Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Brooke Davis24    28/09/2012    2 recensioni
1708, Altoona, Pennsylvania.
Sophie, il suo essere indomita, caparbia, fiera, spesso sfrontata ma più di tutto donna, come poche altre riuscivano ad essere a quel tempo. Incastrata da un affetto troppo grande per non essere deleterio, riuscirà a liberare il suo cuore dalle catene che tentano di soggiogarlo?
Tratto dal terzo capitolo:
"Ora che nessuno avrebbe più potuto farle pesare ciò che era, rimpianse di non averlo compreso prima, di aver versato lacrime amare per via del modo in cui era stata guardata. Non avere i genitori era sbagliato, parlare con la gente di colore era sbagliato, correre, inzaccherarsi nel fango, giocare alla guerra con i ragazzetti era sbagliato, rispondere a tono era sbagliato. Esisteva qualcosa nel mondo che, per una donna, non fosse compromettente? La risposta era giunta qualche tempo dopo la sua partenza, quando il suo cuore le aveva suggerito che, qualunque cosa avesse fatto, la gente l’avrebbe additata per il solo gusto di farla sentire fuori posto, arrogandosi un diritto che nessuno avrebbe dovuto possedere su un essere umano. Come poteva un uomo giudicare l’anima di un altro e il modo in cui essa veniva espressa senza mai averne preso visione?"
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
5. Guai
Erano trascorse presso a poco due settimane dal giorno di Natale e l’ultimo dell’anno aveva portato via quel che rimaneva dell’eccitato clima dicembrino. L’attesa spasmodica dei festeggiamenti, della compagnia degli amici e famigliari, dei regali e dello stare insieme si erano attenuati e, pian piano, un po’ per volta, ogni cosa era tornata al suo posto. Le donne avevano smesso di affaccendarsi ore ed ore in cucina nel tentativo di compiacere i propri cari, gli uomini erano tornati a lavoro di buona lena, il paesino aveva ripreso a risuonare del solito, non eccessivamente caotico brusio che da sempre lo aveva caratterizzato e le bestie rimaste avevano potuto tirare un respiro di sollievo, almeno per il momento.
Anche la dimora del signor Woods aveva cominciato a godere di una rinnovata pace e a bearsi dell’agognata tranquillità di tutti i giorni: il periodo festivo era stato così ricco di impegni e preparativi quotidiani che il signore della tenuta, la nipote e la servitù tutta gioirono del silenzio presente in casa e dei ritmi meno frenetici. Gli amici del padrone, benché fossero persone gentili e a modo, appartenevano ad una classe abituata ad un alto tenore di vita, nella quale gli sconti non erano ben visti: il cibo doveva essere sublime, le lenzuola fresche di bucato ogni dì, i domestici pronti a fornirgli ciò di cui avevano bisogno e l’intrattenimento mai banale.
Come ogni anno, Jordan Woods non aveva deluso le loro aspettative e, inutile a dirsi, neppure quelle degli inservienti. Con l’avvicinarsi del Natale, era cresciuta nei loro animi la consapevolezza che avrebbero dovuto sgobbare più che in qualsiasi altro periodo dell’anno e, pur sentendosi in dovere di adempiere ai rispettivi compiti con serietà e zelo, non avevano potuto nascondere parte dell’invidia che provavano verso i signori dei piani alti: sarebbe piaciuto anche a loro stare in panciolle fino a mezzodì, cavalcare, leggere o fare qualunque altra cosa permettesse di svagarsi senza soffrire la morsa della fatica. Sarebbe risultato penoso per chiunque notare la differenza sussistente tra la condotta degli uni e degli altri, ma la povertà è spesso una situazione di disequilibrio e quel caso non faceva eccezione alcuna.
Ad ogni modo, oltre alle risa, alle danze, ai giochi, agli appetiti saziati, quelle feste avevano rivelato tante piccole novità che avevano colto impreparati diverse persone. Una in particolare continuava a far bisbigliare: la corte del giovane figlio del conte Spencer si era fatta asfissiante più di un’enorme nuvola di fumo derivante da un incendio di grandi proporzioni e sembrava che il ragazzo puntasse ben più in alto di quanto ci si potesse aspettare; Sophie aveva sentito il signor Woods borbottare qualcosa di vagamente riconducibile ad un possibile matrimonio tra lei e il damerino poco più che ventenne, invaghito della sua bellezza, e poco era mancato che urlasse a tutti gli invitati non il suo disappunto ma la sua cieca furia.
