Crossover
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Autore: Furiarossa    28/09/2012    3 recensioni
The bird of Hermes is my name
Io sono un diavolo di maggiordomo, un perfetto maggiordomo ....
La sfida del secolo fra i demoni più potenti del mondo degli anime, Sebastian Michaelis e Alucard, ma soprattutto una sfida fra la famiglia Hellsing e la famiglia Phantomhive.
Hellsing e Kuroshitsuji, mistero, violenza, humor. 365 prove, una per ogni giorno dell'anno in cui i nostri personaggi dovranno affrontarsi.
Fra il comico demenziale e il terribilmente serio, esattamente come nella realtà, benvenuti al reality del secolo: benvenuti a Kuroshihellsing.
[Opere principali: Kuroshitsuji; Hellsing][Altre opere: Doctor Who, Dracula, Castlevania, Le Cronache di Narnia, Lost]
Genere: Azione, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Anime/Manga, Cartoni, Libri, Telefilm
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 100

Il centesimo capitolo

Viaggio all'Inferno e Dintorni

(Un capitolo veramente troppo lungo e caotico)

 

E siamo arrivati al centesimo capitolo, il centesimo spezzone di reality trasmesso dalla nostra beneamata casa di produzione di cui nemmeno conoscete il nome.

Intendiamo dunque festeggiare questo importantissimo traguardo rendendo tutto più … passionale e movimentato. Dando le giuste atmosfere.

In poche parole, faremo si che questa sia la giornata più incredibile di tutte quelle mai per i nostri cari concorrenti del reality.

Era l'undici Gennaio. Come già sapete, Ciel era stato rapito. E, come avreste dovuto intuire, bisognava ritrovarlo, perché sennò non si poteva andare avanti, e lo sciopero non era consigliato considerando quanto erano spaventosamente sadiche le autrici.

Sebastian camminò piano lungo il corridoio. Il segnale che li legava si era spento tutto d'un botto, ma, curiosamente, non dal Lato Oscuro della Casa.

Il misfatto era avvenuto proprio lì, dove nessuno avrebbe mai potuto sospettare. In casa della vittima. Sebastian annusò l'aria, portandosi una mano sotto il mento in un gesto riflessivo tipico del maggiordomo. Si ritrasse, come se fosse stato elettrificato da un campo di forza invisibile, spalancando gli occhi. Quell'odore …

«Signor Sebastian! Signor Sebastian! Venite qui, presto!».

Il demone si girò.

Finnian era semi-chinato per terra e indicava qualcosa ai suoi piedi. Sebastian si avvicinò al giardiniere e si chinò anche lui.

Era tanto piccola, tanto lucente, tanto innocua e splendida da pensare che fosse in un certo senso sbagliata in quella casa di orrori. Ed era questo che la rendeva tanto orribile

«Signor Sebastian, che ci fa una perla bella come questa in questa casa di cartone e plastilina? Sarà mica di cartone colorato?».

Il demone annusò l'aria. Non sembrava odorare di polvere da sparo, ma le diavolerie moderne erano così diaboliche da fregare anche un diavolo.

«Stai indietro, giardiniere. Potrebbe non essere di cartone, ma neppure innocua. Potrebbe essere una bomba che reagisce ad uno stimolo tattile. Non la toccare» ammonì Sebastian, serio. La piccola sfera continuava a mandare una luce lieve sotto la lampada, quasi come una specie di fantasma.

«Capito, signor Sebastian. Non la toccherò» annuì Finnian, con un sorrisone.

«Sei stato bravo a mostrarmela. Ora và a dire agli altri di ...».

Proprio in quel momento, Mey Rin decise che era il momento giusto di inciampare nei propri piedi, avvolgersi tutta nella propria gonna, lasciare dietro di sé gli occhiali, e atterrare malamente di faccia davanti all'amore della sua vita bellissimo perfettissimo fantastico la cui attenzione lei non avrebbe mai potuto attirare se non per un rimprovero o per una mansione casalinga Sebastian.

Finnian tremò.

«S-signor S-seb-bastian?» balbettò il biondo, alzando piano le mani come per pararsi da un'esplosione.

Mey Rin era caduta nel posto sbagliato al momento sbagliato

«Lo so, lo so» rispose il demone, pronto a scattare. Doveva ragionare, ragionare in fretta, prima che tutti morissero … Mey Rin sarebbe morta per la sua stupidità, non c'era altra via, ma …

La cameriera si mise a pancia all'insù e prese tra pollice e indice la perla.

Si aggiustò gli occhiali poi esclamò

«Che bella perla!».

L'atmosfera si sciolse all'istante. La perla non era una bomba? Ma all'ora cos'era? Era davvero cartone dipinto?

«Sono vivo!» disse Finnian, incredulo, a voce sempre più alta «Sono vivo! Sono vivo! Io sono vivo! Ah, il mondo non mi è parso mai così bello! Quanto sei bello, Bard, quanta barba fatta male che hai! E quanti bei capelli fucsia che hai Mey Rin, sei bellissima! E tu, Sebastian, hai gli occhi rossi e grandi, e tutti cigliuti, il naso piccolo, e un sorriso senza denti, ma, anche se descritti sono tutte cose brutte, tu sei bellissimo! Ah, com'è bello il mondo!».

Il giardiniere prese a correre a braccia spalancate strillando cose tipo «Che bella che sei, parete!» «Che bello che sei, Dalek che mi vuole ammazzare!» «Che bella che sei, colonna!» «Che bello che sei, televisore!» «Che sei … un po' meno bello, Giulo Cesale!».

Sebastian guardò la perla. Il problema è che, dopo oltre venti giorni nella casa del reality, Sebastian sapeva che una cosa così bella era impossibile da trovare nella Casa. Dunque cos'era …?

«Un biglietto da visita» realizzò ad alta voce, sbattendo le palpebre.

«Eh?» Finnian lo fissò «Cosa?»

«Un biglietto da visita» ripetè Mey Rin, infervorandosi. Questo era il suo campo, finalmente! Indagini! «Ma si, è un regalino di chi ha rapito il Signorino! Ho sentito spesso di assassini o malviventi in generale che lasciano un segno distintivo» la ragazza si aggiustò gli occhiali «Una firma, in pratica … immagino sia più divertente prendersi il merito delle proprie azioni. Di solito hanno un significato, non sono semplici oggetti … cosa può dirci una perla? Innanzitutto, si capisce che ha intenzione di farsi un nome, perchè un criminale mono-crimine non si preoccupa di cercarsi un segno distintivo»

«Giusta osservazione» approvò Sebastian «Un'altra cosa che mi fa pensare è che ...»

«...Sia una persona ricca» disse Bard «Sennò perchè lascia perle in giro?»

«Sarebbe giusto, se non fosse che … insomma, ti ricordo che è un malvivente» soggiunse Mey Rin «Le ruba. Non ha un costo, per lui, quindi potrebbe anche essere stato un poveraccio che lascia perle in giro e che si è elevato a riccone. E poi, probabilmente, tornerà tra un pò a riprendersela. Anche se, in effetti, non è la perla in sé a farci capire che non è un uomo particolarmente ricco, ma il delitto stesso. Se ha preso il signorino, vuole un riscatto, quindi ha bisogno di soldi, oppure lo ha rapito per conto delle autrici, e se ha accettato questo genere di lavoro ha bisogno sempre di soldi».

«Giusto» Ripetè ancora Sebastian. Rigirò per un paio di volte il piccolo gioiello tra le dita, poi lo avvicinò alla bocca

«Vuoi mangiartela?» chiese Finnian, incuriosito

«No, voglio sentirne l'odore»

«Ma è un bel po' difficile riconoscere il nostro malvivente dall'odore che ha lasciato sulla perla, anche perchè non è che una perla sia tanto ...» la voce di Mey Rin si incrinò e si ruppe. Nel silenzio lanciò uno sguardo Sebastian. Era una delle poche volte in cui il suo cervello registrava appieno e con timore che la sua bravura andava al di là dell'umano e dell'umanamente possibile.

Era incredibile...

La sua velocità, la sua abilità, la sua vista e il suo olfatto sviluppati aldilà di quelle che sono le possibilità di un essere umano adulto, e poi la sua mente incredibile, la sua capacità di architettare stretegie in pochi millesimi di secondo e la sua conoscenza della capacità di smacchiare i vestiti del Signorino Ciel persino dalle macchie più ostinate... era tutto così divino!

E se Sebastian fosse stato...

«Un angelo» Mormorò fra sé e sé Mey Rin

«Che hai detto?» grugnì Bard

«Niente, niente» rispose la cameriera, arrossendo appena

«Hai detto che...» il cuoco deglutì, perchè aveva fatto finta di non sentire bene, ma in realtà almeno un po' aveva sentito.

E Bard credeva che Mey Rin si riferisse a lui: un angelo. Il cuoco guardò bene la cinese e sospirò: non si era mai accorto di quanto Mey Rin fosse carina e dolce. Anzi, carina era poco: era bella, formosa, e anche timida, ma coraggiosa. E poi lavorava in villa Phantomhive ed era single...

Improvvisamente, come colpito da un fulmine terrificante e doloroso, Bard si innamorò.

Non aveva mai provato qualcosa del genere, un sentimento così forte e terribile, che lo riempiva totalmente così come acqua riempie un bicchiere e la cosa più incredibile fu che si sentiva felicissimo perchè sapeva di essere ricambiato da Mey Rin, che l'aveva definito “un angelo”.

Sebastian, mentre il cuoco sbavava guardando a bocca aperta la cameriera, annusò la perla.

All'interno del suo naso entrarono un paio di particelle odorifere, ma la superficie sensibilissima della mucosa nasale demoniaca riuscì a percepirle e distinguerle: si trattava di un odore abbastanza intenso, sicuramente maschile, non giovanissimo, appartenente ad una persona umana, alto, che aveva gli occhi scuri e i capelli scuri.

Come diavolo aveva fatto Sebastian a capirlo annusando solo una perla? Semplice: come diavolo fa un diavolo a fare diavolerie? Caspita, è un diavolo!

Una volta riconosciuto l'odore, Sebastian prese ad annusare in giro alla ricerca di una traccia. Non annusò rumorosamente, però, come faceva spesso Alucard, ma discretamente, con eleganza.

Mey Rin lo guardò insieme con ammirazione e con un pizzico di sana paura (ma a lei piaceva, avere un pizzico di sana paura, e le piaceva anche tantissimo), mentre Bard non notà neppure la presenza di Sebastian, troppo impegnato ad allungare spasmodicamente le mani verso Mey Rin cercando di capire se poteva passargli un braccio intorno alle spalle oppure abbracciarla o ancora palparle il sedere.

«Ehi, che cosa fate, sfigati?» Chiese il Maestro, che passava di lì accompagnato da Integra

«Cerchiamo» disse Sebastian

«Indaghiamo» disse eccitata Mey Rin

«Tocchiamo» disse invece Bard

«Toccate?» chiese il Maestro, poi tutti guardarono Bard.

Il cuoco tirò indietro le mani

«Che c'è?» domandò, stringendosi nelle spalle

«Cosa tocchiamo?» fece Sebastian, sollevando un sopracciglio

«Ehm... con mano... le prove» disse il cuoco, cercando di inventarsi una scusa sul momento «Noi stiamo... si, cercando delle prove. Della scomparsa di Ciel Phantomhive. Si, perchè non sappiamo chi è stato e abbiamo solo una misera perlina e Sebastian pensa di poter rintracciare il colpevole annusando, ma secondo me è un po' difficile» deglutì, quando il maggiordomo gli lanciò un'occhiata storta «Cioè, è un po' difficile per me, ma è chiaro che Sebastian può fare tutto quello che vuole. Ed è per questo che pensavo di allontanarmi insieme a Mey Rin: per permettere al virtuoso e intelligentissimo Sebastian di fare il proprio lavoro».

Il Maestro sbuffò, guardandoli con aria di compatimento, come a dire “poveri sfigati, che pena che mi fate”.

«Veramente ...» Mey Rin, sembrò pensarci su, e Bard ammirò le capacità recitative della ragazza cinese (che peraltro non erano in uso, ma Bard ci pensava e non siamo qui per sciogliere lacci e sgonfiare palloncini) «Beh, magari dovremmo chiedere a Sebastian che cosa ne pensa: magari ha qualche lavoro da affidarci».

Nel sentirsi tirare in causa Sebastian alzò di nuovo gli occhi «Oh, si … penso che qualcosa che potreste fare c'è: dovreste sorvegliarvi a vicenda» sorrise (e a Mey Rin fece tum tum il cuoricino) «Tu, Bard e Finnian dovreste rimanere tutti insieme. Separati, potreste essere aggrediti e rapiti com'è successo al Signorino; ma uniti ognuno rimedierà alle mancanze dell'altro, e saprete come difendervi. In particolare, state in guardia da un uomo ormai non più molto giovane, dai capelli scuri» concluse con un sorriso da gatto del Chesire, ma più affascinante e soprattutto incollato saldamente a una faccia visibile.

«Tu ne sai mica qualcosa?» chiese Bard, con aria severa

«Come mai questa domanda, cuoco?»

«Beh» disse Bard, imbarazzato «Hai detto di stare attenti a un uomo non più molto giovane e dai capelli scuri. E tu lo sei. E, anche se non fossi tu, come fai a sapere che l'uomo a cui dobbiamo stare attenti ha i capelli neri?».

Sebastian si alzò lentamente. Bard si sentì sovrastato (strano, Sebastian non era poi così alto rispetto al cuoco …), ma rimase stoicamente al suo posto, anzi, gonfiò il petto e attese il verdetto come gli avevano insegnato a fare in guerra.

Sebastian lo fissò negli occhi.

Bard rimandò lo sguardo. Sapeva che, adesso, era venuto il momento cruciale.

Il maggiordomo sorrise, un sorriso dolce … un sorriso colpevole.

Era venuto il momento di confessare.

«Lo sai» disse Sebastian, ancora con il sorriso stampato sulle labbra.

Bard deglutì.

«Io... »

Bard sorrise, trionfante: come aveva fatto ad essere così stupido? Se qualcuno odiava il conte Ciel Phantomhive, ultimo erede del suo casato, cane da guardia della Regina, quello era senza dubbio alcuno il suo maggiordomo Sebastian Michaelis. Sempre a dovergli obbedire, a quei capricci, a quella strana propensione al vederlo soffrire con cattive punizioni… chi poteva essere stato se non lui?

E con questo caso risolto da Bard il magnifico, avrebbe eliminato la concorrenza e conquistato una bella ragazza che amava il mistero!

«... Sono un diavolo di maggiordomo».

Eh?

«Ricordatevi di fare come ho detto. Tutti uniti, intesi? E … indagate, mi raccomando» “Finalmente questi servitori pasticcioni mi lasceranno svolgere il mio dovere di maggiordomo, e riuscirò di certo a trovare il mio Signorino”.

Bard si afflosciò, mentre veniva allegramente tirato via da Finny, caricato in spalla e sballottato come un pupazzo vecchio, mentre Mey Rin e il giardiniere cantavano una canzone di cui nessuno dei due era sicuro di conoscere né il testo né la musica in modo corretto, così improvvisarono perfettamente sincronizzati, con il risultato di apparire come un coro di mestoli di acciaio inox 18-10 battuti su delle pentole del medesimo materiale.

 

Ciel pensò che non ricordava di aver mai avuto un'emicrania così dannatamente forte: gli sembrava di avere della musica rock a tutto volume che lo rintronava da dentro. Gli pulsava la parte posteriore della testa in maniera insopportabile, come se lo stessero ritmicamente prendendo a martellate. Il ragazzo mugolò.

Soppesò se aprire gli occhi o meno, con la stessa delicatezza e perizia con cui avrebbe pensato al suicidio, poi decise che aprire le palpebre era futile nonché faticoso.

Aprire gli occhi era per gli sfigati, quando era futile e faticoso, perchè solo gli sfigati buoni dei libri, quando erano stati picchiati e catturati si guardavano intorno... Ciel non ne sentiva il bisogno, perchè lui era superiore a tutto e tutti. Tranne che alla Regina di Inghilterra (Dio la salvi!), ovviamente.

Ma qualcuno si avvicinò a lui e parlò con voce forte e metallica

«Bambino!» disse

«Non sono “Bambino”» rispose Ciel, sempre senza prendersi la briga di aprire gli occhi, perchè era faticosissimo e per non dare al rapitore (o forse salvatore?) la soddisfazione di poterlo guardare dritto nelle pupille «Io sono il conte Ciel Phantomhive, ultimo erede della casata dei Phantomhive! E tu devi essere sicuramente solo un vile straccione, se non conosci il mio nome e ti limiti a chiamarmi “Bambino”»

«Non sapevo il tuo nome» confessò la voce dell'uomo, leggermente imbarazzata «Quindi... beh, mi dispiace. Scusa, Ciel Phantomhive, penultimo erede della casata dei Phantomhive!»

«Cosa hai detto?» sibilò irato il piccolo nobile «Non sono il penultimo, sono l'ultimo erede! Inoltre per te non sono “Ciel”, ma “Il Conte Ciel”! Sono stato abbastanza chiaro?»

«Beh, sinceramente non mi sembri nelle condizioni più adatte per dettare legge, conte Ciel Phantomhive, ultimo erede della casata dei Phantomhive. Sono io che comando qui!»

«Tu non comandi un bel niente! Io sono un nobile e tu uno straccione! Guarda, non ti sto nemmeno guardando negli occhi!»

«Beh, nemmeno io» disse l'uomo, trattenendo una risata

«E cosa mi stai guardando? I capelli? Lo so, sono molto belli. Sebastian me li cura in modo stupefacente e perfetto, altrimenti lo bastonerei a morte»

«Come mai tieni gli occhi chiusi?»

«Troppo faticoso aprirli. E poi non voglio guardarti»

«Non vuoi guardare il tuo rapitore?» la voce dell'uomo era sorpresa «Perché mai una cosa del genere? Non vorresti sapere chi ti ha aggredito e portato via?»

«Non sei stato tu» tagliò corto Ciel «Perchè sono sicuro che sia stata una donna».

Per un istante, l'uomo rimase in silenzio, poi disse

«Come hai fatto a scoprirlo?»

«Elementare, Watson che non è il vero Watson ma solo uno straccione: mi hanno colpito per farmi svenire, quando mi hanno rapito, ma mi sono risvegliato brevemente mentre venivo trasportato e per un istante ho potuto notare il profilo di una donna, inoltre aveva chiaramente capelli lunghi, che i maschi portano raramente, e aveva indosso un profumo femminile, che tu proprio non hai, perchè sai di sangue come uno schifoso vampiro o un assassino. Sono stato rimesso fuori gioco prima di riconoscere chi fosse lei, ma adesso sono sicuro del fatto che a rapirmi è stata una donna!»

«Oh. Bravo ragazzino, non ti sei fatto confondere... va bene. Andrò a chiamarla per dirle che ti sei svegliato».

Solo quando l'uomo si allontanò, Ciel finalmente si concesse di aprire gli occhi.

Si trovava in una stanza non molto ampia, con le pareti di color rosso pomodoro graffitate come da una banda di piccoli teppisti con bombolette spray. I segni ricoprivano infatti soprattutto le parti basse delle pareti, come se chiunque avesse fatto quello scempio di scritte non fosse molto più alto di Ciel. C'erano scritte cose inquietanti, frasi sconnesse e un mucchio di “Morte” e “orrore” in lingue diverse condite da svariati schizzi di sangue finti disegnati con la vernice.

«Che diavolo...» Ciel stava per mettersi ad imprecare, ma decise di mettersi solamente seduto per guardarsi meglio intorno.

Dove diavolo era quel diavolo di Sebastian quando c'era bisogno di lui? Beh, che andasse al diavolo, lui e quei diavolo di superpoteri che non funzionavano quando ce n'era bisogno.

Ciel si accorse solo allora di aver pensato troppe volte la parola “diavolo” e subito dopo vide stagliarsi, nettissima, la scritta “Diavolo” sul muro, contornata da decine di scarabocchi.

«State scherzando, vero?» Chiese, scettico.

Si guardò intorno

«Yuhu? Ehi, lo so che è una candid camera! O forse uno scherzo di Prank Patrol o qualche altra disgustosa trasmissione di scherzi televisivi!».

Beh, convinto lui...

 

Intanto, nella casa del reality, stavano accadendo cose straordinarie... dove per straordinario intendiamo “i concorrenti non stavano male, non erano in difficoltà e soprattutto non avevano la nausea”. Beh, non la maggior parte... Sebastian, diciamolo, era un po' in difficoltà.

Ma lasciamolo stare e prendiamo chi invece era tranquillo e rilassato.

Per una volta nella vita (forse due volte...) non seguiremo i personaggi sotto shock o in fase di stress, ma vedremo le loro attività quotidiane nei pochissimi momenti che gli concederemo di tranquillità.

Osserviamo innanzitutto Finnian: era seduto. Aveva gli occhi puntati verso il muro. Sul muro saliva una mosca, una piccola mosca nera. Una cosa molto comune, insomma, una cosa che può capitare a tutti... si... di vedere una piccola mosca nera. Ma quanta gente la fisserebbe per delle ore? Infatti Finnian la stava già guardando da circa due ore e aveva tutta l'aria di non voler staccare lo sguardo da lì per nessuna cosa al mondo.

Ok. Carino. Ma muoversi no, eh? No. Finnian rimase immobile mentre la mosca andava su e giù per il muro e lasciava dietro di se qualche piccola cacca. Poi la mosca volò ed allora, finalmente, Finnian si alzò. E la seguì. La mosca si posò su un'altra parete e si mise a zampettare, probabilmente alla ricerca di cibo, ma non trovò niente, così riprese a volare. Finnian lo seguì e di questo passo, di muro in muro, si girarono tutta la casa. Salirono le scale.

La mosca trovò per terra un piccolo residuo di sangue secco e iniziò a ciucciarselo con gusto.

Finnian si accovacciò piano di lato al dittero, fissandola tutto interessato. Osservò gli occhioni composti, di cui uno, in questo particolare esemplare, era un po' girato verso destra e deformetto, il muso aghiforme e sporco di detriti e sangue, le alucce trasparenti e anonime, il corpo nero e cosparso di peli qui e lì, in modo squallido. Aveva cinque zampette sottili, anzicchè sei, perchè “chi non muore si rivede all'ospedale” (modo simpatico per dire che nella Casa del Reality era stagione di caccia inconsapevole alla mosca, quindi i poveri piccoli ditterini neri ne uscivano morti o gravemente mutilati). Oh, che bell'animaletto! E, sotto i suoi piedini, c'era …

Finnian si congelò sul posto, sperando e pregando vivamente che fosse Nutella un po' meno marrone del solito. La grattò leggermente con un unghia, poi si ciucciò il pollice tutto assorto.

«Sebaastiaaaaaaann!!».

Nel frattempo Bard, stava cercando un modo carino e galante per dire a Mey Rin che il presunto amore della cameriera era ricambiato. Si rigirava i pollici, pensieroso, mentre la cinese era assorta, cercando la tanto anelata risoluzione del mistero… e, magari, se avesse trovato il Signorino, Sebastian avrebbe anche capito quanto lei valeva e...

«Mey Rin?» chiamò il cuoco

«Si, Bard?»

«Volevo dirti... io pensavo che sarebbe stato carino… si, insomma… volevo dirti ...»

«Bard, il fatto è che penso che stiamo agli opposti» osservò Mey Rin, riflettendo con espressione severa sul fatto che il cuoco non sembrasse minimamente preoccupato per il rapimento per il loro Signorino

«Magari ci saranno delle difficoltà prima, Mey Rin, ma sono sicuro che dopo non ci saranno problemi» assicurò il cuoco, assicurandosi un fraintendimento «Basta adattarsi»

«Adattarsi?! Non possiamo adattarci e basta, Bard! Non si può, è sbagliato!» strillò Mey Rin

«Va bene, va bene, calmati... allora, cos'hai intenzione di fare?»

«Dico che dovremmo controllare bene tutta la situazione, e trarne le dovute conclusioni»

«Cioè?»

«Penso che dovremmo chiarire un paio di cosette...»

Ahi ahi” pensò Bard “Già cominciano i problemi” «Tipo?»

«Beh, lasciami riflettere...».

Dopo qualche minuto di silenzio, Mey Rin si accorse dell'assenza del giardiniere

«Bard» disse, allarmata «Come abbiamo fatto a non accorgercene prima?»

«Di cosa?»

«Finny manca da un bel pò»

«E allora?» chiese Bard, in un improvviso moto di gelosia

«Devo andare, mi dispiace!»

«Tieni più a lui che a me? Dimmi, a chi vuoi più bene?».

In quel momento, a Mey Rin arrivò l'urlo disperato di Finnian che aveva trovato del sangue secco.

«Finnian!».

La cameriera corse via, lasciando il povero Bard solo e rintontito.

Bard cadde in ginocchio. Poi si rialzò in piedi, pensando che non valeva la pena di buttarsi a terra e mettersi a gridare come un pazzo: era molto, molto meglio rimboccarsi le maniche e darsi da fare per conquistare Mey Rin. Sarebbe diventato l'uomo più amabile del mondo intero! Anche se era sicuro già di essere amato dalla splendida cameriera dai capelli fucsia... ma aveva un rivale! Quel maledetto ragazzino di nome Finnian!

Nella testa di Bard, Finnian divenne un'uomo incredibilmente alto, incredibilmente bello, con i capelli setosi come quelli della pubblicità, prestante, muscoloso, sexy e con la fossetta sul mento, ma senza un briciolo di cervello... insomma, in meno di mezzo secondo, Bard cominciò ad odiare il piccolo giardiniere di casa Phantomhive.

Nel frattempo, Finnian, che non era affatto alto, bello, con i capelli setosi (anzi, sembravano paglia), prestante, sexy e con la fossetta sul mento, era accoccolato per terra e stava gridando.

«Che succede, Finnian?» Domandò Mey Rin, preoccupatissima

«Questa cosa!» strillò il ragazzo, facendo volare via la mosca

«Questo cosa?» la cameriera si accovacciò accanto a Finnian e Finnian prese a spiegarle per filo e per segno quello che aveva visto... raccontandoglielo a partire dalla prima volta che aveva visto quella mosca.

Un racconto noiooosoooo e l e e e e e e e n n n n n n t u u u o o o o o o...

Bard arrivò lentamente, ma quando da lontano vide i capelli fucsia di Mey Rin, accelerò il passo. E poi la vide... la vide chinata sul pavimento, con il volto premuto contro quello di Finnian. In realtà non era affatto come stava pensando, i due servitori si stavano solamente parlando, ma come poteva saperlo il povero Bardroy, malato d'amore?

Così, pensò che si stessero baciando. Pensò che tutte le volte che Finnian si allontanava dal gruppo così a lungo, andasse ad incontrare segretamente Mey Rin... e si dimenticò completamente del fatto che Mey Rin, in realtà, durante quei momenti fosse sempre nella sua stessa stanza, e che quindi non poteva essere contemporaneamente anche con Finnian!

Ma Bard lo pensò. E questo basta.

«Tu ami due uomini!» Gridò, puntando il dito verso la cameriera «Ma devi scegliere, Mey Rin! Devi scegliere! E vedi di scegliere bene, perchè dopo non ne avrai più l'occasione!».

E detto questo, Bard girò sui tacchi e scappò via a gambe levate.

Stranita e senza capire niente, la cameriera si voltò verso il punto in cui c'era stato il cuoco

«Che è successo?» domandò

«Boh» Finnian si strinse nelle spalle «Ma qui c'è del sangue secco... hai detto che è questo, no?»

«Beh si, ma è del tutto normale» gli fece notare Mey Rin «In questa casa un sacco di gente si picchia, e in particolar modo la Master della squadra nemica fa sempre del male ai suoi servitori. Ci sono stati innumerevoli spargimenti di sangue in questi corridoi e non mi stupisco quindi di trovarne ovunque. Questa deve essere solo una delle tante piccole macchie. Altrimenti di cosa si nutrirebbero le mosche, visto che qui dentro non c'è abbastanza da mangiare neanche per noi e le scorte sono gelosamente conservate?»

«Giusto» assentì Finnian

«Quindi non è un indizio» riprese Mey Rin, alzandosi in piedi e portandosi le dita sotto il mento, in un gesto di riflessione «Come potremo trovare il signorino Ciel?»

«Perché, qualcuno se l'è portato via?»

«Ma tu dormi in piedi, Finnian? Certo che qualcuno se l'è portato via! L'hanno rapito, te lo sei dimenticato? Lo hanno detto le conduttrici, dagli altoparlanti!».

Finnian guardò Mey Rin con sguardo profondamente interrogativo per qualche istante, poi annuì

«Ah, si, certo! Me l'ero dimenticato!».

Mey Rin prese a passeggiare avanti e indietro per il corridoio

«Quindi, Finnian... io e te dovremo cercare. Bard sta impazzendo, non so dirti con esattezza il perchè del suo cambiamento, ma non sembra particolarmente in forma...»

«Già, è fuggito gridando!» esclamò Finnian, alzando le mani

«Esatto. Non va per niente bene»

«Secondo te perché?»

«Non lo so. Ha detto che devo scegliere fra due uomini o qualcosa del genere».

Mey Rin prese un profondo respiro. Forse aveva scoperto un indizio importante!

«Finnian»

«Si, Mey Rin?»

«E se Bard avesse voluto darci un indizio? Magari non poteva parlare apertamente, ma probabilmente lui conosce il colpevole del rapimento di Ciel!»

«Come fai a saperlo?»

«Beh, lui ha detto che devo scegliere fra due uomini. Due uomini, Finnian! Uno è il nostro signorino, l'altro è il nemico, l'antagonista, l'uomo che ha rapito il padroncino. Bard sa chi è, ma sa anche che questo potrebbe sconvolgermi perchè è qualcuno che anche io conosco. Ma devo scegliere, Finnian, scegliere fra la giustizia e il cuore»

«Ma secondo te chi è, Mey Rin?»

«E se fosse... Sebastian Michaelis?».

Un fulmine a ciel (dove ciel sta per cielo, e non per Conte Phantomhive) sereno cadde alle spalle di Mey Rin e Finnian sobbalzò, terrorizzato. Anche la cameriera fece un mezzo salto, ma il giardiniere si raggomitolò

«Caspita, amica!» disse «Forse hai esagerato con gli effetti speciali!»

«Ma non sono stata io!» gli assicurò la ragazza «Neanche ho pensato io, ai fulmini!»

«Ma alle tue spa... spa... spa pa...»

«Spaparanzata?»

«Alle tue spal...»

«Spalle?»

«Si!»

«Dai, Finnian, questo è il trucco più vecchio del mondo intero! Cercare di far credere a qualcuno di avere un mostro alle spalle, subito dopo che è caduto un fulmine dentro casa...» il sorriso sornione di Mey Rin scomparve in un solo istante «... Un... fu-fulmine... dentro casa»

«Alle tue spalle!» strillò ancora Finnian, alzando un braccio tremante

«AHHHHHH!» gridò la cameriera, voltandosi e guardando un'enorme figura scura che l'aveva coperta con la sua mastodontica ombra.

Sebastian si affacciò dal fondo del corridoio, allarmato dalle grida, vide che ad essere in pericolo era solamente quella pasticciona di Mey Rin, non se ne fregò più di tanto e ritornò a cercare il suo adoratissimo Ciel gustoso.

Perché diavolo i suoi servitori erano sempre in un mare di pasticci? Perché gridavano? Perché rompevano tutto? Perchè erano così inutili da essere odiosi?

E soprattutto, perché Mey Rin aveva i capelli fucsia? (???).
Sebastian si massaggiò le tempie e riprese a camminare rapidamente.
Le tracce di odore erano state coperte... era impossibile seguirle in modo corretto, erano troppo sparpagliate. Era dunque chiaro che chiunque avesse rapito Ciel era al corrente del fatto che il suo maggiordomo era un demone.

Sebastian avrebbe voluto digrignare i denti e urlare “Non ci voleva!”, ma un vero maggiordomo demoniaco non digrigna i denti e non urla, perciò lui non lo fece, reputandolo un inutile spreco di energie. Si fermò. Poi riprese a camminare. Avrebbe dovuto cercare indizi, come aveva detto Mey Rin, e non gli sarebbe bastato affatto annusare una perla...

Innanzitutto, doveva capire perchè mai avevano rapito Ciel.

I motivi potevano essere molteplici, fra cui, innanzitutto, chiedere un riscatto.

Se il rapitore avesse chiesto solamente un riscatto, sarebbe stato facile ritrovare Ciel, perchè Sebastian avrebbe avuto molti più indizi concreti: la voce del rapitore attraverso il telefono, il tipo di parlata, la portata economica del riscatto, e forse persino il luogo in cui si trovava il suo padroncino. Sarebbe stato facile.

Ma se Ciel, invece, fosse stato rapito da un maniaco? Da un pedofilo?
In quel caso, non avrebbe chiesto un riscatto, si sarebbe tenuto il bambino.

Sebastian pensò che, in ogni caso, Ciel non era stato attaccato da un assassino: perchè mai un uccisore di bambini avrebbe dovuto rapirlo e non l'avrebbe semplicemente ucciso lì, nel corridoio? Forse era un maniaco pedofilo-necrofilo? Brr... troppe fantasie orrende.

E se fosse stato invece un cannibale? Allora si sarebbe spiegato perchè aveva portato via il corpo.

Improvvisamente, Sebastian si accorse che c'erano molti più motivi per portare via il corpo di Ciel ormai defunto, primo fra tutti la possibilità di imbalsamarlo e venderlo a delle fangirl.

Oppure portarle a chi aveva commissionato il lavoro al sicario per garantirgli che era morto.

Oppure per vendere i suoi piccoli organi da bambino.

Oppure per tagliare i suoi rarissimi capelli grigio-turchini e farne una pregiata parrucca da milioni di dollari.

Oppure per strappargli l'occhio con il marchio demoniaco e controllare Sebastian con quello!

Insomma, detto fatto, il maggiordomo di casa Phantomhive iniziò a pensare che Ciel avrebbe potuto essere ormai morto e sepolto (o peggio assai) da qualche tempo. Eppure era suo dovere almeno tentare di ritrovarlo! Se non altro perchè non voleva perdere così il suo delizioso e succoso cestino del pranzo... e poi perchè, diciamolo, Ciel era divertente, dannatamente divertente con quelle sue proposte assurde e con quelle sue facce arrabbiate!

Anche se spesso, più che divertente, era doloroso... ma soprassediamo.

Sebastian si voltò e tornò indietro: doveva salvare Mey Rin. In fondo, la cameriera era intelligente e poi aveva letto così tanti libri gialli e dell'orrore, in vita sua, che poteva venire utile... sempre se era ancora viva. Ma lo era, si!

Altrimenti gli altoparlanti lo avrebbero detto. Giusto che l'avrebbero detto? Giusto?
Sebastian prese a correre, perchè durante i suoi ragionamenti si era allontanato un bel po'

«Mey Rin! Vengo a salvarti!» dichiarò, in tono palesemente eroico, mentre un vento di provenienza sconosciuta gli scompigliava i capelli corvini.

Ma la cameriera...

Non sembrava affatto aver bisogno di aiuto.

Aveva una lente di ingrandimento e stava cercando tracce.

«Mey Rin!» Esclamò Sebastian «Chi ti ha attaccata?»

«Nessuno» disse la donna, tranquilla «Perché?»

«Ti ho sentita gridare... e così mi sono preoccupato».

Mey Rin arrossì vistosamente

«Grazie per il pensiero gentile ma... non dovevi... davvero»

«Chi ti ha attaccata? Perché ti sei messa a gridare?»

«Mi sono soltanto spaventata un poco, non ti devi preoccupare»

«Ho visto qualcuno che ti attaccava»

«Non la stavo attaccando» rispose una voce profonda e roca.

Sebastian si mise immediatamente in guardia.

Da dietro un angolo, con cappello e cappotto nero, spuntò the Undertaker. Sebastian strinse i denti

«Tu» disse soltanto

«Stai digrignando i denti» gli fece notare il gigante, tutto calmo e parlando leggermente al rallentatore.

Sebastian si vergognò molto di sé stesso, poi smise di vergognarsi perchè, si ricordò, un vero maggiordomo demoniaco non si dovrebbe vergognare e men che mai arrossire per questo motivo.

«Che cosa stai facendo?» Gli domandò allora, cercando di sembrare anche lui molto, molto calmo

«La ragazza mi ha detto che state cercando un bambino» rispose Undertaker «Così sto cercando di dare una mano»

«Cerchiamo indizi» puntualizzò Finnian, tutto allegro, calpestando qualunque cosa e qualunque probabile indizio in un saltellìo sfrenato di gioia

«Interessante. Vi darò una mano anch'io, allora» si offrì Sebastian, con cortesia

«Grazie grazie grazie mille, Sebastian!» esclamò Mey Rin, che era al settimo cielo: per lei non c'era niente di meglio di un bel caso giallo, forse anche un po' horror, in una casa vecchissima costruita vicino ad un ancora più vecchio castello, dove lei investigava insieme al suo amatissimo Sebastian Michaelis.

E se fosse stato Sebastian... il rapitore? Mey Rin ci aveva già pensato prima, ma guardando il bel volto pulito del maggiordomo, se l'era quasi dimenticato.

Cosa convincerà Mey Rin che in realtà Sebastian è colpevole oppure anche no?

Cosa farà Sebastian, di imbarazzante, dopo aver digrignato già una volta i denti?

Riuscirà Finnian a trovare un indizio senza sedercisi sopra e rovinarlo?

Lo scopriremo nella prossima... lo scopriremo. Basta.

Mey Rin aveva vicino Sebastian e pensava che sarebbe stato quantomai carino strofinarcisi contro. Anche se era poco... poco... come dire... elegante. Si, ecco, e l'eleganza era importante per una signora investigatrice, una lottatrice contro il crimine!

Finnian di elegante non aveva niente di niente e non cercava di averne perchè stava urlando con la bocca aperta al massimo, rivolto verso il muro

«AAAAHHHHHHHH!»

«Perché gridi?» gli domandò Sebastian, esasperato

«Per vedere se c'è l'eco»

«Ma stiamo cercando indizi!»

«E se ce l'eco non è un indizio?»

«No» esclamò Sebastian

«Si!» disse Mey Rin

«Cosa?» il maggiordomo era esterrefatto: non poteva aver sbagliato!

