?’ io avrei potuto rispondere ‘non c’è. Non c’è mai stata’. Ma non è così, non posso parlarne così liberamente perché mi fa ancora male, anche a distanza di 18 anni.
Perciò si, forse non ho ancora buttato quella chiave ma oggi posso farlo.
Sento gli occhi puntati su di me di alcuni studenti, che in questo momento hanno la ricreazione e si possono godere un attimo di pausa. Mi ricordo quando io ero al posto, scrutavo chiunque passasse per scoprire chi fosse e cercare di capire perché fosse venuto qui. E speravo, ovviamente, che fosse qualcuno venuto per me. Ma non è mai successo.
Quindi, adesso vedo questi bambini guardarmi tutti con gli stessi occhi tristi, e io provo pena per loro, sapendo, allo stesso tempo quanto possa essere fastidioso vedermi così. Cerco di scusarmi con ognuno di loro con gli occhi.
Li guardo uno per uno mentre cammino a passo spedito, fino ad incontrare degli occhi familiari, e la vedo, che mi guarda ad occhi sgranati e a bocca aperta.
Mi blocco, e la guardo dal basso all’alto scoprendo quanto è cresciuta e si è fatta una bellissima ragazza.
Rimane per qualche secondo sorpresa e poi vedo i suoi occhi cambiare e una scintilla di felicità brillare dentro di essi. Le sue labbra si aprono in un sorriso enorme, mentre mi viene incontro per abbracciarmi.
“Allison.” Quasi strilla al mio orecchio ed io la stringo dal basso, visto quanto è cresciuta, e sorrido mentre mi rendo conto di quanto mi sia mancata questa ragazza con cui, nonostante tutto, o parlato veramente poco.
“Hope..” la piccola Hope. “Che bello rivederti. Sei ancora qui?” le dico triste mentre lei si stacca da me e annuisce scrollando le spalle.
“Già. Ma tra 4 mesi me ne vado, visto che compio 18 anni e grazie alla mia bellissima media scolastica mi sono guadagnata una borsa di studio a Yale.” Dice eccitata ed estremamente felice di se stessa.
Le sorrido fiera.
“Oddio, ma è bellissimo.” Dico ricordandomi, che alla fin fine aveva solo 1 anno in meno di me. “Sono veramente felicissima per te.”
“E tu? La nuova famiglia? Dio.. sono passati 6 anni. Ma soprattutto.. cosa ci fai qui?” sorrido nervosa.
“Beh, me la sono cavata. Tutto è meglio che stare qui, puoi immaginarti, ma.. beh, sono qui per vedere Jane. Mi deve parlare di mia madre..” sospiro.
“Tua.. tua madre?” annuisco “Non è come dire.. tardi?”
“Dice che non poteva farlo prima.. non ci ho capito un bel niente, nemmeno io, ma sono qui per questo. Mi sono fatta ore di treno per essere qui e beh, non so praticamente niente.”
“L’avrei fatto anche io. Perciò.. mi fa davvero molto piacere rivederti.”
“Anche a me. Anche se avrei preferito incontrarti altrove, anche a me.” Le sorrido dolce.
“Lo so. Beh, ma adesso potresti lasciarmi il tuo numero di telefono, e quando sarò finalmente libera potremmo incontrarci.” Le sorrido eccitata alla sua proposta.
“Mi sembra perfetto. Bellissima idea, Hope.” Annuisce, come fiera di se stessa.
“Hai un bel po’ di cose da raccontarmi.”
“Già..” chissà se rimarrà sorpresa quando le parlerò di Daniel. Chissà cosa dirà.
“A cosa pensi?” scuoto la testa e aggrotto la fronte, come per dirle che non ho capito “ho detto. A cosa pensi?”
“No, niente. hai ragione, ho un po’ di cose da raccontarti e questo non credo sia il momento adatto, no?” annuisce.
“Lo so. Non lo è.. non vedo l’ora di andarmene.”
“Immagino.” Sospiriamo insieme fino a che il custode non attira la mia attenzione chiedendomi cosa ci facessi ancora lì. Mi ero completamente dimenticata della sua presenza.
E questo pensiero mi ricorda Jane, e l’argomento che dovrò affrontare con lei.
“Beh, devo andare. Io.. ti saluto e buona fortuna, come sempre. Tu sei diventata davvero una grande donna e continua così. La libertà è veramente vicina. Ci vediamo fra quattro mesi?” annuisce.
“E’ una promessa.” Le sorrido felice. “Ecco questo è il mio numero.” Le scrivo il numero di telefono su un foglietto di carta e le lo mette in tasca.
