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Autore: past_zonk    27/09/2012    2 recensioni
{Aurikku! ~ }
Son passati tre anni da quando Auron è scomparso, ma nel cuore della ragazza c'è ancora traccia di lui. Ogni notte uno strano sogno le fa visita, fino a quando uno strano accaduto la catapulterà in un'avventura inaspettata.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rikku, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'As you were Humbert.'
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Image and video hosting by TinyPic...Salve a tutti! Eccomi qui tornata, finalmente, con il nuovo capitolo! Mi dispiace da morire averci messo così tanto *crycry*, ma diciamo che mi sono un tantinello "distratta".
Beh, forse è un po' corto come capitolo, ma vi assicuro che sto lavorando assiduamente al continuo di questa storia! Aspetto pareri, e intanto vi dedico questo Auron giovane e imbronciato qui vicino! :D
eveyzonk.





Jumpin’ in a dream
Capitolo terzo – l'inizio.




 
 
 
Non sapevo cosa mi aspettava.
Non sapevo tutto questo dove m’avrebbe portato, non sapevo se era un sogno.
L’unica cosa di cui ero stata certa, era la sua voce, nel mare buio di Besaid, che m’aveva chiesto se ne ero sicura. Una parte di me sapeva di cosa stava parlando.
La voce di Auron, quella notte, parlava di rischiare tutto per lui.
Di viaggiare nello spazio e nel tempo, in un sogno o una realtà senza confini ben tracciati, per noi. Per quello che eravamo stati, ma per soprattutto quello che non eravamo potuti essere.
Auron mi stava chiedendo se ero di nuovo pronta a soffrire in nome di un fantomatico amore. Se ero pronta, come in passato, a farmi del male senza alcun freno, pur di vivere la vita.
Che sciocco.
Certo che sono pronta.
Certo che ti farò del male. Certo che me ne farai. Certo che ce ne faremo. Ma questa è la condizione stessa dell’esistenza. Farsi primavera, significa accettare il rischio dell’inverno. Farsi presenza, significa accettare l’assenza.
 
 
 
 
Battei le palpebre un paio di volte. Aprii e richiusi gli occhi, nella confusione generale.
Ok, Rikku, rilassati. Fai un check completo della situazione attuale.
Ok. Bisogna mettere le idee a posto.
Stato fisico: la nausea mi attanaglia ancora lo stomaco, la schiena mi fa male come se avessi dormito per un bel po’ su una superficie scomoda, gli occhi mi bruciano, la testa mi fa male. Direi che potrei riassumere il tutto in: sensazioni simili al post-sbornia. Bene.
Stato mental-sentimentale: voglio dire, confusione più totale. Ed ho paura di aprire gli occhi, sì. Sento qualcosa di…diverso…dentro me. Non so di cosa si tratti e non so se lo voglio sapere (RIKKU! NON SEI UNA CODARDA, VERO?)
No, non sono una codarda. Mi rifiuto di esserlo.
Apro gli occhi di scatto per non ricadere nell’indecisione. Su di me non c’è il cielo di Besaid, ma una…tenda? Mhng.
Sposto lo sguardo leggermente più in basso, riesciuscendo a vedere le mie gambe stese, e della roba varia nella tenda con me. Delle…scorte di pozioni? Mhng. Non promette per niente bene. La tenda è piccola, dev’essere al massimo per due persone, ma sono sola. Qualcuno (almeno che io non abbia una doppia personalità, hic!) deve avermi poggiato la testa su una sorta di cuscino da viaggio, di quelli che alla fin fine possono servire pure da borse.
Che frustrazione. Che mal di testa.
Dove sono, dove sono, dove sono? DOVE. SONO.
Pretendo di saperlo!
Ehy, ma…mnhg, sento delle voci.
Rikku! Torna a dormire! – mi ordino mentalmente.
Ricado immediatamente sul giaciglio e chiudo gli occhi, fingendo di dormire, affidandomi completamente al raffinato udito da ladro ereditato dalla mia famiglia.
Com’è che dicono i vecchi detti Albhed? Ah, sì: ruba qua, ruba là, l’udito s’affina, tralallalallà!
