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Autore: Light Rain    27/09/2012    6 recensioni
"Cercavo con tutta me stessa si rimanere aggrappata a quelle realtà che mi sembrava ancora di possedere. Ma non mi ero ancora resa conto che erano già diventate irraggiungibili". Questa è la storia di Annie Cresta, prima, durante e dopo i suoi Hunger Games
_SOSPESA_
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Annie Cresta, Finnick Odair, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il sole è già alto quando esco di casa.
Mi assicuro di aver preso la borsa con i soldi e mi dirigo velocemente verso il mercato. Oggi è il primo del mese e al Distretto 4 arrivano i rifornimenti, potremo finalmente goderci un po’ di carne di manzo. Io e la mia famiglia siamo stati parsimoniosi e abbiamo risparmiato abbastanza per poterci permettere questa rarità senza troppi sforzi.
Quando arrivo al primo negozietto c’è già abbastanza gente, non mi stupisco. Svicolo velocemente tra una bancarella e l’altra: intravedo Thom, il figlio più giovane del vecchio Mitch, intento a trattare con il fornario, vedo la signora Tingley parlottare con delle sue amiche, mi saluta immediatamente :—Buongiorno Annie.
—Buongiorno Margareth— le rispondo in modo cortese —Carl si è ripreso?— chiedo allegramente.
Carl è suo marito, qualche giorno fa è tornato dal mare affermando, davanti all’intero Distretto, di aver quasi catturato il pesce più grande della storia, purtroppo è riuscito a liberarsi e il pover uomo è tornato a casa a mani vuote visibilmente traumatizzato dall’accaduto.
—Oh, è già in mare che ci riprova— ride lei.
—Pescatori— sorrido scuotendo il capo.
Svolto l’angolo e la mia attenzione ricade per qualche istante sul negozio di artigianato, in particolare su una catenina d’oro a cui è appesa una piccola stella marina color rosso intenso. è molto bella e, ci scommetto, anche molto costosa. Mia madre ne aveva una simile, ma gliela abbiamo lasciata, quando è partita.
Noi lo definiamo così, il viaggio: nel Distretto 4 quando muore qualcuno è usanza costruire una piccola barchetta, deporvi il corpo e lasciarla al largo, cullata dalle onde. Molti preferiscono la crematura, ma comunque le ceneri vengono disperse in mare.
A mia madre piaceva tanto quella collana così l’abbiamo fatta partire con lei, con qualcosa che le ricordasse casa, per non farla sentire sola.
“Dal mare sei venuto e al mare tornerai, sarai sempre il benvenuto, non ti lascerà mai” recita una vecchia filastrocca del nostro Distretto. Non c’è niente di più vero.
—Annie! Annie!— una voce allarmata mi cerca.
Mi volto velocemente per capire a chi appartiene. Una donna mi piomba addosso.
—Grazie al cielo ti ho trovata!— mi dice lei. Nei suoi occhi traspare tutta l’agitazione che ho udito nella sua voce. E nel preciso momento in cui me ne accorgo la stessa ansia travolge anche me. Se la madre di Finnick mi sta cercando con così tanta foga deve essere per un valido motivo.
—Cosa è successo?— chiedo immediatamente, disperata.
Shirley scuote il capo e riprende fiato cercando di formulare una risposta.
—Ieri ha telefonato il presidente Snow in persona— riesce a dire infine —vuole che Finnick faccia il mentore— grida disperata, piangendo.
Ora è come se stessi affogando: sento il sale dentro le narici, i polmoni pieni d’acqua, incapaci di respirare, incapaci di assimilare anche solo una singola molecola di ossigeno.
—Voleva venire da te, ma era già buio, e stanotte— si interrompe —stanotte lui...— ma anche stavolta non riesce a finire la frase. Non ho bisogno di sentirlo dire da lei, so già cosa è successo stanotte. Vedo Finnick, lo vedo urlare contro l’oscurità, singhiozzare tra le coperte paralizzato dalla paura.
Gli incubi lo perseguitano da quando è tornato, ma sono sicura che stanotte sono stati più brutti del solito, mi si blocca il respiro al solo pensiero.
—Non può farlo! Non possono costringerlo!— grido io in preda ad una crisi isterica.
Shirley scuote il capo, rassegnata. Se il presidente ti chiama non è per chiederti il permesso, è per importi un ordine e questo lo sappiamo bene entrambe. E sappiamo benissimo anche cosa questo significhi per Finnick.