Cosa era riuscita a vedere quella ragazzina che lui, demone pluricentenario, non era ancora riuscito a vedere? C'era davvero un mistero in tutto questo che lui non avrebbe saputo risolvere da solo?
«Elementare! Beh, forse non troppo...» Mey Rin sorrise in direzione di Finnian «Se nei corridoi di questa casa ce l'eco, potrebbe essere un indizio molto importante nell'identificazione del rapitore! Mettete il caso che il rapitore abbia parlato: nelle registrazioni, la sua voce sarebbe alterata dall'eco»

«Ma non c'è eco, qui!» esclamò Sebastian «Ce lo ha appena provato Finnian, urlando contro quel muro! Quindi non c'è un indizio»

«Non è mai detto» lo contraddisse la cameriera «Molte cose possono essere un indizio. Regola numero uno dell'investigazione: devi sempre sapere in che ambiente stai agendo. Dobbiamo sapere tutto di questo posto! Tutto! Voglio che tutti voi, soci, vi impegnate a conoscere più cose possibili di questo posto!».

Allora tutti si misero a cercare, tranne the Undertaker, che se ne rimase in silenzio a guardarli, nel mezzo del corridoio, enorme e oscuro come un vecchio avvoltoio incapace di volare a causa dell'assenza di correnti ascensionali (avete notato che le figure retoriche si stanno facendo sempre più lunghe? No?).

Sebastian allora si avvicinò al wrestler e...

«Cosa ne pensi di questo caso?» gli domandò, serio.

Quello non rispose, ma si limitò a fissarlo. Sebastian sentì montare dentro di sé la rabbia, ma esternamente cercò di non dimostrarla affatto

«Ti ho chiesto cosa ne pensi di questo caso!».

Ancora non rispose. Allora Sebastian si lasciò sfuggire un piccolissimo ringhio di impazienza

«Perché non rispondi alla mia domanda?»

«Perché non penso nulla, del tuo caso» fu l'educata risposta del wrestler.

Sebastian respirò profondamente. Come sarebbe a dire che non pensava nulla? Cioè, lui gli diceva “Ciel, il mio nobile padroncino, è stato rapito” e nella sua testa c'era “...”?

Era incredibile!

Zucca vuota” Pensò Sebastian, con un mezzo sorriso “Ma da che mondo è mondo, quelli tutti muscoli sono così... senza cervello. Assolutamente vuoti dentro. Basta guardare Finnian! Lui ha la superforza e la testa così vuota che se ci gridi dentro ti viene fuori l'eco. Ovviamente per i demoni questa regola non vale, visto che io sono fortissimo, ma sono anche intelligentissimo!”.

Mey Rin a un certo punto vide qualcosa per terra

«Questo è un biglietto da visita!» esclamò, raccogliendolo «Dice: Major, panini speciali e biscotti, fornitore ufficiale truppe naziste...»

«Beh, è solo il biglietto da visita del Maggiore, uno dei nostri nemici di fazione» le assicurò Sebastian «Continuiamo a cercare!»

«Chi ci garantisce che non è stato lui?» domandò sospettosa Mey Rin

«Andiamo, non essere sciocca...» rise il maggiordomo

«No! Aspetta! E se invece fossi tu il rapitore?»

«Rapire il mio stesso padrone? Ma è fuori di testa!» Sebastian si mise una mano su un fianco e fissò male la cameriera «Stai scherzando, vero? Perchè mai avrei dovuto fare una cosa del genere?»

«Oh, ci sono molti motivi» disse Mey Rin, con gli occhiali di plastica che scintillavano in modo inquietante per degli occhiali di plastica «Primo fra tutti un'eredità»

«Un'eredità? Ma è ridicolo!»

«E invece no. Avete servito così tanto bene il signorino per tutti questi anni, che vi ha lasciato un'eredità nel caso in cui morisse o scomparisse in generale. Così l'avete rapito e ucciso, nascondendo il suo piccolo corpo da qualche parte... e ora la sua eredità...»

«Non è assolutamente così! Non mi ha lasciato nessuna eredità né tantomeno farebbe mai nulla del genere, è troppo taccagno!»

«Beh... potrebbe sempre... » Mey Rin si avvicinò a Sebastian e lo guardò dritto negli occhi, sfidandolo a dimostrare il contrario delle sue tesi «... Essere stato un crimine compiuto per vendetta!»

«Vendetta?»

«Si, vendetta, caro il mio Sebastian! Perchè per tutti questi anni, Ciel Phantomhive non ha mai dimostrato il benchè minimo briciolo di gratitudine verso il suo maggiordomo che si spaccava in quattro per lui!»

«Ahi, questo è vero» constatò con amarezza Sebastian «Ma non posso averlo ucciso per questo!»

«Perché? Molta gente ucciderebbe per tanto meno... perchè non potresti ucciderlo per avere angariato la tua vita per tutti questi anni? Per averti preso la giovinezza?»

«In quel caso dovrei uccidere Finnian» ringhiò Sebastian, indicando il giovane giardiniere con il suo immacolato indice ricoperto di tessuto bianco «Lui è quello che mi ha procurato più problemi! Lui è quello che si è portato via la mia vita! E se uccidessi Finnian... non avrei alcun problema a dichiarare che sono stato io. Giusto per prepararvi al fatto che appena questo reality finirà, ho deciso che gli staccherò la testa usando le unghie dei mignoli»

«Perché le unghie dei mignoli?» gli domandò Finnian, per nulla turbato dalla notizia che il temibile Sebastian voleva ucciderlo

«Perché in questo modo te la staccherò molto più lentamente che se usassi qualunque altra arma, non è ovvio?» spiegò con charme Sebastian, buttando per un istante all'indietro il ciuffo e facendo una mossa così sexy, ma così sexy che Mey Rin sentì il proprio flusso sanguigno farsi più forte e pronto ad esplodere attraverso i suoi sottili capillari del naso «Ma adesso, ragazzi, ci conviene tentare di trovare Ciel, invece di incolpare me che sto solo cercando di aiutarvi! Perchè hai incolpato solo me, Mey Rin? Tutti i presenti in questa stanza sono i potenziali rapitori di Ciel!»

«Ah, davvero?» disse la cameriera, ma senza tono di sfida: si era accorta che quello che Sebastian aveva detto era parzialmente vero.

Il maggiordomo demoniaco annuì ed iniziò a spiegare

«Allora, ragazzi, potrebbe essere stato Finnian: ha la sua superforza e questo gli permetterebbe di stordire o addirittura uccidere Ciel con un solo colpo e poi di caricarselo sulle spalle e correre via come se niente fosse»

«Non posso essere stato io!» si discolpò il giardiniere, punto sul vivo e quasi con le lacrime agli occhi, sconvolto anche solo dalla possibilità di commettere un crimine tanto orribile «Non ucciderei mai Ciel! Io gli voglio veramente tanto, tanto, tanto bene! Ora che lavoro da lui non sono più costretto ad essere cavia di quegli orribili esperimenti e sono felice e...»

«Si» disse dolcemente Mey Rin «Io ti credo, Finnian. Lo so che non potresti mai fare qualcosa del genere. Inoltre sono sicura di non essere stata io, altrimenti me lo ricorderei no? E adesso, Sebastian? Chi altro incolperai?»

«Lui» il maggiordomo demoniaco indicò Undertaker «Perché nessuno l'ha ancora incolpato? Insomma, non so se avete notato, ma lui è il tipo losco e gigantesco, vestito di nero, con giubbotto di pelle da metallaro, che se ne sta rintanato nelle zone buie e che non dice una parola! Lui è il prototipo della persona orribile che rapisce i bambini o del signore oscuro in incognito, ma neppure troppo. Inoltre non ha nessun alibi. Perchè non dovrebbe essere stato lui?»

«Perchè...» Mey Rin si voltò a guardare il gigante e le venne meno la parola.

Perché non poteva essere stato lui? Ok, poteva benissimo essere stato lui! Era un essere mostruoso. Anche se Mey Rin non era particolarmente incline a dare ragione agli stereotipi...

«Cos'hai da dire a tua discolpa?» Domandò Sebastian, sempre con il dito puntato

«Niente» rispose the Undertaker

«Ah ah! Quindi confessi?»

«Dipende da cosa vuoi che ti confessi»

«Che sei stato tu a rapire Ciel! Sei un uomo alto, non molto giovane e con i capelli scuri! Esattamente come quello che ha lasciato cadere la perla!»

«Perla?» Undertaker si avvicinò di un passo a Sebastian, minaccioso «Quale... perla?»

«Questa!» Sebastian estrasse la piccola sfera scintillante e iridescente «Questa è stata persa dal rapitore di Ciel. Sulla sua superficie liscia è rimasto poco dell'odore della persona a cui apparteneva, ma era chiaro che è appartenuta ad un uomo alto, con i capelli scuri, non più nel fiore degli anni. Mi sembra chiaro che la descrizione corrisponda a te!»

«Non potro perle addosso, mi dispiace. Non ho mai visto quel gioiello in vita mia» disse l'altro, impassibile

«Provalo!»

«Non ho bisogno di provarlo»

«Ah, davvero? Sai che ti stai dimostrando quantomai sospetto?»

«Si»

«E sai che in questo modo potrei accusarti come colpevole?»

«No»

«Bene, perché posso farlo»

«Cosa farai? Chiamerai la polizia?»

«Odio il modo in cui lo dici... così... senza sarcasmo. Ti ucciderei!»

«Non puoi farlo»

«Perché? Non è contro le regole del reality. E io non mi interesso delle leggi degli uomini, se ti interessa saperlo» Sebastian si avvicinò ancora ad Undertaker, parandoglisi davanti e sollevandosi per cercare di guardarlo negli occhi anche se era notevolmente più basso «Perchè non sono umano» sussurrò, sibilando piano in quel modo che avrebbe fatto rizzare i peli sulle braccia a chiunque, come un assassino sapiente capace di tagliare l'aria con la lingua.

Ma Undertaker non sembrava impressionato. Per niente impressionato.

Sebastian socchiuse gli occhi fino a farli divenire due fessure risplendenti di rosso, come due tagli ricolmi di sangue fresco

«Non hai capito?»

«Ho capito»

«E allora... perchè non hai ancora tirato fuori Ciel?»

«Da dove dovrei tirarlo fuori? Non ce l'ho io»

«E se fosse...»

«Dove? Sotto il cappotto?»

«Ci starebbe» commentò Finnian «Guarda, c'entro pure io!».

Il giardiniere si infilò sotto l'enorme giubbotto nero di Undertaker, poi affacciò e disse

«Cucù!».

Mey Rin, preoccupatissima, gridò a Finnian

«Vieni via di lì!»

«Cucù!» Finnian si ritrasse di nuovo, avvoltolandosi come un bruchino nel suo caldo e morbido bozzolo

«Esci di lì!» esclamò ancora la cameriera

«No!» disse Sebastian «Cerca Ciel!»

«Non c'è» disse Finnian «Però c'è uno scarafaggio!»

«Un che?» Mey Rin saltò indietro «Che schifo, ha sotto il cappotto uno scarafaggio!»

«No, sono due! Ih, ci sono le uove!»

«Si dice uova» lo corresse Sebastian «Ma sei sicuro che non ci sia Ciel?»

«Sicurissimo! Tranne che non sia uno uovo o uno scarafaggio»

«Cerca meglio!»

«Ci provo!» si lamentò Finnian, poi piagnucolò, disperato «Mi sono perso! Aiuto! Sono solo e al buio, mi sono perso!» e nel frattempo si agitava e il giubbotto di pelle nero si avvolgeva sempre di più intorno a lui.

Undertaker si tolse il cappotto, seccato, e lo buttò in testa a Finnian, il quale urlò

«Aiuto! Mi frana addosso! Sto morendo!»

«No, Finnian» disse Sebastian, serafico «Non stai morendo affatto. Esci da lì!»

«Ma mi sono perso! Non so dove mi trovo! Qui è tutto così... buio...».

Mey Rin si avvicinò al cappotto e tentò di tirarglielo via di dosso, ma Finnian continuava a contorcersi a destra e a manca, agitando le braccia, e la cameriera si trovava nei guai

«Sembri un sacco di pelle informe» disse «Finnian, diamine, un sacco di pelle informe e indemoniato! Stai fermo! Ci vorrebbe un bell'hocus pocus magico per tirarti fuori da lì!».

Il cappotto di pelle prese ad afflosciarsi molto, molto lentamente. Si sgonfiò... anche se tecnicamente era impossibile. Insomma, sotto quello strato nero c'era Finnian e il ragazzo aveva una massa, quindi il cappotto non poteva svuotarsi in quel modo senza che il giardiniere uscisse di lì.

Sebastian socchiuse gli occhi ancora una volta, concentrato

«Che sta succedendo?» domandò

«Ha detto hocus pocus» spiegò Undertaker, sempre in tono completamente inespressivo «Ora Finnian non è più nel nostro mondo»

«E dove è... andato?»

«Aldilà»

«Intendi negli inferi? Nel regno dei morti?»

«Qualcosa del genere»

«Ah. Come mai il tuo cappotto è un portale per il regno dei morti?».

Undertaker si avvicinò al giubbotto, lo sollevo, lo dispiegò e lo ruotò per indossarlo. Durante il movimento di rotazione, dalla parte interna dell'indumento si sprigionò letteralmente una vampata di fuoco e fumo nero.

«Che diavoleria è questa?» Chiese Mey Rin, leggermente spaventata

«Questo giubbotto è stato conciato con la pelle dell'ultimo demone mannaro del Texas» spiegò ancora Undertaker, con pazienza «Sono creature magiche molto potenti e le parole risvegliano la loro forza»

«Ma... è morto. E quella è solo la sua pelle» gli fece notare Sebastian «Quindi come può essere ancora attivo?»

«Hai mai combattuto contro un demone mannaro? Sono così potenti che qualunque parte del loro corpo è impregnata di potere» ai suoi piedi prese a formarsi una fitta nebbia bianca e densa, mentre il fumo risaliva dietro di lui, accarezzandogli le spalle «Sono i guardiani dei portali e hanno la forza dei portali stessi dentro di loro»

«E Finnian quindi è... dall'altra parte?»

«Si».

Si udì un ruggito che scosse la terra. Sebastian sgranò gli occhi e per la prima volta nella sua vita Mey Rin lo vide spaventato.

«Paura?» Domandò Undertaker, stavolta con un leggerissimo sorriso

«Non soffoca anche te?»

«La paura? Perchè mai dovrebbe?»

«Perchè... quella cosa potrebbe ucciderci tutti. La cosa che ha ruggito»

«Ucciderebbe solo te, demone. Solo te»

«Riporta indietro Finnian!»

«Perché non lo fai tu, Sebastian?»

«Non posso tornare all'inferno se non è il mio Bocchan a dirmelo. Non posso aprire un portale da solo, quindi non posso andare laggiù» Sebastian spiegò pazientemente, poi, con le pupille dilatate, osservò l'enorme uomo di fronte a lui che sollevava un lembo del giubbotto nero per mostarne l'interno… l'interno che sembrava una galassia lontana, di un nero assurdo e assoluto, quello dell'oscurità siderale dove la luce non arrivava, ma punteggiata da minuscole luci grandi come punte di spillo che vorticavano lentamente.

«Potrei passare di lì, in effetti» Constatò Sebastian «Ma non me lo faresti mai usare...»

«Perché?»

«Perché mai dovresti aiutarmi?»

«Non ti sto aiutando. La cosa che sta dall'altro lato ti divorerà o proverà a farlo disperatamente»

«Hai ragione. Ma è l'unico modo che ho per recuperare Finnian. Ecco perché lo lascerò dall'altra parte a morire»

«E se anche il tuo padroncino fosse laggiù» lo stuzzicò Undertaker, concedendosi di essere subdolo e di avvicinarsi ancora a Sebastian, tanto che avrebbe potuto tirarlo dentro il proprio giubbotto e scaraventarlo negli inferi quasi senza sforzo «Se lo avessi buttato io...»

«Tu...» Sebastian guardò nel profondo della galassia nera, poi alzò lo sguardo «... Non dovrei essere io ad indurre gli altri in tentazione?»

«Tu vai laggiù e io non dirò alla tua servitù quello che sei. E non ucciderò Ciel».

Sebastian aveva scelta? Si. Poteva abbandonare tutto al suo destino per sempre, poteva lasciar perdere e trovarsi un'altra preda, lasciare che Mey Rin e Bard, ultimi sopravvissuti, sapessero che lui in realtà fosse un demone... sarebbe stato facile.

Ma non era la cosa giusta da fare. Sebastian indietreggiò di un passo, levando lo sguardo a quello dell'uomo che lo stava tentando a sfidare la sorte... sembrava un diavolo molto più di quanto lo sembrasse Sebastian. Il suo volto era rapace e malvagio e i suoi occhi verdi erano foschi e antichi in un modo che per gli umani era impossibile e non brillavano di intelligenza, ma piuttosto sembravano oscurati da questa, come se il suo pensiero non potesse essere codificato in alcun linguaggio o logica razionale conosciuta.

Sebastian deglutì

«Andrò» disse, e suonò come una promessa «Recupererò Ciel e Finnian e tornerò qui. Te lo prometto»

«Non è qualcosa che mi riguardi» Undertaker si sfilò una manica del giubbotto «Per me tu puoi andarci oppure no. Sarà divertente in entrambi i casi»

«Perché lo fai?»

«Cosa?»

«Questo. Questo giochetto. Mandarmi laggiù»

«Perché è divertente».

Sebastian capì dal suo tono che non sarebbe riuscito a cavargli un'altra sola risposta e prese un profondo respiro.

Quando fu dall'altro lato, nell'altro mondo, si sentì mancare.

Non ricordava che casa sua fosse così... quella non era la sua patria! E se era un inferno... oh, che orrido inferno era? Come può un posto essere peggiore anche degli inferi stessi?

Undertaker si rinfilò per bene il giubbotto e aggiustò le maniche.

Mey Rin lo guardò con la bocca aperta

«Perché?» gli chiese

«Perché cosa?»

«Perché hai rapito Ciel?»

«Non l'ho fatto»

«Ma hai mandato Sebastian a...»

«Io ho detto “e se anche il tuo padroncino fosse laggiù e se ce l'avessi buttato io”. Se. Non l'ho fatto, ho ipotizzato di averlo fatto. Non ho neppure dovuto mentire»

«Ma l'hai ingannato! L'hai raggirato, è come se tu avessi mentito»

«Sei sconvolta. Come mai?»

«Non pensavo che...»

«Non sono il cattivo. Tu non credi che io lo sia. Tu non credevi che io lo fossi, ma ora lo credi. Ho lasciato che Sebastian andasse in quel posto. Tu hai lasciato che Sebastian ci andasse. Ora è dall'altra parte e non potrà tornare se non ritroverà Finnian. Ma Ciel non è laggiù. Si, oh si, lo cercherà per sempre. O per molto, molto tempo. Sei sola? Ti ha lasciata qui da sola? Si. Certo. Ma non è molto preoccupante. Chi è il cattivo? Io non ho rapito Ciel, ricordatelo. Non sono stato io. E non ho fatto niente di male»

«Ma Sebastian...».

Mey Rin si bloccò, confusa. Era tutto così difficile da capire! Era come se la terra e il cielo si fossero scambiati di posto.

E forse Bard l'aveva persino già messa in guardia... doveva scegliere fra due uomini. Cercare due uomini, ecco cosa! Doveva cercare Sebastian e Finnian oppure il signorino Ciel?

«Chi devo cercare?» Domandò

«La risposta è molto personale» rispose Undertaker «Devi essere tu a saperlo»

«Oh. Diamine, adesso vorrei avere una guida spirituale indiana!»

«Indiana? Perchè di origine indiana?»

«Beh, non proprio indiana dell'india...» Mey Rin arrossì «... Sai, come nei film o nei cartoni animati, dove ci sono gli indiani d'America che danno consigli saggi. Vorrei avere uno di loro qui. O vorrei essere una di loro... sempre a contatto spirituale con la terra e con gli spiriti e...».

Undertaker rimase in silenzio assoluto.

Mey Rin gli sorrise debolmente

«Se tu non sei il cattivo di questa storia» disse, parlando a voce bassa «Allora chi sei?».

Il wrestler prese a camminare, allontanandosi lentamente. Si fermò solo dopo una decina di lunghi passi e parlò senza neppure voltarsi indietro

«Vieni con me» le disse «Forse posso aiutarti»

«Davvero?»

«Forse. Sono solo in parte nativo d'America... sono solo una mezza guida».

Mey Rin lo seguì, anche se con diffidenza.

«Dove andate?» La voce di Integra lo raggiunse immediatamente «Ehi, tu! Si, cappello nero, mi servi per un lavoretto. Vieni qui»

«No!» esclamò Mey Rin «Deve aiutarmi! Abbiamo un grosso problema, più importante dei vostri»

«Oh, sentiamo... e che problema sarebbe?»

«Abbiamo perso Ciel...»

«E che c'entra il mio Undertaker?».

Possessiva, la ragazza. No, davvero, probabilmente si conoscevano da meno di un giorno... e lei già partiva con “il mio Undertaker”.

Alucard si sarebbe rivoltato nella bara. Ok, Alucard si rivoltò letteralmente nella sua bara (cioè, nella sua credenza che usava come bara), ma soprassediamo...

«Ho detto che l'avrei aiutata» Rispose il wrestler, serio

«Da quando ti metti ad aiutare le ragazzine della servitù?»

«Da quando hanno bisogno di aiuto».

Il Maggiore si unì al gruppo, arrivando con la sua andatura caracollante

«Non è che avreste un panino, vero?» domandò, facendo passare il suo sguardo su tutti

«No» disse Integra, dura «E adesso abbiamo da fare, siamo molto occupati, quindi vedi di stare in silenzio, d'accordo?»

«Ehi, fraulein, che ti è successo? Perchè sei così nervosa?»

«Non sono nervosa!» scattò Integra, ruggendo come una leonessa ferita «Ti sembro nervosa? Non lo sono!»

«Sembri esserlo parecchio, invece»

«Concordo» mormorò Undertaker

«E chiudi il becco anche tu, becchino, nessuno ti ha interpellato!» esclamò Integra, accorgendosi con un solo istante di ritardo di aver fatto la regina delle regine delle sciocchezze.

Il Maggiore ridacchiò, incrociando le dita delle due mani

«Ahi ahi... preparate gli eserciti, perchè sta per scoppiare la guerra!».

Lo sguardo di Undertaker era eloquente, puntato verso Integra e maledettamente rabbioso, le sopracciglia inarcate e abbassate.

Integra fece un passo indietro, rapidamente, mentre l'enorme uomo avanzava verso di lei

«Cosa mi hai detto?» le ringhiò

«Io non...» cercò di giustificarsi lei

«Non mi interessa se sei nervosa. Mettiti in ginocchio e chiedimi scusa»

«Nessuno mi dice “mettiti in ginocchio” e vive abbastanza da vedere l'alba!» abbaiò Lady Hellsing, stringendo i pugni fino a farsi sbiancare le nocche «Forse tu non sai chi sono io!»

«Non è importante, chi sei»

«Senti, becchino, io sono Lady Integra Farburke Wingates Hell...».

Undertaker caricò come un toro, sbattendo Integra contro la parete e comprimendola contro di essa. Lei contrattaccò colpendolo con un calcio allo stomaco, ma fu come se lui non l'avesse neppure sentito, non grugnì nemmeno di dolore: si ritrasse e poi con una spallata allo stomaco riappiccicò Integra alla parete e le fece sputare una boccata di sangue.

«Alucard!» Gridò Integra, con il sangue che le scendeva dalle labbra «Alucard!».

Alucard, nella sua bara-credenza, aprì gli occhi. Non poteva credere alle sue puntute e sensibilissime orecchie! Integra stava gridando disperatamente il suo nome! Come poteva essere? Senza perdere un solo istante di tempo, il vampiro si affrettò a raggiungere la sua padrona, per proteggerla o servirla, qualunque cosa volesse.

Si sorprese di vedere ciò che vide. Alzò la pistola, la puntò alla testa di Undertaker, ma si ricordò che non poteva sparare: il tiro avrebbe potuto colpire anche Integra, passando attraverso il cranio di quel tizio enorme, che se ne stava tutto rannicchiato per colpire basso.

Alucard buttò a terra la pistola e si lanciò contro il nemico: i due rotolarono sul pavimento. Il vampiro spalancò la bocca e mostrò le zanne aguzze, pronto per mordere, ma d'improvvisto sentì un dolore atroce allo stomaco e richiuse la bocca, evitando di vomitare immediatamente tutto il sangue che aveva bevuto a cena.

Abbassò gli occhi. Vide solo i loro due corpi a contatto, imbrattati di sangue, e giubbotti di pelle nera e rossa.

Ringhiò, quasi gridando, e si contrasse, scoprendo le zanne, per affondare ancora, mentre fra i denti gli filtrava il sangue.

Undertaker lo spinse via scalciandolo e colpendolo contemporaneamente con i pugni, poi si alzò in piedi con calma.

Alucard finalmente potè guardare l'entità del danno. Abbassò gli occhi e vide che era stato appena attraversato da parte a parte e che quindi aveva all'altezza dello stomaco un buco grande poco più della circonferenza del braccio del suo avversario.

Rise forte

«Credi di potermi spaventare? Posso guarire da ferite dieci volte peggiori di questa»

«Devo pur difendermi» si giustificò Undertaker, ben dritto in piedi

«Hai attaccato la mia lady! E questo non è un buon modo per sopravvivere, lo sai?»

«Non ho paura di te»

«Dovresti averne! Sono il peggior assassino della storia»

«Nel senso che non riesci mai ad uccidere?»

«No! Nel senso che uccido sempre!»

«Allora sei il miglior assassino, non il peggiore» lo corresse il wrestler, serio

«Alucard!» esclamò Integra, asciugandosi il sangue dalle labbra con il fazzoletto blu che portava al collo «Devi fargliela pagare per quello che mi ha fatto!»

«Devo ucciderlo, my Master?»

«Niente di così tragico» gli rispose lei, scuotendo piano la testa «Ma distruggilo. Voglio intrappolarlo. Voglio torturarlo. Devi fargli male»

«Yes» Alucard abbassò la testa «My Master».

La nebbia si fece più fitta e scura e si sollevò vorticando intorno al corpo di Undertaker, nascondendolo.

«Che razza di trucchetto...» Ridacchiò Alucard, mentre un fumo denso prendeva a scorrere dalle sue mani e si avvolgeva intorno alle sue braccia, stringendole come bende di una mummia in una divisa fatta di tenebra «... Vuoi combattere al meglio, vero? Pensi di potermi contrastare?»

«Si» disse una voce, nascosta in mezzo alla nebbia fittissima

«Allora evoca i tuoi famigli! Richiama la tua forza! E combattimi. Combattimi come nessuno ha mai fatto!».

Tutte le luci si spensero. Il cielo si rannuvolò e i nembi vorticarono, grigi e pesanti, carichi d'acqua, mentre un fulmine lontano illuminava il cielo.

«Non credevo potesse fare qualcosa del genere» Commentò Integra, seria

«Neanche io» Mey Rin scosse la testa.

Alucard spalancò le braccia

«Sono solo trucchetti da quattro soldi per spaventarmi! Non ho paura».

Una voce nel buio, profonda e quasi disincarnata, parlò

«Dovresti averne...».

Il tetto si squarciò. Tutti guardarono in alto, senza credere ai propri occhi...

Perchè il soffitto avrebbe dovuto aprirsi in quel modo? Perchè avrebbe dovuto mostare un enorme cielo sfumato di rosso, come al tramonto, ma carico di nubi?

E in mezzo a quel cielo vorticavano delle luci, minuscole luci di colore giallo.

Alucard saltò in alto

«Che cosa credi di fare?» ruggì «Ti farò a pezzi! Sei umano, dannazione! Ti strapperò le braccia e le gambe usando le mie stesse mani!».

Arrivò in alto, molto in alto, ma poi ricadde giù poiché la gravità, almeno quella, non aveva ancora tradito le aspettative dei presenti.

Atterrò in piedi e guardò in alto. Poi osservò i bordi della frattura e si rese conto... che non era una frattura. I bordi erano morbidi, lisci, e il colore era sfumato: quello che stava guardando, sopra la sua testa, non era il cielo.

«Integra» Disse «Quello... è un portale»

«Un portale?» Integra si avvicinò al suo servo vampiro «Sarebbe a dire...»

«Si, un passaggio per andare da qualche altra parte. Non so bene dove, anzi, non lo so proprio, ma... non sembra un bel cielo»

«Non è un cielo» spiegò la voce di Undertaker «Nè il vostro, né quello di un'altro luogo»

«Vieni fuori, vigliacco!» urlò Integra «Dannazione, non pensavo che ti saresti nascosto in questo modo!»

«Solo gli stupidi si esporrebbero di fronte a quel vampiro senza protezione. C'è differenza fra vigliaccheria e intelligenza, signorina Hellsing. Un'enorme differenza»

«Hai ragione. Ma tu non riuscirai comunque a sconfiggerci. Non se rimarrai nascosto...»

«Ma io non voglio sconfiggervi, signorina Hellsing. Io penso di poterlo fare, ma non ne sono sicuro al cento per cento. In ogni caso, non è mia intenzione battermi per una sciocchezza, adesso»

«Sciocchezza?» Integra strinse i denti «Farò in modo che Alucard ti strappi le gambe!»

«Perché?».

La domanda vibrò nell'aria, si ripetè come un eco nelle pareti di un'enorme caverna.

Integra rilassò i muscoli delle braccia e prese una profonda boccata d'aria, lentamente

«Perché mi hai fatto del male. E chiunque mi faccia del male non riuscirà a passarla liscia»

«Metti da parte il tuo orgoglio, Lady Hellsing»

«Perché mai dovrei farlo?»

«Perchè è la cosa più giusta»

«Tu non hai messo da parte il tuo orgoglio. Sei stato tu ad iniziare! Sei stato tu ad alzare le mani per primo!» Integra indicò il sangue sul suo fazzoletto, con un gesto eloquente «Quindi non puoi chiedere di fare qualcosa che tu stesso non hai fatto!»

«Mi hai detto di chiudere il becco. Nessuno mi da ordini e soprattutto nessuno lo fa con quel tono è chiaro?»

«Chiaro. Ma è stato un errore, non avrei voluto rivolgermi a te con quel tono» confessò Integra, per poi ritornare ad aggredirlo «Ma l'avrei fatto, se avessi saputo che cosa sei!»

«Perché? Che cosa sono?»

«Uno che... uno che alza le mani alle ragazze solo perchè si sente offeso»

«Le donne non si toccano neppure con un fiore» urlò Mey Rin, piccata «Animale!».

Lo squarcio sul tetto, il portale, si richiuse bruscamente e fuori dalle finestre prese a piovere a dirotto. Alucard guardò fuori

«Dannatamemte fastidiosa, se dovessi combattere fuori» disse «Spero di non doverlo fare. Master, dov'è andato quello? E poi... vorrei non doverlo fare, ma... te l'avevo detto! Te l'avevo detto di non portarlo qui dentro»

«No, Alucard, non me l'avevi detto»

«Davvero?»

«Davvero»

«Oh. Io mi ricordavo di si, ma chissà... forse ho solo sognato di avertelo detto. Non è stato quando io ero vestito da pollo e tu...»

«Alucard»

«Si?»

«Sono sicura, assolutamente sicura, del fatto che tu abbia sognato tutta questa storia...»

«Ma alla fine, come la risvolverete tu e il becchino?»

«Non lo so. Ma non sono disposta a lasciargliela passare liscia. Mi ha aggredito fisicamente, non può passarla liscia! Deve prima mettersi in ginocchio e strisciare per chiedermi perdono. E dopo, forse, non gli farò strappare le gambe. Credi di esserne in grado, Alucard? Pensi di riuscire a sconfiggerlo?»

«Non esiste nessuno, assolutamente nessuno che io non possa sconfiggere, mia Master. Di questo ne puoi stare certa. Perciò se me lo ordinerai, gli strapperò le gambe» il vampiro si passò una mano sullo stomaco e quando l'ebbe fatto, il buco si era richiuso completamente, il sangue riassorbito e persino i vestiti erano tornati integri «Sono invincibile e tu lo sai bene»

«Si, lo so, Alucard, ma... quell'uomo è difficile da abbattere»

«Cosa? Non è solo un pugnatore-che-non-può-davvero-colpire-con-il-pugno-chiuso?»

«Vuoi dire wrestler, vero?»

«Proprio quello»

«Dio... ne hai di fantasia, Alucard! Si, comunque, è uno di quelli»

«E allora... non dovrebbe essere solo un... wrestler? Insomma, non sono forti come un vampiro. Non sono neppure forti come un'unità speciale addestrata dell'esercito, che a sua volta non è forte neppure la metà di quanto lo è un vampiro di infimo livello come Seras»

«Se... convinciti, Alucard. In ogni caso, non mi interessa cosa è, per me può anche essere Adolf Hitler o il Diavolo in persona, devi comunque vendicare il torto che ho subito» Integra sputò per terra un grumo di sangue e saliva, poi lo schiacciò con la punta della scarpa «Dovessimo inseguirlo fin dentro l'inferno...».

In quel momento, il pavimento sotto di loro si aprì con uno squarcio che rombò come il tuono nella notte più cupa, mostrando un'interno ribollente di lava.

Mey Rin, Alucard e Integra precipitarono giù verso un terreno rovente e urlarono.

Poi fu il nero...

«Dove siamo?» Pigolò Mey Rin, aprendo per prima gli occhi.

Era caduta di schiena e stava fissando quello che poteva sembrare un cielo, ma che in realtà era solo un'altissimo soffitto rossastro. Stalattiti pendevano come giganteschi pali affilati da quella sommità rocciosa e antichissima.

«Che grotta enorme» Disse la cameriera, ad alta voce, per godere del suono dell'eco

«Giusto» rispose una vocina che lei non conosceva.

Giusto, giusto, giusto, giusto... to... gius... toooooo....

L'eco rispedì quella voce in mille sfumature diverse. Mey Rin sentì accapponarsi la pelle, ma sorrise felice.

Poi abbassò lo sguardo e vide due corpi poco più in là, riversi in strane posizioni sul pavimento roccioso: erano Alucard e Integra, che non si erano ancora risvegliati. Alucard, prono, era circondato di formiche grandi il doppio di qualunque formica Mey Rin avesse mai visto, con teste grandi come noccioline americane... gli insetti avevano il corpo rosso e nero, costellato di piccole luci di colore rosso e verde, e lampeggiavano. Sembravano in procinto di divorare Alucard, perchè continuavano a mordergli con le loro forti mandibole il giubbotto, ma senza riuscire a strapparglielo via.

«Sciò!» Esclamò Mey Rin, prendendo a scacciare via le formiche e a schiacciarle senza alcuna paura.

Sapeva benissimo che quello a terra era un suo nemico, ma non se la sentiva proprio di lasciarlo in balia degli animaletti, specie per via del fatto che tutti loro non si trovavano più all'interno della casa del reality.

Alucard aprì gli occhi e si sollevò sulle braccia, come se stesse facendo delle flessioni. Girò lentamente la testa e vide la cameriera dei Phantomhive

«Che ci fai qui?» le chiese

«Ti sto aiutando!» rispose lei, seria, mentre scalciava via un insetto grosso come una mano, che la stava minacciando mettendo in mostra le enormi mandibole e lampeggiando come un piccolo faretto «Queste ti stavano mordendo!».

Alucard ringhiò

«Non ho bisogno di aiuto! Meno che mai del tuo aiuto!»

«Stai zitto, Alucard» mugolò Integra, svegliandosi «Stavo facendo un bel sogno, non voglio stare a sentire te...»

«Cosa stavi sognando, Master?» domandò il vampiro, interessantissimo

«Ero la padrona del mondo ed ero seduta in un magnifico studio tutto di mogano insieme a... aspetta, Alucard, tu non dovresti interessarti dei miei sogni. Sono affari miei!»

«Ma dai, Master! Almeno dimmi con chi eri, dimmi con chi eri, dimmi con chi eri!»

«No, Alucard, fatti gli affari tuoi!»

«Ti prego! Master, ti prego! Voglio sapere con chi eri!»

«Fatti gli affari tuoi!»

«Ti prego, ti prego, ti prego!» Alucard aiutò Integra a rialzarsi, ma lei gli diede uno schiaffo in pieno volto

«Non toccarmi, maledetto non morto!»

«Ma Master... stavo soltanto aiutandoti a...»

«Fatti gli affari tuoi» ringhiò lei, spingendolo, poi anche lei si accorse che il luogo in cui si trovavano non era certamente la casa del reality.

Piuttosto, era un'enorme caverna rossastra, forse scavata nell'arenaria, e il calore era tale che guardando in lontananza si vedeva l'orizzonte tremolare e le stalagmiti sembravano danzare sullo sfondo sanguigno, come beffardi demoni.

Per terra, si muovevano quelle strane e orride formiche gigantesche, che sembravano interessate solo ed unicamente ad Alucard, evitando accuratamente le due ragazze a addirittura spaventandosi di loro e scansandosi al loro passaggio, specie di Integra. Chissà, magari le mosche della Casa del Reality avevano avuto una corrispondenza (le letterine! Uiii!) con quelle formiche e gli avevano raccontato la loro storia…

«Dove siamo?» Domandò Integra

«Non ne ho idea, Master» rispose Alucard «Quando ci siamo risvegliati... semplicemente... eravamo qui»

«Come ci siamo finiti?» domandò Mey Rin «Dite che è stato... quell'uomo?»

«Quell'uomo?» Integra sogghignò «Che cos'è diventato, Voldemort? Ora non può neanche essere nominato?»

«Ma... come si chiamava?»

«Undertaker» lady Hellsing disse quel nome come se fosse una parolaccia

«Undertaker. Ecco, pensi che sia stato lui?»

«Non lo so. Forse. Ma non credevo che fosse capace di tanto... questo... è esagerato...»

«Attraverseremo gli specchi, aldilà della distesa, dove i demoni ciechi spalancheranno le loro bocche e urleranno mentre i loro artigli si protendono verso di noi» disse Alucard, all'improvviso, parlando con voce più profonda del solito «Attraverseremo gli specchi»

«Che ti è preso, Alucard?» ruggì Integra «Cosa c'entrano gli specchi?».