No, aspetta, forse la rima non era esattamente così… Ma, sì, che importa dopotutto? Il succo è questo.
Nella tenda entra qualcuno (odore di salice e sakè…non può essere), stringo un po’ gli occhi per sembrare davvero addormentata (il cuore mi batte; no, non può essere…no, no, no!).
-T’ho vista-
La voce.
La voce, la voce, la voce.
La sua voce.
No, Rikku, stai impazzendo. Non può assolutamente essere. Sei impazzita, ti sei fritta il cervello come fosse bacon, lasciatelo dire. Dopotutto, in quanto te stessa, t’ho sempre voluto bene. E sai cosa fanno le persone che ti vogliono bene? Ti dicono la verità.
Non se ne vanno senza averti avvisato che – oi piccola io me ne vado, è stato bello star con te, ma sono morto, sai, avevo dimenticato di dirtelo, ma comunque, ehy ci si becca in giro…nell’oltremondo…prima o poi, diciamo che è meglio poi che prima, eh – no. No. Non è così che si fa.
Rikku, sei ancora in tempo per recuperare una briciola di sanità.
E invece no.
Invece apro gli occhi di scatto, stupida-istintiva-ragazzina-disordinata, ma sopratutto stupida, stupida, stupida!
E, e sapete cosa?
Il mio fiato. Il mio fiato, sì, il mio fiato si blocca nel petto, pesante come fosse piombo. I miei occhi si sgranano e quasi pungono. Le mie membra si immobilizzano. La mia mente cerca disperatamente una spiegazione chiara perché, ecco, ora, davanti a me, tutto sguardo di fuoco e due occhi, capite? Due, due, DUE occhi, c’è Auron.
Auron, lui, in persona, diciamo. Diciamo.
La prima cosa di cui rimango incantata sono i suoi occhi; il suo sguardo ostile e profondo, come un precipizio. Guardare negli occhi Auron è sempre stato come affacciarsi sul bordo di un baratro infinito. Sono scuri, e…sapete, ora mi viene in mente la parola famelici. Oppure rabbiosi.
Un fuoco rabbioso arde nel suo sguardo. I miei occhi come una calamita sono ancorati ai suoi, in un momento piccolissimo che però nella mia mente si dilata. È come se l’avessi guardato per ore; come se cercassi una traccia del mio Auron in questa sua copia più giovane. Osservo l’occhio sinistro, dove non posso più osservare la sua cicatrice.
E poi…la sua voce. Profonda anch’essa, ma affilata, infida…cattiva, quasi? È cattiveria quella sento? Cos’è?
Rosso, rosso ovunque. Il suo caro vecchio soprabito rosso scarlatto da monaco. Spicca subitaneamente alla mia vista. Per tanti anni la mia mente ha cercato tra la folla quell’alone di rosso.
Infine, i suoi capelli. Una leggera treccia gli ricade sulla spalla. Sembrano setosi. Sono neri, neri più di qualsiasi altra cosa abbia mai visto. Gli guardo la fronte e non trovo le consuete sfumature grigiastre che v’erano.
Poi mi risveglio da quest’attimo infinito.
La sua voce è fredda come una stilettata, e mi riporta alla realtà.
-Dovresti ringraziare la magnanimità di Lord Braska, albhed-
E, no, se ve lo state chiedendo, non l’ha detto al fine informativo, quell’albhed. Era come se volesse farlo risuonare un insulto.
Cosa…?
Stropiccio gli occhi.
Dove mi trovo? Perché? Cos’è questo sogno? SVEGLIATI SVEGLIATI SVEGLIATI!
Chiudo gli occhi e respiro.
Giusto il tempo di sentire, nella tenda, una voce gentile – Basta così – dice. È Braska. Lo so, dentro me. È zio Braska.
Apro gli occhi e osservo la figura vicina all’uscita della tenda, inerme e sconvolta.
-Buongiorno. Se ti senti bene…beh, potresti venire anche fuori. Questa tenda mi pare un luogo alquanto angusto per presentazioni- dice con un sorriso gentile.