“Benissimo. Allora, a presto.” La stringo ancora in un abbraccio e m’incammino ancora una volta con il custode, mentre la sento sussurrare ‘a presto’ con la voce carica di emozione e felicità.
Sorrido ancora ripensando a Hope e a ciò che è riuscita ad ottenere pur avendo vissuto gran parte della sua vita qui. Una volta, mi raccontò la sua storia e io ne rimasi profondamente colpita. Sua madre, era poverissima perché perse tutto nelle scommesse e nel gioco d’azzardo e andò a lavorare in un night club. Non veniva pagata affatto bene, ma con quei pochi soldi che riusciva a guadagnare riuscì ad andare avanti.
Un giorno però le chiesero di più e per non perdere il lavoro, fu costretta ad andare a letto con degli uomini. Mi disse di non sapere bene come fosse successo e perché non avessero usato le precauzioni necessarie.
Perse il lavoro quando si inizio a notare la pancia dato che lei l’aveva nascosto a tutti. Fu suo padre che l’aiutò a tirare avanti, essendo un uomo molto ricco. Specificò però di non voler tenere la bambina con se, e così, quando sua madre partorì, la mise in collegio. Mi disse che ogni tanto tornava a trovarla, e che ogni volta che lo faceva, le portava un regalo, per farsi perdonare di tutto ciò con cui l’aveva costretta a vivere. Era qualcosa di poco costoso, ma che comunque, contava così tanto, per lei.
“Signorina, siamo arrivati.” Il custode mi riscuote dai pensieri e mi rendo conto di essermi fermata e di trovarmi davanti ad una porta bianca.
Me la ricordo molto bene questa porta, nonostante ci sia stata poche volte.
“Si ehm.. grazie.” Annuisce e se ne va, lasciandomi lì da sola.
Prendo un respiro profondo, pensando come scappare.
Scuoto la testa, rendendomi conto di quanto sia stupido ciò che ho pensato. Devo entrare, devo farlo.
La mia mano si muove prima che la mia mente le dia il comando, e bussa.
Deglutisco e sento una voce di una donna dire ‘avanti’.
Spingo la maniglia e la porta si apre davanti a me. La stanza è esattamente come la ricordavo. I muri sono sporchi, la scrivania è sempre la stessa, solo che adesso sopra ad essa c’è un computer portatile di ultima generazione.
Ci sono persino le stesse piante finte vicino e la stessa sedia su cui alcune volte mi sono seduta.
Qualcuno si schiarisce la voce e vedo Jane sbucare da dietro il computer guardandomi per poi sorridere. Rimango sorpresa da quanto sia cambiata.
È sempre molto bassa, adesso i suoi capelli sono biondi, invece che castano scuro, e porta degli occhiali da vista. Sul suo viso posso notare qualche ruga appena accennata.
Si alza in piedi e viene verso di me.
Noto che i suoi gusti nel vestire non sono per niente cambiati. Le sono sempre piaciuti i vestiti estremamente colorati e floreali. A volte anche troppo.
“Oh mio dio, come sei cresciuta” ha un sorriso smagliante stampato in faccia mentre getta le braccia intorno a me, per stritolarmi in un abbraccio che ricambio poco convinta.
Una cosa che non è cambiata, è sicuramente la sua voce, fin troppo alta di tono.
Mi ha quasi rotto un timpano, non ci sono più abituata.
“Jane.” Cerco di sembrare il più contenta possibile, di vederla. Stampo un sorriso falso sulla mia faccia, che spero resti lì per tutto il resto del tempo che rimarrò qui dentro.
“Ti trovo benissimo, tesoro. Sei cambiata tantissimo, sei diventata davvero una bellissima donna.” Si stacca da me e torna a sedersi sulla sua sedia, abbassando lo schermo del portatile per riuscire a vedermi meglio.
Unisce le mani sulla scrivania, così come faceva una volta. Deglutisco, per la  sensazione di daja-vu che ho.
“Allora, cara. Vedo che sei ansiosa di sapere cos’ho da dirti” annuisco veloce. Deglutisce anche lei, questa volta, come se questo argomento le pesasse tantissimo. “Non è facile per me parlarti di certe cose, perciò prima di parlare di tua madre vorrei scusarmi con te.” Aggrotto la fronte “Io e te non abbiamo mai avuto un bel rapporto, ma.. io ero più giovane e non ti capivo. Non riuscivo a capire te, e tua madre, non ci riuscivo.”
