Libri > Il diario del vampiro
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Autore: iosnio90    27/09/2012    3 recensioni
La prima storia di una serie di tre che raccontano la vita di Stefan e Damon e l'evoluzione del loro rapporto nei secoli. Ogni storia è una raccolta di dieci one-shot più il prologo che vogliono raccontare una parte della loro storia o almeno ci provano. Questa prima fanfiction racconta del loro passato, della loro vita prima dell'incontro con Katherine nella Firenze rinascimentale.
Spero che l'idea vi piaccia e farete un salto per leggere la storia. Ho sempre voluto scrivere una cosa del genere e adesso...eccola qua. Dopo tante storie che parlano delle varie coppie, credo fosse giunto il momento anche per me di andare a fondo in uno dei rapporti più belli in assoluto di questa saga, cioè quello tra i due fratelli vampiri.
Vi aspetto...BACIONI...IOSNIO90!!!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Damon Salvatore, Nuovo personaggio, Stefan Salvatore
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Frattura

"No! Assolutamente no!" - era da ore che Damiano non faceva che ripetere sempre la stessa cosa, sin dalle prime luci dell'alba quando aveva raggiunto suo padre nel suo studio prima che facesse in tempo ad uscire di casa solo per potergli ribadire il suo categorico rifiuto.
Da dieci giorni non faceva altro che pensare e ripensare all'imposizione di Giuseppe, al fatto che aveva deciso, in un improvviso quanto sospetto lampo di interesse per le sue sorti, di spedirlo all'università, un'università un bel pò lontana dalla loro villa, dalla loro vita e dalla vita di Stefano.
Damiano non riusciava a non vederci una cospirazione dietro tutto ciò. In altre circostanze sarebbe stato ben felice di lasciare la casa paterna per cominciare a vivere il mondo così come aveva sempre voluto, ma qualcosa continuava a non tornargli e, dopotutto, capitava davvero raramente che qualcosa gli fosse chiara delle azioni di suo padre e delle motivazioni che le dettavano.
Per quanto gli riguardava era completamente da escludere che Giuseppe avesse preso a cuore il suo futuro e che avesse preso quella decisione soltanto per il suo bene, doveva esserci qualcosa sotto e quel qualcosa, Damiano ci si sarebbe giocato le mani, doveva per forza avere a che fare con suo fratello e con chissà quali progetti Giuseppe aveva in serbo per lui.
Suo padre aveva rinunciato ormai da tempo a qualsiasi piano avesse mai avuto nei suoi riguardi, ma con Stefano aveva trovato terreno fertile. Si era ritrovato davanti ad un ragazzo che non gli serbava tutto il rancore che gli serbava lui, che ancora lo considerava un padre magari addirittura capace di amare i propri figli e che sarebbe stato disposto anche a passare oltre ad anni ed anni di indifferenza e torti pur di allacciare un rapporto con lui, il tutto a causa di una naturale indole mansueta che Stefano aveva ereditato da Margherita e che nulla aveva a che fare con quella ben più combattiva che era la sua.
Damiano credeva molte cose di suo padre, ma di certo non aveva mai pensato che fosse un'idiota, indi per cui gli veniva facile pensare che Giuseppe si fosse fatto un calcolo ben preciso di come, da quel giorno in avanti, avrebbe voluto che la vita di suo fratello si svolgesse. Sicuramente voleva inserirlo a pieno titolo negli affari di famiglia per poi trovargli una ragazza docile e carina con la quale fargli contrarre un matrimonio che avrebbe giovato alla loro famiglia e a quella della prescelta, così come si confaceva ad ogni giovane uomo del rango di Stefano.
L'unico ostacolo, quindi, era lui e Damiano credeva che Giuseppe avesse calcolato anche questo.