Erano stati necessari l’intervento di Joe, i consigli di Besede e le preghiere di Catherine affinché non facesse sciocchezze per dissuaderla dall’idea di rivelargli che non avrebbe mai accondisceso ad una sua proposta, nemmeno se una simile unione le avesse assicurato un regale tenore di vita fino alla fine dei suoi giorni e la possibilità di spendere e spandere per le colonie della Pennsylvania. Una sera, la sua collera era stata così acuta che aveva cominciato a raccattare le sue cose in una piccola valigia con l’intento di recarsi presso il porto più vicino e salpare sulla prima nave disponibile per chissà dove.
L’aveva ferita l’idea che il signor Woods, il conte Spencer ed il figlio stessero tramando alle sue spalle, concordi su un’unione per la quale non avevano nemmeno chiesto la sua approvazione, dando per scontati i suoi sentimenti e le sue preferenze come non rilevassero ai fini del piano progettato. Per l’ennesima volta, le era parso che le venisse palesato senza troppi rigiri quanto in poco conto venisse tenuta l’opinione di una donna e la sua disapprovazione aveva sfiorato i contorni dell’odio, in alcuni momenti. Come osavano permettere ad una simile idea di germogliare? Quale scherzo di assai cattivo gusto era quello che la vedeva attorniata da un garbuglio di aspettative il cui centro focale era lei?
Si sentiva la protagonista di uno spettacolo al teatro delle marionette: ognuno cercava di farle fare quello che più preferiva e, infischiandosene di una qualsiasi opposizione, prevedeva di muoverla da una parte all’altra del palco, mettendo a tacere qualunque lamentela. Sebbene le sue membra non fossero legate a nessun filo e il suo temperamento tempestoso non si fosse quietato un solo istante per far valere la sua posizione, Sophie non riusciva a scacciare dalla mente la consapevolezza di essere impotente ai loro occhi. Avrebbe potuto essere dolce e garbata, spiegandogli che non desiderava andare incontro a quel destino, ma avrebbero considerato le sue riserve come testimonianza del suo buon cuore e della sua modestia. Avrebbe potuto urlare e strepitare e, allora, avrebbero visto una pazza in lei. Sarebbe potuta salire in groppa a Tuono e fuggire via, ma l’avrebbero cercata in lungo ed in largo, pensando ad un rapimento. Qualunque fosse stato il suo atteggiamento, sapeva che non l’avrebbero ascoltata, né compresa, né giustificata. Era una donna e, ai loro occhi, l’unica sua reazione, dinanzi alla proposta di matrimonio di un giovanotto ricco e di belle speranze, sarebbe dovuta essere d’entusiasmo. Nulla più.
Non riusciva a capacitarsi, a maggior ragione, del comportamento di Jordan Woods. Possibile che fosse cambiato tanto in quei sei anni? L’uomo con cui aveva avuto a che fare sin da bambina, l’adorato zio di Catherine per cui la nipote avrebbe fatto qualunque cosa, persino sposare una persona a lei poco gradita, le aveva insegnato a fidarsi delle persone, a non diffidare a priori di chi possedeva più di lei con la convinzione che l’unico intento possibile fosse quello di nuocerle, a parlare e spiegare le sue ragioni per chiarire le incomprensioni e, in virtù del bene che Catherine le aveva voluto sin dall’inizio, le aveva fornito un’istruzione degna del fior fiore dell’aristocrazia inglese. Era stata la sua erudizione in merito a permetterle di comportarsi come una perfetta gentildonna ai pranzi e alle cene cui era stata invitata e tanta grazia, unita ad una bellezza sconvolgente e ad un temperamento così ardito e affascinante, aveva fatto il resto, provocandole l’impiccio di una corte sgradita.
L’iniziale galanteria del giovane si era ben presto trasformata in spasmodica ostentazione mirata a colpirla, gli sguardi d’apprezzamento in lunghe osservazioni in grado di metterla a disagio, le gaie conversazioni in sproloqui su promesse che Sophie non avrebbe mai voluto sentire e il garbato modo di offrirle il braccio o chiederle una danza un’occasione in più per stringerla con veemenza e rinnovare il suo oppressivo ardimento. All’infuori delle prime, blande reazioni che l’avevano vista compiaciuta dai cortesi complimenti di un conte ma ferma nel respingerli, l’atteggiamento della ragazza era cambiato profondamente col trascorrere del tempo: era diventata sfuggente, caustica, riluttante anche al solo pensiero di averlo intorno, ed aveva preso ad ignorarlo con cotanta convinzione che la soddisfazione arrecatale dal dispiacere di lui era stato un balsamo per i suoi nervi.