Il vampiro chiuse gli occhi, poi buttò la testa all'indietro. Ebbe un paio di convulsioni, poi si ripiegò su se stesso, cadde in ginocchio e si rialzò, tremando dalla testa ai piedi.

Riaprì gli occhi, ed erano bianchi, bianchi e vitrei come una lastra di ghiaccio, rigirati nelle orbite, all'indietro perchè le iridi scarlatte non fossero visibili.

«Alucard!» Esclamò Integra, con voce ferma, mentre Mey Rin indietreggiava «Ci sei? Puoi sentirmi?»

«Questo corpo è il mio cavallo» disse Alucard «Era l'unico morto presente e io l'ho preso. Non sono Alucard».

Le due donne rimasero per qualche secondo in silenzio, non sapendo come reagire. Poi Mey Rin, chiese con timore «Allora chi sei?»

«Chi credi che io sia?» rispose lui, ghignando

«Non… non lo so» ammise Mey Rin

«Già…». Alucard, o chiunque fosse, ne parve infinitamente divertito, lanciandole occhiate strane, quasi fameliche

«Che cosa vuoi?» la ragazza si chiese se non fosse il caso di darsela a gambe

«Secondo te cosa può volere uno come me da due ragazze come voi?» Alucard sciabolò le sopracciglia, lasciando Mey Rin a bocca aperta, poi rise di gusto «Non ti preoccupare, ho i miei motivi per avervi raggiunte, Mey Rin. Piuttosto, cos'è che volete voi, invece?»

«Vogliamo trovare l'uscita da questo posto» rispose Integra, nello stesso momento in cui Mey Rin, risoluta affermava «Vogliamo trovare i nostri amici».

«Oh, entrambe volete congedarvi così in fretta… non volete neppure una guida? Magari una spirituale?» ammiccò verso Mey Rin

«Come…?»

«So molte cose, donna. Tra cui il fatto che, senza di me, non riuscirete mai a uscire da qui vive. Senza di me, chiunque potrebbe uccidervi» Alucard sorrise, con un sorriso tanto largo da mostrare tutte le zanne in modo orribile.

Mey Rin sentì un nodo stretto stretto alla bocca dello stomaco, mentre faceva un passo indietro impulsivamente.

«Potrei farlo anch'io, in fondo… chissà? Chi è il cattivo, chi il buono, chi l'alleato? Si deve riuscire non solo ad attreversare gli specchi, Mey Rin, ma a anche a riflettercisi. Perciò...» Alucard accompagnò la frase con un sorriso meno aperto, più … dolce «Rifletti. Pensa. Ti fiderai di me?».

Mey Rin abbassò la testa, continuando a fissarlo da sotto le ciglia. Sospirò.

Integra batté un piede, impaziente. Non gli interessava granché della lotta interiore di Mey Rin. Aveva solo voglia di trovare l'uscita, poi di riavere Alucard e il Maestro, e gonfiare di botte

Undertaker. E poi di vincere quello stupido reality.

Mey Rin sospirò di nuovo, poi rispose

«In fondo che alternative abbiamo? Morire compiangendoci … o morire provando a trovare i nostri amici. In bocca a te, o in bocca ad altri. Preferisco finire in uno stomaco solo» la ragazza cinese alzò la testa «Anzi. Preferirei vivere».

 

Ciel si risvegliò dal terzo pisolino. O forse il quarto …?

Cominciava a sentirsi stufo di stare lì a fare niente, e avvertì anche un certo languorino.

«Ehi» borbottò ad alta voce, con gli occhi chiusi, sperando che ci fosse qualcuno nei paraggi che l'avrebbe potuto sentire «Ehi, ho fame! Non lasciatemi morire di fame! Sono prezioso, un ostaggio vivo vale più di un cadavere!».

Non ebbe risposta.

In fondo se lo aspettava.

Alzò la testa e strillò più forte

«Ho fame! Un vivo vale più di un morto! Portatemi da mangiare!»

«Non se quello che paga il riscatto non sa che l'ostaggio ha emesso il suo ultimo respiro» disse una voce femminile.

Era una voce strana, che risuonava a volte aspra come un monte roccioso e arido e a volte carezzevole come seta. Ciel cercò di alzarsi, ma si accorse di non riuscire a muoversi. Aprì gli occhi, ma nulla cambiò. Imprecò a bassa voce, strattonando qualunque cosa lo intrappolasse.

Sentì un fruscio d'abiti in avvicinamento e si fermò, con le orecchie tese

«Il vero problema è se l'ostaggio scappa e se ne torna dal cliente» affermò la voce, calma, sfiorandogli un polso impriogionato «Se muore, nessuno se ne preoccupa. Il prezzo non cambia, non è certo una svendita legale questa. O questo, o non si potrà più avere il corpo dell'ostaggio. Ah, sei ancora così ingenuo... »

«Toglietemi questa stupida benda! Voglio vederci chiaro in questa faccenda e, soprattutto, voglio vederci. E voglio anche muovermi!»

«Ah, sei una miniera di soldi, little. Ma nell'attesa, credo che sarebbe il caso di darti da mangiare, non pensi? Nell'eventualità volessimo rapirti di nuovo, o che volessimo torturarti per passare il tempo».

Ciel provò a ringhiare, ma aveva la gola secca e quello che ne uscì fu praticamente un colpo di tosse.

La donna si allontanò, lasciandolo lì, a sperare che sarebbe tornata con qualcosa di buono per lui, e non con una frusta tra le mani.

 

«Va bene, qui dovete prestare attenzione» Disse la voce di Alucard, con parole non sue

«Perché?» chiese Integra, incuriosita e diffidente insieme

«Perché è un altro hot spot, un altro “punto caldo”»

«Qui è tutto caldo» osservò Integra, sarcastica

«Che significa che è un hot spot?» domandò Mey Rin, sinceramente interessata

«Significa che ad andamento regolare passano anime e persone da lì. Se passate troppo vicine all'anima di un defunto, potrebbe cercare di prendere il vostro corpo come rimpiazzo per quello perduto. Se passate troppo vicino a quella fessura» indicò una strana fessura irregolare completamente nera, ma dai bordi sfumati da cui uscivano strani sbuffi di vapore «Potreste essere possedute o vi cadrebbe in testa una persona con tanto di corpo».

«Oh… okay» Mey Rin deglutì.

Uno sbuffo di vapore enorme volò fuori dallo spacco nero. Poi rumori di tonfi e smottamenti si susseguirono velocemente.

Integra e Mey Rin guardarono Alucard, per vedere se lo spirito che lo possedeva la considerava una cosa preoccupante.

Le sopracciglia nere di Alucard si erano improvvisamente aggrottate.

Gli sguardi delle due donne tornarono sulla fessura.

Di fronte agli occhi attenti del trio, qualcosa si mosse convulsamente all'interno della crepa. Qualcosa di non piccolo.

Una mano guantata annaspò fuori dall'apertura, poi una nube di vapore gigantesca sfuggì dall'hot spot. Un'ombra si tirò fuori a fatica dalla fessura dimensionale e ruzzolò lamentandosi fino a loro.

E, d'improvviso Mey Rin e Integra si accorsero di conoscere l'essere di fronte a loro. Era già stato nella casa del reality, e anche spesso.

Era stato importante. E lo era tutt'ora.

La creatura alzò la testa e nel vederli tutti lì, fece un sorrisone degno di… degno di qualcosa, fissandoli con i suoi occhioni rossi.

«Mastah!»

Si.

Era una cosa decisamente preoccupante.

«Seras?» Domandò Integra.

La poliziotta vampira sbattè le ciglia e si alzò in piedi. Sembrava contenta e, tutta felice, guardava in direzione di Alucard, che non sembrava proprio riconoscerla...

«Mastah!».

Alucard le diede le spalle

«Questa vampira è una di voi?» chiese, con un certo disprezzo

«Si, purtroppo» rispose lady Hellsing «Lei è con noi...»

«Bene. Allora seguitemi e nessuno si farà male. Forse»

«Perché siamo qui?» Chiese Mey Rin «Ci deve essere un motivo... siamo precipitati in un luogo così... estraneo. Eravamo in casa! Come ci siamo finiti qui? E soprattutto vorrei sapere dove siamo».

Alucard-che-non-è-Alucard rimase in silenzio per qualche istante, lasciando che in lontananza si udisse qualcosa che sembrava lo sciabordio delle onde di un mare o forse di un torrente nel suo letto, poi parlò

«Questa è solo un'entrata»

«Un'entrata per cosa?» domandò Mey Rin

«Mastah!» esclamò Seras, confusa.

Alucard girò su se stesso per poter di nuovo guardare in faccia le tre donne e aprì le braccia

«Questa è l'entrata di quel luogo che gli egizi chiamavano Amenti, Hinnom per gli ebrei, ma ha anche molti altri nomi. Questa è l'entrata per Gehenna, Hel o Hela, Feng Du, il Posto Inferiore, l'Ade o... l'Inferno».

Poi si voltò e prese a camminare. Se quella in cui si trovavano era solo un'anticamera, un'uscio, il luogo vero e proprio doveva essere di una vastità, di un'immensità inimagginabile.

Un passo dietro l'altro, lentamente, camminarono. Camminarono sulla terra brulla e rossa. La luce, lentamente, si smorzava.

«Oh... ora... dovrete correre» Mormorò Alucard-che-non-è-Alucard

«Adesso?» domandò preoccupata Mey Rin, sollevandosi un poco la gonna da terra per evitare di inciamparci quando si sarebbe messa a correre

«No... quando ve lo dirò io...».

Ancora qualche passo. Sembrava che si stessero allontanando da una fonte di luce, in silenzio, in punta di piedi, e le tenebre li avvolgevano sempre di più, insieme al rumore di un fiume o di un mare, di acqua corrente.

«Cos'è quello, Mastah?» Domandò Seras, indicando un buco nero in una parete rocciosa che si alzava trasversale sul loro cammino, come una piccola montagna

«Oh, fossi in te non ci metterei le dita... ragazzina».

I buchi si moltiplicarono, più avanti: sembravano le tane di qualche animale, una sorta di insetto gigante o qualcosa del genere che scavava le sue tane nella nuda roccia, sulle pareti e sul pavimento, lasciando che se ne vedessero solo le imboccature nere come la pece.

Si udì un fievole sibilo, come il verso di un serpente.

Alucard-che-non-è-Alucard voltò la testa verso chi lo seguiva e sul suo volto comparve il sorriso dello stregatto, brillante nella penombra

«Adesso» disse, sornione.

Con un urlo terrificante, qualcosa di fibroso e zannuto sbucò da una delle fessure, agitando le sue unghie affilate.

Mey Rin e Seras, urlando, presero a correre, subito seguite da una silenziosa Integra. Corsero, corsero a più non posso in mezzo a quei buchi oscuri, sollevando nuvolette di polvere rossastra e dorata che somigliava a tritato di pepite d'oro.

«Mio Dioooo!» Strillò la cameriera, quando qualcosa le afferrò la gonna e ne strappò un lembo.

Si fermarono molto più avanti, quando furono certi che le tane fossero finite, che il tratto di pericolo fosse stato superato: lì vi era una porta, un pannello di legno e metallo gigantesco, alto almeno una ventina di metri, ruvido e scuro, costellato di spine e di disegni intagliati di creature che non sembravano avere nulla a che vedere con il mondo conosciuto dei vivi.

C'era un odore acre nell'aria, di fumo e zolfo.

«Essa è eterna» Disse Alucard-che-non-è-Alucard, serio «E potrete passare attraverso di lei solo in due casi»

«Quali?» chiese Integra

«Il primo caso è... se siete morti come lo è in questo momento il mio corpo. Per un vampiro è logico poterlo fare, così come per qualunque cadavere animato o inanimato. Chi non ha alito di vita nell'involucro della sua carne, può attraversare questa porta»

«E il secondo caso?» chiese Integra

«Mastah?» fu invece quello che disse Seras, che forse voleva fare una domanda intelligente, ma non ci riusciva

«Il secondo caso è...» riprese Alucard-che-non-è-Alucard «... L'esserne degni»

«E come si può essere degni?»

«Questo... questo dovrete scoprirlo da soli. Dovrete passare il primo degli specchi»

«Sarebbe più facile se tu non parlassi per enigmi»

«Io non sto affatto parlando per enigmi» di nuovo, il vampiro allargò le labbra in un sorriso troppo largo e inquietante, che fece somigliare il suo volto ad una maschera di gomma «Per me sarebbe facile, lasciarvi qui. Io sono morto, io posso proseguire attraversando questa porta. Voi no, voi siete dei vivi e dei mortali e forse non siete neppure degni».

Integra prese a camminare avanti e indietro, con le mani dietro la schiena, poi fissò il suo sguardo azzurro su Alucard-che-non-è-Alucard

«Ma... perchè dovremmo voler attraversare questa porta? Esiste un solo motivo per cui dovrei volerlo fare? Aldilà di questa, forse... c'è l'inferno» lady Hellsing indicò l'enorme portale di legno con tutte le dita della mano «C'è un solo, squallido motivo per cui dovremmo andare all'inferno? Dammene uno e io ci andrò».

Il sorriso del vampiro si strinse di qualche dente e il suo volto divenne curiosamente più dolce

«Un motivo? Avete bisogno di un motivo? Oh, ma è molto semplice e ti darò un motivo per cui ti getterai immediatamente all'inseguimento, a braccia aperte nell'inferno»

«E sarebbe?»

«Stavi inseguendo qualcuno. Stavate inseguendo qualcuno. Qualcuno che ti ha offesa»

«Si» confessò lei «Stavo inseguendo qualcuno»

«E quel qualcuno potrebbe essere dietro quella porta» Alucard-che-non-è-Alucard distese un braccio per indicare il portale «Dietro quei battenti oscuri, ricamati di parole arcane, si estende il posto più straordinario di tutte le dimensioni. Ha molto di incredibile e tantissimo di terribile, c'è del bello, dietro quella porta, ma ancor più che il bello c'è l'orrido e il terricante. E là dietro c'è anche così tanta gente... un brulichio di gente, così tanti che sembrano formiche in un formicaio. E fra di loro può anche esserci colui che insegui»

«Undertaker?»

«Si. Proprio lui. Potrebbe essere lì dietro, in attesa. Forse è nascosto e sta scappando proprio da voi, te e il tuo vampiro. Un gran bel vampiro» Alucard-che-non-è-Alucard si passò una mano sul petto, toccando con piacere i muscoli sodi di quel torace, poi abbassò gli occhi a guardarsi i piedi e infine analizzò le proprie mani grandi e inguantate di bianco «Ha molta forza. E un bel personale, è molto... molto alto. Snello. Veloce. Proprio il corpo che avrei voluto trovare per possederlo, è quello giusto»

«Bene» Integra sorrise «Andremo oltre quella porta. Andiamo, Seras!»

«Dove andiamo, Mastah?» chiese la police girl, curiosa

«All'inferno».

 

«Noooooo!» Urlò Ciel «Nooooo! Lasciatemi in pace! Lasciatemi in pace!»

«Giammai! Sei stato tu stesso a chiedere questo castigo!»

«Ti prego! Vi prego!» gemette Ciel «Non potete farmi questo. Non voglio! Lasciatemi stare!»

«E invece lo farai... farai quello che ti abbiamo detto!»

«No! Se qui ci fosse stato Sebastian, non vi avrebbe mai lasciato farmi una cosa del genere!»

«Non vorrai dirci che lui non te lo faceva mai?» la voce rise, beffarda

«Si! Sebastian non mi ha mai fatto una cosa del genere, né mai la farebbe!»

«Non dire stupidaggini, piccolo lord! Mi sembra ovvio che Sebastian...»

«Nooo! Non fatemi questo, vi prego!»

«Perché non dovremmo?»

«Non voglio mangiare i broccoli! Vi prego, non fatemeli mangiare!»

«Guarda come sei ridotto, Ciel! A implorare e a pregare per non mangiare qualcosa di sano e salutare! Che razza di nobile sei?».

 

«Allora, come ci si rende degni di passare attraverso questa porta?»

«Non è facile, Integra Farburke Wingates Hellsing. Non è affatto facile»

«Questo si era capito. Ma non mi importa quanto sia difficile. Io avrò la mia vendetta, lo inseguirò fin dentro le fiamme infernali, mentre i suoi occhi staranno bruciando, e glieli caverò dalle orbite con le mie dita a costo di scottarmi»

«Adoro questa determinazione» ringhiò fra i denti Alucard-che-non-è-Alucard, avvicinandosi a lei, fin quasi a toccare con la propria guancia la sua «Ed è per questo che ho deciso di aiutarvi. Dopo, mi ricompenserai a dovere»

«Cosa vuoi?» chiese lei, fredda, allontanandosi di un passo

«Te lo dirò, quando tutto questo sarà finito»

«E quand'è che sarà finito?»

«Ti faccio una promessa: entro questa sera. Entro questa sera, sarete di ritorno nella vostra casa del reality e quando questo sarà successo, vi giuro, penserete che quello sia un posto calmo e sicuro».

Detto questo, Alucard-che-non-è-Alucard si sollevò in punta di piedi e allungò le mani verso l'alto per afferrare le due enormi maniglie ad anello della porta dell'inferno, poi tirò con forza, indietreggiando, e con un rumore rugginoso i due battenti si dischiusero lentamente.

Da dietro di essi, proveniva una fioca luce argentea.

«Mastah...» Mormorò Seras, con la bocca aperta, in un'espressione di assoluta sorpresa.

Mey Rin ebbe il buon senso di allontanarsi velocemente dalla porta, poiché non bisognerebbe rimanere in piedi e inermi di fronte ad una porta che non si conosce e che si sta aprendo, specie se questa è stata annunciata più volte come “l'entrata dell'inferno”.

«Ma è uno specchio!» Esclamò Integra «Perché è uno specchio? Non c'è niente dietro quella porta!»

«Come ti ho già detto» le sussurrò piano Alucard-che-non-è-Alucard «Io non stavo affatto parlando in modo metaforico. Dovrete passare attraverso lo specchio, per venire all'inferno, non c'è altro modo»

«Tu puoi passarci, quindi...»

«Si» il vampiro mostrò la sua mano, aprendola e chiudendola, poi si avvicinò allo specchio che prima era stato nascosto dalla porta e fece passare attraverso di esso la sua mano, che scivolò come se entrasse nell'acqua «Io posso passare dall'altra parte senza problemi. Siete voi che qualche problema lo avrete».

Integra provò ad imitare il vampiro, ma toccò sotto le dita solo la superficie solida e freddissima dello specchio. Lo colpì con un pugno, ma non riuscì neppure a scalfire l'argenteo portale, quindi si ritrasse.

«Hai detto che ci aiuterai» Disse, rivolta al vampiro «Quindi... andiamo, fallo! Come possiamo renderci degni di passare attraverso il portale?»

«Come vi ho già detto, questa è una cosa che dovrete scoprire da soli. Voi dovrete passare attraverso gli specchi, non io, non ne ho alcun bisogno. Voi dovrete trovare il modo di rendervi degni, agli occhi dello specchio».

Integra cercò di ragionare: il gigantesco specchio, o portale, o quello che era, lasciava passare attraverso se stesso soltanto i morti. Questo significa che i morti avevano qualcosa che li rendeva degni di passare. Ma cosa?
Non era solo la “non vita”, perchè i vampiri erano capaci di camminare grazie alle colonie batteriche nel proprio corpo, e i batteri erano vivi e passavano tranquillamente attraverso il portale.

Cos'avevano in comune vampiri, zombie e cadaveri comuni? Erano freddi.

E se fosse stato il freddo? L'assenza di calore: niente di ciò che aveva la temperatura di un corpo umano poteva riuscire a passare attraverso lo specchio.

Ma l'unico modo per scendere sotto la temperatura umana, pensò Integra, era morire e questo non andava bene. Quindi doveva esistere un altro modo, qualunque altro modo...

Cos'altro avevano in comune i cadaveri? Erano pallidi. Il loro cuore non batteva. Ma anche queste erano cose da morti.

Se Undertaker era riuscito a entrare all'inferno, da vivo, voleva dire che un modo doveva esserci.

«Immagino quindi che non ci darai neppure un indizio» Disse Integra, parlando sottovoce in direzione del vampiro che era la loro guida «E alla fine pretenderai anche un pagamento. E ora pretendi invece che io sappia come passare attraverso lo specchio, da sola, senza aiuti...»

«Se sei intelligente come dici di essere... si, sarà il tuo cervello a renderti degna di passare attraverso lo specchio»

«Io lo so» disse improvvisamente Mey Rin, a voce alta

«Lo sai?» le chiese Integra, sorpresa «E diccelo, cosa aspetti!»

«Ma voglio il mio pagamento. Non farò tutto gratis, so bene che questo... questo è da stupidi. E non ne posso più di essere stupida».

Integra rimase per qualche istante in silenzio, poi annuì

«E sia. Qual'è il pagamento che vuoi?»

«Sette punti. Sette punti del reality, se torniamo a casa vivi. Dovrai dire alle conduttrici del reality che la vostra squadra cede sette dei suoi punti alla squadra dei Phantomhive»

«Va bene. Lo faremo. Ma tu devi farci passare attraverso quel portale. Come facciamo?».

Mey Rin annuì e si aggiustò sul naso gli occhiali di plastica, poi iniziò a parlare

«L'idea mi è venuta quando lui ha detto che solo i morti possono passare attraverso quel portale. E sapete che cosa i morti hanno in più di noi?»

«Si» Integra prese ad elencare sulle dita «Sono freddi, pallidi, il loro cuore non batte...» guardò Seras «Molti di loro sono stupidi»

«Queste non sono cose che hanno più di noi. Sono solo cose che hanno in meno di noi»

«E allora... non lo so. Cos'hanno in più di noi?»

«Niente. Non hanno niente in più di noi. Ma la cosa che manca ad un morto, più che ad un umano... sono le emozioni»

«Mastah?» chiese Seras, che probabilmente voleva dire “come sarebbe a dire?”.

Integra tradusse in modo comprensibile l'intervento di Seras

«Come sarebbe a dire? Io ho due vampiri e immagino che provino emozioni...»

«Ma non come gli umani, oh no, neanche alla lontana» Mey Rin sorrise, il sorrisetto trionfante di Sherlock Holmes che ha risolto il caso «I vampiri, o gli zombie, o i cadaveri in generale, non hanno qualcosa che per gli umani è molto, molto importante»

«Cosa?» Domandò Seras, nella prima domanda comprensibile detta da lei in questa giornata

«La paura di morire».

Mey Rin inspirò a fondo, poi aprì le braccia e prese a camminare verso il portale «La paura di morire ci rende ciò che siamo, ma per passare aldilà... ».

Mey Rin passò attraverso lo specchio come se fosse fatto di acqua.

Integra battè le palpebre

«Com'è... com'è possibile? Io non ho paura di morire! Eppure io non riesco a passare!» battè i pugni con rabbia contro la superficie riflettente, una, due, tre volte... ma quella rimase solida e impenetrabile.

Alucard-che-non-è-Alucard rise, una risata potente, ma che non somigliava davvero a quella dell'Alucard originale, ma ne era piuttosto una copia sbiadita e più rauca, come il ringhiare di un gigantesco cane

«Te l'avevo detto, Integra Farburke Wingates Hellsing! Te l'avevo detto chiaramente che sarebbe stato il cervello a permettervi di passare dall'altra parte. Non è l'assenza di paura di Mey Rin che le ha permesso di attraversare lo specchio senza problema, ma è semplicemente l'aver scoperto che cosa è necessario per passare. Il suo cervello l'ha salvata! O condannata, se preferisci»

«E noi? Io e Seras, come attraverseremo lo specchio?»

«Seras è morta. Lei non avrà alcun problema a passare, può farlo anche adesso, come qualunque vampiro anche di infimo livello»

«Ed io?»

«Quanto a te... sai bene cosa devi fare»

«Devo... abbandonare la paura di morire?»

«Esattamente»

«Tu mi chiedi di smettere di essere umana?»

«Solo per pochi istanti. Puoi farlo, lo so... solo pochi istanti, e potrai passare anche tu dall'altra parte dello specchio».

Integra strinse i denti dietro le labbra serrate. Come avrebbe potuto dimenticare di essere umana e superare la paura di morire? Tutti gli umani ce l'avevano e lei non faceva eccezione: avrebbe tremato se avesse sentito una lama sul proprio collo e avesse saputo che davvero da lì a pochi istanti sarebbe calata su di lei, tagliandole la gola senza via di scampo. Solo che... pensò... solo che nessuno avrebbe mai potuto fare qualcosa del genere. Così, d'improvviso, scoprì che la paura di morire, per lei, era solo una stupida fobia perchè non c'era nessuna possibilità che ciò accadesse. Nessuno avrebbe avuto la forza di ucciderla, perchè Alucard era con lei... Vlad Dracula, uno dei più potenti figli del demonio, si era inginocchiato ai suoi piedi e l'avrebbe protetta, sempre. Niente poteva ucciderla. Lei aveva visto in faccia la morte e la morte non l'aveva presa, perchè aveva avuto paura di lei.

«La morte ha paura di me» Disse Integra, a bassa voce, avviandosi verso lo specchio «La morte... ha paura».

Diede una craniata contro lo specchio, senza riuscire a passarlo. Perché? Perché non era successo?

«Tu hai ancora paura di morire» Disse Alucard-che-non-è-Alucard, guardandola «Per questo non sei riuscita a passare... hai creduto di poterlo fare, ma crederlo non è abbastanza, provi ancora troppa paura... troppa...»

«No! Io non ho troppa paura di morire! Ne ho solo... solo un pò» le ultime parole erano solo un pigolio debole «E nessuno può uccidermi. Perciò perchè dovrei avere paura?»

«Davvero?» Alucard-che-non-è-Alucard le si avvicinò rapidissimo.

Le respirò sul collo con il suo alito congelato e la immobilizzò in un abbraccio

«Non hai il tuo servo vampiro, adesso...» le disse, parlandole piano «... Nessuno ti salverà da me. Potrei farti tutto ciò che voglio. Prenderti e ucciderti. Averti mia per l'eternità, vampirizzarti se ciò mi aggrada»

«Non potresti farlo» ringhiò Integra

«Dici la verità. Dillo. Dillo che ti faccio paura. Che hai paura di morire»

«No»

«Non mentire a te stessa, Integra, perché questo è sbagliato»

«Non mento a me stessa»

«Andiamo, lo sai. Ora sei sola»

«Si» ammise Integra

«E ora che sei sola... potrei prendere la tua anima e il tuo corpo» fece una pausa di qualche istante, sollevando il mento, poi riabbassò la testa e sfiorò con le sue gelide labbra la giugulare di lady Hellsing «Potrei ucciderti»

«Seras!» gridò Integra, con il tono di chi sta dando un ordine.

In un solo istante, la ragazza vampiro saltò in avanti e colpì con forza usando braccia e zanne.

Alucard-che-non-è-Alucard fu costretto a lasciare andare Integra per avvinghiarsi a Seras e proteggersi contemporaneamente dai suoi denti acuminati: i due rotolarono sul terreno e si allontanarono dall'unica umana presente, mentre si destreggiavano in un corpo a corpo degno dei campioni olimpici di lotta libera.

Integra rise forte

«Io non sono mai sola, sai? Mai. E questo significa che è stupido, per me, avere paura di morire» e detto questo, Integra prese a camminare come se nulla fosse, disinvolta, e passò attraverso lo specchio.

Alucard-che-non-è-Alucard sorrise, liberandosi con un solo movimento del braccio di Seras

«Hmm... ti ci è voluto il mio aiuto per capirlo?» domandò, anche se Integra non poteva sentirlo, poi anche lui la raggiunse aldilà dello specchio.

 

Ciel si sentiva oltraggiato, nonché con un orribile sapore di calzino vecchio e olioso in bocca. Aveva sempre detestato i broccoli, non li aveva mai potuti vedere, tantomeno mangiare!

Beh” pensò “Almeno non ho più fame”

Si, ma adesso stai per vomitare” gli fece notare una maligna vocina interiore “E ce la faranno a farti buttare tutto fuori anche prima che ti portino l'acquetta fresca”

Silenzio”.

Sentì il cigolio di una porta poco oliata che si apriva e, con il consueto fruscio di vestiti in avvicinamento, arrivò anche la sua nuova conoscenza, più un gradito bicchiere d'acqua fresca sciabordante.

«Eccola qui, la nostra piccola fonte di verdoni a cui non piacciono le cose buone» disse la voce, prendendosi allegramente gioco di lui

«Non dirmi che tu invece la mangi, quella roba» commentò Ciel, disgustato

«Abitualmente»

«Ugh… non ho più voglia di levarmi la benda. Se siamo quello che mangiamo… ugh».

Ciel udì la donna sbuffare con disappunto e subito dopo sentì sulla pelle le sue dita dargli un buffetto in faccia. Un buffetto! Un buffetto in faccia! Chi si credeva di essere?!

«Tieni a freno la lingua, microbo» lo apostrofò la donna, aspra «Sentimi bene, io non ti piaccio, e tu non sei certo il mio migliore amico, perciò se hai un pò di sale in zucca ti conviene fare il bravo bambino e non fare i capricci» sottolineò l'ultima parola aprendogli di malagrazia la bocca e vuotandogli di colpo tutto il contenuto bicchiere in gola.

Ciel sentì l'aria mancargli e cominciò a tossire convulsamente, sentendo quello che ipotizzò di fascia di contenimento intorno alla vita che gli premeva fastidiosamente contro lo stomaco.

«Desidera altro, signorino?» sibilò la donna, compiaciuta, prima di uscire dalla stanza sbattendo la porta.

Ciel si accasciò su … al diavolo, dovunque si trovasse. Una cosa orribile per un posto orribile, comunque. «Che qualcuno mi salvi» implorò ad alta voce, giusto per sentire il suono della propria voce strozzata «E in fretta anche».

 

Passare dallo specchio era stata una sensazione orribile. Aveva sentito come se qualcosa di disgustosamente molle l'avesse circondata, cercando di soffocarla intrappolandole il viso e comprimendola sgusciando dappertutto. Il nero aveva invaso i suoi occhi, non avvertiva più sapori, non sentiva più rumori, né percepiva odori, il tatto funzionava quel poco che le consentiva di trasmetterle una sensazione disgustosa.

Ora capiva perché, per un attimo, non avrebbe dovuto essere umana, non avrebbe dovuto essere viva, non avrebbe dovuto avere paura.

Come prepararsi, con la paura della morte addosso, a venire risucchiati in un vortice senza niente a cui affidarsi, ciechi e sordi?

Essere dall'altro lato fu come ricevere una catinata di acqua fresca in testa in una giornata estiva di quaranta gradi: scioccante ma infinitamente piacevole.

L'ondata di caldo infernale (ma in modo assolutamente non metaforico) che seguì il sollievo iniziale investì Integra come una folata dell'alito di un enorme creatura infernale (altro, insomma, non poteva essere).

La donna alzò lo sguardo, ancora stordita. Si trovava in un ambiente ben strano. Innanzitutto sembrava una caverna vastissima, persino più grande dell'”ingresso”, tanto che il soffitto, in alto, era invisibile dietro una coltra di nubi incandescenti e fumi neri, e con un'illuminazione cupa che rendeva tutto insicuro agli occhi di Lady Integra. Il “soffitto” era sorretto da strisce sottili di roccia solidissima, dal colore marrone-rossiccio, mentre tutto intorno a lei l'oscurita era rischiarata da chiazze di diversa estensione di magma bollente, che illuminavano tutto intorno in modo a dir poco efficiente.

Dalla roccia nuda spuntavano strani cristalli vagamante luminescenti, di un meraviglioso colore tra la lava incandescente e l'ambrato, con un pizzico di miele.

Integra ne sfiorò uno con l'indice e quello sfrigolò come una caramella frizzante sulla lingua, emettendo un liquido che sembrava sudore.

«Cosa diavolo è?» Si chiese «Non ho mai visto qualcosa del genere...»

«Attenti» disse Alucard-che-non-è-Alucard, sornione «Quelli sono vivi»

«Vivi, Mastah?» chiese Seras

«Si» rispose il vampiro in rosso «Sai cos'è una cosa viva, vero? O il tuo cervello non è abbastanza in forma per capire neppure quello?»

«Mastah» constatò Seras con occhio critico, poi si chinò su uno dei cristalli e ripetè con convinzione «Mastah»

«Sono pericolosi?» volle sapere Mey Rin, timorosa e stando ben lontano da quelle cose strane e luminose

«Indirettamente» rispose Alucard-che-non-è-Alucard. Aveva gli occhi improvvisamente vitrei, come se fosse stato assorto in chissà quale pensiero.

Con il silenzio che aleggiava nell'aria, nessuno osò aprire bocca per chiedere cosa significasse. Integra si ritrasse e guardò Alucard-che-non-è-Alucard, come se si aspettasse che lo conducesse dirtto filato da Undertaker, e poi a casetta, senza né ma né perché.

Seras, invece, si divertiva a toccare ancora quelle strane cose tutte colorate, che sudavano e frizzavano sul suo ditino morto. Le toccò … e le toccò … e le toccò … e ci si rotolò ...

«Smettila, Seras» ordinò Integra, seccata

«Smettila!» intimò Alucard-che-non-è-Alucard «Così le sovraccaricherai!»

«Le sovracchecosa, Mastah?»

Il vampiro ringhiò, rabbioso «Levatela di lì! Levatela ora!».

Mey Rin e persino Integra si affrettarono a spostare la stupida vampira, ma la lady dal fiocco blu volle in modo categorico delle spiegazioni.

«Nessuno li tocca mai perchè quel liquido...»

«... Uiii! Sudano!» commentò Seras, dondolando la testa

«... emana un odore particolare che ...»

«... Uiii! Sudore di ascelle!»

«... attira qualcosa che non vorreste davvero vedere. Solo i demoni inferiori e non particolarmente dotati d'intelligenza li toccano per più di due volte: più è il liquido, maggiore l'odore, e quindi più bestie ci troviamo qui. Meglio allontanarci, e mi raccomando, guardatevi intorno: quelle creature sono davvero brave a mimetizzarsi».

Mey Rin deglutì.

Il quartetto continuò a spasseggiare allegramente per l'Inferno, con alla testa come guida il demone nel corpo di Vlad Dracula (insomma, una pericolosa arma di distruzione di massa).

 

Ok. Nessuno lo aveva salvato, fino ad ora. E si chiedeva ancora perché cavolo Sebastian non l'avesse raggiunto: in fondo era un maggiordomo demoniaco, e quella specie di patto sull'occhio non lo aveva solo per bellezza (anche se pensava che in effetti fosse molto stiloso, tutto colorato e anche glow in the dark, quindi stava lì anche per bellezza, ma è solo uno stupido dettaglio di fronte alla terribile tortura del broccolo bollito! Fffuuuu!). I soccorsi dovevano fare in fretta: se la squadra di servitori che aveva scelto solo per difenderlo in caso di aggressioni e rapimenti e che non servivano a nient'altro, a che cavolo servivano? (Non mi piacciono neanche i cavoli bolliti!) E, soprattutto se né il suo giardiniere mostruosamente forte, né la sua cameriera cecchina ed investigatrice, né il suo cuoco reduce da una guerra, né il suo maggiordomo demoniaco assoldato a costo dell'anima (promemoria per il conte Ciel Phantomhive: non appena libero da questa sgradevole situazione, rompere il contratto e trovare un maggiordomo bravissimo ma meno costoso e che sappia fare un sacco di dolci e cibi con le calorie) riuscivano a salvarlo, come cavolo avrebbe potuto tornare alla vita reale?

Per qualche istante, una paura orribile lo assalì da capo a piedi, mentre sentiva il sangue rombragli nelle orecchie e il cuore battergli in gola. Forse, non avrebbe potuto tornare alla vita reale. Mai più.

Pensò con rimpianto a tutto ciò che aveva pensato scontato, e che non avrebbe mai più potuto avere, persino la sua terribile servitù gli appariva un allegro gruppetto di amici.

Promise che, se fosse uscito da quella situazione schifosa, avrebbe provato ad essere gentile con tutti e a pensare positivo.

E, d'improvviso gli venne un'idea. Un'idea tanto folle da poter funzionare.

E se gli altri non fossero serviti… ?


 

Mey Rin si continuava a guardare intorno. In fondo, se Seras era spuntata così, dal nulla, magari uno degli amici che aveva cercato tanto a lungo poteva essere lì vicino, no?

«Dov'è andata a finire quella Police-Girl?» si chiese Integra tra sé e sé, guardandosi intorno

«Non vi conviene perdere amici» commentò Alucard-che-non-è-Alucard, dando un'occhiata a destra e sinistra per sincerarsi che non fosse davvero lì vicino.

«Mastah!» esclamò Seras sbucando da dietro un angolo. Saltellò verso di loro, tutta contenta, e mise brillantemente un piede nel magma bollente. Uno dei suoi stivali svaporò tra il fumo e Seras lanciò un urletto di dolore, ritraendosi.

«Brucia!» esclamò, con gli occhi spalancati

«Nooo, davvero?» commentò Mey Rin, ironica «Pensavo che facesse le carezzine!»

«No, no, brucia» assicurò Seras, con le lacrime sanguigne agli occhi.

Si avvicinò a Integra, sorridendo (o meglio, cercando di sorridere) ed esclamò «Mastah!»

«Seras, eccot- ...» Integra ammutolì.

Seras era sudata dalla testa ai piedi. Anche i vestiti sembravano sudati, come se, mentre non la vedevano, Seras avesse corso senza fermarsi per tutto l'Inferno e poi fosse tornatamente diligentemente da loro come un bravo cagnolino ubbidiente.

Il prolema è …

Che i vampiri non sudano.

La vampiretta budino rise, mentre Integra la osservava inorridita.

«Hai visto, Mastah? Sono tutta sudata di sudore di ascelle di cosini arancioni duri che frizzano!».

Nonostante la poca comprensibilità della frase nella sua interezza, Integra aveva vissuto abbastanza con Seras da capire che, intelligente com'era, era andata di nuovo a rotolarsi sui cristalli viventi. Lady Hellsing sapeva che quella Police-Girl non era particolarmente sveglia, ma non sospettava che la sua stupidità fosse tanto accentuata che avrebbe potuto metterli tutti in pericolo di vita.

Pensò di buttarla dentro una pozza di lava e farla finita, ma era la sua unica guardia del corpo rimasta e non avrebbe mai voluto fare una cosa così stupida come lasciarsi senza protezione.