Lui che si era sempre battuto per suo fratello non avrebbe mai accettato che finisse col diventare soltanto un'altra ruota del carro trainato da Giuseppe, uno dei tanti ingranaggi che serviva soltanto a mantenere alto l'onore della famiglia anche a discapito della personale felicità. Si sarebbe messo in mezzo, avrebbe fatto in modo che Stefano capisse una volta per tutte che non era il loro astuto padre a dovere decidere del suo destino, ma che poteva benissimo farlo da solo, scegliere ciò che più lo avrebbe reso felice e che se Giuseppe davvero desiderava far parte della sua vita, allora lo avrebbe aiutato e accettato lo stesso.
Ma tutto questo Giuseppe non poteva permetterselo, quindi aveva deciso di tentarlo offrendogli l'occasione che lui aveva sempre desiderato di avere: una vita lontana da lui con l'opportunità di decidersi in autonomia la strada che più avrebbe voluto percorrere senza alcuna interferenza paterna. Questo, ovviamente, con la speranza che lui dicesse di si e che gli lasciasse via libera con Stefano.
Nella mente di Damino il ragionamento era semplice e lineare.
"La mia è una decisione definitiva, Damiano, non ho alcuna intenzione di tornare sui miei passi. Domani lascerai questa casa. Il fratello del marchese Carpin ti aspetta a Venezia dove ti ospiterà per tutto il tempo necessario fino alla fine dei tuoi studi, qualsiasi argomento essi trattino. I tuoi bagagli saranno ultimati in mattinata e verrano spediti già tra qualche ora. In quanto al denaro, ne avrai a sufficenza e te ne arriverà una consistente quota ogni venti giorni. E' deciso. Come vedi è già tutto pronto." - gli rispose Giuseppe, con un'irritante nota di calma e indifferenza nella voce, mentre era intento a rileggere sommariamente qualche documento pieno zeppo più di numeri che di parole.
"Ovviamente! Peccato che io non ho alcuna intenzione di lasciare questa casa!" - si ostinò Damiano.
Giuseppe scosse di poco la testa e gli lanciò un'occhiata, fermandosi in piedi alle spalle della sua grossa scrivania.
"Eppure pensavo che ci saresti andato a nozze con l'idea di andartene da qui."
"E sarebbe anche così, se questo non significasse lasciare Stefano nella tue mani!"
"Questa discussione non riguarda tuo fratello, ma il tuo futuro." - obiettò Giuseppe.
"Certo che riguarda Stefano! Riguarda sempre Stefano. Ho promesso alla mamma che l'avrei protetto, che avrei fatto in modo che fosse felice."
Damiano tacque, lasciando spazio soltanto al silenzio per diversi minuti. Giuseppe lo fissava con gli occhi socchiusi, come a rimproverarlo per il fatto che avesse appena violato uno delle sue più ferree regole: mai parlare di Margherita in sua presenza.
Un regola, quella, che Damiano fin da bambino odiava più di tutte le altre messe insieme, una regola che da sola era bastata, nel momento in cui era stata stabilita per la prima volta ad alta voce, a far scattare quel disprezzo che da allora aveva preso ad associare sempre alla figura di suo padre.
"Avete un piano per Stefano, un piano che non mi piace." - riprese.
"Non ho nessun piano per tuo fratello, non essere paranoico adesso."
"Volete farlo diventare come voi." - quelle parole, dette da Damiano, sembrarono un'accusa bella e buona.
Giuseppe lo trafisse con lo sguardo. Damiano gli restituì il favore. In quel momento i suoi occhi neri erano più scuri del solito, senza alcuna luce ad illuminarli dall'interno, un'unico insieme di determinazione e sfrontata aggressività.
"Voi volete manipolarlo." - continuò.
Giuseppe lasciò cadere i fogli che ancora teneva stretti e battè con forza le mani sul legno duro della scrivania.
"Mi dipingi come un mostro! Io sono vostro padre!" - urlò, perdendo tutta la compostezza che era solito sfoggiare.