Si blocca un attimo scuotendo la testa e chiudendo gli occhi.
“Ero molto giovane quando ho iniziato a lavorare qui. Avevo solo 21 anni. Inizialmente era solo per volontariato, ma poi.. poi, mi sono affezionata ai ragazzi, a questo lavoro. Volevo fare in qualche modo da mamma a coloro che non ne avevano una o non la consideravano tale. Volevo essere un punto di riferimento per questi ragazzi. E con alcuni è stato così.. con molti a dire il vero.”
“Ma non con me..” dico di getto, sovrappensiero e estremamente confusa dal suo discorso.
Annuisce.
“Già, non con te. Tu eri diversa. Tu eri Allison Price, una volta, sai? Io conoscevo molto bene tua madre. Era, come dire.. la mia migliore amica. O io la definivo tale. Ma in realtà, non era così. Io non ero.. degna, di essere sua amica, e non ero degna di avere il suo affetto. Lei era una persona buonissima, era gentile, volenterosa, bella.. molto bella. Noi ci conoscevamo grazie alle nostre famiglie. Mia madre e la sua erano molto amiche e quando mia madre rimase incinta anche la sua voleva una figlia, ma riuscì ad averla solo 4 anni dopo.
Siamo state amiche, come sorelle, per circa 17 anni. Fino a quando tua madre, rimase incinta di te, con il ragazzo più bello della scuola.”
Si blocca ancora e guarda fuori dalla finestra, forse per pensare bene a cosa poter dire.
“M-mia madre mi ha partorito a 17 anni?” annuisce.
“A 18 a dire il vero, ma questo non cambia le cose. Lei era davvero giovane, per avere una figlia e..”
“Mia ha abbandonata per questo?” scuote la testa.
“Allison.. hai mai visto il film ‘La musica nel cuore?” annuisco.
“Si, ovvio. Ce lo facevate vedere ogni mese, qua dentro.”
“Già, la nostra videoteca era un po’ scarsa. Ad ogni modo, sai perché ti facevo vedere sempre quel film? Perché tu te lo ricordassi.. perché sapevo che un giorno sarebbe arrivato questo momento.” Non riesco a capire.
“Non capisco. Io dovrei ritrovare mia madre seguendo la musica?” scuote la testa e sorridere, nonostante la situazione non sia per niente leggera.
“No.. no. Tua madre e tuo padre non ti hanno abbandonato, loro non sapevano che tu esistessi.. io lo sapevo, tuo nonno lo sapeva, mio padre, mia madre, tua nonna. Loro lo sapevano. Ma tua madre e tuo padre no.. loro erano in qualche modo felici. Loro non ti avrebbero mai abbandonato, non ti avrebbero mai lasciato qua dentro.”
“Gli avete mentito?” spalanco gli occhi e sento il magone crescere dentro di me, mentre cerco di realizzare questa cosa. “Mi avete mentito..”
“Non..”
“No. Aspetta un attimo. Loro, non l’hanno mai scoperto?”
“Si, l’hanno fatto. Ma.. era troppo tardi. Io mi sentivo così in colpa che le ho detto tutto, ma lei non poteva più venirti a cercare, non ne aveva il diritto. Tuo nonno ha falsificato la sua firma e tuo padre.. George, non ha voluto concederle di vederti e di spiegarti tutto.” Rimango ancora più sorpresa ma lei continua. “Mi dispiace..” scuoto la testa, allibita.
“Ti.. ti dispiace? Oh mio dio no.. io, non posso crederci.” Scuoto la testa. “Tu non puoi dirmi adesso queste cose, ok? Io me ne ero fatta una ragione. Ero.. ero venuta qui per dire BASTA. E tu mi vieni a dire che lei non ha colpe e che.. che mi voleva bene?”
“Io.. non so come.. non so cosa dire..”
“Non devi dire niente.” mi alzo di scatto e mi avvio verso la porta per fermarmi un secondo prima di aprirla “Anzi, dimmi un’ultima cosa. Quali delle cose che mi hai detto in passato e al telefono sono vere?”
“Lei ti ha lasciato davvero una scatola.. lei.. lei è..” chiude gli occhi e quando li riapre sono pieni di lacrime, che non mi fanno nessuna pena. “lei è morta davvero. Aveva.. aveva un tumore.”
