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Autore: Kristye Weasley    27/09/2012    0 recensioni
Cosa succederebbe se, dopo tutto il tempo "sprecato" dietro a Joker, Harley decidesse di farla finita? Come reagirebbe il criminale più subdolo di tutta Gotham? Questa storia, di mia invenzione, parla di questa situazione ipotetica, e vedrà coinvolti Joker e Harley Quinn, Poison Ivy e, ovviamente, Il Cavaliere Oscuro. Hope you like it!
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si svegliò, nel cuore della notte, in un bagno di sudore, con il battito accellerato e completamente circondata da una serie di medici e guardie dell'Asylum. Non riusciva a capire perchè fossero lì, riusciva solo a pensare a quanto odiasse la sua testa e la sua mente malata. Tra tutte le cose che poteva sognare, perchè doveva rivedere tutta la sua storia con lui? Si lasciò cadere nuovamente sul cuscino, mentre i medici le dicevano cose che non aveva nemmeno intenzione di ascoltare, cercando di riprendere sonno. La Dottoressa Leland prese il controllo della situazione, allontanando il resto dello staff medico, lasciando in pace Harleen, rendendosi conto che tutto il lavoro svolto in quel momento sarebbe stato inutile. Conosceva Harley da quando aveva messo piede ad Arkham, e per quanto poco professionale, si era affezionata a quella ragazza, tanto fragile quanto difficile da domare. Finalmente sola, la bionda cercò di riprendere sonno, ma la lotta con Morfeo durò particolarmente a lungo, e non fu lei a vincere. La mattina dopo, con estrema calma, si diresse verso l'ala pasti dell'Asylum, andando ad occupare l'unica sedia libera davanti a Pam, che la osservò attentamente mentre prendeva posto.
 
< Non hai dormito? > chiese la rossa con il classico tono pungente, mentre appoggiava le posate utilizzate per la colazione accanto al suo piatto
 
< Cosa te lo fa credere? > chiese Harley con un tono che voleva essere ironico, ma che per la stanchezza e la pochissima voglia di scherzare, perse la sua effervescenza in un lampo.
 
< Hai una faccia... >. La risposta non stupì particolarmente Harl che, una volta servitasi della sua porzione di pancake fumanti, iniziò a mangiare, senza soffermarsi troppo sulla discussione. Soltando dopo aver tagliato le frittelle e averne assaggiato un po' si rese conto di quanto fosse affamata: se pensava all'ultima volta in cui aveva mangiato qualcosa di reale, non riusciva a ricordarselo. Un po' del suo classico buonumore torno sul suo viso, insieme al colorito rossastro delle sue gance, da troppo tempo incavate e pallide. Ivy la stava guardando, con espressione truce e incredulo, che non riusciva a capire.
 
< Che cosa stai facendo? > le chiese l'amica con tono asciutto, prima ancora che fosse lei stessa a chiedere cosa c'era che non andava. Harley si guardò intorno, come se pensasse di scovare qualcuno alle sue spalle a cui era stata posta questa strana domanda, ma si rese conto di essere sola.
 
< Colazione? > chiese con tono innocente, senza capire a cosa l'amica si stesse riferendo. Red alzò un indice, puntandolo sopra le sue frittelle
 
< E questo cos'è? >
< Sciroppo d'ac... > rispose istintivamente la bionda, rendendosi conto solo dopo di quanto stava accadendo. La sua risata cristallina, e per molti, decisamente inquietante, si propagò all'interno della sala, tanto simile a quella dei tempi migliori. Poison Ivy non poté che sorridere di fronte a quello sfogo, nonostante “l’affronto” appena subito. La loro tranquillità, però, venne subito interrotta, proprio nel momento in cui sembrava essere tornata: la dottoressa Leland si avvicinò al loro tavolo con passo discreto, appoggiando una mano sulla spalla di Harley.
 
< Buongiorno Harleen. Ascolta, appena hai finito qui, vorrei vederti nel mio studio, se non ti dispiace… >
Harley annuì, senza rispondere a voce, con l’entusiasmo appena ritrovato smorzato da questa chiamata a sorpresa da parte della dottoressa. Probabilmente sapeva perché era stata convocata, l’episodio di quella notte non poteva essere lasciato impunito. Era stata dottoressa anche lei, ad Arkham, e sapeva che certe cose doveva essere sempre tabulate, per sapere come reagire, la volta dopo.
< Che cosa vuole? > chiese Ivy, stupita molto più dell’amica riguardo l’intervento. Il lieve sorriso di Harl era già svanito, e anche la sua loquacità; lo sguardo di Pam le entrava nella testa, nella pelle, e solo guardandola negli occhi, era in grado di capire che c’era qualcosa che non andava. Proprio per questo, lo sguardo della bionda era chino sui suoi pancakes, che trangugiava nel tentativo di terminarli il prima possibile. Pamela si costrinse a non aggiungere altro, capendo che la domanda appena posta richiedeva una risposta che ancora non poteva essere pronunciata. Solo dopo alcuni istanti, dopo aver vuotato il piatto, Harley decise di alzarsi, pulendosi distrattamente la bocca con un tovagliolo.
 