"Sulla carta, ma non vi siete mai comportato come tale. Da quando la mamma ci ha lasciati voi non avete fatto altro che delegare tutto ciò che riguardava me e Stefano a qualcun altro. Prima la balia, poi il precettore...non avete mai mostrato il minimo interesse per noi e adesso pretendete di decidere del nostro futuro spacciandovi per un padre che ha davvero a cuore l'avvenire dei suoi figli! Io e Stefano siamo cresciuti da soli!"
"Io ho sofferto...per la morte di mia moglie!" - fece Giuseppe in risposta.
"Noi eravamo dei bambini e l'abbiamo vista morire. Voi avreste dovuto sostenerci, avrete dovuto starci accanto e non lo avete fatto. Adesso non avete alcun diritto di lamentarvi perchè io non riconosco in voi più alcuna autorità paterna nè alcun nobile sentimento celato dietro le vostre azioni. Sono cresciuto senza l'aiuto di nessuno avendo a cuore solo Stefano, solo la promessa fatta a mia madre. Mi sono occupato solo di mio fratello, lasciando che la mia vita fosse completamente votata alla felicità che avevo giurato che lui avrebbe conosciuto."
"Damiano....sto cercando di occuparmi di te. Prova a credermi."
"Voi non me lo porterete via! Io non ve lo lascerò fare!"
"Damiano!"
Il richiamo di suo padre lo raggiunse quando già aveva lasciato la stanza e si era avviato a grandi passi lungo il corridoio.
Si sentiva completamente fuori di se. E messo alle strette. Più di ogni altra cosa si sentiva messo alle strette.
Il pensiero che ci fosse la remota possibilità che Giuseppe si stesse realmente dando da fare per lui non riusciva minimamente a farsi strada nella sua testa, inondata com'era dall'unica idea che suo padre fosse solo un usurpatore.
Ancora una volta, riusciva a formulare un unico ragionamento: Giuseppe all'epoca della morte di Margerita non aveva saputo come affrontare la cosa e aveva lasciato i suoi due figli da soli, rimanendo a guardare distrattamente negli anni mentre lui, il maggiore, prendeva in mano le redini della situazione e aiutava se stesso e suo fratello a crescere, a costruirsi una vita. Infine, adesso che sia lui che Stefano erano diventati abbastanza grandi da non avere più bisogno costantemente di una guida paterna, Giuseppe aveva deciso di infilarsi nel mezzo, cercando di mostrarsi pentito tramite stupide paroline e stupidi gesti, con la pretesa di fare il padre adesso che la parte più dura del crescere due figli che avevano dovuto affrontare una perdita simile in così giovane età era passata.
Damiano era convinto che Giuseppe volesse mandarlo via perchè sapeva che lui non avrebbe mai abboccato e perchè sapeva anche che Stefano, nonostante fosse in grado di perdonargli qualsiasi cosa al suo primo accenno di pentimento, non avrebbe mai dato retta soltanto a lui benchè fosse il padre, ma avrebbe continuato a fare affidamento anche e soprattutto sull'unica persona che gli aveva sempre badato, cioè Damiano.
Doveva essere così. Non poteva esserci altra spiegazione. Doveva essere per forza così.

Il grande orologio a pendolo esposto in salotto battè le due di notte quando Stefano realizzò che, preso com'era dai suoi pensieri, oramai era impossibile che riuscisse ad addormentarsi tranquillo e a riposarsi per ciò che lo attendeva la mattina dopo.
Si era ripromesso che si sarebbe stampato in faccia un bel sorriso nel salutare Damiano in partenza per l'università e non poteva permettersi di non rispettare quel giuramento fatto a se stesso. Un pò per lui, un pò per suo fratello.