E ancora una volta, le mie speranze di ritrovarla di vederla anche solo una volta, da lontano. La mia speranza di scoprire che persona fosse, se io le assomigliassi, svanisce nel nulla. Si spezza e cade a terra, calpestata dalla donna che ho qui davanti. Una donna che una volta giudicavo antipatica, cattiva, tutte cose futili e non molto importanti. Ma che adesso giudico senza cuore, e non degna dell’amore di nessuno. È la prima volta che provo una sensazione così. È la prima volta che vorrei urlarle in faccia quanto mi fa male, stare in questo posto, vedermela davanti. Ma non riesco a trovare una motivazione valida per sentirmi diversamente.
Cerco di tenere le lacrime dentro e deglutisco, annuendo solamente.
“Voglio solo.. prendi la scatola, ti prego. Fa almeno questo, fallo per lei, fallo per tuo padre. Fallo per loro. Se lo meritano davvero, ti meritavano davvero.” Eppure eccomi qui..
Sorrido ironica, piena di ribrezzo e risentimento. Il mio è un sorriso visibilmente falso, che non cerco di cambiare, ne di reprimere.
Prende una scatola non molto grande dal basso. È blu.
“Blu..” sorrido ancora ironica, cercare di non piangere.
Il mio colore preferito è il blu.
“Era.. il suo colore preferito e le ho detto che.. era anche il tuo. Così, aveva questa scatola..”
“Non voglio sapere i dettagli.” Annuisce cercando di non guardarmi negli occhi, sapendo che non potrebbe mai reggere il mio sguardo.
Mi porge la scatola blu e io non so se prenderla o no. E alla fine lo faccio. Sono venuta fin qui per questo no?
La prendo e mi volto ancora per uscire.
Sono quasi fuori quando la sua voce mi blocca.
“Un’ultima cosa. Se puoi, ma soprattutto se vuoi, ti consiglio di andare alla mensa. Le sei mancata un po’” mi dice e annuisco.
“Lo farò. Addio Jane. Buona fortuna con la tua vita.” le sorrido ironica, ancora e me ne vado. Me ne vado, lasciandola lì, con la testa fra le mani, in lacrime, piena di sensi di colpa che non si cancelleranno mai col tempo.
La lascio lì, senza voltarmi ancora in dietro, senza cercare di capirla, perché una cosa che ho imparato nella mia vita è che ‘un bambino ha bisogno di una madre più di ogni altra cosa al mondo’. E lei mi ha privato del mio mondo.
Ci sono cose che posso capire, alcune si possono dimenticare, e altre addirittura dimenticare. Ma ci sono quelle cose che non possono essere nemmeno accettate. Ci sono cose che più ci pensi, più ti sembrano impossibili.
Questa è una di queste cose.
Inconcepibile, apparentemente improbabile e impossibile. Ma reale.
La verità è che io ancora non ho realizzato la cosa. Non riesco a pensare lucidamente, non riesco a razionale.
L’unica cosa che riesco a fare, è piangere fino alla fine delle mie lacrime.
Sono questi i momenti i cui avrei bisogno di un suo abbraccio, come quelli che mi dava quando eravamo qui. Quelli che quando ti stacchi ne hai abbastanza per sempre.
In questo momento vorrei solo tornare a casa. Ma qual è la mia casa?
Esco fuori dall’edificio e mi siedo sulla panchina nella piazza. Lascio che tutte le lacrime scendano e poso la scatola a terra.
Stringo le gambe al petto e cerco di abbracciarmi da sola.
Dove sei, quando ho bisogno di te?
Qualcuno si siede vicino a me, e mi fa sobbalzare. Alzo il capo e vedo Anne davanti a me, che mi guarda con occhi lucidi come se anche lei sentisse anche solo una piccola parte di quello che sento io adesso.
“Allison.. vieni qua, non piangere.” Mi stringe tra le sue braccia cercando di darmi conforto. “Lo so che fa male. Dai, si sistemerà tutto. Non piangere, bimba..”
Dopo circa 10 minuti di pianto ininterrotto riesco ad asciugarmi le lacrime e a soffiarmi il naso, per riuscire a riparlare in modo decente.
“Tu..tu sapevi tutto?” scuote la testa mi accarezza piano la testa.
“No.. me l’ha detto qualche mese fa. Venne da me chiedendomi se io ti conoscessi bene, e io le risposi di si. Così mi raccontò tutta la storia, chiedendomi se tu saresti venuta. Io non le potevo rispondere, non lo potevo sapere e lei ha fatto di testa sua. Mi dispiace così tanto.. non me lo sarei mai immaginato.”
“Non dirlo a me..” sospiro e guardo il cielo nuvoloso. Penso che si metterà a piovere. “Tra poco devo andare. Devo controllare gli orari dei treni per tornare all’università. Non voglio arrivare molto tardi.”