Questo, almeno, prima che il suo piano le si ritorcesse contro. Le distanze che aveva volutamente messo tra sé e Dwain sembrava avessero instillato ancora più a fondo in lui il desiderio di dichiararla di sua proprietà e, benché si fosse negata per lunghi giorni, adducendo le scuse più assurde e rimanendo lontana dalla dimora fino a tarda sera, Francis Spencer e il figlio sembravano più che persuasi a portare a termine lo scopo che si erano prefissati, ritardando la partenza per concludere l’affare in breve. Il conte era un uomo affabile e alla mano ed era rimasto indiscutibilmente colpito da Sophie sin dalla prima sera: non gl’importava che fosse di misere origini, che non avesse una dote e che molti membri della nobiltà avrebbero potuto ciarlare sulla stoltezza dimostrata nell’accogliere un’orfanella cresciuta dai domestici nella propria famiglia. A lui la giovane piaceva e desiderava che Dwain fosse felice! Il resto non era di suo interesse.
A tutto questo, si era aggiunta un’altra voce che Sophie si era quasi rifiutata di accettare per vera, finché la conferma non era venuta dalle labbra di una persona di cui si fidava come di se stessa e persino più. Catherine le aveva segretamente rivelato che Carter Matthews, quel pomposo ficcanaso, si era recato, qualche tempo dopo l’avvento del nuovo anno, presso lo zio di lei con l’intenzione di renderlo partecipe di una verità fino ad allora taciuta. Per quello che Jordan Woods le aveva raccontato tra un borbottio ed una meditazione, sembrava che il trentenne avesse rivelato di non essere mai stato un indigente in cerca di una collocazione lavorativa; si era presentato, quindi, come il figlio di Marcus e Penelope Matthews, i vecchi proprietari di quella che, da circa trent’anni, il signor Woods considerava la sua casa e che aveva migliorato e riportato alle antiche glorie col sudore del suo lavoro e di uomini a lui fidati. Lo aveva reso partecipe delle vicende travagliate che avevano visto i due coniugi prendere le distanze dalla tenuta insieme ai figli e alla servitù e, senza mezzi termini, aveva confessato che un proposito di vendetta avesse guidato la sua cavalcatura sino a lì, il giorno in cui aveva chiesto e ottenuto l’impiego da contadino per le terre del maniero.
Lo zio di Catherine era rimasto meditabondo e la sua espressione era parsa corrucciata, mentre l’altro aveva proseguito con voce rassicurante, giurando sul suo onore di aver mutato pensiero subito dopo il suo arrivo. La ragione per cui era rimasto, non lo aveva nascosto, era dipesa, in parte, dal desiderio di riavere uno dei luoghi a lui più cari e che tanto gli ricordavano la sua beata infanzia e, per altro verso, dal volersi assicurare che quella stessa proprietà prosperasse e non appartenesse ad un avido bagordo. Prima di congedarsi e lasciare Jordan Woods alle sue riflessioni, si era scusato per la finzione e le menzogne, si era complimentato e dichiarato onorato di saperlo signore della sua vecchia casa e, cosa tanto importante quanto strana, lo aveva pregato di mantenere il riserbo circa quella storia, permettendogli di rimanere qualche altro tempo al suo servizio sotto le sembianze dell’umile servo.
Erano trascorsi almeno una decina di giorni da quel colloquio e nulla era mutato rispetto alla considerazione che, tanto in città quanto nei confini di casa Woods, si aveva del bell’imbusto dal carattere silenzioso e dalle membra instancabili. Anzi, Catherine aveva aggiunto che suo zio si era dimostrato di gran lunga più cordiale nei confronti dell’uomo, facendo sì che anche la diffidenza di molti altri lavoratori rispetto al forestiero si attenuasse.