Nonostante lo sbigottimento iniziale causato dalla notizia, in quei dieci giorni Stefano aveva trascorso molto tempo a riflettere ed era giunto alla conclusione che forse era un bene che suo fratello si allontanasse per terminare i suoi studi. Sapeva che Damiano era molto preoccupato per cosa ne sarebbe stato di lui una volta rimasto solo, ma Stefano era più che convinto che fosse giunto il momento, per suo fratello, di cominciare a pensare un pò più a se stesso che a lui.
Lui sarebbe stato bene. Era cresciuto, aveva imparato molte cose, spesso proprio da Damiano stesso. In definitiva: poteva farcela. E passare del tempo da solo con suo padre non credeva potesse causargli poi tanto danno. Insomma, era pur sempre di suo padre che si stava parlando!
Conosceva da sempre l'opinione che Damiano aveva di Giuseppe, ma Stefano non poteva fare a meno di credere che un'opportunità, soprattutto adesso che Giuseppe sembrava desideroso di guadagnarsela, gliela si poteva concedere.
Suo padre era un uomo, quindi sbagliava. Non era perfetto, ma era tutto ciò che avevano. Disprezzarlo per le azioni compiute in passato non avrebbe portato a nulla; al contrario, provare a dargli un pò di fiducia, voltando le spalle a ciò che era stato e volgendo lo sguardo al futuro, forse un giorno avrebbe dato dei risultati positivi, forse addirittura quel piccolo atto di perdono e comprensione avrebbe restituito loro una famiglia vera, unita.
Stefano non credeva che tutto ciò fosse soltanto pura utopia, anzi si era convinto che con un pò di buona volontà da parte di tutti fosse un qualcosa di fattibile, di realizzabile.
Per questo motivo aveva messo da parte ogni sua lamentela, ogni dubbio ed ogni attacco di tristezza per il fatto che presto non avrebbe più avuto il supporto dato dalla presenza costante di suo fratello nella sua vita e aveva provato a mettersi l'anima in pace, a guardare la cosa da un punto di vista diverso, più maturo.
Li aveva ascoltati i litigi tra suo padre e suo fratello che avevano fatto da sottofondo alla vita della villa per i dieci giorni precedenti, sapeva che l'unico motivo per cui Damiano si ostinava tanto a combattere era lui. Si sentiva in colpa per questo ed anche un pò a disagio.
Negli anni Damiano aveva ricoperto per lui non soltanto il ruolo di fratello maggiore e di questo gli era grato, ma adesso che gli anni erano passati Stefano cominciava a sentirsi un peso ingombrante sulle spalle di suo fratello, un peso che non gli permetteva di andare avanti, di guardare oltre quel ruolo che sì ricopriva nella sua vita, ma che non doveva essere l'unica cosa che per Damiano avesse senso ed importanza.
Si sentiva in debito con suo fratello di tutta quella serenità, di quella felicità che crescendo gli aveva donato. Per ripagarlo doveva lasciarlo libero, libero di vivere la sua vita così come voleva. Era la libertà - libertà dalle restrizioni, dai compromessi, dalle imposizioni, dalle regole - il miglior dono che potesse fare a Damiano.
Stefano, che conosceva la vera indole del fratello, spesso si era ritrovato a pensare che Damiano, per la persona che era e per le idee che aveva, fosse nato nel secolo sbagliato o magari solo nel luogo sbagliato. Forse, con un interno mondo di possibilità ai suoi piedi, con un intero mondo in via d'espanzione da conoscere e scoprire e senza più le costanti preoccupazioni date dal suo fratellino, Damiano sarebbe riuscito a trovare, da qualche parte, un angolo di quel mondo fatto su misura per lui, in cui poter essere nient'altro che se stesso.
Stava ancora parlando con se stesso quando la sua attenzione venne attirata da un rumore sordo molto simile a quello di passi leggeri e strascicati proveniente dal corridoio.
Si irrigidì ed i suoi sensi scattarono tutti in allerta quando la porta della sua camera venne socchiusa leggermente e il fascio di luce di una candela illuminò una lunga striscia di pavimento.