Mi riscuoto dal momento di panico e annuisco, cercando di alzarmi. Qualche osso della schiena mi schiocca. Ouch. Davvero scomodo.
Auron (è lui?) esce dalla tenda in quella che sembra una giornata soleggiata.
E, oh sì, se lo è. Esco anche io e vengo subito colpita dai raggi solari che quest’oggi innaffiano il Fluvilunio. Chiudo gli occhi e sorrido leggermente alla luce del sole.
-È strano vedere il Fluvilunio tanto soleggiato. Immagino la tua gente apprezzi particolarmente questo clima-
In Braska non c’è alcun tono di disprezzo nel pronunciare le parole la tua gente. Anzi, posso sentire una sorta di rispetto in esse.
Zio Braska era sposato ad un albhed, penso, dopotutto.
Osservo la riva del fiume, i lunioli che s’inseguono sullo sfondo chiaro dell’acqua limpida. Sorrido. Quasi gli occhi cercano Tobli e la sua schiera di Hypello che solevano star qui, su questa parte del Fluvilunio. I miei occhi cercano le macchine, le motojet.
Dev’essere davvero un sogno.
Sorrido placida a Braska, e penso a quanto il suo tono di voce sia simile a quello di Yuna, così accomodante, come se a lui davvero importasse della gente. A terra ci sono dei giacigli improvvisati. In uno di questi c’è un uomo, Jecht, penso – a questo punto – che dorme nonostante il sole sia alto. Russa leggermente, nasale.
Sposto lo sguardo per pochi secondi su Auron (stento ancora a crederci), mi fa male la testa.
-Devi essere stanca- dice Braska.
-Io sono Braska da Bevelle, sono in pellegrinaggio verso Zanarkand con i miei due guardiani.- prosegue facendo un piccolo inchino.
-Auron- e il suo sguardo si posa piano sulla figura in rosso.
-E Jecht- dice indicando il malloppo di coperte -Sta dormendo…ieri…ehm…è stata una giornata pesante per lui- Braska tossisce leggermente. Il monaco sbuffa di sottecchi.
Oh. Capisco.
Quando eravamo qui al Fluvilunio in pellegrinaggio, con Yuna, Auron ci raccontò cosa successe. Jecht s’ubriacò e attaccò uno shoopuf. Per tutte le macchine! Che coraggio. Hngh.
-E, se posso, lady, qual è il tuo nome?- mi chiede, gentile come immaginavo fosse mio zio, osservandomi da sotto le sopracciglia.
Cosa gli dico?
Dove mi trovo?
Una sensazione di panico si dipana dentro me.
Perché m’hai portato qui? Per mostrarmi il vostro viaggio? E se ora dico a Braska il mio nome mi riconoscerà come sua nipote? Ho…paura.
Panico e rabbia. Auron deve averlo notato. I suoi due occhi sono fissi su di me, inquisitori.
Facciamola finita subito, penso.
-Rikku- dico, per poi abbassare lo sguardo. Cosa succederà, ora?
-Mhn, dev’essere un nome comune fra gli albhed-
Alzo lo sguardo, stupita. Braska non ha sospettato nulla. Quasi mi metto a ballare il mio ballo della vittoria.
-Cosa ci facevi svenuta sulla riva?- mi chiede brusco Auron. La sua voce, la sua voce, non mi abituerò mai abbastanza a sentirla!
-Non…non lo ricordo-
Auron mi guarda negli occhi, leggermente corrucciato. Non si fida di me. Beh, come biasimarlo? Non sa neanche chi io sia.
Questo non è l’Auron che conoscevi o che credevi di conoscere. È uno yevonita, Rikku! È un guardiano fedele e non lascerà che niente intralci il pellegrinaggio di Braska. Neanche una seccatura. E se in passato (futuro?) t’aveva accettato nel viaggio di Yuna era solo…beh, solo perché Yuna lo voleva. Non mentiamoci.
-Beh, hai un posto dove tornare, Rikku?- chiede Braska.
No. Non ce l’ho.
Mi mordo un labbro. Non so davvero cosa rispondere. Lo stomaco mi si ritorce. Ho paura. Voglio svegliarmi.