«Buonasera, madmoiselle!» proruppe una voce all’improvviso e Sophie, immersa nelle sue riflessioni alla misera luce del focolare della cucina, sobbalzò vistosamente, spalancando gli occhi e indurendo l’espressione nel timore di essere stata scovata da Dwain Spencer. Un sospiro di sollievo le rilassò i muscoli, quando i suoi occhi scorsero i lineamenti di Carter Matthews affacciarsi attraverso la soglia, e il pensiero di non aver usato il chiavistello, in un atto di imperdonabile negligenza, la portò a corrucciare la fronte. «Sembrate parecchio nervosa, o sbaglio?» le domandò, mentre faceva il suo ingresso nella stanza in tutta la sua statuaria e possente bellezza e si liberava della giacca con atteggiamento confidenziale. Era evidente che si recasse spesso in cucina col benestare di Besede, pensò Sophie e, istintivamente, arricciò il naso.
«Non mi aspettavo un’incursione a così tarda ora, signore, nulla di più.» Rigirandosi la tazza tra le mani, lo osservò accostarsi alla panca prossima al tavolo e prendere posto esattamente dinanzi a lei. «Cosa ci fate qui?» indagò e la sua voce fu velatamente sospettosa.
«Sono assente da qualche giorno e pensavo che Besede avrebbe gradito un saluto.» le spiegò con fare spiccio, dedicandosi, poi, ad un’occupazione che, da un certo periodo a quella parte, si era dimostrata la più gradita tra tante. La sua attenzione si volse completamente verso il centro catalizzatore del suo interesse e vi rimase più del dovuto. Sophie aveva le guance arrossate dal calore del fuoco nel camino, i capelli lunghissimi e ondulati raccolti su una spalla e gli occhi smeraldini frangiati di lunghe ciglia scure, ricurve verso l’alto. Una strana, imprevista ondata di piacere investì Carter e l’uomo lasciò che i suoi occhi si dissetassero della bellezza cui, nelle settimane trascorse, la sua memoria non aveva saputo rendere giustizia. Gli mozzava il fiato ogni sacrosanta volta!
«Avete finito o è previsto che continuiate ancora per molto?» fece irritata e l’altro ridacchiò, poggiando le braccia sul tavolo di assi di legno e puntando il proprio sguardo dritto in quello di lei.
«Dovete scusarmi, signora, ma quasi dimenticavo l’effetto che avete su di me.» disse e Sophie colse la nota di vibrante sarcasmo nella sua voce avvolgente. Placida, portò il bicchiere alle labbra, bevve un piccolo sorso e ristette nella posizione originaria.
«Spiegatemi cosa ci trovate di tanto divertente nell’uscirvene con queste frasi, signore» E si interruppe un istante con calcolata lentezza. «perché io proprio non riesco ad afferrarlo.»
«Divertente, dolcezza? Potrei provarvi ora e subito quali sono gli effetti che la vostra vicinanza mi provoca. Persino pensarvi è più doloroso di quel che credete!» le rivelò e il sorriso lascivo che indugiò sulle sue labbra per più di un istante lasciò intendere con chiarezza quanto impudiche potessero essere le sue fantasie. Una ventata d’imbarazzo le salì alle guance, ma la sua espressione rimase impassibile e, tacitamente, ringraziò il camino per averle fornito una scappatoia al rossore che, altrimenti, avrebbe destato più che un sospetto. Maligna, incurvò la bocca verso l’alto.
«Siete un uomo tanto sensibile, ebbene?» chiese e la sua allusione alla mollezza di spirito arrivò dritta a Carter, che, per la prima volta da quando l’aveva conosciuta, sentì scalfito il proprio orgoglio.
«Al fascino femminile, estremamente. Tenete pur conto che, da quando sono qui, non è stato semplice trovare una compagnia per le notti più fredde.» rispose, ma la sua lingua sparò un colpo a vuoto. Sophie sapeva molto di più di quello che Carter potesse immaginare e, forse, più di quanto fosse lecito ad una ragazza della sua età non ancora maritata.
«Siete stato costretto a fare da voi, deduco.» disse e mosse la mano in un gesto indicativo del petto di lui. L’uomo inarcò le sopracciglia e mostrò i candidi denti in una smorfia che avrebbe potuto mozzare il fiato alla più reticente delle fanciulle. Sophie ricambiò con espressione innocente e il sorriso più angelico che fosse mai stato visto sulla faccia della Terra.