Chi poteva essere a quell'ora della notte?
Ogni sua impovvisa paura si placò soltanto nel momento in cui ascoltò e riconobbe la voce che prese a pronunciare il suo nome dall'oscurità oltre la porta dopo un lungo attimo di silenzio angosciante.
"Stefano! Stefano! Stefano, sei sveglio?" - il sussurro di Damiano era frettoloso e concitato.
Tirò fuori completamente la testa dalle coperte e scattò a sedere, annuendo.
Damiano allora entrò nella camera e si richiuse subito la porta alle spalle. Stando attento ad ogni minimo rumore, portò la candela che reggeva in mano accanto allo scaffale dove riposavano spenti i candelabri della camera di Stefano e ne accese un paio.
"Damiano? Che succede? E' notte fonda!" - fece Stefano.
Suo fratello non gli rispose, ma spalancò le ante del suo armadio, ne tirò fuori un grosso baule e cominciò a ficcarci dentro tutti gli indumenti su cui riusciva a mettere le mani. Afferrò anche il suo diario dal cassetto in cui lo riponeva e lo mise insieme al resto.
Stefano cominciò ad agitarsi.
"Damiano! Rispondimi, per favore, si può sapere che sta succedendo?" - chiese ancora.
Damiano afferrò con una mano la vestaglia che teneva ripiegata ai piedi del letto e gliela lanciò.
"Alzati e vestiti. Alla svelta! E non fare rumore! Non deve sentirci nessuno." - lo istruì.
Stefano spalancò gli occhi, ma afferrò la vestaglia e se la infilò, mentre scendeva dal letto e raggiungeva suo fratello. Un terribile pensiero circa le intenzioni di Damiano gli si formò nella mente.
"Damiano..." - provò a chiamarlo.
"Bravo! Ti sei alzato. Adesso và a vestirti, coraggio." - lo incitò, afferrandolo per le spalle e spingendolo più in la, verso lo specchio, mentre prendeva a cercare scarpe e camicie da aggiungere a ciò che già era finito disordinatamente in quel baule.
Stefano non si mosse.
"Sei ancora lì? Ti ho detto di fare in fretta. Forza!"
"Perchè? Perchè dovrei vestirmi a quest'ora della notte? E perchè stai facendo tutto...questo?"
"Smettila di lamentarti! Fà come ti ho detto!"
"Perchè?" - pretese Stefano.
"Perchè ce ne andiamo. Ecco perchè! Contento? Adesso muoviti."
Stefano scosse la testa e abbassò lo sguardo.
Suo fratello....sembrava fuori di se, non lo aveva mai visto in quelle condizioni, così poco ragionevole poi. Ciò che voleva fare era una follia, non se ne rendeva conto?
Damiano diede un'ultima occhiata al baule e lo chiuse prima di tornare a fissarlo, con gli occhi lucidi d'impazienza.
"Stefano ti ho detto di--"
"No!"
"No?"
"Non verrò con te. Non ce ne possiamo andare. Io non posso venire con te!" - disse.
Damiano scosse la testa.
"Non hai la minima idea di ciò che stai dicendo..."  - gli rispose.
"No, sei tu che non hai la minima idea di ciò che stai facendo, invece!" - ribattè Stefano - "Cosa vuoi? Che noi due fuggiamo dalla casa di nostro padre? E' una pazzia!"
"Vuole dividerci!" - obiettò Damiano - "Vuole spedirmi a Venezia cosicchè possa avere campo libero per manipolare la tua vita. Vuole farti diventare come lui, togliendoti ogni libertà di scelta. Vuole prendere il mio posto. Vuole tenerti lontano da me!"
Stefano si fece avanti, un pò timoroso di fronte a tanta ostilità, ma riuscì a poggiargli entrambe le mani sulle spalle. Benchè avessero tre anni di differenza, ormai avevano raggiunto più o meno la stessa altezza.