—Non lo hai lasciato da solo, vero?— chido allarmata.
—No! Certo che no, ho avuto il coraggio di uscire di casa solo quando è arrivata Mags— mi risponde lei.
Mi sento un po’ più sollevata, è in compagnia di qualcuno che lo può capire.
—Devo vederlo!— dico scattando improvvisamente verso il Villaggio dei Vincitori, Shirley mi segue immediatamente. Siamo appena uscite dal mercato quando lei mi ferma di colpo.
—Annie dovevi comprare qualcosa?— mi chiede fissando la mia borsa.
Giusto, la carne! Mia zia mi ammazza se non riesco a prendere i pezzi migliori. Ma può aspettare.
—Niente di importante— le rispondo sbrigativa.
—Annie vado io a comprare quello che ti serve— io indugio — tu fai così tanto per noi, questo è il minimo che posso fare per sdebitarmi— mi dice convinta.
Non esito un istante nell’abbracciarla, lei ricambia.
—Grazie— le sussurro.
—Grazie a te— mi risponde.
Mi volto, ma la sua voce mi ferma ancora una volta.
—Annie la borsa, e poi cosa devo comprare?— mi fa notare lei.
—Carne, carne di manzo— rispondo porgendogli la borsa con i risparmi—tutta quella che riesci a comprare con i soldi che ci sono qui— le dico.
—Non ti preoccupare ci penso io— mi dice con un sorriso confortante —sù, sù sbrigati, va da lui!— mi incoraggia dandomi una spintarella.
La ringrazio ancora una volta e ci dirigiamo ognuna verso la propria destinazione. Mi volto per guardarla mentre si perde tra la folla: una donna piccola, minuta, non più giovane come un tempo, i capelli bronzei sono stati sostituiti da un groviglio più spento, ingrigito, ma è nei suoi occhi color verde mare che traspare la sua anima. Una delle persone più buone e dolci che io abbia mai conosciuto, esattamente come suo figlio.
Suo figlio che si ritrova ancora una volta ad affrontare gli incubi degli Hunger Games.
Oltrepasso case, su case, ormai fin troppo familiari, quando arrivo davanti a quella di Finnick devo riprendere fiato, perchè l’ansia ha preso il sopravvento.
Busso alla porta una, due, tre volte, impaziente, isterica.
Poi viene ad aprirmi, occhiaie violacee gli circondano gli occhi gonfi, ed io esattamente come quando tornò dagli Hunger Games non posso fare a meno di piangere ma questa volta non esito minimamente nell’andargli incontro.
Le sue braccia mi avvolgono tempestive, affondo il capo nel suo petto.
—Mi dispiace— singhiozzo —mi dispiace tanto— ripeto in modo quasi incomprensibile.
Poggia il suo mento sulla mia testa e inizia a cullarmi, dolcemente.
Perchè, perchè devono fare questo a Finnick? Non ha forse sofferto già abbastanza? Perchè vogliono che veda altre persone morire, che le conosca, che ci si affezioni per poi mandarle al macello, perchè?
Cerco di trattenere i singhiozzi in gola, ma loro escono più rumorosi di prima.
—Shhh Annie. Va tutto bene, sta’ calma— mi sussurra lui dolcemente —sta’ calma— mi ripete continuando a cullarmi. Sentire la sua voce mi tranquillizza e mi riporta al motivo per cui sono venuta qui: per consolarlo, anche se ora la situazione è completamente agli opposti. Cerco di respirare con più calma, di riprendere il controllo delle mie emozioni, ma non è facile, quando si tratta di Finnick niente è mai facile. Dopo qualche secondo sento di essere tornata abbastanza in me, faccio un passo indietro e lui allenta la presa dell’abbraccio.
I miei occhi ancora lucidi tornano ad incrociare i suoi, ormai Finnick non ha più niente del ragazzino che conobbi due anni fa, è un giovane uomo grande e forte, che Capitol City si ostina a trascinare nella sua oscurità.
Ormai Finnick ha sedici anni e a questa età, secondo il governo, si è abbastanza grandi per diventare mentori, noi ce lo aspettavamo, ne eravamo tutti consapevoli, ma nemmeno tra una decina d’anni sarei stata preparata per questo annuncio, non lo si è mai.
—Scusami— farfuglio, ha dovuto consolare me quando invece quello in difficoltà è lui.
—Ormai ci sono abituato— sorride accarezzandomi la guancia per eliminare un’ultima lacrima rimasta.