Era. Troppo. Stupida.

«Che cosa succede?» chiese Alucard-che-non-è-Alucard, in coro insieme a Mey Rin, poi entrambi seguirono lo sguardo di Integra e atterrirono.

«Buttiamola in una pozza di magma» propose Alucard-che-non-è-Alucard, come se avesse letto nel pensiero di Integra (il che era altamente possibile) «Non ho mai visto quasi nessuno così idiota. Perfino un handicappato se gli dici di non fare una cosa non la fa! Questa cos'è? Cos'è questa cosa con il QI inferiore a quello di un bottone?»

«Oh mamma mia!» gemette Mey Rin

«Manteniamo la calma» consigliò Integra «E guardiamoci intorno. Qualcuno vede qualche mostro?».

Mey Rin e Seras si guardarono intorno, timorose, con Alucard-che-non-è-Alucard concentrato a scrutare soprattutto sopra la sua testa.

«Bene» commentò Integra, compiaciuta e nervosa insieme «Io non vedo mostri, quindi va tutto bene».

La donna si sentì tirare per la manica del completo, e si girò.

Mey Rin fissava sopra la propria testa con un'insistenza che innervosiva lady Hellsing anche più dell'espressione estremamente spaventata della ragazza cinese. Lei guardò Integra negli occhi, con i bulbi oculari che, dietro le lenti, continuavano a schizzare spaventati verso l'alto come a controllare qualcosa. L'indice della donna occhialuta si puntò verso un punto preciso sopra le loro teste.

Integra alzò il mento e vide solo pietra nera. Niente di speciale, insomma.

Proprio mentre stava per chiedere a Mey Rin perché mai si spaventasse tanto della roccia, qualcosa cominciò a delinarsi di fronte al suo sguardo. Il pericolo viene dall'alto. Integra spalancò gli occhi, riconoscendo finalmente una forma, che aprì occhi profondi ma impenetrabili come acque sotto un ghiacciaio e la fissò.

Era nerissima e spettrale, aggrappata al soffito scabro a testa in giù come un enorme pipistrello, con tre zampe lunghissme, esili e ossute, in un modo che gli dava un'aria emaciata ma lugubre. avvinghiata con gli enormi unghioni neri. Aveva muscoli ben scolpiti eppure apparentemente rilassati, nonostante dovessero sostenere quella enorme mole senza farla franare al suolo. Non appariva longilineo o scattante, e non era neppure semplicemente magro: aveva il corpo di un giunco, con il torace appena un po' più ampio. Il lungo collo era mezzo contratto, sostenendo la testa dal muso esile, quasi un becco. Aveva la pelle bucherellata, come se fosse stato fatto di pietra lavica, che contrastava in modo terribile con i suoi occhi di un giallo cupo che parevano rifiutare che qualunque tipo di luce vi si riflettesse.

Nessuno fiatò.

Era come se il mondo, il tempo, si fossero fermati. Una goccia d'acqua unica, sospesa tra il cielo e la terra, la salvezza e la catastrofe.

«Mastah?».

La creatura spalancò le fauci senza rumore e esibì il rosso e il nero della sua gola profonda, discendendo in modo lentissimo e implacabile dal soffitto.

Loro erano le sue prede, nel suo mondo, e non avrebbero mai potuto sfuggirgli.

 

Va bene: punto 1, liberarsi di ogni esigenza in modo che nessuno venga a controllarti nel bel mezzo del tuo piano di fuga. Aveva già mangiato (e quasi vomitato), e bevuto (ed era quasi morto strozzandosi), e adesso doveva andare in bagno (e forse sarebbe caduto nel cesso) e, oltre a levarsi quei tizi dai piedi una volta tornato nella sua stanza di prigionia perché aveva esaurito le lagne, magari in bagno avrebbe potuto trovare qualcosa di utile. O in qualunque altra stanza, visto che non era sicuro che l'avrebbero portato proprio in bagno (per evitare certi spiacevoli incidenti, di solito in bagno c'è sempre una finestra, e dalla finestra si può anche scappare se si è piccoli e magri come Ciel, a meno che non sia una finestrella per topi).

«Ehi» cominciò a urlare «Ehi, devo andare in bagno! Ehi, qualcuno mi manda in bagno? Ehi, voi!».

Il suo inconsapevole complice non si fece aspettare.

Sentì i consueti rumori di cigolio e fruscii conosciuti, ma il rumore di passi non era quello giusto. Era più pesante. Più scoordinato.

«Che c'è, bimbo?» chiese una voce vicina, profonda, ma assolutamente sconosciuta, con un'inclinazione da gorilla buttafuori un po' tonto

«Devo andare in bagno»

«Ah. È urgente?»

«Si. Me la sto facendo addosso» disse Ciel, odiandosi per una frase tanto poco nobile, ma aveva bisogno di dare l'impressione di chi non ce la fa più a tenersela e se ne frega dei vocaboli ricercati

«Oh... allora vieni» disse l'omone, cominciando ad armeggiare.

In men che non si dica, Ciel fu libero come l'uccellino Cip del cartone di Heidi, ma ancora non ci vedeva, o, almeno, il suo campo era completamente occupato dal nero di una cosa pigiata sui suoi occhietti blu.

«E la benda?» chiese, con voce innocente, già sapendo la risposta. Era ovvio che non gliela levassero ora, sennò avrebbe visto tutta la base …

«Lei mi ha detto di non levartela» rispose l'omaccione

«Chi è Lei?»

«Lei mi ha detto di non dirtelo»

«Perchè non mi levi la benda?»

«Perchè lei mi ha detto di non farlo»

«Si, ma sarebbe meglio se io centrassi la tazza» suggerì il conte

«Oh» l'omone aggrottò le sopracciglia, anche se il bambino non poteva vederlo «Beh, in effetti… ma se le disubbidisco mi metto nei guai»

«Ma noi non glielo faremo sapere» lo tentò Ciel, con un sorrisino

«Uhm… se non spifferi niente, te la levo»

«Giurin giurello».

Quanto era stato facile! Quel tizio era proprio cretino!

Mentre scioglieva il nodo, l'uomo cominciò a snocciolare parole come se lui avesse conosciuto Ciel fin da bambino (il che mi risulterebbe strano) «Mi chiamo Bob. E tu, io lo so come ti chiami. Sei Siel Fantomai>

«Ciel Phantomhive»

«Si, si, quello. Sai, io non volevo farla questa cosa, mi piacciono i bambini, ma Lei mi ha costretto»

«Scusa, ma non sei più forte?»

«Si, ma le donne non si picchiano» disse Bob, con aria da grande guru «Non si toccano neanche con una pietra»

«Un fiore…»

«Quello»

«No, intendo, come ti ha costretto? È di un… brutto giro? Mafia?»

«Diciamo di si, ma non proprio. Un giro è un giro».

Finalmente, Ciel ci vide di nuovo. Era in una specie di stanza dell'inutilità con le pareti tutte bianche (ma con numerose pedate nere artistiche), di quelle piccole stanze in più in cui si buttano tutte le cose che non servono. Ecco, questa era una di quelle, solo curiosamente molto più spaziosa e ordinata. Lui era stato legato ad una barella d'ospedale tutta rammendata poggiata su un tavolo che sembrava non aver ricevuto molte attenzioni fino ad ora.

Ciel arricciò il nasino.

O erano tremendamente poveri o non gli andava per niente di usare le loro cose preziose per lui.

Si girò verso il suo stupido e inconsapevole salvatore, mr. Bob, e lo trovò esattamente come lo aveva immaginato. Un gorilla buttafuori appena appena ebete. Aveva un pò di barba non rasata e le ossa grandi, ma aveva un fisico palestrato che faceva pensare che l'evasione sarebbe stata più difficile del previsto, se Bob Buttafuori si fosse accorto di cosa stava succedendo. Era vestito elegante, ma dava l'impressione di esserci stato infagottato a forza. L'unica cosa degna di nota era il dente di leone giallo raggiante all'orecchio.

«Grazie» commentò Ciel

«Prego, Fantomai» rispose Bob, intenerito e commosso in modo quasi ridicolo per un bestione di quelli dal ringraziamento del bimbo gracilino e con gli occhioni blu

«Phantomhive» corresse il conte automaticamente, poi sorrise.

Che allocco.

«Bene» Ciel assunse un'aria solenne «Bob, portami dal tuo bagno»

«Capo»

«No, scusa, devo andare in bagno e vado dal tuo capo?»

«Giusto».

«Siamo al sicuro?» ansimò Mey Rin, rannicchiata nella piccola fessura tra le rocce in cui si erano infilati. Stavano stretti, ma almeno, tutti così vicini, erano tanto inermi e immobilizzati da rincuorarsi con la presenza degli altri a pochi millimetri.

«Per niente» assicurò Alucard-che-non-è-Alucard, guardandosi intorno come un rettile «Quegli unghioni sono fatti apposta per trapassare la roccia e intrappolare nei cunicoli rocciosi le prede. Quelle bestiacce sono pazienti, e aspettano finché il povero animale che hanno tra gli artigli non muore di fame o di sete, o, nel caso della caccia dei mostri più vecchi, che hanno gli unghioni più spessi di qualunque altro animale io abbia mai visto, di asfissia, e poi si infilano nei cunicoli (sono magrissimi, l'avrete notato) oppure scavano a zampate fino a che non trovano ciò che hanno cacciato»

«Me lo immaginavo diverso l'Inferno» ammise Integra «Ma questo fa concorrenza all'Inferno nella mia mente»

«Anche qui c'è un'ecosistema, lady Hellsing, e voi siete gli ultimi della catena alimentare dopo i cristalli viventi»

«Perché siamo qui se non siamo al sicuro?» chiese Mey Rin, tremando leggermente. Il suo sistema nervoso cominciava a protestare per tutta quell'avventura, e per quanto Mey Rin desiderasse trovare Finnian, Sebastian e il Signorino, cominciava a dubitare che sarebbe a due minuti più avanti nel suo tempo

«Perchè da qui si può arrivare al sicuro» rispose Alucard-che-non-è-Alucard, con il tono di chi sa il fatto suo «Questa è una scorciatoia ...»

«Nel senso che ti scorci quando passi?» chiese Seras, tutta interessata

«Se non fai attenzione, si, e non dovrai neppure passare di lì se non fai la brava per scorciarti» rimbeccò il vampiro posseduto, sbuffando «Dicevo, questa è una scorciatoia per arrivare al fiume più vicino, dove potremo levare via quella traccia olfattiva dalla vampira e far perdere le nostre tracce»

«Siamo all'Inferno, l'acqua sarà mortalmente calda» commentò Integra, alzando un sopracciglio

«Sbagli, Lady Hellsing, non sarà diverso dal fare il bagno in una sorgente termale, se non per qualche piccolissimo particolare… figurati che c'è anche tanta compagnia, ma non vi preoccupate, se sarete educati anche loro saranno assolutamente squisiti»

«E se non lo saremo?» chiese Mey Rin

«Beh, voi sarete squisiti per loro»

Mey Rin emise uno strano squittio.

«Va bene, statemi a sentire. Da qui in poi, la vostra vita è un'equilibrista su una corda molto fine, ma se uscite da qui e non mi seguite, il filo sparirà e non c'è nessuna rete. A quest'ora saranno almeno dieci in più i bari che vi buttano giù. Qualcuno potrà morire qui dentro, va bene? Perciò preparatevi a correre»

«Mastah?»

«Ssht» intimò Alucard-che-non-è-Alucard, con uno strano sorriso, quasi estatico «Lo sapevo!Lo sentite? Lo sentite?».

Tutti tesero le orecchie

«No» rispose Mey Rin, aggrottando la fronte «Qui non si sente niente. Cosa dovremmo sentire?»

«Mey Rin… non passare attraverso le specchio. Riflettiti»

«Che significa? Ho detto che non si sente niente, no? Non devo passare attraverso lo specchio, quindi non devo dire le frasi senza pensarci, ma riflettermi, quindi guardare bene le frasi e capire...» disse Mey Rin ad alta voce, guardando di tanto in tanto Alucard-che-non-è-Alucard per avere conferma, poi impallidì «Oh, no. Non si sente niente»

«Esatto!» Alucard-che-non-è-Alucard sembrava tremendamente compiaciuto

«Che cosa sta succedendo qui che non riesco a capire?» esclamò Integra, irritata

«Non si sente niente» rispose Mey Rin «Sono qui»

«Vi suggerisco, da creatura infernale a umane e fessa morta, di strisciare il più velocemente possibile».

Contorcendosi, si infilarono ad uno ad uno nel cunicolo: Alucard-che-non-è-Alucard in testa, Mey Rin per seconda, Integra terza e per ultima Seras, che aveva avuto paura fino all'ultimo secondo di scorciarsi tutta nella scorciatoria.

Dei pali spessi e acuminati, nero cupo, si conficcarono dove pochi secondi fa c'era il quartetto di turisti, tra zolle di terra volanti e gli strilli acuti di Seras e Mey Rin.

Unghioni continuavano a conficcarsi sul loro percorso, senza preavviso, mentre le due ragazze continuavano a strillare e strepitare, terrorizzate.

Era un incubo, di certo era un incubo. Mey Rin sapeva che era un incubo da quando erano cominciate le cose assurde come la Madonna, e i Vashta Nerada, anzi, lo sapeva da quando Alucard si era bevuto quel bovino in modo del tutto poco galante. Ma, anche se era un frutto della sua immaginazione, era un sogno tanto realistico che non aveva vogli di morire di fame, sete o asfissia, e neppure a spiedino su uno di quegli orribili unghioni.

Integra era in cerca di vendetta, ma voleva anche andare fino in fondo per riavere il suo Alucard. Di certo quando si era iscritta a quel reality non immaginava certo una “prova” del genere. Qui si trattava di sopravvivere, ed era tutta questione di fortuna, di chi non sarebbe stato ucciso per mano di un'orribile e spettrale creatura infernale. E lei aveva sempre avuto fortuna. Si, ce l'avrebbe fatta.

Seras aveva cominciato solo ora a capire in che razza di guaio si era cacciata. Per quanto, tecnicamente, un non-morto non dovrebbe provare questo genere di paura, aveva paura di morire. Quasi, E, soprattutto aveva paura per la sua Master Integra. Aveva paura anche per Mey Rin, e per il suo Mastah, che, chissà come mai, gli sembrava un po' cambiato …

Tre unghioni neri come il carbone gli si piantarono a un soffio dal naso. Seras strillò e cercò di fare retromarcia ma sbattè contro qualcosa di duro, strillando di nuovo. Non riusciva più a vedere nessuno degli altri tre.

Era in trappola.

Sentiva a malapena le voci degli altri che la chiamavano, ma, da quanto aveva sentito dal suo Mastah un pò cambiato, non c'era nulla che potessero fare per lei.

«Andate!» gli disse «Andatevene, o questi cosi vi ammazzano!»

«Seras, torneremo a prenderti!» promise Integra più a se stessa che a Seras, poi si girò e continuò a strisciare. Era vero, Seras era una cretina totale, ma faceva parte del suo team già scarso di componenti, e non avrebbe permesso a nessuna creatura infernale qualsiasi di farle un affronto del genere. Una volta lavata la prima onta, avrebbe evitato la seconda. E Integra Farburke Wingates Hellsing mantiene sempre le sue promesse.

Mey Rin mise una mano sulla bocca, sconvolta, mentre Alucard-che-non-è-Alucard, indifferente, intimava loro di allontanarsi, se non volevano fare la fine di quella vampirella stupida.

Seras si strinse le ginocchia al petto, mordicchiandosi il labbro inferiore. Non si era mai sentita così sola in vita sua. Mai sentita così triste … era spacciata. Era una strana parola, spacciata. L'aveva pensata solo tre volte nella vita. Quando era piccola, rimasta orfana, con i genitori uccisi sotto gli occhi. Prima di essere vampirizzata, con un orribile prete vampiro e il suo Master (che al tempo non era ancora Mastah) che le puntava contro una pistola.

E ora.

Non si era mai sentita così triste e così sola.

 

Ciel ringraziò Bob ed entrò nel bagno.

Non era un bagno tanto orribile per quanto piccolino e con un'illuminazione un pò scarsa, ma non era neanche al livello del suo.

Era piastrellato di verde e decorato con fiorellini gialli e blu e non sembrava troppo sporco.

C'era anche una finestra da cui Ciel, piccolino e magro com'era, sarebbe passato senza alcun problema, ma che aveva un problema: era posta troppo in alto.

Ciel decise di fare prima di tutto pipì, perchè non si sapeva mai che cosa poteva succedere durante una fuga precipitosa... e se lo avessero riacciuffato e non gli avessero poi permesso di riandare in bagno? Sarebbe stato imbarazzante e disgustoso farsela addosso.

Perciò svuotò la vescica (ah, l'aveva fregato a quel buttafuori di Bob! Aveva chiesto di fargli togliere la benda per fargli centrare la tazza quando invece Ciel questo problema non l'aveva perchè si sedeva sulla tazza!), scaricò l'acqua e chiuse il coperchio del water. Poi ci salì con i piedi sopra e allungò le braccia: ma la finestrella non era solo in alto, era anche spostata molto a sinistra rispetto al Water. Come avrebbe fatto a raggiungerla?

Si guardò interno: tappetini, un bidet, un lavandino, una saponetta, un asciugamano gigantesco e niente che lo potesse aiutare a scappare. Poi sorrise: e invece si che c'era qualcosa che lo avrebbe aiutato a scappare! Prese l'asciugamano e lo arrotolò per creare una corda, poi staccò il portasapone che era semplicemente appoggiato ad un supporto metallico e lo annodò alla fine dell'asciugamano. Risalì sul water con i piedi e lanciò che rampino improvvisato dalla finestra... incredibilmente, riuscì ad attaccarsi a qualcosa che c'era fuori. Ciel non si sarebbe aspettato mai che fosse così facile, anzi! Fra mille sforzi e sbuffi, il piccolo conte prese ad arrampicarsi fino ad arrivare alla finestra. Da lì vide che il suo rampino improvvisato era andato provvidenzialmente ad avvolgersi intorno al grosso ramo di un albero. Si aggrappò a quel ramo e poi decise di scendere lungo l'albero: e questa sarebbe stata la parte più difficile, ma lui non aveva nessuna intenzione di rinunciare alla sua fuga.

Così prese, lentamente, a discendere. Sudava freddo e aveva paura di cadere, ma si aggrappò con tutte le sue forze, a costo di farsi entrare schegge di corteccia sotto le unghi e nelle dita.

Stringendo i denti, arrivò alla fine del tronco e scivolò a terra con un sospiro. Si sentiva tutto indolenzito, ma era fuori di sé dalla contentezza. Era fuori, era fuori! Ed era scappato tutto da solo, questa era la cosa bella.

«Ho sempre saputo di essere intelligente» disse fra sé e sé, con un sorrisetto, poi prese a correre.

Mentre correva, e il fiatone si faceva risentire, pensò che non aveva assolutamente idea di dove dovesse andare...

 

Sulle sponde di un fiume, i nostri eroi si fermarono. Erano stanchi per la corsa e Mey Rin propose di riposare, ma Integra non accettò

«Finché avrò fiato in corpo» disse «Finchè il mio cuore batterà, non ho alcuna intenzione di fare si che il mio nemico possa fuggire. Sono venuta fin quaggiù all'inferno per prenderlo e non mi fermerò!»

«Sii ragionevole!» la pregò Mey Rin, ansimando «Non possiamo continuare, siamo troppo stanchi! E ci stiamo disidrtando! Abbiamo persino perso Seras...»

«Non importa. E per bere, guarda» indicò in direzione del fiume, a qualche metro da loro «Ce n'è in abbondanza per tutti, un fiume intero, Mey Rin! Non puoi dire che morirari disidratata»

«Fossi in voi non berrei quell'acqua» disse Alucard-che-non-è-Alucard, con un ghigno

«Perché no?» quasi lo sfidò Integra

«Perché quella è praticamente la fogna dell'inferno, amici. Non è solo una fogna disgustosa, ma è anche pericolosa»

«Una fogna?» Integra storse il naso «Non credo che berrò lì. Tu puoi farlo, se vuoi, Mey Rin»

«Non lo farò neanche io» disse lei, deglutendo «E adesso siamo senz'acqua. Se beviamo, probabilmente, moriremo infettati da qualcosa di orribile»

«Non mi fermerò» ribadì Integra «E tu pensi di concludere qualcosa, facendolo adesso? Neanche qui c'è da bere e riposarti non ti servirà a nulla. Dobbiamo continuare a camminare!».

Mey Rin ammise fra sé e sé, di malavoglia, che Integra aveva ragione. Così proseguirono lungo il corso del fiume.

L'acqua era grigiastra, sporca, troppo densa, e fra i flutti scorreva della sabbia. Ogni tanto emergevano in superficie cose che sembravano mani, o dita adunche, o nasi, ma che Integra non considerò, pensando si trattasse di detriti, come rametti o pietre.

Mey Rin, invece, guardò con cospetto a quella roba: era sicura di averla vista muoversi, di aver visto piegarsi le giunture delle dita e arricciare la pelle dei nasi.

Poi, all'improvviso, dall'acqua affiorò un'intera testa, grigia anch'essa, con la pelle tirata sulle guanc e gli occhi infossati. Era completamente pelato e guardò in direzione del gruppo sulla sponda con i suoi vacui occhi glauchi, facendo roteare le pupille, poi si rimmerse in acqua.

«Cos'era?!» Strillò Mey Rin, indicando il fiume

«Cosa?» chiese Integra, annoiata

«Quella testa! C'era una testa e sembrava umana! Aveva gli occhi azzurri e ci ha guardati e poi è ritornata sotto...»

«Sciocchezze» la liquidò Integra

«No, non sono sciocchezze» commentò Alucard-che-non-è-Alucard «Questo è il fiume Stige. Al suo interno vagano anime catturate dall'inferno che non meritavano castighi peggiori, ma che hanno osato violare le sue porte. Anche demoni si aggirano sul fondo melmoso di quel fiume... vi consiglio di stare attenti e non farvi catturare»

«Dunque dovremmo camminare lontani dal fiume?»
«No. Per quanto mi e vi riguarda, potreste anche nuotarci dentro. Dovreste in ogni caso fare attenzione e il pericolo è lo stesso: potreste essere spinti da fuori come pure tirati da dentro, l'importante è non finire sotto e non farsi divorare, è chiaro?»

«Sembra pericoloso» commentò con sufficienza Integra

«Siete in pericolo di vita entrambe, signore mie...»

«Perché?» domandò Mey Rin, tremando appena un po'.

Tutto questo era assurdo, assurdo, assurdo! Quello che stavano vedendo, mentre attraversavano camminando piano quella sponda, non poteva essere il leggendario fiume Stige, era fuori discussione! Quella era solo leggenda, non era reale.

Alucard-che-non-è-Alucard non rispose, ma, in testa al gruppo, continuò a camminare.

«Ti ha chiesto perchè è pericoloso» Ribadì Integra «Sei la nostra guida, ci devi una risposta»

«Sono la vostra guida perchè ho scelto di esserlo, voi non mi pagate di certo per farlo... perciò, dimmi, Integra Farburke Wingates Hellsing, perché vi devo una risposta?»

«Perché hai scelto di essere la nostra guida, hai scelto dunque di doverci una risposta...»

«Arguta risposta, Lady Hellsing! Bene, allora vi risponderò» si schiarì la voce con un colpetto di tosse, poi si mosse ancora un po' in direzione del fiume, con sfiancante lentezza, ed infine si inginocchiò sull'argine «Innanzitutto vi becchereste qualche malattia letale se doveste finire per troppo tempo qui dentro... come ho già detto, non è che un'orrida fogna. Ma questo è solo il minore dei mali ed è quasi un... male gentile, se vi interessa»

«Qual'è il peggio?» sussurrò la cameriera di casa Phantomhive, fissando il fiume e il suo scorrere stranamente pastoso, con quella roba, quelle parti del corpo, che ogni tanto emergevano dall'acqua

«Ci sono i coccodrilli dello Stige, qui dentro. Non mangiano solo il vostro corpo, ma anche la vostra anima, tanto che, se doveste perdere anche solo un braccio per causa loro, perdereste anche una parte della vostra anima. Impazzireste, senza via di scampo, oppure vi sentireste per sempre incompleti. Diventerete suicidi, o assassini, o magari maniaci compulsivi del disordine perennemente insoddisfatti dalla vita disordinata. In secondo luogo, oltre ai coccodrilli dello stige... ci sono le anime perdute. E loro sono la parte meno graziosa e più imbarazzante, diciamolo, perché possono rivelarvi cose su di voi, sulla vostra vita, sul vostro passato, di cui probabilmente avreste fatto volentieri a meno».

No, non erano affatto cose belle. Mey Rin si allontanò di qualche passo dal fiume e guardò disgustata Alucard-che-non-è-Alucard che intingeva un braccio in quella brodaglia grigia e piena di schifezze per poi estrarlo portando con se un bambino.

Si, un bambino: non poteva avere più di due anni ed aveva la pelle nera, da africano, e un paio di occhietti socchiusi. Era magrissimo, pelle e ossa, e all'improvviso spalancò le palpebre e li fissò tutti.

«Ributtalo dentro, Alucard o chiunque tu sia!» Ruggì Integra

«Ah... vedo che non ne sopporti la vista?» si prese gioco di lei il vampiro in rosso «Non sopporti di vedere cosa hai fatto?»

«Non ho mai conosciuto quel bambino!» gridò lady Hellsing «E adesso ributtalo in acqua!»

«Tu e il tuo vampiro avete fatto questo! Tu, tuo padre e chi prima di lui... gli Hellsing non hanno mai accettato di condividere le loro ricchezze. E in questo caso in particolare, è direttamente colpa vostra...»

«Ributta quel bambino in acqua!»

«Non vuoi conoscere la mia storia?» disse allora il bambino.

Aveva un timbro troppo adulto per il suo piccolo corpo, troppo beffardo per quella che avrebbe dovuto essere una giovane mente innocente.

«Non voglio» Confermò Integra «Non posso fermarmi ad ascoltarla, mi dispiace, devo vendicarmi...»

«Vendetta, vendetta, sempre vendetta! Se solo io avessi potuto...» il bambino sospirò «... Non l'avrei fatto. Non mi sarei mai vendicato di te, lady Hellsing, anche se per colpa vostra la mia anima è quaggiù. Dite che l'Hellsing aiuta gli esseri umani, ma non è così»

«Non accetterò le tue accuse. Sei un dannato e vuoi sviarmi»

«Credilo pure, se ti va, ma non è come credi. La realtà è un'altra e tuo padre ha sempre cercato di proteggerti da lei, ma non puoi scappare sempre...»

«Io non scappo. Io inseguo».

Alucard-che-non-è-Alucard ributtò il corpicino del bambino nel fiume. Integra non parve affatto scossa e continuò a camminare, superando il vampiro. Non gli interessava affatto su quante persone avesse dovuto passare per arrivare fino al suo obbiettivo, sapeva solo che ci sarebbe riuscita, che l'avrebbe trovato, o che sarebbe morta nel tentativo di farlo.

«Dove conduce il corso del fiume?» Domandò

«Lontano, molto lontano... gira lungo tutto il mondo demoniaco, delimitandone il perimetro. Tuttavia, se lo seguirai per giorni e giorni, per anni e anni, ritornerai solo al punto di partenza»

«Anni?»

«Si. Lo Stige è il fiume più lungo della nostra galassia e di tutta la dimensione demoniaca, ovviamente. Ma c'è un modo per passare oltre, per andare al centro dell'Inferno, nella parte abitata, anche se è dannatamente pericoloso...»

«Intendi che è dannatamente pericolosa la parte abitata o che è dannatamente pericoloso il modo per arrivarci?»

«Entrambe le cose» Alucard-che-non-è-Alucard si guardò le unghie, con espressione di sufficienza «Mi sembrava che fosse ovvio...»

«Certo, qui sotto tutto è pericoloso. Ma non baderò a spese, dovessi perderci un piede»

«Caparbia, la nostra amica» il vampiro in rosso le si avvicinò alle spalle e le parlò piano, vicino alla gola, sfiorandola con il suo fiato gelido «Per questo mi piaci, per questo ti adoro... ed è per questo che ti guiderò fino a trovare l'uomo con il cappello nero. Lui non viene spesso quaggiù a farci visita, ma ogni tanto... si... ogni tanto viene. Ma non si ferma a contemplare le rive di questo fiume, nooo...» Alucard-che-non-è-Alucard mosse lentamente il braccio teso in direzione del fiume, come se volesse sottolinearlo tutto «... Sua signoria non crede che sia abbastanza per lui, questo luogo meschino e disgustoso. Lui passa sempre oltre, fino a... laggiù».

Dall'altro lato del fiume, lungo tutta la sponda, correva un enorme muro, che si ergeva fino al soffitto: era la prima cerchia di mura dell'Inferno e su di essa vi era, svettante e gigantesca, la Porta Infernale eterna che Dante descrisse nella sua opera più famosa, la Divina Commedia, che scrisse probabilmente dopo aver udito il racconto di un demone o dopo essersi fatto una canna di dimensioni apocalittiche.

Tanto era largo lo stige e tanto lontana era l'entrata del primo cerchio infernale, che l'enorme portone pareva poco più grande di una porticina, ma Integra intuì con una sola occhiata che si trattava di qualcosa di molto diverso.

Avrebbero dunque dovuto guadare lo Stige? Era possibile fare una cosa del genere?

Integra pensò che sarebbe stato facile, se avessero avuto le ali, ma poiché non le avevano...

«Dovremo sporcarci parecchio» Disse, guardando l'acqua

«Non pensarci neanche!» gridò Mey Rin, indicando la superficie schiumosa e grigia «Non ho alcuna intenzione di entrare lì dentro in quella schifezza!»

«Potete anche rimanere per sempre qui, se vi va» sorrise Alucard-che-non-è-Alucard «Potete osservare per tutta la vostra vita le anime che passano e sentire cose orribili dalle loro bocche. Credetemi, qualche settimana qui e non vi sentirete più voi stessi, ma dei mostri. Chiunque si sentirebbe un mostro, anche il più pio degli uomini... siamo tutti quanti, tutti, dei mostri. Non possiamo fare a meno di fare del male, direttamente o indirettamente, con la nostra indifferenza, con la nostra avarizia o con la nostra cattiveria, con la nostra ignoranza, con la nostra indelicatezza...»

«Non mi interessa, ora» disse Integra «Forse quando tutto questo sarà finito, troverò il modo per sentirmi un mostro, ma ora quello che mi serve è la vendetta. Aiutami, chiunque tu sia, oppure sarò costretta a farlo da sola»

«Oh, che minaccia terribile!» scherzò Alucard-che-non-è-Alucard, poi guardò negli occhi lady Hellsing, incatenando le sue iridi rosso sangue a quelle azzurre di lei «Solo che ti amo troppo, per lasciarti andare da sola laggiù, amore mio»

«Bene. Ho uno spettro possiedi-vampiri che mi ama» commentò lei, sorridendo mestamente

«Ragazzi...» disse Mey Rin, ma la ignorarono

«Non sono affatto uno spettro» disse Alucard-che-non-è-Alucard, piccato «Sono molto di più di lui. E sono qui da molto, molto tempo...»

«Ragazzi!»

«Quanto tempo?» domandò Integra, ancora una volta ignorando completamente Mey Rin

«Ragaaaazzzii!»

«Immemore» risposte Alucard-che-non-è-Alucard, piano «Da così tanto tempo, che conosco ciascuno degli angoli di questo posto immondo. Amo e odio tutto ciò, ma tutto compreso...»

«RAGAZZI!»

«Che c'è, Mey Rin? Che c'è?» disse seccata lady Hellsing, voltandosi verso la cameriera con le mani poggiate sui fianchi

«Lì» disse solo lei, sollevando un dito per indicare alle loro spalle.

Alucard-che-non-è-Alucard e Integra si voltarono rapidamente. A una decina di metri da loro, librata in aria, c'era qualcosa che somigliava ad una nube e che si stava avvicinando a loro con abbastanza lentezza. Ovviamente somigliava soltanto ad una nube, ma non lo era affatto: si muoveva in modo strano, come se dentro di essa ci fossero decine di altri esseri, con degli artigli e delle teste che spingevano dall'interno verso l'esterno e si materializzavano dalle coltri di fumo.

«Cos'è quella?» Chiese Integra

«Niente» rispose Alucard-che-non-è-Alucard «Solo una nuvola...»

«Una nuvola?» domandò Mey Rin «Come sarebbe a dire una nuvola? Non lo vedi: è chiaramente viva! Ci sono quelle teste, quegli artigli, e ha gli occhi!»

«Guarda, cameriera: come ho detto poc'anzi, se tu mi avessi ascoltato invece di guardare le nuvole con tanta ammirazione, avresti capito che sono qui da tempo immemore. Di conseguenza, visto che sono qui da tempo immemore e conosco qualunque cosa di questo posto, è chiaro che conosco questa cosa, questa nuvola, giusto? E se prima non mi sono allarmato, vuol dire che non è pericolosa, perchè se qualcosa di pericoloso mi stesse arrivando alle spalle, immagino che avrei già gridato a voi tutti di scappare, giusto?»

«Giusto» ammise Mey Rin

«Quindi è a posto, no?»

«Giusto»

«E ti sbagli. Perché se quella nuvola non è un pericolo, c'è da dire, quella lì invece lo è» e indicò il fiume.

Qualcosa stava uscendo dall'acqua. Qualcosa di enorme e scuro, che fece increspare la superficie schiumosa.

«O mio Dio» Disse Integra «Quello è un coccodrillo?»
«Si. Diciamo di si» rispose con sufficienza Alucard-che-non-è-Alucard, stringendosi nelle spalle

«E non scappiamo?»

«Si, dai, scappiamo» e rimase fermo

«Forza, muoviti!»

«Scappate voi»

«E tu? Che cosa farai?»

«Ho il corpo di un vampiro cinquecentenario, anzi, quasi seicentenario. Il vampiro più potente di tutti i tempi. Permettimi almeno di provare questo nuovo corpo, affrontando quello»

«Vuoi affrontarlo?»

Alucard-che-non-è-Alucard la guardò e sorrise, un sorriso largo e zannuto «Credo che sia quello che ho appena detto, cara».

 

Ciel immaginava che tra breve Bob avrebbe cominciato a chiamare e, magari, non ricevendo risposta, sarebbe pure entrato a controllare che non fosse morto e non lo avrebbe visto …

«Siel? Ehi, Siel? Dove sei?» disse un vocione alle sue spalle, arrivandogli fievole fievole nelle orecchie.

Seppure cominciando a sentire le gambe come un peso, anzicché come un motore, il piccolo conte si sforzò di accelerare, mentre la voce alle sue spalle, sempre più impercettibile, continuava a chiamare il suo nome.

«Sieeeelll!»

«No, no, no!» Mormorò fra sé e sé il ragazzino, stringendo i denti «Non devo farmi raggiungere!».

Aveva duramente conquistato la sua libertà, ora aveva bisogno di mantenerla. Perciò non si fermò. Pensò alla propria casa, ai dolci che presto si sarebbe mangiato, alla dolcezza della crema bianca che si scioglieva in bocca, della frutta candita sgranocchiabile e tenera insieme, alla bellezza colorata delle ciambelle con la glassa rosa e blu, e questo gli diede la forza e il coraggio di proseguire. Presto sarebbe stato a casa, doveva solo crederci...

Si, aspetta e spera. Ben presto, Ciel si rese conto di non avere idea di dove si trovasse la sua casa e neppure la casa del reality show, e questo lo mandò in stato confusionale.

Però non si fermò, corse a zigzag, andò a destra e poi a sinistra, ma non si fermò.

 

Alucard-che-non-è-Alucard balzò sulla testa dell'enorme coccodrillo e si aggrappò alle coriacee spine sul suo dorso, scivolando con i piedi sulla pelle viscida di putridume e acqua. Ringhiando, si slanciò ancora in avanti, chiuse il pugno e si caricò con una torsione del busto.

Il gigantesco animale spalancò le fauci, cercando di fare perdere la presa al suo piccolo nemico, e si scrollò come un cane bagnato soffiando. Alucard-che-non-è-Alucard, però, colpì, e il suo pugno penetrò attraverso le squame coriacee, attraverso la pelle spessa, spaccò l'osso e giunse alla morbida materia cerebrale.

Il coccodrillone, pazzo di rabbia e di paura, ma non ancora morto, si lanciò di fianco in acqua e con egli cadde anche il vampiro, dritto in mezzo ai flutti. Centinaia di mani grigie si levarono dal fiume e un coro di voci in pena riempì l'aria con la sua stridente cacofonia.

Alucard-che-non-è-Alucard corse sul dorso del coccodrillo, i piedi che spruzzavano ventagli scintillanti di acqua, e saltò, atterrando a riva con stile, una mano poggiata a terra

«Lavoro completato» disse «Troppo facile».

Integra annuì, con le braccia incrociate, mentre Mey Rin saltellava eccitata sul posto

«Andiamo, abbiamo un'altro lavoro da svolgere...».

E ripresero a camminare. Poi dovettero attraversare il fiume, poiché la porta era aldilà.

«Sono un vampiro» Disse Alucard-che-non-è-Alucard, neutro «Non posso nuotare nell'acqua corrente, sono stato solo abile a scappare quando il coccodrillo è caduto in acqua. Pericò... avete qualche idea?»

«Avresti potuto recuperare il corpo del coccodrillo» disse prontamente Mey Rin «E magari usarlo come ponte... »

«Forse. Ma ora non ce l'abbiamo più: è disceso negli abissi. Qualche altra idea?»

«Si» disse Integra, con durezza «Tu resti qui!»

«Cosa? Vorresti scaricarmi?»

«Per il tuo bene... non puoi proseguire. Ma io devo proseguire. Quindi tu resti qui e io vado avanti»

«Avete bisogno di me! Della mia guida!»

«Ce la caveremo» minimizzò Integra, avvicinandosi ancor di più all'argine e guardando l'acqua grigiastra «Anche se sarà disgustoso scendere in questo brodo. Ma vabbè, non abbiamo le ali... le ali... Qualcuno ce le ha, per caso?»

«No, per caso no» rispose Mey Rin «E neanche intenzionalmente. Qui non vola nessuno»

«Beh, volerei io» disse Alucard-che-non-è-Alucard «Se Integra non avesse personalmente tagliato le ali a questo corpo e poi gliele avesse fatte mangiare...»