"Damiano, è di nostro padre che stai parlando, non di un mostro. Hai mai provato a pensare che forse si è reso conto degli errori che ha commesso in passato e sta cercando di sforzarsi per riuscire a fare la cosa più giusta per il tuo futuro? Pensaci! Vuole che tu vada a Venezia perchè sa quanto tu hai bisogno di sapere di poter prendere le tue decisioni senza nessuna influenza esterna. Ti ha concesso di poter studiare qualsiasi cosa tu voglia per poter intraprendere qualsiasi strada tu scelga, che sia anche all'opposto della sua. Ci sta provando veramente, me lo sento!"
Damiano scosse la testa e sfuggì alla sua presa, distogliendo lo sguardo e facendo un passo indietro, con le braccia incrociate al petto.
"Tu sei troppo buono, Stefano. Vedi il bene ovunque. Ti fidi troppo." - gli disse.
"E se non fossi io quello che si fida troppo? Se, invece, fossi tu quello che si fida troppo poco? Non siamo noi due contro il mondo intero, non c'è marcio ovunque."
Suo fratello tornò a guardarlo. Aveva il respiro corto e una profonda ruga gli segnava la fronte aggrottata.
"Tu vuoi che io me ne vada? Vuoi che ti lasci da solo?" - gli chiese, nella sua voce Stefano riconobbe incredulità.
"No è questo il punto. Non si tratta più di me, ma di te. Ti sei dato tanto da fare per darmi una vita degna di questo nome, una vita felice, che spesso penso che tu, per occuparti di me, abbia trascurato te stesso e non è giusto. Anche tu meriti la tua dose di felicità e se lasciare questa casa, lasciare me, ti aiuterà ad ottenerla....allora si, voglio che tu insegua il tuo desiderio di libertà, voglio che tu lasci Firenze, lasci ogni incombenza che riguardi la mia buona crescita a me e a nostro padre per fare quello che ti riesce meglio: scoprire ciò che è nascosto dietro l'angolo e che ancora non conosci. Voglio che provi a pensare soltanto a te stesso per una volta e a vedere che succede!"
Stefano aveva parlato col cuore, mettendoci l'anima in ogni parola da lui pronunciata, ma ciò che gli parve di scorgere negli occhi tumultuosi di suo fratello non era ciò che si era aspettato di vedere quando aveva cominciato quel discorso.
"Già parli come lui!" - lo accusò - "Non si tratta di te? Certo che si tratta di te! Per quanto mi riguarda si è sempre trattato di te. Tu non puoi volere che io vada via perchè io non posso andarmene, lo capisci? Io devo proteggerti, devo assicurarmi che tu stia bene. E' questo il mio compito. E' questo ciò che faccio, ciò che ho sempre fatto, giorno dopo giorno, negli ultimi dodici anni. Non potete portarmelo via. Non potete pretendere che io lasci perdere tutto adesso e semplicemente....pensi al mio futuro. Non esiste. E' al tuo futuro che devo pensare. L'ho promesso a nostra madre e l'ho promesso a te il giorno del suo funerale. Ti ho promesso che non me ne sarei mai andato, come puoi non ricordartelo? Me l'hai chiesto tu!"
"Me lo ricordo! Mi ricordo tutto! Ma tu non capisci! Non è così che devi vivere. Proteggere me non può essere l'unica cosa che conta. Io ormai sono cresciuto, posso cavarmela, me lo hai insegnato tu stesso. Adesso devi preoccuparti della tua vita! Hai fatto un ottimo lavoro con me, ma è arrivata l'ora che tu la smetta di combattere per me e cominci a combattere per te stesso, per trovare il tuo posto nel mondo. Quando nostra madre ti ha chiesto di farmi conoscere cosa significava essere felici, sono convinto che non volesse che, per onorare una simile promessa, tu mettessi da parte te stesso. Ed io ti ho chiesto di non andartene mai, è vero, ma noi siamo fratelli, siamo sangue dello stesso sangue, non importa quanta distanza fisica ci sia tra di noi, ci saremo sempre l'uno per l'altro."