Voglio svegliarmi e affrontare la mia vita di rimpianti e ricordi. E magari andare avanti. Che senso ha essere qui fermi nel passato? Perché m’ha portato qui? Non appartengo a questo luogo.
Voglio svegliarmi a Besaid e continuare ad essere triste, a rimuginare, ad essere ferma nella mia epoca, senza un qualcuno con cui parlare, senza nessuno d’amare forte.
Ma non sarei me stessa…io sono Rikku; io adoro le avventure, io non ho paura ad andare avanti e rischiare di soffrire per una buona causa.
Non importa quante ferite mi recherà, io continuerò a provare. Ed era questo che lui vedeva in me un tempo.
-Rikku, scusaci un attimo- Braska mi risveglia dai miei pensieri.
Cammina verso la riva del Fluvilunio, Auron lo segue. I due discutono in silenzio, ogni tanto si girano ad osservarmi.
Leggo qualche parola sul labiale di Auron; assurdo, albhed, no (tanti no), inutile. Ed infine, dopo un po’, Auron abbassa la testa e un yes my lord gli si articola sulle labbra.
Braska cammina verso di me, Auron rimane lì dov’è, occhiate astiose nei miei confronti (fanno male).
-Rikku, ti scorteremo fino alla Casa del viante della Piana dei Lampi, potresti rimanere lì tra la tua gente. Non me la sentirei di lasciare una ragazza nel bel mezzo di un bosco pieno di mostri…-
Sorrido raggiante.
È un inizio. Non so dove mi porterà, viaggiare con loro. L’unica cosa che posso davvero sentire è la fiducia che ho in questo viaggio. Non so perché, ma dentro me sento è giusto che io vada con loro. C’è un motivo per il quale mi sono svegliata qui, in questa realtà-sogno-passato. C’è sicuramente un perché, ed io lo scoprirò.
Sono Rikku, la principessa Albhed, ehy!
-Grazie!- squittisco prima di saltellare, felice –Grazie grazie grazie grazie! –
-EHY?- sento una voce rude da poco sotto i miei piedi.
-Ooops-
-Bella vista da qui-
Arrossisco immediatamente alle parole di Jecht, steso nel suo giaciglio, mentre sbircia sotto la mia minigonna.
Dannato giocatore di blitzball pervertito!
Mi allontano correndo, sbattendo contro il petto di Braska e nascondendomi dietro di lui proprio come una bambina. Non lo posso vedere, ma scommetto tutto quello che ho in tasca (poco più di niente) che Auron sta alzando gli occhi al cielo.
Jecht s’alza in piedi e si sgranchisce il collo. Mi osserva.
-Quindi, chi è lei?- chiede, a tono troppo alto.
-Rikku!- rispondo, mettendo le mani sui fianchi e guardandolo con il miglior cipiglio che ho potuto adottare al momento.
-E…?-
-Era svenuta sulla riva del Fluvilunio. L’accompagneremo fino alla Piana dei Lampi, non sarebbe giusto lasciarla qui-
Parlano come se non sapessi badare a me stessa. Umpfh. Ok, meglio fare la parte della ragazzina in pericolo, per ora.
-Rikku, at your service!-
-Uhmpf-
-Auron?-
-Lord Braska, è assurdo!-
-Assurdo?-
-Lei…insomma…umpfh-
Auron si volta di spalle, esala un lungo respiro e poi s’avvia per un po’ verso la foresta lussureggiante del Fluvilunio. Pensandoci, è stato proprio in questo posto che iniziò il mio pellegrinaggio con Yuna. Che sia un segno?
Braska mi lancia uno sguardo di scuse al quale rispondo con un piccolo sorriso timido. Jecht mi si avvicina e m’osserva in silenzio con un sopracciglio alzato e le braccia incrociante sul petto.
-Allora…? Cos’è che fa tanto infuriare Auron? Vi conoscete già per caso?-
-No!- rispondo senza esitazione..
Forse davvero non ci conosciamo. Dopotutto non è lo stesso Auron.