«Senti, tu, che non so come ti chiami» lo apostrofò Integra «Vorrei vedere te a cercare di domare un Dracula selvatico. Non è affatto semplice come sembra!»

«Ma non sembra affatto semplice!»

«Appunto. Forse la gente non lo sa, ma per ottenere il risultato che hanno ottenuto, gli Hellsing hanno dovuto fare affidamento non solo ad una saggezza secolare, ad uno studio terribile di tutti i metodi per intrappolare i demoni, ma anche a grandi risorse fisiche. Provaci tu a tagliare le ali ad un vampiro master! Che fra l'altro gli ricrescono completamente ogni cinquant'anni, e vanno tagliate di nuovo per evitare che la sua forza cresca abbastanza da riuscire a rompere i marchi» con serietà, Integra guardò in faccia il vampiro «Ogni generazione di Hellsing deve tagliare almeno una volta le ali ad Alucard. E io l'ho dovuto fare quando avevo sedici anni»

«Impressionante, lady Hellsing» commentò con ammirazione Alucard-che-non-è-Alucard, gli occhi rossi spalancati «Dimostri lo spirito combattivo tipico dei tuoi avi...»

«Ed è proprio per questo che non mi fermerò. Non mi fermerà quest'acqua, per quanto disgustosa possa essere, e non mi fermeranno neppure gli spiriti inquieti...»

«Fra di loro c'è molta gente che conosci» disse il vampiro, in tono neutro.

Si, pensò Integra, quel fiume doveva essere zeppo di gente che lei conosceva.

Di suoi familiari anche, a cominciare da suo zio.

Gli scagnozzi di suo zio.

Le vittime della guerra contro il Millennium.

E persino una buona parte dei suoi stessi soldati.

Ma lei sapeva, in cuor suo, che quel giorno sarebbe arrivato, il giorno in cui sarebbe scesa all'inferno... ed era per questo che aveva deciso di non avere amici veri: per non vedere nessuno di loro in quel fiume oppure oltre le nere porte della prima cerchia infernale. Perciò, senza indugiare oltre, si gettò nel fiume.

Non aveva paura di nulla, lei.

La corrente la investì: da fuori non sembrava così forte, ma sotto il pelo dell'acqua era come se ci fosse un'autostrada di correnti. E l'acqua era gelida. Ma lei strinse i denti.

Dalla riva, Mey Rin gridava

«Torna indietro! Dai, è pericoloso! Ti prego, torna indietro!».

Integra non capiva: perchè mai la cameriera, che era una sua nemica, avrebbe dovuto volerla salvare? All'improvviso, si sentì afferrare per la caviglia: le dita che l'avevano presa erano dure, callose, e terminavano quasi sicuramente in un artiglio, a giudicare da come le si stavano conficcando nella carne.

«Torna indietro! Torna indietro!» Si sgolava ancora Mey Rin, sull'altra sponda.

Integra la ignorò perchè non poteva fare altrimenti, impegnata a combattere contro qualcosa di pericoloso, strattonò la gamba con violenza e riuscì a liberarsi, poi, a larghe bracciate e trattenendo il fiato, si diresse verso l'altra sponda. Ben presto iniziò a sentire fitte di dolore all'altezza delle spalle, ma non demorse mai e finalmente arrivò. Gettò le braccia a terra, con le unghie scavò aiutandosi ad uscire dall'acqua e, zuppa e gocciolante, guardò indietro.

Mulinelli di volti, di mani e di corpi, si assiepavano nell'acqua, e lei sorrise pensando a che cosa aveva appena superato, senza mai guardarsi indietro.

Si sentiva i calzini zuppi d'acqua e guardando in basso si accorge che il gambale dei pantaloni era stato squarciato sulla gamba destra, all'altezza del polpaccio, e che alcuni piccoli rivoletti di sangue scendevano fino alle caviglie, misti ad acqua. Sperò che aver esposto la ferita a quella disgustosa robaccia da fogna che c'era nel fiume non le avrebbe portato qualche brutta malattia, poi diede le spalle allo Stige e proseguì.

Da sola.

«E adesso?» Disse Mey Rin, rivolta ad Alucard-che-non-è-Alucard

«Adesso è semplice» rispose il vampiro «Troviamo Caronte, ci facciamo traghettare dall'altra parte, e voilà! Abbiamo raggiunto Integra. Ma dobbiamo fare in fretta, prima che si allontani troppo, perchè in quel caso...»

«Potrebbe prendersela qualcuno, potrebbe imbattersi in un pericolo mortale prima che arriviamo noi, oppure potrebbe fare del male a qualcuno che non c'entra niente...»

«Sei perspicace, mia piccola cameriera. Hai per caso un telefonino?»

«No, niente affatto, signor... signor... beh, come si chiama lei. Non posseggo alcun apparecchio comunicatore»

«Peccato, perchè così sarebbe bastato chiamare Caronte sul cellulare... vabbè... tanto non è lontano da qui»

«E allora perché le hai fatto attraversare il fiume a nuoto?»

«Ti riferisci a Integra?»

«Certo, a lei! Perché le hai fatto fare questa fatica»

«Per vederle la giacca e la camicia bagnate» rispose impassibile Alucard-che-non-è-Alucard, senza neppure sogghignare «E poi perché potevo farlo. E perché lei sarebbe riuscita a farlo, tutto qui»

«Sai che questo è crudele, vero?».

Alucard-che-non-è-Alucard aprì le braccia come per indicare tutto intorno a se

«Siamo all'inferno, cara ragazza! Cosa ti aspettavi, la bontà di un angioletto?»

«No. Ma almeno un po' di compassione...»

«Se tu avessi detto questa frase di fronte a Integra, lei ti avrebbe strappato via la testa dal collo a mani nude. Non vuole la tua compassione, non ne ha mai voluta da nessuno. Per questo ho deciso di aiutarla. E adesso seguimi, andiamo a trovare Caronte...».

Continuarono a camminare finchè non videro una piccola baracca fatta di lamiere e assi di legno rudimentalmente attaccate fra loro con chiodi, colla e una secrezione che aveva tutta l'aria di essere bava di lumaca (ma non si poteva mai sapere che genere di saliva fosse, eh...). Insomma, sembrava tutto fuorchè l'imponente dimora di un demone.

«Caronte, Caronte! Vieni fuori, lurido dimonio, e mostra a me i tuoi occhi di bragia se hai il coraggio!» Gridò Alucard-che-non-è-Alucard, facendosi coppa con le mani intorno alla bocca

«Eccomi, schifoso giovincello» rispose una voce catarrosa, da dentro la baracchetta «Aspetta e sono subito da te... dimmi, ce l'hai un'obolo d'oro?»

«No, non ce l'ho» rispose prontamente il vampiro «Ma ho un pugno che posso tosto piazzarti sulle tue flaccide labbra e un piede che posso usare per colpire le tue altrettanto flaccide chiappe, se ti rifiuterai di traghettarci poscia presso l'altra sponda attraverso il tumultuoso correre di queste lorde acque»

«Parli come...» il demone, uscito fuori dalla baracca, si fermò sorpreso.

Somigliava ad un uomo molto, molto pallido, ma con la pelle più grigiastra, quasi fosse malato. Era magrissimo, tanto che gli si vedevano le costole, ma di ossatura robusta. Nonostante fosse tanto magro, i muscoli della braccia erano molto ben definiti sotto quella strana epidermide cinerea e guizzavano ad ogni movimento, le vene in rilievo come un reticolo sulle mani e intorno al polso parevano quasi pulsare. Era anziano, a quanto pareva, ed a testimoniarlo vi era una lunga barba bianca e aggrovigliata e capelli altrettanto candidi e lunghi, che gli coprivano fino a metà la schiena. Indossava solo un paio di pantaloni neri, decorati da alcune catene che gli stringevano le gambe all'altezza del ginocchio e da un portafoglio di pelle rossa che gli spuntava dalla tasca destra.

«Non mi aspettavo che tu fossi così» Disse, sorpreso «Somigli a quel tale, Alucard, che aspettiamo qui all'inferno da qualche centinaio di anni... nessuno, a quanto pare, è riuscito ancora a confinarlo qui»

«Sono io, sciocco» disse Alucard-che-non-è-Alucard «Questo è il corpo di Alucard, il vampiro nato dal corpo del mortale Vlad III l'Impalatore...»

«Ohhh...» Caronte tirò su con il naso aquilino

Mey Rin si guardò intorno nervosa, mentre il vecchio demone fissava Alucard-che-non-è-Alucard come se fosse stato … come se fosse stato … qualcosa di bello. Non era brutto, per carità, ma Caronte aveva la faccia di un Cavaliere medioevale che avesse appena trovato il Sacro Graal rotolando per sbaglio in un cespuglio di New York City.

«Bene» disse Alucard-che-non-è-Alucard, mostrando le zanne in un ghigno d'impazienza che fece sobbalzare la cameriera Kuroshitsujiana «Caronte, devi condurci all'altra sponda del dannato Stige, e presto»

«La gatta frettolosa fa i gattini ciechi» disse il vecchio demone, con l'aria di chi san tutto.

Alucard-che-non-è-Alucard sospirò «Ogni gatta partorisce figli ciechi, vecchio Caronte. Aprono le palpebre solo un po' di tempo più tardi, E ora affrettati, il tempo è denaro e vita».

Caronte borbottò qualcosa, ma cominciò a dirigersi verso il fiume Stige senza apparente fretta. Camminava in un modo strano, no, caracollava in un modo strano. Era in qualche modo inquietante.

Mah” pensò Mey Rin “Forse è solo parecchia suggestione. Sono all'inferno, di lato al fiume Stige, abbiamo perso Seras tra gli artigli di qualche mostro infernale e sono sola con un vampiro, che è fra l'altro la versione vampirizzata di Vlad l'Impalatore cioè Dracula, posseduto da uno spirito demoniaco, e Caronte, il demone traghettatore che ci porterà dall'altra parte delle putride acque del fiume Stige infestate di anime dannate per andare a prendere una mia nemica arci-cattiva” il suo occhio ebbe un inconsapevole tic nervoso “Perchè non dovrei essere tranquilla?”.

All'improvviso realizzò la cosa: Alucard era Dracula.

Alucard era Dracula! Alucard, se si leggeva al contrario...

Dunque... A-L-U-C-A-R-D …. D-R-A-C-U-L-A.

Come aveva fatto a non accorgersene per tutto questo tempo? Era un'equazione così dannatamente semplice, bastava fare due più due! E invece no: lei fino a quel momento non era neppure stata completamente sicura del fatto che Alucard fosse un vero vampiro.

«E se anche Sebastian lo fosse?» Si chiese fra sé e sé. Ma no. Non poteva essere un vampiro: il suo Sebastian era un diavolo di maggiordomo.

Un diavolo.

Mey Rin rabbrividì, guardando Caronte e realizzando che quel coso caracollante e lo splendido maggiordomo di casa Phantomhive che riusciva a capire l'aspetto fisico di una persona soltanto annusando le tracce d'odore lasciate su una perla, il magnifico Sebastian, erano la stessa razza.

Per Mey Rin era come dire che una camola della farina deforme era un bellissimo gatto nero flessuoso e morbido e lucido e… insomma, sembrava incredibile che il demone traghettatore e il maggiordomo demoniaco fossero della stessa razza.

La cameriera seguì le due creature verso il fiume, rimuginando; e ogni pensiero rendeva la situazione sempre più brutta da ogni punto di vista. Ok, aveva chiuso con i reality. Per sempre.

 

Ciel si ritrovò in un… boschetto. Una strabenedetta pineta. Si guardò intorno, realizzando che in effetti ne sapeva molto di sopravvivenza, ma non di quella giusta. Sapeva come aggirarsi tra i tipacci dei bassifondi di Londra, sapeva come pensare ed agire in fretta per manipolare i discorsi e le situazioni a suo favore. Ma qui non poteva fare nulla del genere. Non poteva parlare ad un pino e convincerlo a indicargli la strada per uscire dalla boscaglia.

Faceva anche un freddo del cavolo. Ciel si rannicchiò su se stesso, seduto con la schiena appoggiata alla corteccia di un pino dai rami inferiori tutti spogli.

Ok” pensò “Riflettiamo con calma. Nei libri di sopravvivenza, quale sarebbe la prima cosa da fare in caso di… in un caso come il mio?”.

Per quanto Ciel si sforzasse, non riusciva a ricordare proprio cosa si dovesse fare prima. Cercare dell'acqua? Del cibo? Costruirsi o trovare un posticino dove nascondersi tremando in attesa che qualcuno ti trovi?

Cercò di valutare le priorità. Allora, aveva bisogno di cibo, ma poteva durare di più senza cibo che senza acqua. E il posticino avrebbe potuto costruirlo vicino alla fonte d'acqua. E vicino alla fonte d'acqua ci sarebbero potute crescere bacche e cose così. Di cacciare neanche per idea: l'unica cosa che poteva acchiappare era un disgustoso insetto, e non aveva nessuna voglia di mangiarsi un disgustoso insetto.

Perciò la sua sopravvivenza era determinata tutta dalle piante. E dal clima. Se il clima fosse stato troppo rigido, se fosse venuta una bufera, o anche solo un banale acquazzone, lui si sarebbe trovato nei guai. E questo lo riportava al problema del costruire un rifugio: doveva fare qualcosa.

Da qualche parte aveva letto che i gorilla erano gli unici primati, eccezion fatta per l'uomo, che sapevano costruire rifugi e che li facevano con le foglie... ma lì non c'erano grandi foglie di piante tropicali, solo stupidi aghi di pino, troppo sottili persino per costruirci il tetto di una casetta finta.

Così Ciel non aveva alcuna idea di come costruire un rifugio. Usare dei rami? Si, ma con cosa legarli?
Se lì ci fosse stato Sebastian, lui avrebbe saputo esattamente che cosa fare. Ma Sebastian non c'era, perciò doveva togliersi quel pensiero dalla testa. Sebastian non era lì, punto e basta.

Sopravvivere. Si erse in tutta la sua statura (che non era molta)

«Io non morirò qui» disse ad alta voce «Non oggi, non dopo aver riconquistato la mia libertà!».

E d'improvviso, scorse qualcosa in lontananza. Sembrava che fosse un ammasso di rocce. Si disse di essere troppo debole per muovere delle rocce in modo da costruire un rifugio, ma che forse avrebbe potuto trovare qualcosa nelle vicinanze del mucchio, così si mise in cammino.

Gli aghi secchi di pino scricchiolavano sotto i suoi piedi. Un passo dopo l'altro.

Da vicino, il mucchio di pietre non era affatto un mucchio di pietre: era l'entrata di una grotta.

Il sorriso di Ciel si allargò: sembrava che la fortuna fosse dalla sua parte, adesso. Certo, forse entrare in una grotta senza sapere che cosa c'era dentro non era prudente, ma che altra alternativa aveva? Avrebbe potuto entrare lì dentro e accendere un fuoco con la legna secca (di quella se ne trovava a bizzeffe) e poi cercare un po' da mangiare. Certo, non vedeva acqua in giro, ma per quella ci sarebbe stato un po' di tempo, una volta che lui avesse avuto un rifugio, una base da cui partire.

Così prese a camminare e camminare... e la grotta, all'interno, gli parve enorme. Superato il piccolo ingresso, quello che vide fu un alto soffitto sorretto da stalagmiti che si fondevano con stalattiti per divenire colonne. Era bellissimo e c'era un vago chiarore, come di gemme preziose. Ma la cosa più importante era che non si vedevano tracce di orsi o di altri animali pericolosi: niente aria viziata, puzza di escrementi o ciocche di pelo. L'aria era deliziosamente fresca e non c'era traccia di animali.

«Meraviglioso» Disse Ciel, poi sentì qualcosa che per poco non lo fece gridare “favolosooo!”. Il rumore di acqua che scorre.

Ma certo, cos'altro poteva aver causato quelle meravigliose sculture naturali se non dell'acqua? L'acqua gocciolava lentamente, per secoli, e scavava anche la roccia più dura creando ambienti rilucenti e umidi come l'interno di quella grotta.

Ciel ebbe l'impressione di essere la prima persona che, da secoli, entrava in quel posto, e questo lo fece sorridere. Seguì il rumore dell'acqua e trovò poco più avanti un torrentello serpeggiante che si faceva strada nella roccia viva. Alcuni spuntoni di pietra affioravano dal pelo dell'acqua, brillando come argento puro.

Il conte Phantomhive si piegò per bere e si trattenne per un istante: e se quell'acqua non fosse stata potabile? La annusò, anche se non era un grande esperto di odori dell'acqua. Però non c'era nessun odore strano, solo un leggero sentore di calcare, assolutamente normale visto il posto in cui si trovava, e da quanto ne sapeva Ciel, il calcare non era pericoloso e men che mai letale.

Veleno? Beh, l'acqua sembrava perfettamente trasparente, tanto che anche nella penombra si poteva vedere il fondo frastagliato del torrente.

E poi Ciel aveva sete e in quel momento non gli importò di morire a causa di quel sorso d'acqua, tanto sarebbe morto libero e da eroe, fuggendo dal suo rapitore. Maledisse ancora una volta mentalmente le persone che avevano osato mettersi contro di lui e poi, una volta sola, Sebastian che l'aveva lasciato da solo.

Poi bevve, a lungo, riempiendosi lo stomaco, perchè quel liquido era deliziosamente freddo e dolce e non era importante quanto gli pungeva le labbra e la gola perchè era acqua, dannazione, deliziosa acqua, e significava vita! Finchè non aveva bevuto, Ciel non era riuscito ad accorgersi di quanta sete aveva.

Si guardò indietro: ma da dove era venuto? Non riusciva più a distinguere l'uscita.

Oh, beh, avrebbe seguito il corso del torrente, poiché, si sa, l'acqua porta sempre da qualche parte. Così prese a risalire il fiumiciattolo... o almeno pensò di risalirlo, perchè in realtà la pendenza era così lieve che non si accorse di stare internandosi sempre di più nella grotta, verso il fondo, e continuò a non notarlo finchè non vide che l'acqua si buttava in un breve salto che formava una deliziosa cascata.

Dovevano essere passati almeno una trentina di minuti e la luce era quasi del tutto scomparsa... anzi, avrebbe dovuto essere ormai invisibile, e Ciel non riuscì a spiegarsi come mai ancora la luminosità si manteneva soffusa.

Era come essere in un sogno. C'erano dei cristalli alle pareti, di colori diversi, ma principalmente verdi e blu, che riflettevano la misteriosa luce. Con cautela, il conte si avvicinò alle pietre e le sfiorò: erano dure e liscissime. Sembravano preziose.

L'unico rumore che si udiva era il serpeggiare frusciante del fiumiciattolo e lo spumeggiare della cascata.

Ciel saltò di lato alla cascata per scendere “al piano inferiore” e atterrò sui talloni. Si rialzò, sentendosi i piedi leggermente indolenziti, e continuò a camminare.

Diamine, sembrava davvero tutto un sogno, ora che la sete era passata! E se si fosse semplicemente addormentato all'entrata della grotta e stesse davvero sognando tutto questo?

Ciel si abbassò e infilò una mano in acqua, per poi ritrarla subito dopo: il fiume era gelato. E reale, assolutamente reale.

Si era davvero perso all'interno di una grotta, ma non gli importava. C'era qualcosa che lo chiamava, come una specie di voce, verso l'interno di quello strano posto.

Il piccolo conte non sapeva dire se fosse tutta una trappola, se la voce lo avesse chiamato sin dall'inizio o se avesse iniziato ad attirarlo solo ora; sapeva solo che era una voce familiare e che voleva proprio lui. In realtà non era una vera e propria voce, ma era come il sapore di una voce, che gli sibilava nel cervello. Somigliava in qualche modo a Sebastian, al suo timbro e al suo odore.

«Sebastian!» Gridò, poi prese a correre lungo il corso del fiume.

Gli sembrò di volare in un mondo fantasma, tanto veloce sfrecciò in quella luce eterea, in quel mondo sotterraneo che sembrava un castello. Gli sembrò di correre per un'eternità, di aver vissuto innumerevoli vite, di essere cresciuto (e aveva davvero l'impressione di essere più alto e più forte, con mani grandi e gambe lunghe), invecchiato e poi rinato come il sé stesso che aveva sempre conosciuto. Gli sembrò che l'odio dentro di lui si affievolisse, poi si maturasse e si tramutasse in qualcosa di diverso e più letale persino dell'odio, qualcosa che però non faceva male a lui, ma solo agli altri.

Poi, dopo tutto quel tempo, giunse di fronte a una parete di roccia, interrotta unicamente da un portone di dimensioni gigantesche. Lì, Ciel Phantomhive si fermò perchè non aveva altra scelta.

Il portone era socchiuso e il torrente passava attraverso lo spiraglio. I battenti del portone erano troppo grandi perché Ciel potesse spostarli, da solo, perciò se voleva proseguire lungo il corso del fiumiciattolo avrebbe dovuto entrarci dentro e bagnarsi le scarpe.

Dopo aver vissuto innumerevoli vite, bagnarsi le scarpe non sembrava un problema... ma soprattutto aveva maturato la consapevolezza necessaria per ricordarsi che poteva sempre togliersele, le scarpe.

Ma prima di continuare, guardò quella porta, perchè ancora non sapeva a cosa doveva andare incontro e sperò di trovare qualche indicazione che gli spiegasse. Ci dovevano essere stati dei bassorilievi, un tempo, su quel legno, ma l'umidità e i tarli li avevano lisi, erosi, cancellati a poco a poco e trasformati in dei bozzi quasi sgradevoli. Però c'erano delle parti di metallo che erano ancora intere, sebbene arrugginite e pronte a sgretolarsi sotto i pesanti colpi della mazza del tempo.

E quelle parti di metallo erano delle targhe, che narravano un qualche tipo di storia, ma in una lingua che Ciel non aveva mai studiato e che non credeva di riconoscere.

Sembrava greco, a giudicare dalle lettere strane, ma non lo era, o almeno non era il greco che Ciel aveva talvolta intravisto nei libri della sua antica biblioteca personale. Non era familiare e non gli diceva nulla.

Ma proprio perchè nulla lo metteva in guardia, il ragazzo decise di continuare e si tolse le scarpe. L'acqua era congelata e gli artigliò la pelle dei piedi quasi dolorosamente, addormentandoglieli. Ciel camminò senza curarsene troppo e aldilà della porta vide che, semplicemente, la grotta continuava. Solo la luce sembrava essere cambiata: ora era un po' più rossa. E i cristalli, si, quelli verdi e blu adesso erano un po' di meno... quelli gialli oro o arancioni sembravano essersi moltiplicati.

Ma il fiume continuava a scorrere, ed era questo quello che lo interessava. E la voce di Sebastian (o di qualcuno che doveva somigliarci parecchio) continuava a chiamarlo dentro la sua mente, ad attirarlo sempre più in fondo.

La pendenza iniziò a farsi più visibile e il fiumiciattolo stava diventando gradualmente un fiume vero e proprio.

«Che strano posto...» Mormorò Ciel «Non ho mai letto di qualcosa del genere... è... incredibile»

«Lo so» rispose una voce profonda «Strano posto, vero piccolo?».

Ciel resistette all'impulso di lamentarsi riguardo al fatto che quel tizio lo avesse chiamato “piccolo” e si girò. A una decina di metri di distanza da lui, c'era un uomo molto alto, con un giubbotto di pelle nero, che lo guardava con un mezzo sorriso quasi cordiale.

«Undertaker?» Domandò il conte

«Che cosa vuoi?»

«Sei proprio tu?»

«Si»

«Che cosa ci fai qui? Oh, ma che importa!» Ciel alzò le braccia, in un'impeto di gioia, poi le riabbassò e prese a camminare velocemente verso il wrestler «Puoi riportarmi a casa, vero? Oh, mi avevano rapito, poi sono riuscito a scappare e... beh, mi sono rifugiato in una grotta e sono arrivato fino a qui!»

«C'è una grotta in superficie che porta fino a qui?» domandò l'uomo, con una sfumatura di sorpresa che gli colorava la voce roca «Pensavo che ne esistesse solo una, ormai, e che fosse strettamente sorvegliata. C'era qualcuno, lassù, che faceva la guardia?»

«Oh, no, niente affatto. Era una grotta qualunque, si trovava in una pineta...»

«L'ingresso dell'Ago»

«Come?»

«Lo chiamano “l'Ingresso dell'Ago”. Non chiedermi perchè, tanto quando gli diedero questo nome non era ancora nato neanche Giulio Cesare. Credo si qualcosa correlato agli aghi di pino... Comunque non ti consiglio di proseguire»

«Senza offesa... perché mai dovrei ascoltare il tuo consiglio?»

«Già adesso non sei nella tua dimensione. Sei passato attraverso un portale dimensionale e stai scendendo lentamente verso l'inferno. Non consiglio a nessuno di proseguire».

Un brivido risalì lungo la schiena di Ciel. Quell'annuncio, detto con quella voce, così roca e profonda, lo aveva sconvolto. Con precisione assurda e assoluta, sapeva che quelle parole erano vere e che non poteva essere altrimenti: continuando a seguire il torrente, si sarebbe arrivati dritti all'Inferno. Forse era per questo che sentiva la voce di Sebastian nella testa, che lo chiamava... in fondo, Sebastian cos'era se non un demone? E dove abitavano i demoni se non all'Inferno?

«Puoi aiutarmi a tornare a casa?» Domandò timidamente il conte

«Si, credo di si» l'uomo annuì «Però prima dovresti aiutarmi a ritrovare il cappello... l'ho perso qui da qualche parte. O forse me l'hanno preso e in quel caso, beh, non lo ritroveremo...»

«Com'è che sei diventato loquace? Non parlavi, prima, quando eravamo a casa...»

«Credo sia la calma»

«Io credo che tu sia timido» tirò ad indovinare Ciel «E tutta quella gente lassù...»

«Non sono timido» rispose l'uomo, con voce chiara «Sono solo introverso»

«Ah».

Ciel si guardò intorno: ovviamente non vedeva da nessuna parte un cappello.

«Com'era il tuo cappello?»

«Nero. A falde larghe»

«Come quelli che fanno vedere nei film, quelli dei cattivi o dei cacciatori di mostri? Tipo Van Helsing?»

«Hmm... tipo becchino del vecchio west»

«Che felicità, yuhu, tiriamo i corandoli» ironizzò il conte, poi prese ad aggirarsi e a guardare dietro le stalagmiti, i sassi e le colonne «Senti, ma tu che ci fai qui?»

«Integra mi sta inseguendo»

«Oh, e quindi hai deciso di rifugiarti all'Inferno?»

«Ho deciso di andarmene per un po' per far sbollire la sua rabbia»

«Non ci riuscirai, amico, proprio non ci riuscirai... la conosco da più tempo di te e posso dirti che è una tosta e che quando decide di vendicarsi non si ferma. Anche se, insomma... l'Inferno dovrebbe fermarla! Almeno spero. Ma non ci conterei più di tanto»

«Tu... cosa credi che io debba fare?»

«Vuoi un consiglio da me?»

«Si»

«Beh, è logico... dopotutto io sono un'esperto dell'alta società. Tu invece sei, ehm... introverso... è normale che non sai cosa fare. Ma Integra è un caso unico, è speciale, assolutamente. Secondo me è anche un po' pazza, sai, frustrata da qualcosa, altrimenti non si sfogherebbe così con il fumo e la violenza. Perciò, credo... scappare non aiuterà né te né lei. Adesso la rabbia le rimacinerà il cervello per un sacco di tempo, finché non ti avrà preso e frustato a sangue, capisci?»

«Si»

«Perciò devi andare da lei e chiederle scusa»

«Ha iniziato lei»

«Non devi essere orgoglioso. Capisco cosa vuoi dire, sai?» Ciel si issò su una piccola sporgenza rocciosa per guardare dentro un anfratto (chissà, magari il cappello era lì) «Anche per me è così: non sono uno che cede spesso. Anzi, sono uno che non cede mai. Ma è inutile essere dei duri quando parli con Integra Hellsing, quella non è affatto normale»

«Quindi credi che dovrei chiederle scusa?»

«Non so nemmeno se basterà. Che cosa le hai fatto?»

«Ci siamo picchiati»

«Dovresti presentarti come minimo con un mazzo di rose abbastanza costose» Ciel soppesò la situazione «Oppure, e questo è molto meglio, con una confezione di sigari, non importa se sono pregiati, tanto si fumerebbe anche me. Una volta ha cercato di farlo. Lei non vive senza sigari»

«Non mi piacciono i suoi sigari»

«Neanche a me. Appesta l'aria in un modo disgustoso... vabbè, ma se si vuole rovinare la vita... l'importante è che ci lasci in pace, non credi?»

«Si»

«Perciò dovresti mettere da parte l'orgoglio»

«Perché devo essere io? Non può essere lei?»

«Te l'ho detto, lei non è razionale. E ha dalla sua parte Alucard, quello è tosto quasi quanto lei, ma è pure più forte. Credo potrebbe anche uccidere Sebastian anche se... non fare sapere a nessuno che l'ho detto. Sebastian è eccezionale e Alucard non sa fare un bel niente, però Alucard è fatto apposta per combattere, Sebastian no... è un maggiordomo, non un guerriero»

«Alucard è forte, ma posso batterlo»

«Credi davvero?»

«Si»

«Io penso che nessuno possa battere Alucard. Nemmeno tu. Non lo sai... quello lì è pericoloso. Credo proprio che sia un vampiro, ma di quelli tosti»

«Posso vedermela senza problemi con un vampiro»

«Ho il tuo cappello!» esclamò improvvisamente Ciel, trionfante «Era finito dietro un sasso... è un po' bagnato, era mezzo nel fiume...»

«Oh. Grazie piccoletto»

«Mi chiamo Ciel. Ciel Phantomhive» lo corresse automaticamente il conte, porgendogli il copricapo «E tu? Non penso che ti chiami “Undertaker”!»

«Puoi chiamarmi Taker, se ti va»

«Ah. Ho un conoscente che si chiama come te. Non Taker... Undertaker. Fa il becchino, ma questo mi sembra ovvio... vi chiamate “becchino”, insomma... ma tu non sei un becchino, vero?»

«No, sono un atleta»

«Wrestling, vero?»

«Si»

«Integra lo adora. Questo è un punto a tuo favore»

«Lo so»

«Comunque, questo mio amico è uno shinigami. Un personaggio parecchio strano, ha sempre gli occhi coperti con la frangia... forse crede che gli diano più mistero. O forse non sa come si usano le forbici per tagliarsi i capelli. E poi ha un senso dell'umorismo deviato»

«Lo conosco»

«Davvero?»

«Si. Hai ragione, ha uno strano senso dell'umorismo»

«Oh si. E per farlo ridere non bastano le cose che fanno ridere le persone normali: l'ultima volta che ci ho provato, ci ho messo quattro ore per fargli fare una risatina. E la cosa terribile è che lui vuole essere pagato in risate, per sganciare le informazioni! Sai, noi gli andiamo a chiedere informazioni riguardo la malavita, lui è sempre molto, molto ben informato...»

«Vuoi venire da lui, adesso?»

«Perché?»

«Credo che abbia appena fatto i biscotti»

«Come fai a saperlo?»

«Mi ha mandato un sms. Non so come si mandano, ma credo che il mio cellulare mostri automaticamente quelli che mi vengono mandati»

«Non credevo che un tipo come Undertaker sapesse mandare gli sms» rimuginò Ciel, figurandosi il losco shinigami grigio nel suo negozietto pieno di bare e cose vecchie ragnatelose, e sicuramente non cellulari, con uno smartphone in mano che invia messaggini agli altri shinigami

«È più bravo di quanto pensi, con i telefoni»

«E anche con la cucina. Inizio a pensare che sia un tuttofare e che avrei dovuto assumere lui al posto di Sebastian»

«Però l'avresti dovuto pagare in risate»

«Hai ragione, sarebbe stato maledettamente difficile... sarei tutto sudato dalla mattina alla sera. Meglio Sebastian»

«A proposito, dov'è il tuo maggiordomo? Pensavo che quelli come lui stessero sempre insieme al loro padroncino»

«E dovrebbe essere così» Ciel strinse i denti, poi cercò di eliminare la tenzione che si stava accumulando di nuovo «Ma Sebastian mi ha perso. O abbandonato, non lo so... fatto stà che ci hanno separati. Ancora non so l'identità delle persone che mi hanno rapito»

«Ti hanno rapito?»

«Si, te l'ho detto prima! Sono scappato da quelli che mi hanno rapito!»

«E non hai ancora idea di chi siano?»

«No. Sono stati furbi, non mi hanno detto la loro idendità né tantomeno perché mi hanno rapito. Speravo si trattasse di un rapimento per avere un riscatto, perché in questo modo Sebastian avrebbe potuto fare finta di venire a portare il riscatto per poi liberarmi senza problemi... insomma, lui è un mago in queste cose e non è neanche la prima volta che mi rapiscono. Anche se mi hanno fatto male, eh! Non è proprio il re della tempestività, ma non si può essere perfetti, vero?»

«Dipende da quanto si è pagati».

Ciel si rese conto che quella era una delle risposte più sagge che gli fossero mai state date.

«Io non pago il mio maggiordomo» Disse Ciel «Ma quando arriverà il momento di pagarlo, lo pagherò così tanto che non può permettersi di essere imperfetto»

«Lo so» rispose Undertaker «Gli si legge in faccia. Soprattutto negli occhi. Che altro pagamento vorrebbe avere un demone, se non un'anima?»

«Come hai fatto a capire che è un demone?» si sorprese Ciel «Nessuno lo indovina mai così facilmente... anzi... direi che nessuno lo indovina mai»

«Ho una certa familiarità con i demoni» confessò l'uomo, prendendo a camminare

«Sei un demone anche tu?» gli chiese Ciel, trotterellandogli dietro

«No, credo proprio di no»

«Sei umano?»

«Non direi. Umano è un po' riduttivo, anche se, credimi, non c'è niente di male nell'essere umani. Sono una delle specie più forti»

«Forti un cavolo! Io sono una mozzarella!» Ciel diede un calcio a un sasso «Ma non dire a nessuno che l'ho detto, ok?»

«Perché mi stai dicendo tutto questo?»

«Non lo so. Siamo soli io e te... e ho l'impressione che non racconterai quello che ti dico... sai com'è, ho l'impressione che sarai muto come una tomba»

«Comunque non devi preoccuparti del tuo... come hai detto? Essere una mozzarella. Sei solo un cucciolo, ancora, i cuccioli di tutte le specie sono molto più deboli degli adulti. Sei un bambino»

«Io non sono...»

«Sei un bambino. Se tu non fossi un bambino, allora si che saresti da considerare debole»

«Hai ragione» Ciel si raddrizzò e gonfiò il petto «Non è poi così male essere dei bambini»

«Si»

«A te piaceva essere un bambino? Com'eri, da piccolo?»

«Ero un bambino enorme»

«Chissà perché me lo immaginavo...»

«Guarda che non era scontato»

«Lo so, ma... quando guardo te ho la strana impressione che tu non sia stato mai bambino. Hai la faccia di uno che non può essere stato giovane. Cioè, non sto dicendo che sei vecchio...»

«Non preoccuparti, anche essere vecchi non è poi così male»

«Ma non era quello che volevo dire!»

«Lo so»

«Allora...»

«Stai giù» ordinò seccamente Undertaker.

Ciel si buttò a terra senza chiedere il perché, senza replicare, senza neppure pensare. Stringendo gli occhi, sentì la terra tremare. Si chiese cosa fosse, ma non parlò, solo roteo gli occhi e dischiuse appena le pupille.

Qualcosa di enorme, come un serpente di dimensioni apocalittiche, aveva bucato la parete e ora si era sollevato sibilando e mostrando il petto enorme e squamoso, di colore blu scuro e tempestato di punti brillanti che sembravano stelle.

Ciel non urlò come avrebbe fatto in un'altra situazione, né prese a gridare aiuto. Un'oscura, vischiosa consapevolezza si era impadronita di lui: il pericolo mortale che stavano fronteggiando, l'animale demone, o forse divino nella sue bellezza assurda e terribile, non era mortale per lui... o almeno non lo sarebbe stato finché lui si fosse tenuto basso.

Si accorse di essersi sbucciato un ginocchio quando si era buttato per per terra e il sangue caldo aveva preso ad inzuppargli l'interno di uno dei gambali dei pantaloncini. Però non sentiva dolore, o almeno non troppo: era appena un bruciore, quasi irreale.

Tutto era irreale, così irreale! Insomma, lui era senza il maggiordomo, qualcosa di enorme e spaventoso, che lui non aveva mai visto prima d'ora, lo stava assalendo in un passaggio per arrivare all'inferno e Undertaker lo stava difendendo.

Adesso ci mancava solo di vedere i my little pony che saltellavano in giro e poi si che sarebbe stato sicuramente tutto finto!

L'intera grotta si scosse. E stavolta Ciel gridò, per qualcosa si abbattè sopra di lui e tutta la luce scomparve, facendolo precipitare in un buio assoluto.

Il conte seppe di non essere svenuto solo perchè continuò a sentire il proprio urlo che lacerava le tenebre, pieno di paura. E poco dopo rivide la luce, ma insieme ad essa percepì un dolore orribile ad una gamba. Tuttavia smise di urlare e si ritrovò in braccio ad Undertaker, che lo guardava con apprensione, completamente ricoperto di sangue come una mela caramellata è ricoperta di caramello.

«Ti sei spezzato una gamba».

Ciel guardò in basso, verso il punto in cui il dolore pulsava e vide la propria gambina molle come se fosse morta. Deglutì

«Cosa è successo?» chiese

«Non so bene come spiegarlo... allora, un Avis...»

«Cos'è un Avis?»

«Quello che vedi di fronte a te, è un animale, un animale alieno e molto antico... quello è entrato nella grotta. Probabilmente era rimasto bloccato in queste gallerie da molto tempo e aveva fame, era così disperato che non appena ha avvertito la nostra presenza si è precipitato qui. Normalmente non mangiano gli umani, siamo troppo piccoli, ma questo doveva avere fame. L'ho stordito, ed è per questo che ti è crollato addosso, ma non durerà molto, dobbiamo allontanarci»

«Ma ha bloccato il passaggio per tornare indietro!» esclamò disperato Ciel «Mio Dio, è immenso»

«Già, ed ho anche perso il cappello. Ma faremo l'altra strada, quella da cui sono venuto io»

«Sai, c'è un punto positivo in tutto questo»

«Quale?» Undertaker prese a camminare velocemente per allontanarsi dall'Avis

«Credevo che spezzarsi una gamba fosse molto più doloroso. Strano, ma lo sento solo come se mi avessero dato un pugno, è normale?»