“Vuoi qualcosa da mangiare?” scuoto la testa.
“No, grazie. Non ho fame, ho lo stomaco chiuso. Penso che magari comprerò qualcosa se mi verrà fame.
Senti.. mi ha fatto davvero piacere rivederti. Tu sei.. una delle pochissime persone che era davvero importante per me qui. E ti voglio bene, veramente.” Mi sorride, emozionata.
“Anche io te ne voglio, bimba.” Mi alzo in piedi e mi passo una mano tra i capelli spettinati.
“Allora, io vado.”
“Mi prometti che ci rivedremo un giorno?” annuisco sicura.
“Te lo prometto.”
“Sai dove trovarmi.” Mi lascia un bacio sulla guancia e mi lascia andare.
Mi chiedo perché Jenny o Daniel non abbiano ancora chiamato, così, prendo il telefono per controllare, accorgendomi che è ancora spento da stanotte.
Lo accendo e vedo che ho 2 chiamate perse da Jenny, 5 da Daniel e 1 da George.
Decido chi è meglio chiamare prima e decido di optare per Jenny, lasciandomi Daniel per ultimo. Non richiamerò George, non sono dell’umore per sopportarlo. Lascerò che sia lui a farlo, se ne avrà voglia.
Chiamo un  taxi e poi Jenny.
“Allison. Che fine avevi fatto?”
“Scusami per non averti risposto avevo il telefono spento.”
“Si, lo so. Me ne sono accorta. Ma dov’eri finita?”
“Ero..”
“Oh, no. Me lo racconterai. C’è una questione molto più seria da affrontare. Daniel. Mi ha chiesto dov’eri e io gli ho detto a Chicago come avevi detto, poi ha detto qualcosa a proposito del collegio e del messaggio. E che doveva venire da te.”
“Che cosa? Lui.. lui sta venendo qui?”
“Già. È tipo impazzito. Ha iniziato a correre e a dire ‘dovrei essere con lei, cosa sarà successo. Perché è andata al collegio.’ Adesso Allison, dimmi, di cosa sta parlando?” sospiro mentre salgo sul taxi che è appena arrivato.
“Io.. è una storia così lunga. Ti prometto che quando torno ti dico tutto, dall’inizio alla fine e.. te lo prometto.”
“Va bene.”
“Quando è partito? Stamattina presto, penso arriverà fra un ‘ora o forse meno.” Annuisco, nonostante lei non mi possa vedere.
“Non ci posso credere.. sta venendo qui, per niente, praticamente. Ormai..”
“Cosa vuol dire ‘ormai’? Alli, cos’è successo?” fisso la scatola nel sedile vicino al mio.
“Fa tutto parte delle cose che devo raccontarti quando torno, va bene? Pazienza, Jen, ti prego. Non sono cose che ti posso dire per telefono.”
“Va bene. Ci vediamo dopo?”
“Si, a dopo. Ordina cinese, ok? Ne ho bisogno.”
“Va bene. Le birre tanto ci sono.”
“Ormai mi conosci così bene.” Cerco di ridere, come meglio posso.
“Già. Allora, a dopo.”
“A dopo.” Chiudo la telefonata, quando arriviamo davanti alla stazione.
Ringrazio, pago il taxista e scendo dall’auto. Quando ho controllato l’orario del mio treno, chiamo Daniel, per sapere dove sia, ma lui non risponde. Provo a richiamarlo più volte, ma tutto ciò che sento è il suono della segreteria.
“Rispondi!” impreco mentre qualche passante mi guarda storto, per averci sbattuto involontariamente. “Mi scusi”
Mentre provo più volte, compro i biglietti del ritorno e mi siedo su una panchina, davanti al binario del mio treno.
Poso la scatola blu vicino a me e sono tentata di aprirla, ma poi decido che non è il caso, visto le tante persone intorno a me.
Il mio telefono squilla e io rispondo immediatamente senza controllare lo schermo.
“Daniel.”
“Daniel? Chi è Daniel? No, sono George.” Alzo gli occhi al cielo e mi alzo in piedi.
“Oh, sei tu.”
“SI, sono io. Sei.. delusa?”
“Senti. È un momento un po’ difficile, per me. Sto aspettando una chiamata, quindi dovrei riattaccare.” Una voce femminile avvisa l’arrivo di un treno e George lo sente.
“Scusa, ma dove sei?” deglutisco.
“Sono alla stazione.”