-Credo sia il fatto che sia Albhed- aggiungo, a voce bassa. Avevo dimenticato cosa si prova.
-E cosa centrerebbe?-
-Gli albhed sono sempre stati discriminati dalla popolazione yevonita, in realtà senza alcun motivo concreto. Mi spiace ammetterlo, ma Auron è totalmente in torto e vittima di pregiudizi senza alcuna base…- risponde Braska, corrucciato.
-Non lo biasimo…- dico, guardando la sponda del fiume e i lunioli che si confondono con la luce del sole.
-Dovresti invece!- Braska alza quasi la voce –Non dovresti far sì che giudichino la tua razza! Non essere così rassegnata! Auron deve imparare a superare la sua mentalità estremamente yevonita, ed imparare ad andare oltre…-
Annuisco quieta, mentre vedo la figura in rosso tornare al campo e iniziare a impaccare la tenda in silenzio. Non credo sia una buona mossa avvicinarmi, adesso.  Lo osservo per un po’ ma m’accorgo che sposta sempre il suo sguardo ben lontano da me. È quasi doloroso vedere quanto Auron sia diverso…dopotutto ora non aveva ancora visto e vissuto l’enorme ingiustizia che la chiesa yevonita ha portato avanti per millenni, e per la quale perse i suoi amici…forse era stato proprio quello a cambiare il suo modo di essere, pensandoci.
Mi sento nel  posto sbagliato…cosa ci faccio qui? Mi sento una spiona, come se stessi vivendo qualcosa che non avrei dovuto neanche sapere o vedere, mi sento come se stessi invadendo tutto questo senza alcun riguardo…eppure è stato proprio lui a portarmi qui, indietro nel tempo, l'altra notte, a Besaid…è stata la sua voce a chiedermi se ne fossi sicura, e a farmi risvegliare sul Fluvilunio di tredici anni prima,  fra le braccia della sua versione più giovane. Sono confusa (si vede dalla mia sintassi esagitata, no?)
Aiuto Jecht e Braska a mettere a posto negli zaini le loro scorte, persa nei miei pensieri. Ci mettiamo in marcia ed entriamo nella foresta del Fluvilunio. Perfetto, penso con un sorrisetto, qui è pieno di tesori! Ci sarà da divertirsi!
Cammino a passo sostenuto accanto a Jecht che, di tanto in tanto, mi fa qualche domanda banale del tipo colore preferito? Oppure qualcosa del genere. Che sia na tecnica di abbordaggio? Ridacchio sottecchi pensando a quanto somigli al mio vecchio biondo amico. Verde, comunque.
Jecht mi racconta del blitzball, di quanto le fan si accalcassero per stringergli la mano e del suo “approdo” a Spira. Non citava mai Zanarkand, probabilmente Braska gli aveva detto di non dirlo a nessuno, proprio come io feci con Tidus – suo figlio.
Eheh! Jecht indovina chi ha avuto una cotta per quel biondastro di tuo figlio? Indizio: è bionda, albhed e ti sta di fronte. Eheh.
Ok, è stata una cosa molto veloce – un paio di giorni – e che s’è estinta quasi subito.  Diciamo che…è stato rimpiazzato, dai.
Dopotutto le cose non sarebbero state più facili se mi fossi innamorata di Tidus e non di Auron…sarebbe comunque scomparso nel nulla…beh, forse poi sarebbe comunque ritornato come è successo, però…non lo so.
Certe volte, subito dopo il pellegrinaggio, mi sentivo così tanto vicina a Yuna…è come se condividessimo qualcosa. Lei aveva perso Tidus ed io…beh, io avevo perso lui, era un qualcosa di molto, troppo doloroso, e mi sentivo affogare nei rimpianti.
Non gli ho mai detto di amarlo, credo. Anzi, ne sono sicura, mai detto. Avevo quelle parole sulla punta delle labbra, ma non osavo pronunciarle, perché sentivo che sarebbe stata la fine, mettere quel peso tra le braccia di Auron, un uomo così rotto e distrutto e fragile da non poter sostenere i suoi stessi pensieri... Vedevo in lui ogni paura ed ogni dolore come se li avesse esposti alla luce del sole.