Mi fa segno di entrare, saluto Mags seduta a tavola intenta a mangiare dei biscotti ricoperti di cioccolato, mi siedo vicino a lei. La guardo, mantre racconta a Finnick la prima volta che salì in barca, come lui rimango affascinata dalle sue parole. Io le sarò sempre grata, per quello che ha fatto, per quello che sta facendo proprio in questo istante, è una donna straordinaria e Finnick riesce ad andare avanti anche grazie a lei.
Io mi sento abbastanza inutile, non è come dice la madre di Finnick: che io ho fatto tanto per loro. Io mi limito a fargli compagnia, ad ascoltare ciò che ha da dire, a piombare a casa sua e a mettermi a piangere sulla soglia della porta.
Non sono utile a Finnick.
Ma lui lo è per me, lo è stato dal primo istante. Ho imparato a sfogarmi, a parlare delle mie emozioni più represse, a farmi più forza sia per me che per lui, a farmi nuovi amici.
Rido al solo ricordo: era passato poco più di un mese dal suo ritorno a casa, e Finnick non ne voleva sapere di uscire un po’ fuori, anche per andare in spiaggia perchè non si fidava di nessuno. Così lo trascinavo per il Distretto e lo costingevo a fare due chiacchiere con gente che non conosceva, con gente di cui io non sapevo neanche il nome, per dimostrargli che anche qui nel 4 c’è dello “zucchero”. E senza neanche accorgermene dopo due settimane conoscevo l’intero Distretto, così anche io ho imparato a farmi dei nuovi amici.
In realtà ho fatto molto di più, ho imparato ad amare.
E questo è solo merito di Finnick.
—Bhè io vado visto che sei in ottima compagnia—  dice Mags riportandomi alla realtà.
Si infila in bocca l’ultimo biscotto, mi stringe leggermente la mano e si alza per abbracciare Finnick; lei gli sussura qualcosa che non riesco a capire, saluta anche me e poi esce di casa.
Così rimaniamo io e lui, nella stessa stanza, soli.
Non penso riuscirò mai ad abituarmi alla sua presenza o almeno senza avere un attacco cardiaco, ormai ci conosciamo entrambi alla perfezione, da quando è tornato non è passato giorno senza che noi ci vedessimo, sappiamo ognuno i segreti e le paure dell’altro. Penso proprio che l’unica cosa che non ho detto a Finnick è cosa provo veramente per lui e non penso lo saprà mai. Ora come ora l’unica cosa che mi interessa è che lui sia felice e io starò accanto a lui fino a quando ne avrà bisogno.
—Che facciamo?— chiedo cercando in qualche modo di sembrare entusiasta.
—Che ne dici del nostro posto— suggerisce lui non con il mio stesso spirito.
—Vada per il bosco senza alberi— dico alzandomi in piedi. Mi ci sono volute ore e ore di opere di convinzione da parte di Finnick per farmi iniziare a chiamere il nostro posto con quel buffo nome, ma non gli potevo dire di no. Lui sorride leggermente udendo il nomignolo di sua invenzione.
Ci muoviamo con particolare attenzione, io posso passare tranquillamente inosservata, ma un vincitore che si inoltra nella palude desta molta curiosità tra la gente del Distretto, è capitato più di una volta che ci seguissero costringendoci ad annullare la nostra piccola gita.
Camminiamo veloci e per fortuna non ci segue nessuno, oltrepassiamo il passaggio senza troppe difficoltà e ci innoltriamo tra gli arbusti raccogliendo, mano a mano che andiamo avanti, un gran numero di bacche. Dopo una lunga passeggiata ci sediamo sotto il nostro solito alberello per rilassarci, non parliamo, ma Finnick si avventa sulle bacche, faccio lo stesso anche io. Queste a venderle rendono ancora molto bene, ma la mia famiglia non ne fa quasi più uso personale, Finnick ci riempie di zucchero mensilmente, è l’unica cosa che gli permetto di fare per me. 
Lui ne ordina in gran quantità da Capitol City, continua a ripetermi che questo è il solo ed unico lato positivo dell’aver vinto gli Hunger Games, per un ragazzo che vive nel Distretto 4 anche vedere una singola zolletta è un miracolo. Ma mi ripete anche che venderebbe senza batter ciglio tutto lo zucchero del mondo pur di poter tornare indietro e cancellare tutto quello che è successo.