Un pesante silenzio travolse entrambi. Stefano si ritrovava stanco e spostato dopo tutto ciò che si erano detti. Per un attimo, un attimo solo, si permise di distogliere lo sguardo da suo fratello per farlo volare ad una delle candele accese, la cui fiamma aveva improvvisamente preso a tremolare come conseguenza ad uno spiffero d'aria causato dalla lenta chiusura di una delle ante del suo armadio.
"Quindi tu vuoi che io me ne vada." - concluse Damiano.
Stefano tornò a guardarlo e annuì, una sola volta, con serietà.
"Si, voglio che tu vada via." - confermò.
Damiano prese un respiro, diede un piccolo colpo con un ginocchio al baule che giaceva lì, ricolmo di cose ai suoi piedi, poi gli voltò le spalle e si diresse alla porta, fermandosi solo per riprendere la candela con la quale era entrato.
"Damiano?" - Stefano lo fermò mentre faceva leva sulla maniglia per poter uscire - "Tu hai capito, vero, il perchè? Hai capito il motivo per il quale io voglio che tu vada a Venezia, giusto?"
Damiano restò immobile per parecchi istanti, fermo sulla soglia della porta, dandogli le spalle.
Stefano, in cuor suo, desiderava soltanto che si voltasse e che gli dicesse di non preoccuparsi, che alla fine aveva compreso le sue ragioni.
Damiano non si voltò. Non si voltò nè gli rispose.
Lasciò la stanza.

Sentiva di aver perso.
Non appena Giuseppe gli aveva detto che presto sarebbe partito, Damiano aveva cominciato a lottare perchè sapeva che se fosse andato via qualcosa gli sarebbe stato strappato, ma quella sera, faccia a faccia con Stefano, era stato come se quel qualcosa gli fosse già stato portato via prima ancora che lasciasse quella casa.
Quel qualcosa di così tanto indefinito era il suo ruolo tra quelle mura, il suo ruolo nella vita di Stefano, l'unica vita di cui gli era mai importato qualcosa, effettivamente.
Cosa gli rimaneva senza più quel ruolo? In quella villa in cui aveva l'impressione di essere diventato quello di troppo, quello senza uno scopo da perseguire, sicuramente non gli rimaneva più nulla.
Salì su quella carrozza quando il sole era soltanto un lieve e lontano bagliore aranciato e la luna era ancora alta nel cielo e non dava segno di voler sparire, molte ore prima dell'ora fissata per la sua partenza.
C'era soltanto lui, lui e il cocchiere.
Disse all'uomo di partire dopo essersi concesso soltanto una breve occhiata alla finestra della camera di suo fratello.
Voleva che se ne andasse e lui lo stava accontentando, ma la promessa che gli aveva fatto quando erano bambini ancora gli scalpitava nel petto.
Con o senza il suo consenso, per proteggerlo oppure no, non lo avrebbe lasciato. Mai. Per il resto dei suoi giorni.

Stefano riaprì gli occhi il giorno dopo un paio d'ore prima del solito. Neppure ricordava quando era riuscito ad  addormentarsi, sapeva soltanto che, dopo che Damiano aveva lasciato la sua camera, si era messo a letto a fissare le fiamme di quelle candele ancora accese per non pensare, fino a che probabilmente le palpebre gli erano diventate pesanti ed aveva ceduto al sonno.
Nonostante avesse dormito poco, però, si era svegliato presto per assistere agli ultimi preparativi per la partenza di Damiano e per poter salutare suo fratello ribadendogli brevemente che se voleva che partisse non era perchè non lo voleva più nella sua vita, ma che lo desiderava per lui, per il suo avvenire.
Si buttò un pò d'acqua sul viso e si vestì in fretta, precipitandosi al piano di sotto.