«E questo da dove viene? Da voi, come i pensieri sulla completa autonomia delle donne?» indagò e riuscì a malapena a trattenersi dal renderle pan per focaccia. Se fossero stati più in confidenza, avrebbe ribattuto in maniera differente, ma, a quelle condizioni, non poteva valicare troppo presto un limite che non era certo di voler oltrepassare. Riteneva fosse la creatura più appetibile, incantevole ed insopportabilmente cocciuta che avesse mai incontrato in vita sua e, indipendentemente dalla giovane età, lo affascinava come nessun altra donna era riuscita a fare; al contempo, tuttavia, non era ancora in grado di determinare se il gioco valesse la candela.
«Un po’ di qui e un po’ di là. Chi può dirlo con certezza?!»
«Vi piace giocare col fuoco, Sophie. Potreste scottarvi, non ve l’hanno mai insegnato?» l’ammonì bonariamente e Carter si stupì quando vide il volto di lei cambiare espressione. Non poteva sapere che, ridestandosi dai più oscuri anfratti del suo animo, si agitò nella giovane il timore di attrarre su di sé le attenzioni di una persona che aborriva quasi quanto Dwain Spencer. E proprio in quell’istante, quando la sua mente si atteggiava a previdente organo, le sue orecchie carpirono il suono di una voce che riaccese in lei le più sconvolgenti emozioni. Sbattendo le mani sul tavolo e alzandosi di scatto, inspirò a fondo nel tentativo di placarsi, ma la rabbia e lo sdegno erano troppo impetuosi perché riuscisse a domarli. Il liquido all’interno della tazza oscillò pericolosamente, fuoriuscendo in parte dall’orlo.
«Giuro che, stavolta, abbiamo oltrepassato il limite.» bisbigliò e la sua voce suonò così furente che, alzandosi a sua volta, Carter si chiese cosa diavolo fosse accaduto, se le sue parole potessero davvero aver provocato una simile reazione. Sophie gli passò accanto con l’incedere di un guerriero avido del sangue del nemico e fu l’istinto che lo spinse a tendere il braccio e ad agguantarla per il polso, tirandosela contro.
«Che sta succedendo?» inquisì e, quando ella si voltò a guardarlo da una così esigua distanza, con gli occhi fiammeggianti di un ardore battagliero come pochi altri ne aveva visti, il trentenne tentennò sui propri buoni propositi di dimostrarsi un perfetto gentiluomo. In quelle settimane, aveva così spasmodicamente rivolto i suoi pensieri verso di lei, sebbene lo ritenesse deleterio, e i suoi bisogni d’uomo si erano così accresciuti al punto da rendere in quel momento ardua l’impresa di non soggiacere ai suoi più bassi istinti.
«Quell’insopportabile, eccitato damerino da strapazzo non si è ancora arreso. Giuro di tirargli il collo con le mie mani e di metterlo a brodo come un pollo!» sbraitò a voce mediamente bassa e, nonostante la collera che le lesse negli occhi ed il desiderio di domandarle qualcosa in più, Carter non riuscì ad impedirsi di scoppiare in una fragorosa risata. Fu la mano piccola e affusolata di lei a interrompere la sua ilarità e ad attizzare un fuoco che stava tentando di domare con tutto se stesso, con ogni stratagemma possibile, perfino l’ilarità: nel tentativo di zittirlo, Sophie gli aveva chiuso la bocca, premendogli le dita contro le labbra, ma dovette repentinamente notare lo scintillio preoccupante di quegli occhi scuri e roventi, perché ritirò altrettanto subitaneamente l’arto. «Siete un guaio, signore! Volete che si sveglino tutti?Ascoltate, piuttosto…» lo invitò nel tentativo di togliersi di dosso la violenta sensazione di aver agito troppo confidenzialmente con un uomo di cui non conosceva nulla. Per quello che ne sapeva, al di là del fatto che provenisse da una famiglia evidentemente molto ricca, poteva essere un bruto, un furfante o un libertino e, pur certa che avrebbe combattuto fino all’ultimo respiro nel caso in cui l’avesse fatta sentire in pericolo, non poteva negare di essergli inferiore in quanto a forza. L’unico modo in cui avrebbe potuto batterlo era l’astuzia!
«Cos’è?» le chiese, ben lungi dall’idea di allentare la presa sul polso sottile della ragazza, ma altrettanto incuriosito dallo strano lamento che le sue orecchie stavano udendo. Sophie si fece di nuovo paonazza e le parole uscirono dalle sue labbra con tale impeto che, tra la sorpresa e lo stordimento per la femminilità che solleticava i suoi nervi, Carter impiegò qualche istante per recepire il messaggio.