«Ovviamente. Non preoccuparti, sei solo sotto shock, fra un po' di tempo il dolore diventerà quasi insopportabile»

«Eh, felicità, felicità!» ironizzò Ciel «Fra quanto torneremo a casa?»

«Non lo so, precisamente. Non sono mai stato bravo a misurare il tempo»

«Taker...»

«Si?»

«Ho paura. Ho tanta paura»

«Mi dispiace... è colpa mia?»

«No, perché?»

«Pensavo che fosse colpa mia»

«No. Sono felice che tu sia qui con me».

L'uomo non rispose. Perché quel ragazzino era contento di essere con lui? Se al posto suo ci fosse stato Sebastian, sicuramente il maggiordomo demoniaco avrebbe saputo proteggere Ciel in modo che niente cadesse sulla sua preziosa gambina nobile per spezzargliela. E poi Sebastian era molto meno spaventoso di lui, però... però Ciel era meno amichevole con il suo maggiordomo.

«Ho detto qualcosa di sbagliato?» Domandò il conte

«No, perchè?»

«Non so... ti sei rabbuiato»

«Tu non hai detto niente di sbagliato, Ciel»

«Beh... allora... sbrighiamoci ad uscire»

«Ciel»

«Si?»

«Se vogliamo fare il percorso al contrario, dobbiamo attraversare l'Inferno»

«Va bene»

«C...» deglutì «Come va bene?»

«Va bene. Ce la possiamo fare. Spero che non ti stancherai... beh, spero solo che non mi scaricherai da qualche parte in questa landa desolata e piena di mostri alieni»

«No, tranquillo, no...»

«Davvero?»

«Si»

«Me lo prometti?».

Ciel aveva il tono di un bambino piccolo, un bambino che chiedeva al proprio padre di non lasciarlo solo dopo che aveva fatto un incubo. Era supplicante.

«Non posso prometterti che rimarrò con te fino alla fine» Rispose Undertaker, serio «Ma posso prometterti che, volontariamente, non ti scaricherò da nessuna parte, qui all'Inferno»

«Grazie».

Ciel chiuse gli occhi. Sembrava un pulcinotto assonnato. Le sue palpebre presero a tremolare dopo alcuni minuti, quando il dolore dell'osso spezzato divenne lancinante, ma non si lamentò; rimase solo immobile, con la testa chinata sul petto, cercando di concentrarsi sul dondolio della camminata di chi lo stava trasportando piuttosto che sul male fisico, anche se gli sembrava di non aver mai provato qualcosa del genere.

Era stato marchiato a fuoco, quand'era molto piccolo, ed era stato percosso molte volte, ma nessuno gli aveva mai spezzato le ossa... eppure anche con quella gamba rotta, si sentiva bene.

Era come se gli avessero tolto di dosso un peso, perchè sapeva di essere al sicuro, di non essere più abbandonato, o rapito, o lasciato a morire in una grotta fredda perchè si era perso. Qualcuno lo aveva raccolto e lui si era accorto che non riusciva a stare da solo, che sarebbe morto, o impazzito, se fosse rimasto per troppo tempo senza la compagnia di nessuno.

«Fa molto male?» Domandò Undertaker, con quella sua vociona profonda e roca

«Si» rispose Ciel, con voce tremante «Ma non preoccuparti. Sopravviverò. Ti sei mai rotto un osso?»

«Tante volte, si»

«Allora lo sai, cosa significa»

«Ho una soglia del dolore molto alta, ci vuole parecchio per farmi soffrire, ma si, so cosa significa»

«Io credo di avere una soglia del dolore bassissima. Anzi, io credo di non avere una soglia del dolore»

«Sei molto coraggioso»

«Non è vero» Ciel strinse i denti «Non è utile che io mi illuda. Sono un cagasotto»

«Non dirlo. Sei stato coraggioso a scappare da solo e ad entrare qui dentro. Nessun bambino della tua età lo avrebbe mai fatto»

«Quindi tu credi che io sia coraggioso?»

«Molto»

«Sono forte e coraggioso. Oh. Ho scoperto molte cose meravigliose, oggi. Vorrei che mio padre fosse qui con me»

«Come è morto?»

«Come fai a sapere che è morto?»

«Dimentichi come mi chiamo. Ho un sesto senso per capire quando qualcuno è morto... è che ne parli come se fosse morto. Come se fosse morto in un brutto modo. L'hanno ucciso»

«Si. L'hanno ucciso in un brutto modo» prese a raccontare Ciel «L'hanno fatto bruciare. Insieme a mia madre, al mio cane e alla mia casa. Ho perso tutto»

«Non tutto»

«Si, sono ancora vivo» Ciel aprì gli occhi a metà e strinse i denti per un istante «E sono forte e coraggioso. Non ho ancora perso tutto. E ho ancora la speranza. Taker...»

«Che cosa c'è?»

«Torneremo su, sulla terra. Mi salverò da questa brutta avventura. Guarirò. Diventerò grande e sarò come te»

«Come me? Intendi... tetro?»

«No. Intendo forte e a posto. Tu sei a posto».

Continuarono ad avanzare nel silenzio. Ciel cercò di dormire, ma era inutile, il dolore non glielo permetteva... così Undertaker prese a parlargli per fargli dimenticare la gamba spezzata.

E Ciel ascoltò.

 

«Calate, su, da questa nave» disse Caronte, indicando la riva «Siamo giunti presso l'altro lido, cosicchè possiate scendere. Siete proprio sicuri di voler attraversare sui vostri piedi la casa del Dimonio?»

«Si, certo» rispose Alucard-che-non-è-Alucard «Dobbiamo riprendere qualcuno che abbiamo perso»

«Lo sai che è vietato riportare indietro le anime che appartengono al Dimonio, vero?»

«Oh, ma noi abbiamo perso qualcuno che è vivo e vegeto e che non appartiene affatto al Dimonio. Conosci Integra Farburke Wingates Hellsing?»

«La figlia di Arthur?»

«Si, proprio lei»

«Oh, beh... si... anche se non la vedo da anni, ormai»

«Integra è già stata qui?» chiese Mey Rin, sorpresa

«No, certo che no» spiegò Alucard-che-non-è-Alucard «Solo che Arthur è quaggiù all'Inferno e, sai com'è, parla tanto della sua bambina e ogni tanto, ne sono sicuro, vuole anche farla vedere a tutti... e in questo posto hanno un sacco di modi per vedere cosa succede lassù sulla Terra. Che, fra parentesi, è una dimensione diversa»

«Certo» spiegò Caronte «Abbiamo la televisione, mi pare ovvio. E Hellsing è una delle nostre serie preferite, è così terribilmente ricolmo di sadica violenza e scene truculente che diventa irresistibile per il popolo demoniaco».

Alucard-che-non-è-Alucard e Mey Rin scesero dalla barchetta di Caronte e si avviarono a piedi alla ricerca di Integra.

 

Finnian sbattè le palpebre, e si guardò intorno, leggermente inquietato. Adesso che Seras non c'era non esisteva motivo per essere stupidino, quindi aveva capito che stava succedendo qualcosa di non particolarmente bello, almeno dal suo punto di vista.

Aveva paura, come quando per la prima volta aveva visto, legato stretto al lettino d'ospedale, la siringa del dottor Yankem. Tutto era caldo, soffocante, e perfino i cristalli luminescenti e pulsanti gli apparivano strani. Si chinò ad osservarli, e rimase ipnotizzato. Ne raccolse uno e lo avvicinò al naso. Aveva un odore quasi impercettibile, e tanto esclusivo che non sarebbe mai riuscito a compararlo ad altri. Aveva l'impressione che solo se qualcuno l'avesse annusato di persona avrebbe potuto capire. Per pura curiosità animale, lo ficcò in bocca e continuò a camminare, più tranquillo.

Spalancò gli occhi quando sentì quel coso sfrigolare come olio da cucina nella padella contro il palato, ma lo lasciò lì dov'era: sapeva un po' di quelle caramelle frizzose che vendono in giro e che gli piacevano tanto.

Forse era l'effetto del ciuccia-pollice, ma adesso si sentiva più tranquillo.

Chissà da quanto era lì, pensò distrattamente, mentre l'80% del suo cervello si chiedeva (cosa molto più importante) se quei cosi si consumavano come i Chupa Chups, e se avevano sapori diversi tra loro. Si passò il cristallo da un lato all'altro della bocca, perdendosi lentamente tra i suoi pensieri.

Decise, così, all'improvviso, che non avrebbe mai più indossato un cappotto. Non sapeva per niente dov'era, e se tutti i cappotti facevano lo stesso effetto …

D'improvviso, sentì un rumore. Non ebbe paura, ma i suoi occhi saettarono comunque verso la fonte del rumore. Vide una strana figura, tutta raggomitolata su sé stessa.

Gli si avvicinò, tutto interessato.

E d'improvviso si rese conto di una verità spaventosa.

Era uno gnomo armato di ascia.

Il brutto gnomo lo guardò e con un urlo breve e tamarro (?) gli corse incontro caracollando con la sua brutta ascia tutta rovinata.

Finnian strillò terrorizzato e scappò via.

Poco più avanti vide un'altra figura, anche lei piccola e tutta raggomitolata.

Un altro gnomo armato di ascia” pensò terrorizzato Finnian.

Ma non era uno gnomo armato di ascia.

La creaturina si voltò e lo fissò con i suoi occhioni. Il giardiniere trasalì. Gli occhi di quell'animale, non avevano una forma convenzionale, tipo quella dei Grigi & co., ma erano quel tipo usato per i chibi pucciosi. Erano di un colore tra il verde chiaro e l'acqua marina, specchi che lo riflettevano alla perfezione e che sembravano fatti apposta per captare ogni singola traccia di luce presente. Erano proprio specchi: non vedeva traccia di pupilla, neanche un pallino nero di dimensioni microbiche. Sembrava stare su due zampe, ma Finnian non se la sentiva di definirlo umanoide, anche perché gli sembrava per qualche motivo un termine quasi razzista, e poi perché non gli ricordava affatto un essere umano.

La testa era perfettamente tonda, con l'aggiunta di un muso piccolo e tondeggiante, da cui affioravano una serie di denti triangolari e quasi piatti. Aveva un po' di panciotto davanti e delle zampe dal palmo largo e le dita sottili, con unghie corte e nere. Il corpo, di un bel bordeaux intenso, era pieno di buchini messi ordinatamente, quasi in fila, sulla parte superiore degli arti anteriori, lungo la spina dorsale e sopra la lunga coda. La parte inferiore del suo corpo era panna scuro.

Risultato dell'osservazione: a Finnian sembrò carino.

«Ciao!» disse, chinandosi verso la graziosa creaturina.

Con un rumore di spada estratta dal fodero, dagli ocelli sul corpo dell'animaletto spuntarono tutti contemporaneamente spuntoni dorati e ricurvi verso avanti di minimo un centimetro e mezzo, mentre la graziosa creaturina gli soffiava contro, mettendo in mostra tutti i suoi circa otto denti enormi a fila doppia e alzando la coda pericolosa quanto se non più di una mazza ferrata.

Mentre Finnian batteva le palpebre shockato, quella cosina tutta puntuta acchiappò un cristallo arancione e lo sradicò da terra. Dopodichè ci praticò sopra un incisione con i suoi dentoni e si mise a ciucciare il cristallo.

Il giardiniere lo osservò, poi decise di fare la stessa cosa. Spaccò il cristallo in due, e vi scoprì dentro una sorta di liquido semi-denso, che emanava più o meno l'odore di quello alla ciliegia in pezzi mischiato all'odore esclusivo dei cristalli. Lo mandò giù e scoprì che, in effetti aveva un sapore non male, come miele, yogurt e crackers mescolati e un pizzico di fruttato. Anche quello gli frizzò in bocca, ma facendogli avere l'impressione che un vulcano gli fosse eruttato in gola e lasciandogli dopo una sorta di pizzicore lungo tutta la gola e la lingua.

«Bella scelta» approvò Finnian ridendo, mentre gli occhi della creatura saettavano da lui al suo cristallo.

Il ragazzo lo osservò per un po', inclinando la testa, poi decise «Ti chiamerò Guochi. C'è la acca, ma si legge “guoci”, tipo giapponese. Ti piace?».

La creaturina parve finalmente accorgersi che Finnian non aveva intenzioni ostili e ritirò gli spuntoni. Il giardinere rise e spaccò un altro cristallo, poi porse il bicchiere improvvisato all'animaletto, che, sorprendentemente, lo accettò e lo vuotò come se non ne avesse mai più avuto in vita sua.

Rimasero insieme per un bel po' di tempo, rimpinzandosi del nuovo cocktail. Finnian continuava a parlare a ruota libera, e il Guochi appariva affascinato dalla voce del biondino.

Il Guochi si alzò all'improvviso e lasciò cadere l'ennesimo cristallo. Gli fremevano le narici, come se avesse percepito qualcosa.

Finnian, risoluto, decise che avrebbe difeso il suo nuovo amichetto, l'unico animaletto che non aveva ucciso/mutilato nella prima mezz'ora, perciò qualcosa gli diceva che la loro sarebbe stata una lunga amicizia e aveva intenzione di fare tutto ciò che era in suo potere perchè il suo presentimento divenisse una realtà. Sentì alle sue spalle il rumore di lame estratte dal fodero, e seppe che il pericolo era vicino.

Beh, non aveva paura. Aveva caldo, sentiva l'adrenalina scorrergli nelle vene, ma non c'era ombra di paura in lui, come aveva insegnato lui Sebastian.

Magari in lui non c'era ombra di paura, ma sul muro si era proiettata un'ombra. Sperò che fosse così grande per un effetto della luce, mentre cominciava a sentire il respiro corto. Ok, magari, un po' di paura ce l'aveva.

Guochi cominciò a indietreggiare, poi si mise a correre e sparì nel cunicolo buio.

Finnian pensò che magari, era il caso che anche lui se la desse a gambe.

Un figura nera, esile e gigantesca gli si materializzò davanti, appeso a testa in giù come un pipistrello mostruoso senz'ali.

Il giardiniere lo guardò.

E urlò con quanto fiato aveva in gola.

Gli era piaciuto di più il brutto gnomo armato di ascia.

 

Alucard-che-non-è-Alucard fiutò l'aria, poi scosse la testa «Avverto il suo odore, ma non è vicina: la traccia sarebbe più intensa»

«Oh» disse Mey Rin, delusa e preoccupata «Credi che morirà?»

«Potrebbe, chissà. Siamo all'Inferno, potrebbe bruciare come è ...» Alucard-che-non-è-Alucard si zittì, poi guardò Mey Rin, che aspettava ancora una risposta «Ci sono molte buone probabilità che non ce la faccia. Siamo all'Inferno mia cara, io stesso che abito qui da tempo non so ancora come sopravvivere a tutto. Se solo potessi ...» sospirò, lasciando la frase incompleta.

La ragazza aspettò che finisse, ma Alucard-che-non-è-Alucard non lo fece, guardandosi i piedi con aria nostalgica.

Continuarono a camminare per quelle che parvero ore. Via via che procedevano, la galleria scavata nella roccia si faceva sempre più oscuro.

Se durante la corsa verso l'Inferno, Ciel aveva sentito di vivere la sua vita, di essere un uomo nuovo, di morire e di rinascere come la persona che era sempre stato, Mey Rin ebbe l'impressione di passare lì tutta la sua esistenza, di sprecarla a camminare nell'oscurità verso qualcosa di irraggiungibile. Le sembrò che raggiungere la meta non fosse più importante, ma che non avrebbe mai dovuto fermarsi, mai, per nessun motivo. Le sembrò di dissolversi dentro sé stessa, perdendosi a poco a poco lungo quel corridoio buio, cinto di cristalli cremisi. Pensò che di lei non era rimasto altro che uno spirito, una insignificante mente che lavorava piano, come se avesse avuto paura di farsi scoprire. Intoccabile ma vulnerabile, camminava accanto a un demone, con un peso sullo stomaco che non aveva più.

Fu quindi con grande sorpresa che vide le luci tornare pian pianino ad illuminarle la strada.

Si accorse che in effetti, non era per niente uno spirito quando inciampò sopra i propri piedi spiritici e battè il proprio muso spettrale contro il pavimento e un piccolo cristallo rosso le si ficcò nella narice sinistra.

Alucard-che-non-è-Alucard la aiutò a rialzarsi con galanteria, scusandosi per non averla afferrata quando stava per cadere.

«Scusami, dama, ero sovrappensiero» ammise Alucard-che-non-è-Alucard

«Di nulla, figurati» disse Mey Rin, arrossendo

«E dimmi» cominciò, per non far calare di nuovo il silenzio Alucard-che-non-è-Alucard «Se non mi trovi indiscreto, da dove viene una fanciulla graziosa come te?»

«Sono cinese» disse la ragazza

«Cina, eh … Conosco qualcuno di quel posto, un importatore. La sua famiglia si passa il lavoro da genreazione in generazione. Si chiama Ping, adesso è proprio nel fiume che abbiamo appena traversato con Caronte. Gli ho fatto un salutino per non essere sgarbato»

Mey Rin annuì, senza sapere che cosa rispondere.

La discussione morì, fu seppellita e si putrefece.

Insomma, non era colpa loro, di cosa mai potevano discutere una cameriera cinese che non vedeva oltre i propri occhiali (perché aveva gli occhiali, non per altro) e uno spirito infernale/demone entrato nel corpo di Dracula?

 

Finnian pensò che, aveva avuto una lunga vita, di cui solo il 20% era stato davvero bello, e ora stava per morire. Non era giusto. O magari era giusto, ma lui non lo sapeva e non gli piaceva neanche.

È vero, stava correndo, è vero, sembrava più veloce: lo aveva praticamente superato da un pezzo, eppure… non lo sapeva neanche lui. Perchè Finnian è così.

Insomma, era il modo di avanzare di quella creatura, senza fretta, come se non ci si impegnasse davvero. Finnian non sapeva un mucchio di cose, ma il suo subconscio e la sua esperienza personale gli dicevano che se uno fa una cosa così importante come cacciare con così tanta calma, vuol dire che non ci sono ostacoli tra lui e la riuscita del suo obiettivo.

Magari non stava cacciando davvero… ma era pericoloso. Se no perchè mai il suo nuovo amico era scappato a gambe levate prima ancora di vedere di cosa si trattava?

Finnian gridò quando qualcosa esplose dietro di lui, scaraventandolo in avanti con lo spostamento d'aria e facendolo atterrare sul petto. I suoi polmoni si svuotarono immediatamente di ogni briciolo d'aria. Lui pensò che l'aria non faceva le briciole e che quindi si poteva dire bolla, allora pensò di essersi svuotato di ogni bolla d'aria.

Qualcosa afferrò un piede di Finnian e lo tirò verso di se. Il ragazzo non riuscì a girarsi, tutto indolenzito com'era, né a reagire in alcun modo o anche solo a urlare di terrore, così rimase inerte come una bambola di pezza, sospeso per un piede solo, e pensò di essere morto, ormai, che più morto non si può.

Finnian aprì la bocca, spalancandola. Inspiro più aria che potè, espandendo il petto e lo stomaco.

Serrò i pugni e si piegò in due su se stesso, con l'abilità di un praticante di kung-fu o di un contorsionista, e si afferrò i piedi.

Vide quella che gli parve una zampa nera, grossa come un cavallo, che gli stringeva un piede fra due sole dita lunghe, magre, squamose e verrucose. La pelle che vedeva gli ricordava vagamente quella di un rospo, solo che i rospi non hanno le squame, visto che sono anfibi e non rettili o pesci, e non sono magri. Gli ricordava un rospo magro e mutante, allora.

Finnian caricò il pugno destro e con quello colpì una delle dita della bestia. Ricordiamo che Finnian è un ragazzino super forte e in quanto tale, aveva una super forza... e fu con quella che spezzò il dito alla bestia, penetrando anche attraverso la carne e bagnandosi di una pioggia di sangue bollente e tutt'altro che rettilesco.

La bestia ruggì di dolore e lasciò andare Finnian, che caddè scomposto come un bambolotto di pezza, ma si rialzò subito dopo e si diede alla fuga senza neanche cercare di capire che cosa aveva alle spalle. Non gli interessava più minimamente scoprire di che bestia si trattasse o di come avesse fatto a raggiungerlo in un sol balzo, tutto quello di cui gli interessava preoccuparsi era di essere ancora vivo e di mantenersi tale per il maggior tempo possibile.

Il mostro rizzò le squame sul dorso e volse il suo muso irto di denti ad un'altra direzione: avrebbe preferito una preda che non gli spezzasse le dita.

Tutto sommato, Finnian lo aveva spaventato.

Anche se il nostro biondino non sapeva di aver compiuto l'atto eroico del secolo, per cui sarebbe stato ricordato nei leggendari annali demoniaci...

 

«Ci fermiamo qui» Disse Undertaker a Ciel

«Perché?»

«Dobbiamo fare qualcosa per la tua gamba. Una steccatura, almeno» rispose l'uomo.

Erano arrivati in un posto che somigliava tantissimo ad una sauna finlandese, tutta piena di vapore bianco e caldissima. C'era qualcosa che si muoveva in mezzo al calore, animaletti forse, ma non sembrava comunque roba pericolosa.

Da in mezzo al vapore spuntavano rocce piatte.

Undertaker ripose Ciel su una di quelle rocce e gli spostò delicatamente la gamba; ma per quanto cercasse di essere garbato, il bambino sentì una serie di fitte di dolore che gli risalirono lungo tutta la gamba e gli si piazzarono dritte nella spina dorsale.

«Ahhh!» Strillò Ciel

«Scusa»

«Non fa... non fa... se ci fosse un modo, solo un modo... un anestetico...»

«Un anestetico?» Taker si guardò intorno «Se mi aspetti qui per qualche istante, te ne troverò uno»

«No!» le pupille di Ciel si dilatarono di paura «Non mi lasciare da solo»

«Tranquillo, qui non è pericoloso»

«Ma mi hai fatto una promessa!»

«Preferisci continuare a soffrire?».

Il conte annuì con convinzione: meglio il dolore che rimanere di nuovo da soli in quel posto malefico. Cioè, all'inizio quel posto non gli era parso tanto malefico... ma dopo che qualcuno gli aveva spezzato una gamba, gli era parso tutto improvvisamente diverso.

E poi era o non era l'Inferno? Quel posto strano tutto fuoco, sotterraneo, dove ci finivano le anime in pena?
La verità è che Ciel aveva paura di poter incontrare qualcuno dei suoi vecchi nemici morti. Non gli sarebbe piaciuto ritrovare la gente che aveva ucciso, specie gli spacciatori di droga... era sicuro che quelli lo avrebbero fatto a pezzi.

Ciel non voleva essere fatto a pezzi. Ciel non voleva neanche avere una gamba rotta, ma preferiva di gran lunga la gamba rotta e dolorante all'essere lasciato da solo insieme alle anime in pena...

«Di cosa hai paura?» Gli domandò Undertaker «Qui non c'è niente»

«Ci sono cose che si muovono» gli fece notare Ciel «Le vedi?»

«Non sono pericolose» gli assicurò l'altro

«Cosa ne sai?»

«Sono gatti».

Gatti? Cioè, gatti? Cioè, quelle creature pelose e lunghe con tutti quei baffi sul muso e sopra gli occhi (Ciel non aveva mai capito perchè mai i gatti avessero i baffi al posto delle sopracciglia) che facevano quel verso strano (miao miao mrauuuu mriaiaaooo) e poi ti graffiavano tutto se non gli davi i croccantini? Quelle creature che Sebastian amava tantissimissimo sopra ogni altra cosa?

«Sono allergico ai gatti» Confessò Ciel «Molto, molto allergico. Mi basta qualche ciuffo di pelo di gatto per starnutire»

«Allora è un problema...»

«Andiamocene da qui!»

«Vedi, l'Inferno è pieno zeppo di gatti...»

«Lo sapevo che erano creature del demonio! Lo sapevo! Aspetta un'attimo» Ciel ebbe un flashback di Sebastian che diceva “dalle mie parti non ci sono animali così adorabili” «Il mio maggiordomo dice che all'Inferno non ci sono gatti e per questo se li deve godere finché è sulla terra... tira fuori sempre questa scusa quando lo trovo dentro un armadio con un gatto fra le braccia...»

«Effettivamente i gatti non sono autoctoni. Ma si sono ben ambientati e da tre o quattro anni tutto l'Inferno ne è pieno...»

«Uccidiamoli!»

«No. Qui li adorano»

«Allora torturiamoli e poi uccidiamoli!»

«Non sarebbe saggio».

Ciel ci pensò. Poi parlò con voce alta e chiara

«Vorrei proseguire. Non fermiamoci qui»

«D'accordo» Undertaker lo riprese in braccio «Troveremo aiuto più avanti. Chissà se da queste parti esistono gli ospedali...»

«Ospedali all'Inferno?»

«Non si sa mai»

«Certo, come no...».

E all'improvviso, una voce si levò argentina e altissima

«Signorino Cieeeelll!»

«F-Finnian?» balbettò Ciel, con gli occhi fuori dalle orbite per il dolore alle orecchie (che gli parve più acuto di quello alla gamba) e lo stupore «Dove sei? Dove sei?»

«Sono qui!».

Il giardiniere biondo comparve da in mezzo al vapore, con le braccia spalancate. Era tutto spettinato e aveva tutto il petto e una parte delle cosce sporca di sangue.

«Che cosa ti è successo, Finny?» Gli chiese Ciel, con voce tremante

«A me? Oh, niente, un mostro gigante e tutto nero che sembrava una tarantola-rospo deforme e mutante mi ha preso per un piede e ha cercato di mangiarmi»

«Ti sei fatto male?»

«Un po' si»

«Un po'?»

«Tranquillo» intervenne Undertaker «Quel sangue non è suo. Il tuo amichetto biondo mi sembra in ottima forma»

«Perché ti fai portare in braccio?» chiese Finnian, toccando con l'indice la gambetta rotta di Ciel Phantomhive «Stai giocando a fare la principessa, come dice sempre Mey Rin?»

«No» rispose il conte, seccato «Mi sono spezzato lo stinco, d'accordo?»

«Dov'è lo stinco, signorino? Sta sopra o sotto la testa?»

«La gamba, dannazione, la gamba!» sbottò Ciel, rabbiosamente «Mi sono rotto una gamba mentre tu saltelli e ti rotoli nel sangue!»

«Non mi sono rotolato nel sangue!» esclamò indignato Finnian «Ho colpito il mostro con il pugno e tutto questo sangue è uscito da dentro di lui! Non mi ci sono rotolato dentro, mi è schizzato tutto addosso, quindi è colpa sua!».

Ciel non poteva credere alle sue orecchie: Finnian si era liberato dal mostro trafiggendolo con un pugno? Anzi, si, ora che ci pensava meglio, poteva benissimo credere alle sue orecchie. Finnian era qualcosa di eccezionale dal punto di vista fisico, e qualcosa di canarinesco dal punto di vista mentale. Perciò dovevano tenerselo accanto, anche se a volte era insopportabile: così avrebbe fatto loro da bodyguard.

«Portiamolo con noi» Disse Ciel, rivolto ad Undertaker «Può venirci utile. Inoltre non me la sento di lasciarlo quaggiù da solo, prima o poi qualcosa potrebbe ucciderlo davvero... ha bisogno di una guida»

«E voi siete la guida?» chiese Finnian, con gli occhioni stellanti

«Si, Finnian, siamo noi»

«Signorino, perché non ti curi la gamba?»

«Perché non posso. Come diavolo faccio a curarmi la gamba, spiegamelo!»

«Oh, beh...»

«Geniale» disse Undertaker, parlando fra sé e sé

«Grazie!» esclamò Finnian «Credo sia la prima volta in tutta la mia vita che qualcuno mi dice che sono geniale! Di solito la gente, e in particolare Sebastian, mi dice che sono uno stupido, uno scemo, un cretino, un deficiente, un decerebrato, un inetto, un rincretinito, un rimbambito, un rintronato, uno stordito, un rincitrullito, un acefalo, un microcefalo, un minicefalo, un infantile, un senza cervello, un asino, una capra, un caprone, un ignorante cronico, un incolto, un incompetente, uno sprovveduto, uno scalzacane, un illetterato, un analfabeta, uno sbadato, uno svampito, un tonto, un fatuo, un gonzo, un grullo, un pecorone, un cervello di canarino, uno zoticone, un sempliciotto, un fesso, un credulone ...»

«Grazie Finnian» disse Ciel «Ma credo di conoscere già tutti i sinonimi e gli pseudosinonimi del mondo e in tutte le lingue di “scemo”, grazie» poi ci ripensò «Anche se “scalzacane” mi era ancora ignoto...».

Finnian non parlava più perché doveva riprendere fiato, ma appena l'ebbe fatto, e loro ripresero a camminare, Finnian riprese a parlare. E raccontò loro tutta la sua vita. Tutta. E Ciel lo odiò con ogni fibra del suo corpo malato, anche con quella dello stinco rotto, che sicuramente non stava sopra la testa. Mentre Undertaker... beh, lui non disse una parola. No, neanche mezza, neanche un grugnito, una parvenza di grugnito, un'ombra di parvenza di grugnito. Niente di niente.

E fu anche per questo che Ciel odiò Finnian.

Camminarono a lungo e Finnian non stette in silenzio neanche un secondo. Neanche una parvenza di secondo, neanche un'ombra di una parvenza di secondo... no, raccontò loro anche la vita degli altri.

Gli raccontò dell'affascinante ciclo di riproduzione dei calzini in lavatrice, delle cerimonie di caccia complicatissime e arzigogolate della mosca finlandese, dello studio della sostanza della fibra dei capelli di Steve Jobs (che lui pronunciava Stiw Giobbbs) e del cappuccio rosso di cappuccetto rosso.

Con estasi e fervore narrò loro della prode condottiera Ninì che indossava un cappuccio di paillettes gialle con cui abbagliava i nemici, perciò poteva vincere solo di giorno, mentre di notte si rifugiava in un bunker antiatomico foderato di ali di cavallette. E allora lei si rifiutava di muoversi ed erano i nemici che dovevano andare da lei, perchè lei “ci aveva il bunker”. E lei, da dentro il bunker, cantava tante canzoni strappalacrime, fra cui la leggendaria ballata del maccarello triste, della coccinella rimasta da sola da un mese e del naso che gocciola senza fazzoletto. A questo punto, tutti i nemici di notte erano tristissimi, la mattina erano leggermente depressi, e lei usciva dal bunker con un balzo altissimo, che somigliava alla coca cola che esce dalla bottiglia quando ci metti una mentos, e con il suo cappuccio di paillettes gialle li abbagliava tutti e poi lei li sconfiggeva pestandogli il naso. E tutti scappavano.

Poi Finnian narrò della ballata delle quattro stagioni: le pizze più buone del mondo.

Infine raccontò la lunghissima storia di Heidi cornolungo, che aveva comprato un cappello con un corno da vichingo solo che spuntava dalla tempia (ma Finnian non diceva tempia, diceva “parte un poco rientrata sul lato della fronte”), un corno così lungo, ma così lungo che quando lei si metteva il cappello non poteva passare dalle porte. Allora Heidi cornolungo spezzò in due il suo cornolungo e fece due cornicorti, ma l'altro non se lo attaccò in testa, bensì lo usò come arma.

Il fatto è che non aveva nemici, quindi prese a combattere con i nemici degli altri e si alleò con Ninì dal giallo cappuccio paillettato. Le due ragazze combatterono insieme e sconfissero tutti i cattivi.

Ma poiché alla fine non c'erano più cattivi, Heidi decise di diventare cattiva. Così, perché poteva.

E visto che era diventata cattiva, tornarono i cattivi e Ninì ebbe di nuovo dei cattivi da combattere (poco importa se tutto ciò non ha senso). Ma Heidi diventò la capa (cioè, il capo femmina, un po' come Integra) di tutti i cattivi, perchè era diventata monella.

Anzi, era pure vagabonda: monella vagabonda. E con un corno solo per giunta.

Così il cappuccio paillettato giallo di Ninì e il corno solitario di Heidi si scontrarono e divennero simboli per tutti quanti.

Non ci è dato di sapere come finì e chi vinse la battaglia, però sappiamo soltanto che vinse Ninì.

«Allora sappiamo chi vinse!» Esclamò Ciel «Fu Ninì!»

«E come fai a saperlo?» chiese Finnian, genuinamente stupito «Allora tu eri presenti alla grande battaglia di Heidi e Ninì!»

«Non dire sciocchezze!» si irritò il conte, facendo la voce grossa (gli si erano ingrossate pure le tonsille, ormai, tanto era irritato) «Questa guerra non è neanche mai esistita!»

«HHHHSSS!»

«Che era quel verso?»

«Un verso di stupisciore»

«Stupore vorrai dire»

«Si, mi sono stupito. Ma se la guerra di Heidi e Ninì non è mai esistita, come ha fatto Ninì a vincere?»

«E che ne so io? L'hai detto tu che vinse Ninì!»

«No! Io ho detto che non ci è dato di sapere come finì e chi vinse la battaglia»

«Si! Però dopo hai aggiunto “però sappiamo che vinse Ninì”»

«Allora devono essere stati gli spiriti a parlarmi!»

«Quanto sei scemo, Finnian...» Ciel scosse la testa

«Me lo dice sempre Sebastian! Mi dice anche che sono scemo, babbeo, balordo, citrullo, capra capra capra capra capra capra... ah, no, quello era un'altro...»

«Basta Finnian! BASTA! Stai zitto!» lo implorò Ciel, premendosi le mani sui timpani «Stai parlando solo tu da almeno tre ore!»

«Davvero? Mi sembravano venti secondi. E perché voi non parlate? Io parlo da solo perchè voi non mi rispondete, eh!»

«Perchè dici cose talmente sciocche che non ho idea di cosa dire! Tu credi che Ninì e Heidi siano esistite veramente?»

«Certo, sennò come ha fatto Heidi a spaccarsi il lungocorno e fare due cornicorti?»

«Il lungocorno non è mai esistito! Non esistono animali con corna così lunghe che non passano dalle porte! E neanche Heidi è mai esistita! E neanche Ninì! È impossibile che accecasse i nemici con le paillettes! Non puoi sconfiggere i cattivi con una lucina paillettosa!»

«Ma, ma... » la voce di Finnian si fece incerta «E la grande battaglia? E l'alleanza, allora! E le ballate! Erano tutte una bugia?»

«Si, Finnian, cosa credi? Dove la trovi una tizia di questi tempi vestita con una felpa con solamente il cappuccio paillettato? Che poi ci sconfigga pure i cattivi con le paillettes mi pare proprio un azzardo bello e buono! E Heidi? Anche se per ipotesi, ammesso e non concesso, esistessero i lunghicorni, chi è il malato di mente che spende soldi per un cappello con un corno solo che per giunta non lo fa passare dalle porte? E poi chi è l'intelligentone che ha coperto un bunker antiatomico, che potrebbe essere utilissimo in caso di emergenza vera, di ali di cavalletta e ci ha messo dentro una tizia con un cappuccio paillettato? Eh?!»

«Allora... » Finnian si mise a piangere sommessamente «Era tutto finto... ».

Sfogata la rabbia, Ciel rimase in silenzio a guardare il povero giardiniere che vedeva infranto il racconto delle sue eroine infantili. Magari non avrebbe dovuto essere così duro con il povero giardiniere, che aveva un sistema nervoso piuttosto fragile e piangeva per un nonnulla, e non avrebbe dovuto distruggere l'immagine della paillettata Ninì e di Heidi dal lungocorno. Pensava davvero che fossero tutte assolutamente stupidaggini, ma, caspita, anche se lo trovava incredibile Finnian ci aveva creduto davvero...

Non era stato carino, no, prendersela con lui… anche se in qualche modo aveva dovuto sfogare il nervosismo e la rabbia di queste ultime ore, e non aveva trovato nessun motivo per prendersela con Undertaker, non avrebbe dovuto “uccidere” Ninì e Heidi.

«Finnian... » cominciò indeciso. Non era solito chiedere scusa ai propri dipendenti, specie quando dicevano stupidaggini di quel tipo, ma forse stare all'Inferno con una gamba rotta lo aveva reso più sentimentale... «Vedi, io non... non pensavo davvero quello che ho detto. Era solo che ero nervoso, sai, perchè mi fa male la gamba e... oh, cavolo Finnian, non fare così... ».

Finnian non la smetteva più di piangere.

Ciel sospirò. Probabilmente solo una cosa sarebbe riuscito a tirarlo su: quel dannato gioco dalle regole incomprensibili con la castagna col vermetto, ma lui non sapeva davvero come si giocava, e non c'erano castagne o vermetti lì in giro a portata di mano. Come tirarlo su...?

E d'improvviso, la soluzione gli si presentò davanti nella forma più ovvia e più inaspettata.

Sotto le sembianze di una bella ragazza.

Ma non una bella ragazza qualsiasi: ma una bella ragazza dai capelli biondi, grandi occhioni da cerbiatta, poco vestito e, soprattutto stupidità a palate.

Ciel sorrise fra sé e sé.

Ecco a voi Seras Victoria.

«Seras!» Esclamò Finnian, slanciando in aria le braccia

«Finny!» urlò la Police Girl, poi mosse le labbra a formare una O di stupore «Perché piangi?»

«Piango perché...» Finnian le si avvicinò e le disse piano, in un orecchio «Perché il signorino Ciel mi ha detto che in realtà Ninì dal cappuccio di paillettes e Heidi dal lungocorno non... non...» la voce del giovane giardiniere tremolò «Non... non esistono, Seras»

«Davvero?» la vampira aprì gli occhioni «Non ci posso credere!»

«Neanche io, ma... ma lui mi ha detto... mi ha fatto capire...»

«No!»

«Mi ha fatto capire... che non è possibile Seras. Non esistono, Seras!».

Ciel sperò con tutto sé stesso che Seras confortasse Finnian sul fatto che le due improbabili eroine esistessero davvero e che quei due biondini senza cervello la smettessero di assillarlo. La gamba gli faceva sempre più male.