A metà scala, però, si era già reso conto che qualcosa non andava.
A quell'ora avrebbe già dovuto essere tutto pronto, con tanto di carrozza all'ingresso e porta spalancata, ma non c'era niente e non c'era nessuno.
Si guardò intorno, confuso, poi sentì dei passi e la voce di suo padre provenire dall'esterno. Si affrettò a raggiungere una finestra e vide Giuseppe scambiare poche parole con il loro secondo cocchiere prima di ritornare in casa, sfuggendo al freddo del mattino.
Stefano si accigliò e lo raggiunse.
"Padre! Cosa succede? Dov'è la carrozza? E Damiano? Dov'è mio fratello? Avrebbe già dovuto essere qui, pronto per il suo viaggio..." - fece.
Giuseppe annuì e gli posò una mano su una spalla.
"Damiano è già partito." - gli rivelò.
"Cosa? E' impossibile! Io...non ho neppure avuto modo di salutarlo. Perchè nessuno mi ha avvertito?"
"Nessuno è riuscito a salutarlo, Stefano. Tuo fratello è partito in piena notte" - gli rispose - "Non ti angosciare, vedrai che statà bene."
Stefano avrebbe voluto davvero seguire il consiglio di suo padre e non angosciarsi, ma non ci riusciva, non poteva.
La notte prima aveva detto a Damiano che loro due non si sarebbero mai persi, ma proprio quella discussione, la partenza solitaria e notturna di suo fratello, la freddezza con cui aveva lasciato la sua camera....
Stefano cominciava a non essere più tanto certo di poter credere alle sue stesse parole.




NOTE:
Ciao a tutti! Ecco qui il nuovo capitolo, l'ottavo. Dopo questo, tra due settimane ci sarà il nono e poi l'epilogo di questa storia.
Che dire...ve l'avevo detto che, nonostante il titolo, nessuno si rompeva un osso, no?XD
La frattura, a parte gli scherzi, è ovviamente di tipo diverso, riguarda il rapporo tra i fratelli, ma la si vedrà maggiormente nel prossimo capitolo che sarà narrato a due anni di distanza, giusto poco prima dell'arrivo di una certa vampira.
In questo capitolo, infatti, il salto temporale è stato di appena dieci giorni, quelli che Giuseppe aveva concesso a Damon nello scorso capitolo prima della sua partenza.
E alla fine Damon parte.
Insomma, lo sapevamo che partiva, nel primo libro viene detto chiaramente che Damon torna alla villa e incontra Katherine dopo essersene tornato a casa dall'università.
Il fatto interessante, credo, era capire perchè partiva, visto e considerando che sembrava piuttosto deciso a non volerlo fare.
Non è un bel capitolo per Damon, si mostra immaturo, attaccato alle promesse che ha fatto prima a sua madre e poi a Stefan e al ruolo che si è ritagliato negli anni e non vuole lasciare perchè crede di non avere nient'altro.
Dal mio punto di vista - magari sbaglio, fatemi sapere voi come la pensate - tra i due, nonostante tutto, quello che più dipende dall'altro fratello non è Stefan, ma proprio Damon.
Stefan ha una vita sua, grazie alla sua indole e grazie al fratello è stato in grado di crearsela abbastanza serenamente. La vita di Damon, invece, mi è sempre sembrato che ruotasse intorno a quella del fratello. Vuoi per proteggerlo, vuoi per distruggerlo, Stefan sembra sempre il perchè di fondo di ciò che Damon fa.
Ma questo è solo un mio pensiero random, eh!XDXDXD
Vabbè...vi lascio.
Ringrazio tutti coloro che hanno letto e/o recensito lo scorso capitolo**
Vi aspetto lunedì 8 ottobre sul blog per lo spoiler, mentre per il capitolo...
A giovedì 11 ottobre...BACIONI...IOSNIO90!!!




   
 
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