< Ad essere onesti, non ne ho la più pallida idea… > mentì la bionda, con un’espressione che avrebbe ingannato chiunque, tranne Poison Ivy < Ma dev’essere importante, quindi meglio che vada > concluse voltandosi in fretta, per raggiungere il prima possibile l’ufficio della Leland.
 
< Harl! > la chiamò ad un tratto Red, attirando non solo la sua attenzione, ma anche quella di gran parte dei detenuti dell’Asylum.
< Mi raccomando… Fai attenzione! > aggiunge Ivy con un occhiolino, prima di voltarle le spalle e raggiungere, probabilmente, le sue tanto amate piante. Harley si diresse dunque a passo svelto verso la sua meta, e quando raggiunse la porta, bussò delicatamente con la piccola mano. Joan si aspettava la sua visita, e subito le chiese di entrare e di accomodarsi, rendendo il tutto ancora più strano. Quel posto ad Harleen non piaceva, non le piaceva la condiscendenza della sua superiore, non le piaceva essere trattata come una marionetta, non le piaceva nemmeno il colore della pareti, a dirla tutta. “Ma ti sei comportata in questo modo tutta la vita, non è vero Harley? Non ti piaceva niente di quello che ti veniva fatto o detto, ma puntualmente ti ripetevi…” pensò con calcolata cattiveria la parte più schietta del suo cervello. Scosse la testa freneticamente, tentando di scacciare fisicamente quel ragionamento, catturando l’attenzione della dottoressa Leland, che la osservava come se fosse un criceto sulla ruota.
 
< Signorina Quinzel… Si ricorda quello che è successo stanotte? > chiese la donna con il tono più tenue che riuscì a usare.
“Sì, ma non ti aspettare che ti dica qualcosa…”
< Non so a che cosa si riferisce, dottoressa… > mentì Harley innocentemente, cercando di darla a bere alla sua interlocutrice.
< Questa notte degli uomini dello staff medico sono entrati nella sua stanza: non faceva altro che urlare durante il sonno… Urlare e piangere, per la precisione. Ha avuto qualche brutto sogno? Ha visto qualcosa di particolarmente spiacevole? >
Harley finse palesemente di pensare, posando l’indice sul proprio mento e picchiettandolo a ritmo
< Se devo essere sincera, non mi sembra di ricordare niente di tutto questo, dottoressa…>.
< Mi dispiace sentirglielo dire, perché, come ben saprà, questo è il tipo di comportamento che non possiamo lasciar perdere… Per questo motivo, sono costretta a ordinarle delle sessioni d’ascolto in più, per… >. Joan avrebbe voluto proseguire, ma gli occhi spalancati di Harleen la costrinsero a fermarsi; di fronte al silenzio, la ragazza si sentì in dovere di riempirlo…
< No… No! NO! > iniziò a strepitare, aggrappandosi ai braccioli della poltrona con forza, tirandoli verso di sé, rischiando di strappare il tessuto che la rivestiva. La dottoressa Leland cercò di calmarla in tutti i modi, ma gli strepiti della bionda erano troppo rumorosi, la sua reazione troppo aggressiva per essere gestita. Fu riportata nella sua cella di peso, legata e abbandonata sul suo letto, nella speranza che si calmasse da sola. Il passo successivo sarebbe stato un narcotizzante, che però non avevano la minima intenzione di usare. Sedute d’ascolto… Cosa potevano significare? Cosa racchiudevano di tanto brutto?
 

“Voi strizzacervelli siete tutti così… Pretendete di ascoltare, ma quando le domande sono poste a voi, vi nascondete”. Silenzio dall’altra parte. Rumore di passi. Avanti e indietro. Avanti e indietro. Avanti e indietro. La Sua risata che scoppia, strepitante. “Perché quella brutta faccia? Tu devi sorridere, bisognerebbe sempre sorridere… Vuoi sapere perché io sono stato costretto a sorridere per sempre?”

  
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