Credo fosse per questo che accettò di parlare – di tanto in tanto – con me, di confidarmi qualcosa, perché io...io potevo leggere dentro il suo sguardo.
Non m’ha mai detto d’essere morto, non trapassato, mai. Non voleva ferirmi, credo, ma forse non ne aveva il coraggio, semplicemente. Forse aveva paura che mi allontanassi. L’avrei fatto? Non credo…l’amavo troppo.
Era un sentimento così forte da permeare tutto…era pieno, il mio amore per lui, era voglia di proteggerlo da tutto, era voglia di conoscere i suoi dolori e portarne qualcuno con me. Credo sia questo il vero amore…
 
 




 
Auron mi baciò, la prima volta, una notte, sul monte Gagazet, fra le guglie di neve e le stelle che illuminavano la sacra montagna. Sentivamo tutti Zanarkand avvicinarsi, e la tensione era pesante…non sapevo come calmarlo, vedevo il suo sguardo vagare furioso dalle stelle alla cima della montagna, e la sua mano tremare per qualche nervoso pensiero. Così mi sedetti prima accanto a lui, gli dissi che tutto sarebbe andato bene, che saremmo riusciti a farcela… mi guardò negli occhi, e lo vidi. Vidi tutto il vuoto che viveva dentro le sue iridi.
Vivi la vita ed essa ti svuota…pensai. Ecco un uomo che ha vissuto tutto il possibile da vivere...
Gli poggiai una mano sulla guancia ruvida di barba sfatta e gli feci poggiare le testa sulle mie ginocchia. Mansueto, si lasciò carezzare i capelli, e si lasciò sussurrare tutte le frasi di conforto che la mia mente rilasciava.
Andrà tutto bene, Auron…non essere triste…ci sono io. Non aver paura. Lo so che sei rotto dentro…ma io posso aiutarti…non perdere la speranza, soffiavo.
Mi sentivo quasi una bambina idiota, io che sussurravo quelle parole all’uomo che ci aveva protetti tutti per quasi un anno di pellegrinaggio? Ma era così stanco…
Auron girò la sua testa per guardarmi negli occhi. Caricai il mio sguardo di tenerezza, perché era quello che sentivo nei suoi confronti, e lui mi carezzò la guancia, vicino all’orecchio, con le sue dita callose. Poi mi sorrise, un sorriso piccolo e bellissimo.
S’alzò di nuovo a sedere e si tese su di me, nel buio della notte e del fuoco quasi estintosi.
Poggiò le sue labbra sulla mia guancia sinistra, le fece schioccare in un lento bacio, e poi si ritrasse di poco. Fui io ad avvicinare la mia bocca alla sua, esitante… lui mi guardo negli occhi e unì le nostre labbra, premendo con gentilezza. Fu così…leggero…quel bacio.
Poi si rialzò, e sussurrò un grazie strozzato che non dimenticherò mai più…
 
 
 
Braska mi fece riemergere dai miei pensieri.
-Rikku…-
-Ehy!-
Auron camminava velocemente davanti a noi; la foresta sembrava scarseggiare di mostri, probabilmente perché Auron l’aveva setacciata la notte prima; sapevo che aveva quest’abitudine, almeno durante il pellegrinaggio con Yuna.
Jecht osservava gli alberi e il cielo, camminando con le braccia incrociate dietro la nuca, in maniera molto rilassata.
Mi girai ad osservare Braska accanto a me, coperto dalle vesti d’invocatore e dal sorriso sincero. Assomigliava davvero tanto a Yuna, nel modo di sorridere. Ora capisco cosa intendeva Auron, quando lo diceva.
Saltellai un tantino sui miei piedi, sorridendo a Braska.
-Assomigli molto ad una persona che conoscevo- dice lui con un po’ di colpa negli occhi, abbassando lo sguardo al terreno.
Assomiglio a sua moglie…
-Oh, davvero?-
-Beh, sì…ma, dimmi, non puoi forse tornare a casa tua?-
-…no- rispondo, pensando ad una risposta più coerente.