«Ti prego» Mormorò «Ti prego, Dio, fai si che...».

Poi si interruppe. Non invocava Dio da molto, molto tempo... non credeva più in lui, era per questo che aveva stretto un patto con il Diavolo. Aggrottò le sopracciglia: che cosa lo aveva spinto a pregare, adesso? Forse pensava che non ci fosse altra via d'uscita?
Non gli sembrava il caso di disperarsi in quel modo. O forse si? Era o non era all'Inferno, nel cuore nero della terra, in mezzo a un mucchio di gatti che giravano a destra e a sinistra impuniti, senza nessun cane a inseguirli, lì, senza maggiordomo e senza una vera servitù, con la gamba spezzata... però ancora non era in fin di vita e non era stato abbandonato.

Lascia stare, Dio” Disse mentalmente Ciel, dentro di se “Fai finta che io non abbia detto niente. Fa finta che non abbia chiesto aiuto, che non abbia neppure detto il tuo nome, che poi è neanche sicuro che sia il tuo nome. Non ho bisogno di te come non ne ho mai avuto bisogno. Tu non mi hai salvato dalle grinfie dei mostri, né preservato dagli incubi e delle bestie della mente e sotto il letto, non mi hai risparmiato il dolore, né il sangue, né le ossa rotte benchè fossi un bambino, non hai protetto la mia famiglia e non mi hai dato gioia né serenità, mentre queste, e molte altre cose, le ha sapute fare il diavolo. Non badare a me, Dio, perchè ho altri, qui in terra, che mi sono molto più cari di te e che mi hanno protetto e amato, così, per ciò che sono... e tu, Dio, rimani lassù come hai fatto sempre e guardaci. Non ti importa niente degli uomini, né mai ti è importato, e non te ne faccio una colpa... è giusto così. Ma non implorerò mai più il tuo nome”.

In quel momento, Finnian scoppiò a piangere e con lui anche Seras. Ciel non sapeva dire che cosa la vampiretta avesse detto al giardiniere, ma doveva essere qualcosa di molto grave...

«Ti prego» Disse il conte, ad Undertaker «Trova un modo per farli smettere. Non ti irritano?».

L'uomo annuì quasi impercettibilmente, ma era chiaro che i due biondini lo irritavano, e anche tanto. Poi parlò, con voce sonora come se fosse amplificata da un microfono

«Piccoli, non credete alle parole di Ciel»

«Ma lui ha ragione, è il nostro signorino!» esclamò Finnian, con gli occhi pieni pieni di lacrime e un sottile nastro di moccio che gli scendeva dalla narice destra, mentre Seras lo abbracciava urlando «Heidi non esiste! Heidi non esiste! Le volevo bene! Volevo bene pure a Ninì, anche se non mi piaceva tantissimo il suo cappuccio paillettato!»

«Non dovete preoccuparvi. Ciel non era presente alla guerra, quindi non può saperlo. Ha provato ad indovinare, ma non è colpa sua se ogni tanto la verità sembra più incredibile della fantasia»

«Davvero?» Finnian aveva gli occhi che sembravano due padelle, tanto erano spalancati, mentre la vampirella continuava a stringerlo forte forte e frignare da brava mocciosa non-morta

«Davvero» rispose Undertaker. Emanava un'aura di assoluta sicurezza e ispirava fiducia.

Ciel per poco non scoppiò a ridere di fronte al volto serio del giardiniere, che annuì tutto convinto e chiese

«Ma allora tu sai qualcosa? Sei sicuro che sia tutto vero?»

«Si, certo» rispose Undertaker, riprendendo a camminare e accelerando il passo

«Davvero?» Seras smise immediatamente di piangere, come se avesse avuto un bottone dello spegnimento automatico e quel bottone fosse appena stato premuto «Allora chi vinse lo scontro fra Heidi e Ninì?»

«Vinse Ninì»

«E come fece?» chiese Finnian, saltellando sul posto tutto eccitato

«Con una vittoria schiacciante e fantastica».

Quella risposta parve accontentare completamente i due biondini, che presero a saltare e parlare fra loro di quanto era forte la loro eroina preferita e di quanto era lungo il lungocorno e di quanto erano forti e appuntiti i due corticorni capaci di spezzare lo scudo più duro e di penetrare (ma loro dicevano “passare attraverso) l'armatura più robusta.

Ciel sospirò di sollievo

«Come hai fatto?» domandò «Li hai fatti smettere subito di piangere»

«Sono un intrattenitore, è il mio lavoro. Devo essere convinto di quello che dico» rispose Undertaker, parlando sottovoce quasi non volesse farsi sentire da Finnian e Seras

«Quei due sono assurdi...»

«Si»

«Non la smettono mai di parlare! Non che dicano cose molto interessanti, ma...»

«Dipende. Credo che il ragazzo abbia qualcosa da raccontare»

«Questo è sicuro! Sono ore che ci racconta quella storia di Ninì e di... come si chiamava quella del lungocorno?»

«Heidi»

«Heidi. Ti rendi conto? Heidi, come la pastorella quella della televisione, sai, la pastorella drogata che pensa che i monti la salutino... comunque sei stato eccezionale»

«Non ho fatto niente di speciale»

«Niente di speciale? Mi hai risparmiato il più brutto mal di testa del mondo! Grazie»

«Non devi neppure dirlo» e sembrava serio, nel senso che Ciel non avrebbe davvero dovuto dirlo.

Il conte guardò all'orizzonte, poi un sorriso animò il suo volto pallido di dolore e imperlato di sudore

«Vedi anche tu quello che vedo io?»

«Dipende. Cosa stai vedendo?»

«Quello sembra davvero un ospedale! Guarda, è un grande edificio bianco con una grande croce rossa! E quella posteggiata di lato sembra proprio una vera ambulanza!»

«A mio fratello piacerebbe»

«L'ospedale?»

«L'ambulanza»

«Ah. Comunque lo vedi o è un miraggio dovuto al dolore?»

«No, lo vedo anch'io. Un gran bell'ospedale, sembra ben tenuto, da fuori».

Seras e Finnian si erano molto allontanati, erano davanti, quasi arrivati all'ospedale, e Ciel notò che più i due biondini si allontanavano, più Undertaker tendeva a diventare loquace e cordiale. Desiderò dunque che arrivasse Sebastian e che si portasse via quei due per poi non farsi rivedere mai più... solo che chissà dov'era Sebastian!

 

Sebastian era solo. Al buio. Precipitato non ai confini, ma nel cuore stesso, pulsante e rovente, dell'Inferno. Completamente ricoperto di gatti feroci, con le pulci, la rabbia e un caratteraccio.

E tutto ciò lo rendeva enormemente felice, poco importava che avesse decine di graffi ovunque, l'uniforme rovinata e il naso invaso della puzza della pipì di gatto.

Sebastian Michaelis non si era mai sentito felice come in quel momento, con le mani deliziate dalla morbidezza della pelliccia di decine di mici miaulanti e ululanti e soffianti.

Poi, all'improvviso, qualcosa di grosso gli cadde di lato. O meglio, qualcuno di grosso.

«E tu chi sei?» Domandò Sebastian, smettendo di rotolarsi in mezzo ai gatti rognosi

«Arghhh...» si lamentò il povero essere atterrato accanto a lui, con voce piuttosto graffiante.

Una dozzina di gatti gli si lanciò addosso e prese a graffiarlo, sentendolo come un possibile predatore e/o nemico e/o non gatto-non portatore di mangiare per gatti.

Il poveraccio caduto accanto a Sebastian prese a lamentarsi sommessamente, poi si scrollò di dossi i gatti, quando proprio non ce la fece più a sopportare le loro acute unghiette ricurve che gli si conficcavano ovunque, e accese una torcia elettrica

«Sebastian? Che ci fai qui?» domandò

«Andersen? Alexander Andersen?» chiese di rimando il maggiordomo «Come ci sei finito qui?»

«Questo non ha minimamente importanza! Come si esce di qui?»

«Come sei arrivato te ne vai» gli rispose Sebastian, con una certa fredda cordialità

«Beh, non credo che si possa fare» rispose Andersen

«Come no?»

«No. No e basta. Posso venire con te»

«Io non so se ho intenzione di uscire da questo posto, sinceramente»

«Ma è l'Inferno! Questo lo sai, vero?».

L'unico motivo per cui Sebastian non gli disse “ma to' guarda, sono un demone! Mi sembra normale che io stia all'inferno!” fu che sapeva che Andersen era un fanatico religioso, e un fanatico assassino per giunta. E lui non voleva che tutto ciò finisse in uno scontro: uno di quei poveri micini morbidosi poteva farsi male...

 

Alucard-che-non-è-Alucard colpì con un pugno sotto il mento l'uomo che li aveva aggrediti senza un perché, poi continuò a camminare, seguito da Mey Rin, che andava avanti sicura. Avevano già incontrato una dozzina di tizi come quello e ormai avevano capito che non rappresentavano alcun problema: non erano demoni, erano degli stupidi umani, anche se non capivano bene che diavolo ci facessero lì quei tizi, che fra l'altro si somigliavano tutti come se fossero fratelli: avevano tutti i capelli castani, gli occhi castani e la pelle leggermente abbronzata. Ah, e avevano tutti una t-shirt con sopra lo stesso simbolo, tre palloncini (due blu e uno rosa) e un paio di pantaloni dello stesso colore della maglietta, che solitamente era arancione, ma che in due casi era stata nera.

«Ma chi diavolo sono?» Chiese Mey Rin

«E che ne so io, te l'ho già detto, non li ho mai visti prima d'ora...»

«Lo so. Ma la mia era una domanda retorica»

«Se è per questo, pure io vorrei sapere chi diavolo sono quelli»

«Chi diavolo sono, eh?»

«Beh, diavoli non sono di sicuro, sono troppo deboli, troppo umani, troppo normali! Non ho ancora capito neanche perché non hanno paura ad attaccare un gigante armato come me»

«Sei armato?»

«Certamente»

«Perché non hai mai usato la tua arma, allora?»

«Non sono un esperto di armi da fuoco, purtroppo, inoltre mi piace lavorare a corpo libero, mi sembra totalmente inutile, sai... usare delle armi quando le mie mani hanno il potenziale per distruggere un esercito di uomini senza nessun problema»

«Sei davvero così forte?»

«Sono nel corpo del vampiro più potente mai esistito, tu che dici?»

«Questo è a dir poco incredibile... »

«Hmm... ma non mi serve, se non sappiamo in che direzione è andata Integra»

«Allora vuol dire che dovremo investigare, si!» il tono di voce di Mey Rin si fece più acceso, allegro e deciso «E in questo sono molto brava!»

«Che cosa vorresti fare? Seguire le tracce all'inferno? Io lo trovo molto difficile...»

«Forse tu non sai come...»

«Senti, Mey Rin, c'è qualcosa che devo dirti. Io avevo un lavoro, un lavoro molto importante. Lavoravo per la regina d'Inghilterra, sai, molto tempo fa? E facevo proprio l'investigatore. E in quanto investigatore della famiglia reale, credo proprio di sapere che cosa succede se si cercano delle tracce nel posto in cui vivo. Conosco l'Inferno meglio di te e conosco il mio lavoro sicuramente meglio di te. E so che è difficile».

Mey Rin lo guardò parlare con aria di sufficienza, scrutandolo per tutto il tempo con le palpebre socchiuse. Ovviamente Alucard-che-non-è-Alucard non lo sapeva, perchè non riusciva a vedere gli occhi della cameriera, che erano nascosti dai grandi occhiali grigi.

Poi, quando Alucard-che-non-è-Alucard smise di parlare, Mey Rin indicò qualcosa in lontananza

«Lì c'è una bancarella che vende sigari, perché come sicuramente saprai bene, i demoni sono grandi consumatori di sigari».

L'espressione del vampiro iniziò a incrinarsi, il suo sorriso da padrone a scomparire.

Mey Rin continuò

«Come puoi vedere, il venditore è disperato. E non è disperato perché è un'anima in pena: come puoi vedere si tratta di un demone»

«Si, giusto, e allora...»

«Allora, i demoni normalmente non dovrebbero essere disperati, sono loro che fanno disperare gli altri. Ne possiamo dedurre che qualcosa non va, giusto? E cosa non potrebbe andare ad un demone che vende sigari?»

«Ehm... ha finito i sigari?» Alucard-che-non-è-Alucard sbuffò «Mi rifiuto di pensare che Integra si sia messa a rubargli la merce! Sarebbe una traccia troppo evidente!»

«Se diamo ancora un'occhiata, possiamo notare che il demone venditore si sta strappando i suoi brutti capelli viola mente urla “i miei sigari, lei ha rubato i miei sigari”. Questo significa che...»

«Che qualcuno ha rubato i suoi sigari, si!»

«Inoltre» Mey Rin si alzò gli occhiali, mostrando i suoi meravigliosi occhi castani dalla vista di rapace «Possiamo ben notare che per terra, in prossimità della bancarella di quel demone, si trova un capello biondo lungo almeno un metro. Il biondo è di un colore ben assimilabile a quello della chioma di Integra, che è lunghissima...»

«Beh, come hai fatto a vederlo?» Alucard-che-non-è-Alucard strinse le palpebre «Io sono un vampiro, ma, sinceramente, non riesco a vedere con tanta chiarezza il colore del capello. E poi non riesco a capire come hai fatto ad individuarlo in mezzo a tutta questa sporcizia, impronte e capelli di altre persone...»

«Beh, te l'ho detto, sono brava ad investigare!»

«In ogni caso, non è ancora detto che quel capello appartenga ad Integra»

«Beh, esiste un modo solo per confermare i miei sospetti».

Mey Rin si abbassò le lenti sugli occhi e si avvicinò allo sbraitante venditore di sigari, che era un demone antropomorfo alto circa un metro e ottanta, con un torace ampio come una botte e le braccia tatuate. Aveva i capelli violacei, con una ciocca della frangia colorata di verde, e un paio di corna che gli spuntavano dalla fronte e si sollevavano ricurve per una ventina di centimetri, terminando in un'acuminata punta.

«Scusi, buon uomo» Disse Mey Rin, anche se in quel momento le venne da pensare che forse un demone non era un uomo, ma vabbè...

«Che c'è?» le domandò il demone «Cosa vuoi ragazzina? Non avrai i miei sigari, stavolta sono disposto a combattere, hai capito?».

Mey Rin notò che il demone venditore aveva un piccolo taglio su una tempia, come se qualcuno lo avesse colpito lì con un oggetto contundente o con un pugno molto, molto forte, e pensò che Integra doveva aver alzato le mani a quel pover'uom... demone, a quel povero demone.

«No, non voglio i suoi sigari» Disse la cameriera, cercando di essere la persona più dolce e gentile possibile «Vorrei solo un'informazione... siamo degli investigatori privati, e stiamo cercando una persona molto pericolosa»

«Beh, io so dov'è una così!» ruggì il demone, battendo un pugno sul banchetto e facendo tremolare tutte le scatole rimaste di sigari

«Oh, beh, noi cerchiamo una persona in particolare: è alta, con i capelli biondi e si chiama...»

«Integra Farqualcosa Winqualcosa Hellsing» la interruppe il demone, con rabbia «Quella bastarda è passata di qui e si è fottuta un paio delle mie scatole di sigari! Quella è roba buona! Costa tanto, ma lei se l'è presa gratis urlando il suo nome e dicendo che le spettava, perché lei salvava il mondo o qualcosa del genere, non ho capito bene, ma diceva di essere una che ripulisce le città dai mostri. Così mi ha colpito, mi ha stordito ed è scappata»

«Sa per caso dirmi dov'è andata?»

«Certo! Ero ancora abbastanza cosciente da vedere» il demone indicò un punto lontano alla sua destra «Se n'è andata da quella parte, quella schifosa ladrona...»

«Grazie della collaborazione, signor...»

«Kaleidoskopio»

«Kaleidokopio. Ci è stato molto utile. Andiamo, Jack» disse Mey Rin, rivolta ad Alucard-che-non-è-Alucard, inventandosi all'istante un nome in codice.

Sbuffando, “Jack” la seguì.

«Allora» Disse la cameriera, con un sorrisone «Che ne pensi di me? Non sono una brava investigatrice?»

«Si. Non sei male»

«E chi aveva ragione?»

«Tu. Tu avevi ragione. Ma non spingere troppo sull'acceleratore, ragazzina, e non scherzare con me»

«Ma chi scherza?» Mey Rin si mise le mani nelle tasche del grembiule bianco «Io faccio sul serio».

 

Finnian, Seras, Undertaker e Ciel giunsero finalmente all'ospedale. C'era un tizio di guardia di fronte alla porta, uno che sembrava una specie di mucca bipede, tutto grigio e nero, con un paio di corna dal toro e la pancia che gli tendeva la divisa grigia come la sua pelle ricoperta di setole.

Se ne stava seduto di lato alla porta, con la testa chinata sul petto, e sembrava profondamente assopito.

Finnian gli si avvicinò senza alcuna cautela e gli disse in un orecchio (ma più che dire, gli strillò in un orecchio)

«Ma tu che cosa sei?».

Il demone urlò, spaventato, e il suo grido somigliò effettivamente al muggito di un toro ferito. Poi spalancò gli occhi, due sfere castane con le pupille dilatate, e guardò Finnian

«E tu chi, sei ragazzino?» ringhiò

«Io sono Finnian, giardiniere di casa Phantomhive» rispose educatamente Finny, inchinandosi di fronte alla creatura fin quasi a toccarsi le ginocchia con la faccia «E tu chi sei?»

«Che diavolo ti interessa? Chi siete voi e che cosa ci fate qui? Alt!» scattò in piedi, mostrando di essere alto almeno un paio di metri «Ehi, ehi, tu con il giubbotto nero! Tu non puoi entrare nell'ospedale, lo dicono le regole: quelli con lunghi giubbotti nero possono essere dei terroristi e devono lasciare fuori i vestiti».

Undertaker consegnò Ciel fra le braccia di Finnian e si tolse il cappotto, che appese ad uno dei corni del demone, e fece per entrare, ma con uno sbuffo selvaggio, la creatura gli poggiò una delle sue enormi mani sul petto e lo respinse indietro

«Tutti i vestiti, signor terrorista».

Undertaker si riprese il giubbotto e se lo rimise, poi indietreggiò e guardò Finnian

«Dovrai portare tu Ciel lì dentro. Lo affido nelle tue mani, mi raccomando, fai attenzione»

«Sissignore!» esclamò Finnian, annuendo «Lo tratterò come se fosse figlio mio!».

Questa affermazione infastidì Ciel, ma il conte non lo diede a vedere. Però odiava dover entrare in quell'ospedale senza Undertaker, così come odiava l'idea di doverci entrare con Finnian e Seras, notoriamente pericolosi come e più di Jack lo squartatore, ma per qualunque essere vivente e non vivente.

Il toro-demone annuì

«I tre ragazzini possono entrare. Aspetta un attimo!» indicò Seras, in particolare il petto di Seras che poteva benissimo nascondere una scorta di esplosivo «Tu, che cosa nascondi sotto la giacca, ragazzina!»

«Niente!» rispose Seras, quasi ferocemente «Che ti interessa, brutta mucca-umana?»

«Mi hai dato della mucca-umana?»

«Si, perché, cosa sei?»

«Sono un maschio, innanzitutto! E non sono né umano, né bovino, sono un demone, io!»

«Un demone?» Finnian battè le palpebre «E ci fai entrare, signor demone? Il signorino Ciel si è fatto tanto male!»

«Tu puoi entrare con il ragazzino» disse il demone, annuendo solennemente «Ma lei non potrà entrare finché non l'avrò perquisita»

«No!» Seras puntò i piedi e lo guardò negli occhi con non sottovalutabile grinta «Io sono una poliziotta! Non puoi perquisire un poliziotto, sarebbe un oltraggio a un pubblico ufficiale! Anzi, io dovrei perquisire te, e ti sbatto pure in gattabuia se non fai il bravo!».

Il toro-demone non parve più tanto convinto... storse la bocca come se stesse ruminando, poi annuì

«D'accordo, anche la ragazzina poliziotta può entrare. Ma il terrorista no, deve rimanere fuori» e detto questo incrociò le braccia e lasciò passare il trio di ragazzini.

Ciel si sentì morire quando superò la soglia. Non gli piaceva stare in braccio a Finnian, lo faceva sentire un pappamolle visto che era alto quanto lui, ma non riusciva a stare in piedi, e non gli piaceva neanche stare insieme a Finnian e Seras contemporaneamente, perché i due lo ignoravano completamente, troppo concentrati a sbattere le palpebre mentre si guardavano in volto.

L'interno dell'ospedale, poi era deprimente: perfetto per l'Inferno.

Sembrava una buona location per un film horror, a dire il vero: le pareti erano di un bianco sporco, con macchie di muffa e pedate varie in basso. Nella parte superiore correva una striscia color verde vomito che qui e lì si interrompeva come se l'avessero grattata via.

Le porte delle varie stanze erano piuttosto vecchie e avevano assolutamente bisogno di una riverniciatura, visto che ormai sembravano un ammasso grigio-nero-bianco, un collage di schegge ben appiattito.

Ciel chiuse gli occhi per non vedere tutto questo e per impedirsi di mettersi a gridare. Ricominciò ad avere paura, una paura profonda, soverchiante. Quel posto era malsano, la puzza dei malati era nell'aria. Riusciva a sentire lo scricchiolare dei passi di Finnian sul pavimento da poco cerato anche con il chiacchiericcio dei due biondi che, teoricamente, avrebbe dovuto coprire tutto il resto.

Ma a poco a poco, anche Finnian e Seras smisero di parlare e si guardarono intorno. La paura, lentamente, si impadronì anche di loro.

Socchiudendo le palpebre, Ciel si accorse che alcune delle lampadine erano fulminate o sul punto di fulminarsi e lampeggiavano in modo inquietante, proiettando sprazzi di luce giallastra sui volti: Finnian e Seras sembravano zombie vecchi e dagli occhi infossati.

Ciel prese a tremare.

Ora i loro respiri si sentivano forti e chiari, ed erano affannosi, da prede in trappola.

E si udivano i passi di qualcuno che si avvicinava. Qualcuno che svoltava l'angolo. Qualcuno che somigliava a Sebastian, anche lui alto e magro, con i capelli neri come ali di corvo, ma vestito con un lungo camice bianco. Un camice sporco di sangue.

La luce disegnava ombre che forse esistevano, e forse no, sul suo volto liscio, e le ombre delle ciglia lunghissime e nere sembravano dentature seghettate che gli scivolavano sulle guance.

Ciel richiuse gli occhi. Non voleva vederlo, ma sapeva che si stava avvicinando.

«Il nostro amichetto è molto malato» Disse Seras, cercando l'aiuto di quell'uomo che somigliava tanto a Sebastian

«Già» le fece eco Finnian «Il signorino si è spezzato una gamba ed ha bisogno di aiuto»

«Siete venuti dalla persona giusta» rispose il demone.

Anche la sua voce somigliava a quella di Sebastian, ma aveva qualcosa di più freddo, di più inquietante... come se fosse più anziano e più cattivo insieme. Ma, a guardarlo bene, sembrava persino più giovane di Sebastian.

Ciel desiderò che quel tizio non lo toccasse, ma si sentì toccare. Si sentì prendere in braccio e sollevare e trasportare con un passo rapido che non apparteneva a Finnian, più sicuro e veloce.

Così aprì gli occhi. Come aveva fatto a non accorgersi che gli occhi di quel tizio erano azzurri? Avevano lo stesso taglio di quelli di Sebastian e le stesse ciglia, ma le iridi erano di un colore glaciale, e non color fegato come quelli del suo maggiordomo: erano occhi che sembravano trafiggere e tagliare.

«Non preoccuparti, sono il Dottor Michaelis» Gli disse il demone «Sono il migliore in circolazione, piccolino, non soffrirai neanche un pò»

«Mi-Michaelis?» chiese Ciel, spalancando gli occhi

«Si, proprio io» anche il sorriso era lo stesso di quello di Sebastian

«Conosci per caso uno che si chiama... Sebastian. Ha il tuo stesso cognome. E... e...»

«Mi somiglia, lo so» il dottore annuì «Io sono Jean-Paul Michaelis. Il fratello di Sebastian Michaelis. Lo conosci, per caso? Non vedo mio fratello da un po' di tempo, ormai».

Si, avrebbe voluto dire Ciel, lo conosco e non solo, c'è da dire che è il mio maggiordomo, che mi ha lasciato qui, che ho intenzione di licenziarlo anche se non posso, che lo odio tantissimo, in questo momento, e che odio anche te, perchè ci somigli e perchè sei un maledetto dottore, ed io ho sempre odiato i dottori, perchè non ci si può fidare di loro, sono dei grandissimi bastardi, un po' come mia zia, ed è anche per questo che non vorrei mai rompermi una gamba.

Ma si limitò ad annuire

«L'ho incontrato, qualche volta»

«Mi hanno detto che si è messo a fare il maggiordomo» Jean-Paul adagiò Ciel su un lettino, si avvicinò ad un armadietto e prese ad armeggiare con una grossa siringa

«Giusto» disse il conte, poi decise che una piccola, innocente bugia non avrebbe complicato ulteriormente le cose «Mi pare che fosse il maggiordomo di uno dei miei amici... un certo Alois Trancy»

«Ah, davvero?» Jean-Paul aspirò il liquido da una boccettina «Credevo che Alois avesse Faustus... devo aver sentito male, ma sai, non è che mi interessino granché i maggiordomi demoniaci. Preferisco lavori di genere più alto. Ma Sebastian non è mai stato portato per la medicina o per la finanza, purtroppo... gli piacciono i lavoretti e la nobiltà e tutte quelle cosettine complicate. Contento lui... allora, come ti sei fatto male?»

«Una di queste... bestie... che voi avete quaggiù all'inferno mi è caduta sulla gamba. Ha anche cercato di mangiarmi, devo dire, ma un mio amico mi ha salvato»

«Oh. Interessante, davvero. Che tipo di bestia era?»

«Un avis»

«Gli avis non sono creature infernali» spiegò il dottor Michaelis, infilando l'ago poco sotto il ginocchio di Ciel e premendo lo stantuffo, senza però far sentire dolore al bambino «Sono alieni, però a quanto pare si sono ambientati bene qui da noi. Tsk, ormai qualunque cosa si ambienta bene da noi! L'inferno non è più quello di una volta, un tempo era molto più inospitale di così, sai? Beh, però la crosta terrestre si raffredda... e i grandi criminali non esistono più e se esistono, affogano nella massa delle anime dei peccatorucci mediocri. Comunque è un bene: adesso la vita è più facile anche per noi demoni. Va meglio la gamba?»

«Quasi non sento più il dolore» confessò Ciel, sorpreso «Devo dire che è fantastico!»

«Oh, abbiamo ottimi anestetici, qui. Li avete anche da voi, lo so, ma questi sono naturali: li estraiamo dalle corna dei lunghicorni»

«Come hai detto?»

«Ho detto che abbiamo degli ottimi...»

«No, no, l'ultima cosa, quello sul fatto che li estraete...»

«Li estraiamo dalle corna dei lunghicorni» disse diligemente il dottore «Sai, i lunghicorni non sono molto popolari fra voi umani... sono famosi solo per una cosa: uno dei loro corni venne venduto ad un'eroina popolare, la leggendaria Heidi dal lungocorno».

Ciel si sentì come se gli avessero appena dato una mazzata in testa: Heidi dal lungocorno era esistita realmente? Tutta questa era solo una candid camera? Uno scherzo di Prank Patrol? Una trovata di Punk'd, un tranello di Scherzi a Parte? No. Nessun programma televisivo (a parte il Reality di Kuroshihellsing) gli avrebbe rotto una gamba per fare uno scherzo.

«Heidi dal lungocorno?»

«Non ne hai mai sentito parlare?»

«No, cioè, si» Ciel annuì «Mi pare che nella leggenda fosse associata ad un'altra eroina, una che si chiamava tipo Ninì»

«In realtà non fanno parte della stessa leggenda» spiegò Jean-Claude «Però per un breve periodo si incontrano. C'è una sorta di... crossover leggendario, diciamo. Però, si, incontra Ninì l'Incappucciata Letale. Sono felice che tu conosca almeno un po' la loro storia, i lunghicorni non fanno altro che dire che gli umani li hanno dimenticati completamente e che nessuno racconta più la storia di Heidi... ma farò sapere loro che l'hai sentita, così saranno felici».

Ciel doveva proprio dire questa cosa a Finnian, così l'avrebbe fatto contento. Ma per accontentarlo davvero ci voleva qualcosa di speciale, molto speciale

«A proposito: alla fine, chi vinse la battaglia, Ninì o Heidi? A me dissero che la vittoria fu data a Ninì, ma la cosa è incerta...»

«Già» Jean-Claude annuì «Ninì vinse, abbagliando Heidi e rubandole il suo corno, anzi, i suoi due corticorni, però poi non la uccise né la ferì, quindi si può dire che non la sconfisse davvero... quindi vinse, da un certo punto di vista, ma da un'altro punto di vista non vinse nessuno...».

Tutta la storia raccontata da Finnian era vera. Era una leggenda dell'Inferno, anche se non ci sembrava proprio...

«Il ragazzino biondo che mi ha portato in braccio fino a qui mi ha raccontato questa storia, l'ha fatto mentre eravamo in viaggio» confessò Ciel

«Hm, interessante. Dovremmo parlare con quel ragazzino. Comunque da lontano mi sembrava una ragazzina... è mica quello con le mollette rosse in testa?»

«Proprio lui»

«Comunque... ora dovremmo farti un'ingessatura, va bene?»

«Perfetto».

Il dottore prese a lavorare alacremente sulla gambetta di Ciel.

«Non mi fai una radiografia?» Domandò il conte, un po' spaventato

«No. Sono un talento naturale, un dottore demoniaco. Che bisogno ho di farti una radiografia? Sono il re della medicina infernale. Vedrai, fra qualche mesetto sarai come nuovo...»

«Qualche mesetto?»

«Si, perché?»

«Ci vuole così tanto per guarire da un osso rotto?»

«Eh... mica ci si riprende da un momento all'altro. Si tratta di una lesione piuttosto grave, viene danneggiato lo scheletro, non la materia molle... seppure sono sicuro che tu abbia avuto anche un piccolo versamento di sangue interno»

«Che schifo» commentò Ciel

«Oh, punti di vista... io trovo tutto questo...» gli occhi di Jean-Claude Michaelis brillarono di gioia «...Terribilmente interessante. I corpi viventi sono così fragili e così incredibilmente complicati, eppure, nella loro fragilità nascondono anche grandi capacità di sopravvivenza. Amo studiare i corpi dei viventi, non c'è nulla di più bello al mondo: anche nella malattia, rimangono bellissimi e straordinari».

Contento tu” Pensò Ciel, stringendo i denti all'idea dei propri tessuti malati e visti da vicino.

«Comunque non ti preoccupare, i corpi sono belli anche per questo: quasi nulla è irreparabile... non è incredibile?». Jean-Paul Michealis, conosciuto anche come il dottor Michaelis, si mise a cianciare di quanto fossero belli belli belli i corpi umani perchè potevano far un bel mucchietto di cose interessanti. Chiacchierò a ruota libera dell'effetto placebo, della memoria del sistema immunitario, della straordinarie capacità di crescita dei tessuti e dei falsi miti cresiuti attorno al corretto funzionamento dell'organismo.

Ciel cominciò a pensare di volere tanto tanto bene ad Undertaker. Almeno lui non parlava a ruota libera di quanto fosse bello bello bello (con gli occhi brillanti, tipo l'Undertaker di Londra quando parlava di morti e cadaveri, che erano tanto scintillanti che si vedevano pure da sotto quel frangione da pony dove da solito non si intravvedeva neppure un ciglio) capire il corpo umano, come agiscono le malattie con i germi e tutti i virus di questo mondo (e annesse conseguenze vomitevoli), i versamenti di sangue interno e cose che fecero venire a Ciel il voltastomaco.

Ciel alzò lo sguardo al cielo. Che tortura.

All'improvviso sentì qualcosa al livello della gamba, ma non sembrava avere a che fare con la frattura.

Alzò la testa e si ritrovò davanti il dottor Michaelis che brandiva una specie di coltellaccio. Con orrore, si accorse che il coltellaccio, in effetti, era ficcato dentro la sua gamba. Gli occhi glaciali di Jean-Paul brillavano come quelli di un bambino a cui regalano un parco-giochi, e la sua compostezza scientifica sembrava del tutto sfumata in qualcosa di più animalesco.

«Dottore... ?» chiamò Ciel, con voce strozzata.

Il dottor Michealis sembrò riscuotersi «Si?»

«Lei ha appena ...» il conte indicò debolmente la lama

«Oh, ehm, si ...» con tutta calma Jean-Paul estrasse il coltellaccio dalla gamba di Ciel.

Il bambino incassò la testa fra le spalle e chiuse gli occhi, aspettandosi parecchio dolore, poi si ricordò degli anestetici dei lunghicorni e aprì gli occhi.

Jean-Paul aveva la faccia di un infante beccato a ficcare le manine paciocche una in un barattolo di marmellata e l'altra nel barattolo della Nutella, senza prima essersele lavate.

In realtà, era un demone adulto beccato a leccare il sangue di un bambino da un coltellaccio con cui gli aveva appena inspiegabilmente trafitto una gambina ferita.

«Mi scuso» si scusò, e nascose il coltellaccio dietro la schiena. Ciel era a dir poco disgustato.

«Fa così con… tutti?» chiese, con la faccia di uno scuoiato e buttato a mollo nella limonata salata

«Non credo di poter fare molto altro, piccolo»

«Oltre ad accoltellarmi, intende?».

Il dottor Michealis sembrò ignorare il commento di Ciel, mentre fasciava la ferita fresca del conte «Non dovrebbe metterci molto a rimaginarsi» disse, freddo.

«Non ci avrebbe messo niente a rimarginarsi se lei non lo avesse fatto. Perchè lo ha fatto?».

Sorrise. Il suo sorriso era uguale a quello di Sebastian… no, Ciel si accorse che non era affatto uguale a quello di Sebastian. Era il sorriso di un pazzo che cerca di darsi un contegno. O era una semplice impressione, per il fatto che l'avesse appena accoltellato?

«Non è magnifica la capacità rigenerativa del corpo? Le ferite... si rimarginano! La pelle ricresce!»

Ciel sperò di essere molto lontano da dove si trovava lì. Ora aveva tanta paura.

Sperava che Sebastian, quello originale, unico e inimitabile, comparisse in quel momento saltando dentro dalla finestra e lo prendesse in braccio per portarlo via. Poi ci ripensò: non voleva Sebastian. Voleva Undertaker, Sebastian era solo una vaga sostituzione che funzionava male. Una vaga sostituzione che funzionava male e che quando sorrideva non gli si vedevano i denti. Antipatico. Gattofilo. Doppiamente antipatico. Schifoso. E con un fratello pazzo.

Odiava pure suo fratello e non lo voleva. Voleva un dottore bravo, che gli desse le chewingum senza zucchero e gli dicesse che era un bravo bambino, non uno che lo accoltellava e non gli dava neanche le caramelle.

E poi quell'ospedale faceva schifo. Lui non lo voleva: voleva un ospedale tutto colorato, con i disegni alle pareti, e magari le luci che funzionavano e che non erano giallastre e intermittenti. Quest'ospedale era terrificante.

Immaginatevi la scena. Con la luce gialla intermittente e quel tizio con gli occhi glaciali e un coltello nella vostra gamba.

Non era bello, vero?
Ecco, quindi Ciel non lo voleva. Poi gli venne in mente una cosa. Una cosa essenziale, a suo vedere: come diavolo avrebbero
pagato la prestazione del dottore? Bella domanda. Non avevano mica soldi con loro. Vabbè: gli avrebbe dato l'anima di Finnian, doveva essere un pagamento sufficiente e si risolveva tutto, no?

Mentre Ciel faceva tutti questi pensieri, Jean-Paul Michaelis gli aveva ingessato la gamba. E aveva fatto proprio un bel lavoro: gli aveva anche autografato il gesso con una firma elegante e arzigogolata, nonché comprensibile (che cosa strana, per un dottore!) e con un ritratto somigliantissimo di Ciel stesso.
Ciel strizzò gli occhi

«Perché mi hai scarabocchiato il gesso?»

«Questa è arte, non “scarabocchio”»

«Ah. Perché mi hai fatto dell'arte sul gesso?»

«Perché così è più guardabile. Su, andiamo alla reception, vediamo un po' di pensare alla mia parcella...»

«Va bene l'anima di Finnian?»

«Cosa?» Jean-Paul sollevò un sopracciglio «Chi è Finnian?»

«Il ragazzo biondo che mi ha portato in braccio, quello con le mollette rosse»

«Ah. No, perché dovrei volere la sua anima? Sono a dieta, se mangio ancora, scoppio...» e si battè le mani sul ventre piattissimo.

Ecco: Ciel doveva immaginarselo che l'ossessione per l'anoressia fosse di famiglia.

«Mi scusi, ma... io non ho denaro, con me» Disse il conte, timoroso

«Non importa. Tanto la valuta infernale non ha niente a che vedere con quella terrestre»

«Che valuta avete?»

«Gli euro».

Ciel pensò che era una moneta ben strana. Poi pensò che in tutta Europa si usava l'euro, ma non lo disse perché pensava che altrimenti il demone avrebbe preteso il pagamento.

«Allora, come posso pagarti?»

«Non so... hmm... di solito mi pagano in natura. Sangue, frutta e verdura. E anime, ma sono a dieta, quindi... anche se il tuo amichetto biondo non è niente male... però, sono a dieta. Aspetta, come mai siete tre bambini terrestri che vagate per l'Inferno?»

«No, no! Siamo accompagnati! Abbiamo una guida»

«Allora parlerò con il vostro adulto». Disse “il vostro adulto” come si potrebbe dire “il vostro cane”.

Ciel annuì, poi scosse la testa, indeciso

«Si, no, cioè... la guardia fuori non l'ha fatto entrare, ha detto che era un terrorista»

«Siete tre bambini terrestri con un terrorista?»

«Non è un terrorista!» sbottò indignato Ciel «Però quello gli ha visto il cappotto nero ed ha pensato che lo fosse...»