«E’ quell’idiota che mi perseguita dalla Vigilia. Lui, suo padre e il signor Woods si sono messi in testa di combinare un matrimonio, ma dovranno passare sul mio cadavere piuttosto.»
«Matrimonio?» fu tutto ciò che riuscì a dire, osservando i tratti del suo viso.
«Già! E’ la cosa più abominevole che abbia mai sentito, persino più di questa sottospecie di serenata. Ma non durerà a lungo, nossignore!» esplose e, con uno scatto secco del braccio, si liberò dalla stretta dell’altro e corse in direzione dell’uscita. Armeggiò col chiavistello, prese una sbarra di ferro posta accanto all’entrata e, spingendo la porta, fu sul punto di oltrepassarla; ma la terra venne a mancarle sotto i piedi, i movimenti del suo corpo cessarono e, in un rapido, inaspettato frangente, fu di nuovo in cucina. Dovette lottare contro se stessa per impedirsi di muovere all’indietro la spranga e fracassare la scatola cranica della persona che l’aveva presa per la vita e bloccata, prima che potesse realizzare il suo proposito. Rigirandosi fulminea tra le braccia di Carter Matthews, Sophie gli sbatté l’asta contro il petto una, due, tre volte e, poi, ancora finché non lo vide crollare sulla poltrona di Besede e boccheggiare nel tentativo di inspirare.
«Cosa vi è mai saltato in mente, brutto idiota?» Quasi urlò, pur essendosi ripromessa di far piano, e le sue mani tremarono sull’oggetto che stringeva in maniera convulsa, mentre il desiderio di proseguire sulla scia della violenza tendeva tutti i suoi nervi. «Tenete quelle luride zampacce al vostro posto, signore. Sono stata chiara?!» Nei suoi occhi, Carter vide scintillare il baluginio delle fiamme del camino a testimonianza di quanto prorompente fosse ciò che si agitava in lei, e, ignorando il dolore al petto, scattò e agguantò la sbarra; la presa di lei, però, era ferrea e, benché avesse la certezza di poter vincere quel gioco di forze con un solo strattone, l’uomo decise di optare per una scelta differente: con due passi lunghi e decisi, la spinse ad indietreggiare finché non l’ebbe costretta contro il muro.
«Signora, avete davvero bisogno di po’ di disciplina.» bisbigliò e il suo tono fu cupo e rabbioso.
«Oh, e vorreste accomodarvi?! La fila è lunga!» La voce di Sophie suonò aspra, ben lontana dall’essere intimorita. La frustrazione e la rabbia che aveva accumulato in quelle settimane sarebbero state bastanti a spingerla incoscientemente contro un’orda di pirati ubriaconi, senza tener conto delle possibili conseguenze. Ed era pur vero che il trentenne avesse fatto la mossa sbagliata nel momento sbagliato: dopo giorni di corteggiamento serrato, la sola sensazione di essere sfiorata da un uomo e mossa come una bambola si era dimostrata sufficiente ad inasprirla più del normale.
«Se fossi vostro marito, vi prenderei e sculaccerei fino a rendervi doloroso persino sedervi.» disse e le sue parole la ferirono così profondamente nell’orgoglio che Sophie perse in maniera definitiva il controllo. Da animo inquieto e passionale qual era, agì per vendetta e furia e il risultato fu che Carter si sentì planare un colpo ben assestato su uno degli arti inferiori e, prima ancora che avesse il tempo di lamentarsi, le ginocchia gli cedettero sotto i colpi del lungo ferro e un secchio d’acqua gelata gli venne rovesciato addosso.
«Sculacciatevi da solo, brutto nobile dei miei stivali!» urlò, del tutto fuori di sé, e pestò il piede contro il pavimento.
Quello che accadde dopo fu un trambusto di proporzioni gigantesche, data l’ora. Con una sorta di basso, rabbioso ringhio, Carter si alzò, intenzionato a fargliela pagare, ma Sophie comprese il suo intento con largo anticipo e, alla domanda lontana di Besede che chiedeva cosa diavolo stesse succedendo nella sua cucina, trovò la scappatoia migliore cui potesse aspirare. Era abbastanza scaltra da sapere che, se fosse uscita all’esterno, si sarebbe dovuta lanciare in una corsa a perdifiato, dalla quale non aveva la certezza che sarebbe uscita vincitrice; e, se fosse rimasta lì, avrebbe avuto ben poche occasioni di opporsi alla sua forza mascolina. L’unica cosa che le rimase fu fiondarsi oltre una delle porte della stanza e raggiungere la camera da letto della negra, che, per sua fortuna, aveva acceso una candela, rendendole più semplice la ricerca. Sentiva i passi decisi e furibondi del suo inseguitore dietro di lei e, quando raggiunse la meta e sprangò l’entrata con una sedia, dovette apparire sconvolta, perché la cuoca la guardò con tanto d’occhi.