-Come mai?-
-Diciamo che sono stata…esiliata-
-Non pensavo gli albhed arrivassero a tanto…è stato Cid stesso a cacciarti via?-
-Sì…- dico, arrossendo e guardandomi i piedi.
-Se sei stata esiliata addirittura dagli albhed non credo proprio ci si possa fidare di te, uhmpf- mormorò Auron.
-E tu che ne sai?-
-Ragazzi…!-
Auron si volta a guardarmi, rivolgendomi lo sguardo più disgustato di sempre.
-Eh? Cosa ne sapresti tu di cosa ho passato io nella vita?- sbotto d’un tratto. Sono furiosa.
-Di certo nulla, e non sai quanto poco ne voglia sapere-
-BENE! Allora tieni la tua lingua a bada quando parli di me e degli albhed-
-Non ho assolutamente detto nulla sugli albhed- disse composto.
-Come se quella faccia odiosa non parlasse abbastanza da sé!-
-Ragazzi, vi prego-
Braska mi tira leggermente per un braccio mentre continuo a urlare ad Auron gli insulti più svariati, provando quasi piacere nel vedere la sua faccia incazzata nera.
-E comunque sono stata esiliata perché ho preso parte ad un pellegrinaggio…- aggiungo, poi, per dare una botta finale al discorso.
Eheh, Rikku sei un genio…che trovata geniale che hai avuto, ora Auron non potrà controbattere.
-T’hanno permesso d’andare in pellegrinaggio? Uhmpf.-
Mi infurio definitivamente.
Trovi sempre una scappatoia, eh Auron?
-Auron!-  Braska lo riprende quasi subito. L’uomo in rosso gira le spalle e continua il suo cammino.
Jecht s’avvicina ridacchiando e mi sussurra un ironico “secondo me gli piaci”.
Uhmpf. Odio questa situazione.
-Con chi eri in pellegrinaggio?-
-Con una certa…Gimnem- dico, mentre prego mentalmente che non sia davvero in pellegrinaggio, che non sia ancora un’invocatrice ma che soprattutto Braska non la conosca.
-Oh, non la conosco…Il pellegrinaggio, s’è…fermato?- chiede lui con sguardo preoccupato.
-Sì, lei…è morta, nella grotta del crepaccio- recito benissimo la mia parte abbassando lo sguardo -Ero molto giovane…- dico, poi, piano.
Braska mi poggia una mano sulla spalla.
-Non dovresti sentirti in colpa per questo, un invocatore sa a cosa va incontro intraprendendo questa strada-
Sorrido piano a Braska.
Deglutisco. Di certo Braska non sa a cosa sta andando incontro. No, non lo immagina minimamente, tutto il marcio che ribolle nelle fondamenta di questa istituzione, tutte le bugie e le false speranze. E la vera domanda è: avrebbe intrapeso lo stesso il pellegrinaggio se l'avesse saputo? Ed Auron?
Potrei spiattellare tutta la verità ora, ed impedire a Braska di continuare questo viaggio, ma sopratutto...evitare la morte di Auron.
E se potessi davvero cambiare il futuro?
Tutto sarebbe diverso. Yuna non sarebbe motivata a intraprendere la strada di invocatrice, Sin non sarebbe sconfitto, e Spira continuerebbe ad essere un vortice di morte. Seymour avrebbe creato un suo dominio insano.
Farei davvero tutto questo per salvargli la vita?
Questo sogno iniziato da poche ore mi sta lentamente consumando la razionalità. Anche solo la vista della sua schiena, mentre cammina ritmico davanti a me, mi rassicura e allo stesso tempo mi fa partire, veloce, il cuore.
E, tristemente, penso che per quanto potrei averlo amato, non farei una cosa del genere: non distruggerei il futuro della mia Spira per un uomo che credevo di conoscere.
E così, mentre camminiamo sullo sterrato di un vecchio e vintage Fluvilunio passato, mi sento impotente, mi sento sola, nel luogo sbagliato, e proprio non capisco cosa io stia vivendo, se non i ricordi di un uomo che amavo.




 

   
 
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