—è stato qui— mi dice d’un tratto— che ci siamo incontrati la prima volta— sorride mangiando un’altra bacca.
—Già— rispondo nel modo più insignificante possibile.
Mi capita spesso di ripensare a quel giorno, non sembra vero ma sono passati due anni, allora eravamo due persone normali che si contendevano una manciata di bacche, pronte a far arrestre l’altro in qualsiasi momento, per me lui era semplicemente un ragazzo montato con degli occhi stupendi.
E adesso eccoci qua: lui è conosciuto in tutta Panem, condividiamo quelle stesse bacche, lui mi regala lo zucchero e io mi sono innamorata del ragazzo con gli occhi color verde mare. Mi domando cosa sarebbe successo se quel lontano giorno di due anni fa io non mi fossi dimenticata il sacchetto con le bacche o se fossi stata più attenta senza farmi scoprire da Finnick.
Sarei qui in questo momento? Lui sarebbe qui? Avremmo continuato a vivere le nostre vite l’uno senza conoscere l’altro?
No. Mi convinco che in qualche modo lo avrei incontrato comunque, non riesco ad immaginare il mio mondo senza Finnick.
—Sono cambiate così tante cose— mi dice lui, come se mi avesse letto nel pensiero, ma nel suo tono c’è tristezza, perchè per lui il mondo è cambiato più di quanto abbia fatto il mio e sicuramente non in positivo.
—E tante altre ne cambieranno— dico sorridendo, in modo sincero, perchè sono sicura che finalmente succederà qualcosa di buono nella vita di Finnick, ne sono sicura, ma non abbastanza da pronunciare la vera frase che gli voglio dire: “E tante altre ne cambieranno, ma stavolta in positivo”, perchè per quanto io lo voglia non c’è certezza in questo.
Lui ricambia il sorriso e poi il suo sguardo si perde tra i rami di un arbusto, chissà forse per immaginare lo stesso futuro che io desidero per lui.
Quando il sole è ormai alto decidiamo di tornare indietro, camminiamo lenti, io per ritardare la nostra separazione, forse lui per non dover tornare ad affrontare gli incubi.
—Finnick! Annie!— ci voltiamo contemporaneamente verso chi ci sta chiamando.
Lian ci viene incontro a passo svelto.
—Tieni— mi dice porgendomi la borsa che si porta dietro —ho incontrato Shirley e mi ha detto di portartela— conclude lui.
La apro e al suo interno ci trovo della carne, molta di più di quanto avrei potuto comprare con i miei risparmi, la madre di Finnick ha deciso di farmi questo regalo. Lei non ha idea di quanto io sia debitrice con loro, su tutti i fronti.
—Ah, prima ho incontrato anche tuo padre, ti vuole subito a casa— aggiunge Lian indicandomi il porto, deve essere tornato prima dal mare. Annuisco pensierosa, posso lasciare Finnick solo, dopo la telefonata di ieri?
Lian mi guarda, spero che capisca, spero che sappia e che faccia la cosa giusta.
—Allora che ne dici di una bella chiacchierata tra uomini?— propone il mio amico a Finnick con uno smagliante sorriso. Lui annuisce divertito.
Sembra strano, ma sono diventati ottimi amici: quando Finnick è tornato dagli Hunger Games aveva bisogno di tutto l’aiuto possibile e Lian, come c’è sempre stato per me, è stato ben disposto a dare una mano anche a lui.
Gli sarò sempre grata per questo.
I due si allontanano allegramente, ma prima di scomparire dalla mia vista Lian si volta verso di me e mi guarda come per dire “Ci penso io”, nello stesso istante si gira anche Finnick che mi sorride nel più rincuorante dei modi.
Decido di tornare a casa passando per la spiaggia, cammino lungo la riva e mi bagno i piedi nell’acqua.
Mi fermo un istante ad osservare il mare del Distretto 4.
Il mare che ci sfama, che ci culla, che non ci abbandona mai, la nostra vera e unica casa.
Sono cambiate molte cose in questi due anni e domani non so cosa succederà, ma lui non se ne è mai andato.
Chiudo gli occhi e inspiro lentamente l’aria salata.
“Dal mare sei venuto e al mare tornerai, sarai sempre il benvenuto, non ti lascerà mai”
Purtoppo questa è la mia unica certezza.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Scusate per il ritardo mastodontico!!!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere il vostro parere ;)
Alla prossima...
Light Rain
 
  
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