“Per quale motivo?”
“Sono a Chicago.. per mia madre. Adesso, scusami ma come t’immaginerai non ho nessuna voglia di parlare con te, perciò attacco.”
“Tua..oh..”
“Già.. oh.”
“Non è come sembra, io ho le mie motivazioni..”
“Che io in questo momento non ho voglia di ascoltare. Perciò dato che sicuramente le mie motivazioni sono più giuste delle tue, ci sentiamo, attacco. Buona giornata” dico fredda buttando giù il telefono e bloccando le lacrime prima che inizino a scorrere.
Sento la stessa voce di prima dire che è appena arrivato il treno che devo prendere io. Così afferro la scatola e mi alzo in piedi, sbattendo contro qualcuno che passava facendo cadere la scatola a terra insieme alle cose all’interno.
“Mi scusi” sussurro mentre cerco di raccogliere le cose cadute dalla scatola quando è caduta. C’è un quaderno, degli album fotografici, degli oggetti e una scatola piccola che sono tentata di aprire.
“Tutto bene?” dice il signore che mi guarda dall’alto. Dev’essere stata la persona contro cui ho sbattuto poco prima.
“Ehm.. si si. Io, mi scusi ancora.” Scuote la testa e riparte a passo spedito.
Io rimango ancora qualche secondo o minuto a fissare il fondo della scatola, dove sono sparse varie foto e ne noto una in particolare. C’è una ragazza molto giovane, della mia età, mia madre. Si notano bene i capelli biondi, ricci, come i miei che le cadono sulle spalle. Ha gli occhi azzurri, come i miei, e delle lentiggini sul viso. Sembra una ragazza semplice, con un grande sorriso sulle labbra. Vicino a lei c’è un  ragazzo che le bacia la guancia. I suoi capelli sono castani molto chiari, le sta baciando la guancia e l’abbraccia teneramente da dietro. Le sue mani sono posate sulla pancia di lei, leggermente più gonfia del normale. Era incinta, di me.
Sembravano davvero felici, di essere lì insieme. Sembravano felici di essere con me e che io fossi lì, con loro.
“Ehi, signorina. Cosa fa lì per terra? Deve salire?” qualcuno mi scuote una spalla e io metto tutto dentro annuendo e ringraziando.
Mi tocco le guance scoprendo di non aver ancora pianto, ma sapendo che fra poco lo farò.
Sto per salire le scale quando sento qualcuno chiamarmi da lontano. Mi volto ma non vedo nessuno venire verso di me, allora penso di essermelo solo immaginato.
Un sorriso amaro spunta sulle mie labbra.
Sto diventando anche pazza adesso.
Vado a sedermi nel primo posto libero che trovo e infilo le cuffiette negli orecchi collegando le cuffie al telefono, dato che l’ipod si è scaricato. Capito sulla canzone We are broken, dei Paramore.
Fisso la foto che mi è rimasta in mano e sento un senso di vuoto dentro di me.
Il treno parte e io distolgo lo sguardo dalla foto per fissare il paesaggio che scorre veloce accanto a me.
Dopo 5 minuti di viaggio sento qualcuno sedersi vicino a me e toccarmi la spalla. Io mi spavento e mi volto togliendomi le cuffie.
Daniel è davanti a me che guarda fisso nei miei occhi, e io non riesco a trattenere la lacrime. Mi sporgo verso di lui e lo abbraccio così forte, da sentirsi male, mentre sono scossa dai singhiozzi.
Lui mi stringe forte mentre i Paramore suonano l’ultimo ritornello.
“..Cause we are broken 
What must we do to restore 
Our innocence 
And oh, the promise we adored 
Give us life again cause we just wanna be whole”












*************************

Saalve!! Avete visto come sono brava? Ho postato in meno di una settimana. Devo dire che avevo molta volìglia di scrivere in questi giorni e beh, eccomi qua.
Non ho molto da dire, ma voi se avete domande chiedete pure. 
Ringrazio TUTTI i nuovi lettori, coloro che recensiscono e ovviamente quelli che leggono. State aumentando, e non può farmi che piacere. Continuate così.
Beh, sono un po' raffreddata e ho da studiare quindi vado. 
Il prossimo capitolo non so quando arriverà dato che con la scuola son sempre più impegnata ma per la prossima settimana ci provo.
Naturalmente spero il capitolo vi sia piaciuto,  scusate per gli eventuali errori e ... beh, fatemi sapere.
Un bacio. Ciao.
Vì.

   
 
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