«Aprite immediatamente!!!» tuonò l’uomo, al di là dell’uscio, e Besede si dimostrò ancora più sorpresa quando riconobbe il timbro del suo protetto. Il cuore di Sophie perse un battito, mentre tentava di regolarizzare il ritmo del suo respiro, e, ad ogni colpo inferto alla superficie lignea della porta, il suo sgomento, la sua rabbia e, in minima parte, il suo timore crescevano alternativamente.
«Che diamine succede, Sophie?»
Il rumore del legno fracassato fece sobbalzare entrambe e le due donne videro l’imponente figura di Carter Matthews avanzare con decisione nella stanza. La più giovane fu rapida nell’afferrare un candelabro di vecchia manifattura dal mobile alla sua sinistra, un oggetto che ricordava fosse estremamente caro alla negra. Poco male!, si disse, Un po’ di sangue non può essere una così grossa tragedia!
«Dolcezza, che sta succedendo? Siete forse impazzito?» La cuoca, lasciando passare rapidamente lo sguardo dall’una all’altro, non seppe riconoscere il motivo di quell’acredine, ma, per prevenzione, si interpose tra i due, consapevole del fatto che Sophie fosse una bella gatta da pelare e certa che il cipiglio dell’uomo non promettesse nulla di buono. Fu solo a quella ravvicinata distanza che Besede si accorse del vestiario zuppo dell’altro e trattenne a stento un grido di sgomento, cominciando a comprendere cosa ci fosse di mezzo. «E’ stata Sophie?» chiese e, per placare gli animi, lo spinse a spostare l’attenzione su di lei con un gesto della mano.
«E chi altri?! Siete un demonio, donna!!!» fece Carter e, istintivamente, mosse un passo verso di lei, ma si trovò bloccato dalla corporatura importante della negra, che lo spinse indietro.
«E voi siete un eunuco con la testa piena di fuliggine!» ribatté, ribollendo di rabbia. Besede non avrebbe saputo dire chi dei due fosse meno in sé in quel momento, ma le parole di Sophie furono così insultanti che ella stessa trasalì. Dare dello sciocco impotente ad un uomo del genere? Ma come le era saltato in mente?
Il tempo di quella riflessione bastò affinché Carter riuscisse ad oltrepassarla. La cuoca si slanciò per fermarlo in avanti nello stesso momento in cui la ragazza muoveva il candelabro dinanzi a sé con l’intento di colpire Carter e fu una fortuna che la mano di lui le agguantasse immantinente il polso, perché salvò l’altra da una pesante botta in testa. Con uno strattone, il trentenne l’attirò verso il suo corpo e, quando Sophie cozzò contro il suo petto e i loro volti furono ad un palmo di distanza tra loro, nel suo animo si agitò una sensazione concomitante alla rabbia ma di natura diversa. Un tonfo gli segnalò che l’arma usata da Sophie era caduta sul pavimento e le accentuate rughe sulla fronte candida e solitamente liscia di lei lo ammonirono di aver stretto la presa più del dovuto.
«Oh, Signore! Smettetela! Basta!» Besede si catapultò tra i due, prima che Carter riuscisse ad allentare la pressione delle dita sull’arto della giovane, ed entrambi furono spinti ai capi opposti della stanza, ma non smisero di guardarsi. Era una sfida che non erano disposti a perdere, alimentata dall’affronto che ambedue sentivano di aver ricevuto dall’altro, ma le circostanze non erano le migliori per continuare la guerra. Saggio, l’uomo fu il primo a battere la ritirata e ad imboccare la strada verso la soglia, oltre la quale sia Betty che Joe guardavano sconcertati la scena. Prima di varcarla, tuttavia, si voltò a guardarla un ultimo istante.
«Non è finita, donna!» le promise.
«Puoi scommetterci!» giurò lei.
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Brooke Davis24