«Tipico di MuMu... chiunque ha un cappotto nero, per lui è un terrorista. E quest'anno i cappotti neri vanno di moda, quindi immaginati come è sempre teso! Vabbè, lo facciamo entrare, dai...».

Jean-Paul mise il piccolo Ciel su una sedia a rotelle e lo spinse fino all'uscio

«MuMu! Fai entrare questo signore!» ordinò, seccamente

«Ma è un terrorista!» esclamò il demone-toro, con rabbia e risentimento «Farà saltare in aria tutto l'ospedale! Sono sicurissimo che è imbottito di tritolo e di polvere da sparo e nitroglicerina! Forse è un kamikaze!»

«Non è un terrorista» tagliò corto il medico «Questo è un cliente e deve pagare»

«Ah, deve pagare? In tal caso...» MuMu si scostò «... Ma se saltate in aria e morite tutti, poi non venite a raccontarmi che non ve l'avevo detto, che non vi porto neanche una rosa al cimitero»

«Se siamo morti, non possiamo raccontarti niente» gli fece notare Jean-Paul «Su, tu sei il padre di Ciel?» domandò ad Undertaker

«No» rispose il wrestler

«E allora... lo zio?»

«No»

«Cugino?»

«No»

«Fratello maggiore? Hmm... un po' vi somigliate»

«No»

«Ah. Ehm... madre?»

«No»

«Nonno!»

«No»

«Hai qualche grado di parentela con il ragazzino?»

«No»

«Sei almeno umano?»

«No»

«Wow. Questo è... veramente un terror... cioè, inaspettato, inaspettato volevo dire. Signore, non avete gradi di parentela, neppure dal punto di vista puramente genetico, potrei sapere perché mai avete sotto tutela questo ragazzino?»

«Gli ho fatto una promessa»

«Ah. Comunque, dovevamo discutere del pagamento... ho guarito la gamba del piccolo e ora... beh, sa com'è, all'Inferno non abbiamo molti contributi statali, è... un inferno il mondo del lavoro!»

«E allora?»

«Allora... cos'ha da offrirmi?»

«A parte un pugno?»

«Oh, facciamo i duri qui, eh?» Jean-Paul rise piano «Io non ci proverei, con un demone, a fare lo sbruffone... andiamo, cos'ha da offrirmi? Oggetti rari? Qualcosa di interessante? Un libro raro magari? Adoro i libri rari!»

«No, niente del genere...»

«Bel cappotto. Potrei avere il cappotto: va di moda quest'anno»

«Il cappotto da terrorista?» muggì MuMu «No, sono sicuro che è imbottito di tritolo!»

«Sta' zitto, vacca maschio con il pallino della sorveglianza! Voglio quel giubbotto!»

«Non credo di poterlo dare via» disse piano Undertaker «Vuoi la ragazzina?» indicò Seras che saltellava lontana

«Beh, pensavo che non me l'avreste offerta mai!» gli occhi glaciali di Jean-Paul si illuminarono di una strana scintilla «Si, accetto, accetto assolutamente! Adoro le ragazzine!»

«Lei è speciale» spiegò Ciel «Gli tagli un braccio, e poi gli ricresce! Ma in fretta!»

«Wow»

«Davvero! Puoi fare la prova se credi che ti prendiamo in giro!»

«No, no, vi credo sulla parola. E comunque sarebbe un bell'esemplare. Ma che si è messa sotto la giacca, non sarà mica una terrorista?»

«No, no» disse MuMu «Quella lì è una poliziotta»

«Ma sei scemo? Dove le hai mai viste le poliziotte con la divisa giallo canarino?»

«Hmm... sarà un reparto speciale»

«Si, come no: mimetizzazione in negozi di ornitologia»

«Che ne sai? Beh, è possibile!»

«Se lo dici tu... comunque, va bene, potete andare...» Jean-Paul si avvicinò a grandi passi a Seras e le prese delicatamente un braccio, poi la condusse dentro con la promessa di tante caramelle.

«Dov'è il mio Mastah?» Chiese la vampirella «Sei tu il mio Mastah? Mastahhh...»

«Il tuo Mastah...» il dottore ci pensò, poi le sorrise «Beh, è dentro! Cosa aspetti, andiamo a raggiungerlo?»

«Siii! Mastah!».

Ciel prese a ridere forte

«Ci siamo liberati di Seras e del dolore! Ci siamo liberati di Seras e del dolore!»

«Seras...» Finnian era triste.

Ma tanto triste. Prese a piangere a dirotto perchè “il medico cattivone con gli occhi lavati si era portato via Sery”. Finnian aveva il terrore dei medici e dei lettini di ospedale, perciò non poteva entrare a salvare Seras: altrimenti gli sarebbe venuto un attacco di cuore.

Ciel guardò implorante Undertaker

«Fallo smettere!».

Ma adesso era un po', leggermente, giusto un pochino... difficilissimo.

Ciel, però, ebbe un'idea fantastica

«Finnian!» disse «Sai, ho saputo dal medico che mi ha curato la gamba, che in giro ci sono dei lunghicorni!»

«Davvero?» Finnian quasi smise di piangere e lamentarsi «Non mi stai prendendo in giro?»

«No! E il dottore mi ha anche detto che la guerra di Ninì e di Heidi è vera e che sa anche chi ha vinto. E avevi ragione: Ninì ha vinto, ma al contempo non ha vinto, perciò non ci è dato di sapere com'è finita!»

«Davvero davvero?»

«Davvero, Finnian! Ah, e mi dispiace di aver pensato che quello che avevi detto fosse una bugia»

«Parlate dei lunghicorni?» domandò MuMu «Io sono un cornocorto»

«Un cornocorto vero?» gli chiese Finnian, smettendo completamente di piangere «Ma proprio uno fatto di pelle, di muscoli, di tendini, di occhi, di nervi, di ossa, di reni, di peli, di sangue, di mucose, di grasso, di cartilagine, di liquido sintrosviale...»

«Liquido sinuviale» lo corresse Ciel

«... Di unghie, di denti, di ghiandole, di cellule, di corni e di puzza?»

«Proprio così» disse fiero MuMu

«Wow! E hai mai visto un lungocorno?»

«Si, ma ormai sono rari. Vivono in una pianura non molto distante da qui, a dire il vero... sempre dritti lungo la strada e ci arrivate. Ma attenti: i lunghicorni incornano»

«Signorino Ciel!» urlò Finnian, prendendo a sguazzare il braccio del signorino a destra e a sinistra con foga, rischiando di fargli male «Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ai se eu ti prego, ai ai, se eu ti prego!»

«Che cosa vuoi, Finnian?» chiese seccato Ciel «Mi preghi, va bene, ma di cosa?»

«Andiamo a vedere i leggendari lunghicorni?»

«Voglio tornare a casa Finnian! Io voglio tornare in superficie, qui sono tutti pazzi. Pure tu. Tu più degli altri»

«Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego...»

«Ti ho detto no! Andiamo via, Undertaker...».

Undertaker prese a spingere la sedia a rotelle di Ciel, ma Finnian continuò imperterrito la sua litania nelle orecchie di Ciel, per parecchi minuti a venire, e senza prendere fiato, diventando dunque completamente blu, tipo alieno asfissiato

«Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego...»

«Bastaaaa!» Ciel urlò, esasperato fino alla sua ultima cellula anestetizzata e tagliuzzata e spaventata soprattutto «Andremo a vedere questi schifo di lunghicorni che incornano! Ci faremo male se necessario, e ci trapasseranno da parte a parte con i loro schifo di anestetizzanti lunghicorni, così neanche ci accorgeremo che ci hanno trapassato! E poi andremo tutti all'ospedale e gli dovremo dare anche te, ma va bene, andremo da questi schifo di lunghicorni!».

Finnian, che a parte “va bene” e “lunghicorni” non aveva capito niente, si mise a saltellare di gioia e gridare di felicità. L'unica cosa che importava a Ciel, invece, era di non sentire più “ti prego”.

Così, il nostro trio, si avviò verso la Piana dei Lunghicorni: la trovarono facilmente grazie ad una serie di cartelli stradali che dicevano, testualmente “per di qua si va dagli schifo di lunghicorni”. Ciel pensò che quei cartelli sembravano essere stati scritti da lui e questa cosa un po' lo inquietò, perchè evidentemente i lunghicorni facevano davvero schifo.

Ma Finnian era felice e non diceva ti prego, e questo gli bastava.

A metà strada, Seras li raggiunse.

«E tu che fai qui?» Gli domandò Ciel, con l'unico occhio visibile ridotto (o meglio, ingrandito) alla grandezza di mamma gatta incinta

«Il dottore ha detto che ero noiosa e cretina e non mi sopportava più e non c'era neanche il mio Mastah, quindi me ne sono andata e lui mi ha detto “vattene, fai schifo come un lungocorno ubriaco” e io me ne sono andata e poi mi ha detto “non ti voglio” e me ne sono andata»

«Ma quante volte te ne sei andata, Seras?» gli domandò Finnian, tutto stupito

«Quattro» rispose Seras, fiera di se, contando tre delle sue cinque dita aperte.

Ciel rivolse gli occhi al cielo.

Finalmente arrivarono alla piana dei lunghicorni, che visti da lontano non facevano affatto schifo: erano creature enormi, con schiene possenti e toraci ampi. Erano alti al garrese almeno due metri e mezzo e avevano una lunga coda da draghi, ma pelosa. Al posto degli zoccoli, avevano mani e piedi, ma camminavano su quattro zampe come un qualunque bovino e masticavano la tenera erbetta rossa e gialla infernale. La cosa più impressionante, ovviamente, erano le corna: lunghe in totale più di quattro metri, affilate e possenti, si sollevavano verticalmente come quelle degli orici (un tipo di antilopi, per gli ignoranti che non lo sapessero) ed erano brillanti come se fossero state appena lucidate.

«Sono bellissimi!» Esclamò Finnian

«Che cosa sono?» domandò invece Seras «Non sono il mio Mastah! Il mio Mastah non ha le corna così lunghe!»

«Sono i lunghicorni!» spiegò il giardiniere, mostrando la piana con la mano aperta

«Oh, è vero! Hanno le lunghecorna, mentre il mio Mastah no!» la vampira corse verso gli irascibili animali e prese a spingerli, strattonarli, cercare di mettergli le dita negli occhi, e tutto questo urlando a squarciagola «Corriamo! Dai, corriamo! Corriamo irascibili animali!»

«Perchè lo sta facendo?» chiese Ciel, ormai totalmente insensibile a cose come questa

«Ma come perché?» domandò Finnian, che sembrava quasi risentito «Non ti ho raccontato nella leggenda che Heidi dal lungocorno poteva correre con i lunghicorni perchè aveva un lungocorno e quindi era una di loro?»

«Ero disattento. Ma Seras non ha un lungocorno»

«Però... però nella leggenda Heidi spinge i lunghicorni e quelli corrono e saltano e incornano tutti»

«Sarò felice, quando la incorneranno» disse Ciel, in tono piattissimo e neutro

«Oh, mio Dio, Ciel è un folletto!»

«E tu sei un cretino. E la tua amichetta più cretina di te».

Seras, nel frattempo, stava prendendo un sacco di botte dai lunghicorni, che piuttosto che incornarla (avevano capito che era una vampira e sarebbe sopravvissuta) la stavano pestando con i loro possenti pugni, facendole spuntare bernoccoli vampirici e rientranze pure vampiriche da ogni dove.

Seras, tutta pestata, fece ritorno al gruppo

«Mi hanno dato le botte» disse, felice

«Perchè è felice?» domandò Ciel, sempre in tono neutro «Io non mi sento così felice»

«Oh, mio Mastah, Ciel è un folletto!» strillò Seras, mettendosi le mani ai lati della faccia insanguinata

«Ma perchè sei felice?»

«Perché ho visto i lunghicorni. E li ho toccati pure. Erano più duri di come me li immaginavo, specie quando mi davano le botte»

«Certo. Quelli erano i pugni»

«La schiena forse era morbida, tutta pellicciata, ma me l'hanno spalmata addosso e mi sono fatta male»

«Va bene. Ora che ti sei fatta pestare, ce ne andiamo?»

«Voglio vedere i bisonti volanti! Li voglio! Li voglio!»

«Esistono i bisonti volanti?» chiese Ciel, in tono piatto ancora

«Yip Yip!»

«Torniamo a casa invece di fare versi strani?»

«A casa c'è il Mastah?»

«Si. Sicuro al cento percento»

«Allora andiamo a casa».

E il gruppo riprese a camminare, allontanandosi dalla piana dei lunghicorni con sommo sollievo di Ciel che non era stato incornato in aggiunta alle altre ferite.

Così proseguirono fino alla montagna delle capre tabacchiere. Certo, le capre tabacchiere... cioè, in che senso? Perché si chiamavano tabacchiere? Era solo un nome dato a caso? Le capre mangiavano solo tabacco oppure fumavano sigari come Integra? O ancora, erano capre a forma di tabacchiera?

Ciel sperò di non scoprirlo: magari le capre tabacchiere in realtà erano draghi sputafuoco, non si poteva mai sapere.

Però, incontrarono ugualmente una capra tabacchiera: era in lontananza, su un picco.

I nostri quattro eroi, stavano risalendo una ripida stradina sassosa e sdrucciolevole, quando videro questo animale che li guardò con i suoi occhi da demonio di colore verde e poi prese a scatarrare. In realtà quello era il suo verso, però sembrava proprio la tosse di un fumatore incallito: ecco perchè si chiamavano tabacchiere. Erano leggermente inquietanti, quasi quasi Ciel avrebbe preferito che fossero capre a forma di tabacchiera.

Comunque, passarono senza intoppi il monte e giunsero in una zona collinare dalla quale si levavano aspri fumi gialli (tanto per cambiare, ecco un'altro paesaggio accogliente!). C'erano ciuffi di erba gialla alti due metri e bambù e in mezzo al bambù si muovevano dei ciccioni con le corna corte, una qualche sottospecie di demoni schifosi (o almeno, così li catalogo Ciel). Questi ciccioni erano vestiti di un asciugamano bianco, perchè stavano facendo la sauna.

«Non voglio passare lì» Disse Ciel

«O questo» gli spiegò Undertaker, lentamente «Oppure dobbiamo passare per la Via Irta-Buia-Pericolosa»

«Meglio i ciccioni» considerò il conte, annuendo.

E così si avventurarono fra le colline Saunarii (questo è il nome della splendida location). Da lontano, uno spettrale coniglio rosso senza occhi parve guardarli, anche se poi in realtà non li guardava perchè era senza occhi, e poi prese a correre velocissimamente, sbattendo contro tutti bambù della foresta. Interessante.

Ciel si sentì un po' depresso, specie quando un'intera famiglia di coniglietti batuffolosi e disocchiati prese a sbattere ovunque. Si chiese come mai i conigli fossero disocchiati: era proprio la specie o gli cavavano gli occhi?

I ciccioni, che si trovavano le bestiole in mezzo ai piedi, le scalciavano via come se fossero... ciabatte, stracci, cose così inanimate che si mettevano in mezzo ai piedi.

Poi, un ciccione si avvicinò al gruppo dei nostri valorosi viaggiatori, e disse loro

«Volete akusgardi in darda nelli nelli?»

«Eh?» domandò Ciel

«Volete akusgardi in darda nelli nelli?»

«Eh?» fece Finnian «Non si capisce tanto bene».

Con un sorriso stampato in faccia, il ciccione cornuto ripetè la frase con tranquillità

«Volete akusgardi in darda nelli nelli?»

«Mastah!» gli disse Seras

«Ino ino Mastah?»

«Mastah Mastah Mastah!».

Comunque, alla fine si concluse che il ciccione correva e Seras lo inseguiva ridendo.

I nostri eroi continuarono la traversata e Seras tornò da loro.

Appena ebbero attraversato le colline Saunarii, si ritrovarono nella piana dei Dirupi Ardenti, che come dice il nome, non è piana, ma piena di Dirupi Ardenti dalle quali uscivano spruzzi di lava, ceneri, lapilli, bombe di roccia e uccellini. Cioè, era una pianura, ma al livello del terreno si trovavano spaccature, dirupi e geyser.

Una capra tabacchiera solitaria, li guardò e li scatarrò, poi se ne andò tronfia.

«Come passiamo di qui?» Domandò Ciel «Intendo, senza saltare in aria, morire, bruciare, ustionarsi, mutilarsi, prendersi uccellini o cacche di suddetti in faccia?»

«Voliamo!» propose Seras

«In ogni caso, ti becchi la lava e gli uccellini» rispose Ciel

«E se volo alto alto?»

«Sbatti con la testa sul tetto»

«E se volo non alto alto, ma alto»

«Ti bruci la faccia lo stesso»

«E vabbè! Bruciamoci la faccia!»

«Ma bruciatela tu, la faccia! Io alla mia ci tengo!».

E allora Seras, tirò fuori la sua perla di saggezza che risolve tutte le situazioni

«Mastah!».

Ciel sospirò e si rivolse al suo consigliere, guardia del corpo, confidente, mezzo di trasporto, conoscente, migliore amico momentaneo, becchino, personaggio famoso, the Undertaker

«Senti, ma come attraversiamo?»

«Ma perché dobbiamo attraversare?»

«Per tornare a casa»

«Prendiamo quella» indicò un cartello che a sua volta indicava un cartello, che a sua volta indicava una stradina laterale etichettata come “Via Facile e Fiorita”.

Seras, comunque, provò ad attraversare la Piana dei Dirupi Ardenti, mentre i nostri eroi presero la via un po' più lunga, ma camminarono in mezzo a fiori carnivori. Ma non fiori carnivori cattivi: fiori carnivori che mangiavano le zanzare fastidiose.

Ciel amava quel posto e continuò ad amarlo finchè non vide una capra tabacchiera che mangiava i fiori carnivori buoni: allora decise di desiderare un fucile per sparare in testa alla capra tabacchiera e poi andarsene. I nostri tre eroi finirono la strada, aggirarono un monte su cui sorgeva la mitica cittadina di Pentedattilo, e finito di aggirare il monte si trovarono alla fine della Piana dei Dirupi Ardenti.

C'era pure Seras: era tutta scottata e sembrava in stato di shock.

«Scema» Borbottò Ciel. E proseguirono.

In seguito, si trovarono nella prima, vera, città demoniaca. Aveva un'architettura strana, quasi aliena, e le case erano tutte nere e rosse e sembravano fatte di pietra lavica. Orde di gatti assassini si aggiravano per i vicoli, uccidendo topi, persone e capre tabacchiere. Ciel decise improvvisamente che per il momento i gatti gli piacevano.

Un sacco di venditori ambulanti demoni cercarono di vendergli un po' di tutto: zampe di rospo, scapre nere coi tacchi a spillo (che a quanto pare andavano di moda all'Inferno, da abbinare al cappotto da terrorista, sia per demoni che per demonesse e demoncelli), occhi di barbagianni, lunghicorni (a prezzi proibitivi, altrimenti uno Ciel se lo sarebbe comprato scambiandolo con Seras), piedi di ciccione e corde vocali di capre tabacchiera.

Un demone tutto nero come il carbone, con il cappotto di pelle “da terrorista” che andava tanto di moda e con una lambretta di colore rosa shocking striato di verde mare si fermò di fronte a loro

«Ehi, turistelli! Vi va di comprare una capra tabacchiera viva?»

«Ma che ci facciamo?» ribattè Ciel, indignato e disgustato insieme «A me sembra che non le vuole nessuno 'ste brutte capre schifose e che girano libere e indisturbate tossendo in faccia alla gente. Se la volevo, me la prendevo, anzi, mi prendeva lei»

«Ah, ma si sa... cerchiamo sempre di venderle ai turisti... ma visto che non siete degli sprovveduti, ho qualcosa di meglio per voi!».

Il venditore scese dalla lambretta e aprì una valigia piena zeppa di roba, che sembrava più grande dentro che fuori

«Che ne pensate del cappotto modello “darkettone”?»

«Il cappotto da terrorista?» Ciel indicò Undertaker dietro di se «Grazie, ma siamo già muniti»

«Allora volete degli sci?»

«Che ci facciamo con degli sci?»

«Sarete sci-muniti! Ah aha hahahaa!»

«E tu speri di vendere qualcosa, così?» disse Ciel, in tono di commiserazione «E poi li abbiamo già, due scimuniti» e indicò Finnian e Seras che si guardavano sbattendo le palpebre

«Hmm... va bene. Ho comunque quello che fa per voi»

«Cos'è? Fammi indovinare: grasso squagliato di ciccione delle pianure. Cacca di lungocorno. Santini con sopra Satana»

«Noo... niente di queste sciocchezze per turisti!»

«Cioè... per i turisti vendete la cacca di lungocorno?»

«Si»

«Mi fate schifo. Davvero. Chi se la compra?»

«I bambini. Come te»

«Io non sono un bambino. Sono solo diversamente datato»

«Sei furbo, bambino. Ma io ho qualcosa di spettacolare...» il demone incompetente rovistò ancora un po' dentro la sua lambretta sparaflesciante (in senso negativo, però) e ne estrasse...

«Ecco a voi un pupazzetto tenero e strizzoso di Ciel Phantomhive!» disse il demone, trionfante

«Ti odio».

E i nostri eroi passarono avanti, mentre Seras era dell'avviso che quello non fosse il suo Mastah.

Stressati dalla folla e dalla moltitudine di venditori ambulanti dall'accento napoletano, i fantastici quattro si rifugiarono in un vicoletto buio.

Da una grondaia, grondava sangue, ma ehi, siamo all'Inferno! Questo era normale.

«Pensavo che l'Inferno fosse una cosa più raffinata» Disse Ciel «E invece è tutto trambusto e cattivo gusto...»

«E non c'è il mio Mastah!» esclamò indignata Seras, rattristandosi

«E io avrò la mia vendetta...».

Tutti si guardarono. Chi cavolo aveva detto “E io avrò la mia vendetta...”?. Nessuno di loro. E poi era la voce di una femmina adulta. Forse. O forse era un maschio pieno di testosterone che parlava un poco leggermente effeminato. Possibile, perché no.

«Vabbè» Disse Ciel «Riposiamoci... io sento le voci»

«Pure io» disse Finnian

«E anche io» si aggiunse Seras.

Undertaker non disse niente. Tanto per cambiare, no? Per partecipare allo spirito del gruppo. Finnian ormai era convinto che Undertaker non fosse una persona, ma il loro cavallo fatto a forma di persona, perchè poverino era nato strano, come quei neonati con due teste... ecco, lui era il cavallo del signorino Ciel, nato a forma, ma manco tanto, di essere umano.

Seras invece era convinta che fosse uno strano palo che camminava e li seguiva ovunque. E che, soprattutto, non era il suo Mastah e che pertanto non era degno della sua attenzione.

Finnian annusò l'aria

«C'è puzza» disse

«Certo» rispose Ciel «Mi sembra normale, visto dove siamo...»

«No, no, è una puzza familiare...»

«Chi ha mollato?»

«Io io! Io voglio mollare!» esclamò Seras, saltellando con la mano alzata «Che cosa mollo?»

«Niente, lasciamo perdere...»

«No, c'è puzza di fumo» disse Finnian, arricciando il nasino

«Un inceeendio!» disse Seras «No... veramente sa di... sa di... Mastah Integra!».

Tutti si raggelarono. Tutti.

L'odore di Integra? La voce che prometteva vendetta? Il fumo?

Il sangue scorreva lento dalla grondaia e ticchettava piano per terra...

Tic.

Finnian indietreggio.

Tic.

Qualcosa si mosse nell'ombra, fra i panni stesi da una casa all'altra, e li scostò con lentezza esasperante.

Tic.

Gli occhiali brillano nell'ombra, occhiali da vista. Occhiali catarifrangenti da Hellsing.

Plop.

«Avrò la mia vendetta».

Ciel spalancò gli occhi. Integra uscì da dietro i panni stesi, con un lungocorno sporco di sangue in mano. Il lungocorno era sporco di sangue alla base: era stato strappato dalla testa di un animale vivo. Un sigaro emetteva il suo appestante fumo scuro, stretto fra le labbra di lady Hellsing.

«Ti ucciderò» Disse Integra «E l'affronto sarà pagato, lavato con il sangue dell'eretico»

«Noo! Mastah è diventata come Padre Andersen!» esclamò Seras, nascondendosi dietro Finnian, che si nascose dietro Seras, che si nascose dietro Finnian etc. ect...

Undertaker guardò Ciel: adesso aveva bisogno di lui. E Ciel annuì e guardò verso Integra

«Parlo a suo nome!» disse, con voce alta e chiara «Si scusa con te per qualunque cosa ti abbia fatto! Qualunque! E... e...»

«Non basta, nanerottolo. Voglio appendere la sua testa sopra il caminetto e strappargliela con questo arnese» disse Integra, brandendo il lungocorno per mostarlo meglio ai loro occhi.

Sembrava essere diventata in qualche modo più selvatica, anche la sua voce si era arrochita. Ciel non sapeva cosa inventarsi e lanciò a mille il suo cervellino per trovare una scappatoia.

«Seras!» Disse Integra «Vieni qui accanto a me! Vieni dal lato oscuro della forza!».

Seras ci andò senza fare domande: quello che diceva il Mastah lo diceva il Mastah e bisognava farlo. Finnian si spaventò e si nascose la faccia dietro le mani e poi le mani dietro la testa e la faccia dietro le mani e via dicendo... sembrava avesse un esagerato tic isterico.

«Integra!» Gridò una voce lontana, quella di Alucard.

«Bocchan!» esclamò la voce di Sebastian.

Ciel pensò che questo era quello che si chiamava “tempismo”. Ma forse non abbastanza tempistico... allora era un quasi-tempismo. Perché tanto sarebbero morti tutti comunque, a giudicare da come Integra stava per caricarli.

Sarebbero morti tutti a causa di uno schifo di lungocorno. Che schifo assoluto.

Ciel guardò verso Undertaker. Non c'era più tempo. Doveva inventarsi qualcosa.

Ora. Adesso. Subitoooooo.

Ma non queste parole. Qualcosa di meglio.

Qualcosa tipo... non pikachu. Non Mastah. Neanche voglio il thé.

No, dovranno essere parole capaci di placare l'ira della bestia.

E mi servono ora. Adesso. Subitooooo!”

«E adesso tutti a nanna e continuiamo domani!» Esclamò Finnian.

Esatto, qualcuno come Finnian!

Ma Integra non si fermò a fare la nanna, ma diede in testa a Finnian il corno, facendolo rintronare e cadere svenuto. Ciel prese a mangiarsi le unghie. Ma Sebastian quanto ci metteva ad arrivare?

 

Sebastian, nel vicolo accanto, era intralciato dai gatti e non voleva fargli male.

«Gatti tenerelli, spostatevi per piacere! Miau miau! Spostatevi!».

Ma i gatti tenerelli non si spostavano proprio e Andersen aveva voglia di prenderli a calci uno per uno, ma non lo fece perchè anche quelli erano creature di Dio. Così si districarono piano, piano, piano, lentissimamente.

 

E nel frattempo, nel vicolo accanto, Ciel rischiava la vita.

 

Alucard-che-non-è-Alucard era rimasto intralciato da Mey Rin che gli era caduta davanti e poi gli aveva schizzato del sangue in bocca, e poi erano rotolati, erano caduti, erano stati raccolti in un sacco da una vecchietta che voleva venderli alle capre tabacchiere urlando «Qui, caprette! Qui! Vendiamo turisti!» e stavano ancora cercando di liberarsi da questo incubo totalmente nonsense...

 

E Ciel si spremeva le meningi, perchè nel frattempo Integra aveva iniziato a cercare di uccidere Undertaker e poco ci mancava che lo facesse secco.

Era in corso un combattimento di MMA (mixed martial arts) e wrestling contro Ju-Jitsu brasiliano + lungocorno. Una cosa spettacolare. Peccato che il lungocorno era tanto lungo e tanto corno e vinceva a prescindere.

E visto che il lungocorno era lungo (oltre ad essere corno), quando Integra lo alzò in alto, si incastrò fra le case del vicolo. Undertaker non perse tempo a rassettar le sedie e la caricò come un toro (ma senza corni), ma Integra, appesa al lungocorno, si esibì in una manovra all'asta degna di una ginnasta e lo colpì con un doppio calcio, poi girò, si appollaiò sopra il lungocorno, lanciò un grido di guerra belluino, poi scese e colpì con un pugno verso l'alto.

Seras e Finnian la guardarono con occhi sgranati

«Ha spezzato il lungocorno per fare due cornicorti! Come Heidi!».

Integra, con i due cornicorti, partì all'attacco. Undertaker riuscì ad intercettare uno dei colpi e afferrò l'arma, poi gliela strappò di mano: con un cornocorto ciascuno, si lanciarono in una dimostrazione di scherma-ju jitsu-arti maziali miste-wrestling acrobatico, una nuova disciplina che venne chiama sawj (si legge sougi) acrobatico e che da quel giorno venne praticata nelle migliori scuole infernali di preparazione bellica.

Integra, grazie alla sua bravura nella scherma, si portò in vantaggio, mettendo con le spalle al muro il suo nemico, ma quando fu pronta per sferrare il colpo finale, guidata dalla rabbia che in quel momento le correva nelle vene e la rendeva invincibile come avrebbe potuto fare una massiccia dose di steroidi e droghe eccitanti...

«Lascialo stare!» Gridò Ciel, poi allungò una mano, le afferrò un lembo della giacca e la tirò indietro, sbilanciandola «Lui è il mio amico! E devi affrontare anche me, se vuoi batterlo!».

Integra sfruttò lo sbilanciamento per provare una mossa letale: il calcio kung-fu portato in avanti, conosciuto come ceti tui: partendo Qian Jiaochiabu sinistro (la posizione laterale con il passo incrociato in avanti) slanciò in alto lateralmente la gamba destra concentrando tutta la sua potenza in quel colpo.

Che però venne parato, anzi, fermato: semplicemente, Undertaker le acchiappò il piede e spinse ancora verso l'alto, facendo cadere Integra di schiena, poi si mosse velocemente per puntarle il corno alla gola

«Scusami. Non volevo farti male, ho attaccato solo perchè sapevo che sei troppo forte per farti male per così poco e sono ancora convinto di non aver sbagliato valutazione».

Integra lo guardò dal basso, respirando affannosamente. Poi annuì. Con la faccia tostissima da vera regina del male.

Nel cielo passò un dirigibile che trasmetteva questa musichetta

♪♪Ecco a voi Integra, regina del maleee!♪♪.

Poi il diribile venne misteriosamente abbattuto. E il conducente venne salvato da un'ornitorinco di colore verde, con il cappello da spia in testa, mentre una strana musichetta melodica si diffondeva nell'aria.

In quel momento, con il tempismo di bradipi con la diarrea, arrivarono Sebastian e padre Alexander Andersen, seguiti da gatti gnaulanti e rabbiosi e da Alucard-che-non-è-Alucard e Mey Rin-che-è-effettivamente-Mey-Rin, i quali erano misteriosamente ricoperti di pelo di capra.

«Ah, avete fatto presto» Disse Ciel, poi puntò gli occhi su Sebastian «E tu dov'eri, schifoso? Invece di salvarmi che facevi, ti pulivi le orecchie?»

«Bocchan, i gatti...»

«Boccino e boccino un corno, anzi, un lungocorno! Che caspita c'entrano i gatti? Sebastian, tu hai il sacrosantissimo dovere di proteggermi, non di rotolarti nelle bestie pulciose che trovi negli angoli!».

Sebastian abbassò gli occhi. Ciel aveva ragione

«Mi dispiace, Bocchan».

Nel frattempo, Alucard-che-non-è-Alucard guardava il bambino con occhi spalancati: era come se stesse vedendo qualcosa che non credeva reale e che aveva perso da molto, molto tempo.

«Che vuoi tu?» Disse burbero Ciel «Smettila di fissarmi, è maleducazione...»

«Ma...» Alucard-che-non-è-Alucard sembrava paralizzato «... Ma...»

«Ma che?»

«Tu... tu sei mio figlio!».

Tutti rimasero pseudo-scioccati dalla rivelazione. Come era possibile? Alucard era il padre di Ciel?

Nel frattempo, i pezzi del puzzle andavano incastrandosi nel cervello da investigatrice di Mey Rin... ma certo, era tutto chiaro e cristallino come l'acqua pura di sorgente!

Così la cameriera dai capelli fucsia (?) si fece avanti

«Posso spiegarvi tutto io!» disse

«Ecco» ringhiò Ciel «Perchè io non ci sto capendo niente»

«Bene, partirò dall'inizio».

E così Mey Rin prese fiato e parlò, svelando tutti i misteri di quella strana notte (o giorno? Non si capiva bene, sopra di loro non c'era il sole, ma nemmeno la luna...)

«Allora, innanzitutto, dovete sapere che ho contato i giorni e il numero di spezzoni che la regia mandava in onda. Questo reality non viene mandato a giorni, ma a puntate...»

«E allora?» domandò Integra, sollevando un sopracciglio

«E allora, questa è la centesima puntata! Ed è per questo che è stata una puntata speciale. Per questo siamo finiti tutti qui»

«Tutti tranne Walter e Lizzie e il Maggiore» le fece notare Alexander Andersen, con la sua graffiante voce da basso

«Già. Ma vi spiegherò dopo perchè loro non sono qui. In ogni caso, siamo finiti all'Inferno per via di una serie di eventi che sono solo sembrati coincidenze, ma che in realtà erano un elaborato piano delle conduttrici. Innanzitutto, siamo stati mandati a cercare Ciel che era stato rapito. Ma rapito da chi? Perché questo qualcuno non voleva un riscatto e non ha cercato di contattarci? In seguito, ci siamo imbattuti in Undertaker, che aveva casualmente un giubbotto capace di portare all'Inferno... casualmente?»

«Veramente me l'hanno regalato» confessò timidamente l'uomo

«Come avevo pensato: lo hanno fatto apposta. Sapevano che tutto questo sarebbe successo e ti hanno regalato un portal-giubbotto»

«Anche io ne ho uno» disse Andersen «Ma lo uso per stipare le baionette in un'altra dimensione...»

«Aspetta!» esclamò Ciel «Ma se tu hai un portal-giubbotto, perché non l'hai usato per portarci tutti via dall'inferno?»

«Non potevo» spiegò Undertaker «Il potere del portale si esaurisce tante più sono le persone che ci passano. Però, mentre Finnian parlava, ho avuto un'idea: continuare a camminare attendendo che si ricaricasse e cercare uno specchio dimensionale»

«Che diavolo è uno specchio dimensionale?»

«Uno specchio dimensionale» disse Mey Rin, con aria da super-mega-sapientona «Serve ad amplificare il potere di un portale, anche del più piccolo. Ne parlano in alcuni romanzi di fantascienza: per esempio, per fare passare un drago attraverso un portale dimensionale, bastava fare specchiare un portale di piccole dimensioni in uno specchio dimensionale e lo specchio stesso sarebbe diventato il portale. Così, se lui avesse messo il giubbotto di fronte allo specchio, tutti voi sareste potuti passare e tornare a casa»

«Ah» disse Ciel, annuendo. Forse era l'unico che ci aveva davvero capito qualcosa. Poi si riscosse «Ma cosa c'entra tutto questo con il fatto che Alucard sia mio padre?»

«Aspetta, non rovinare la suspence!» lo redarguì Mey Rin, mentre una scintilla di luce gli passava sulle lenti degli occhialoni tondi «Comunque, siamo finiti qui tutti, in un modo o nell'altro. E ci siamo finiti separati, per divertire di più il pubblico. Di certo tutti noi siamo andati incontro a orribili conseguenze...»

«Io mi sono rotto una gamba e sono ancora mezzo terrorizzato per colpa di un dottore pazzo che mi ha trafitto una gamba con un coltello» disse Ciel, in tono piatto «Inoltre ho visto i lunghicorni. Non lo scorderò per tutto il resto della mia vita»

«Io ho derubato un paio di venditori, mangiato a sbafo e picchiato dei cattivi» disse invece Integra, ignara del fatto che la cattiva era lei.

Mey Rin prese di nuovo fiato, poi ricominciò a parlare con voce bassa e carica di mistero

«In tutto questo tempo in cui ho camminato insieme ad Alucard, mi sono resa conto di un po' di cosette. Innanzitutto, per coloro che non erano con me... dovete sapere che quello che ho di lato non è affatto Alucard, ma uno spirito che ha posseduto il suo corpo. Uno spirito che, a quanto mi ha raccontato, lavorava per la regina come suo detective personale. La nobiltà del male? Il cane da guardia della regina? E come mai è qui all'inferno, se non per il fatto che la sua anima è in pena?»

«Morto di morte violenta, bruciato, desidera la vendetta» disse Sebastian, fissando Alucard-che-non-è-Alucard come se fosse una moneta rara di un paese straniero

«Aspetta» disse Integra «Ma ancora non ci hai detto una cosa... lasciamo stare il padre di Ciel, ma... Seras come ha fatto a scappare dal mostro?»

«Questo lo so io, Mastah!» intervenne la vampirella «Sono passata dalle unghie».

Tutti la fissarono. Seras battè le palpebre con entusiasmo (forse era l'unica persona al mondo capace di battere le palpebre con entusiasmo).

«Cosa significa che sei passata dalle unghie?» Chiese Sebastian, perplesso

«Facile!» rispose Seras, e se una cosa era facile per lei, vuol dire che doveva esserlo davvero tanto tanto «Hmm... come te lo spiego... sono diventata invisibile e sono passata dalle unghie»

«Che vuol dire? Invisibile, va bene, ma come fai a “passare dalle unghie”?»

«Tipo così».

Seras divenne per un istante incorporea e passò attraverso gli abiti per due volte, poi ritornò allo stato corporeo e sorrise in direzione del suo Mastah-che-non-era-il-suo-Mastah

«Facile! Mi faccio invisibile e passo anche attraverso i muri e i panni stessi!»

«Ah» Alucard-che-non-è-Alucard annuì «Comunque non eri invisibile, eri incorporea»

«C'è differenza?»

«Si: eri ancora visibilissima. Io ti vedevo e credo che ti abbiano vista tutti passare avanti e indietro attraverso quegli abiti»

«Oh» Seras prese a saltellare e battere le palpebre con ancora più entusiasmo «Che bello, Mastah! Ero incroporea»

«Incorporea» la corresse automatico Alucard-che-non-è-Alucard

«Lascia stare, amico» gli disse Integra, poggiandogli una mano su una spalla con fare paterno (si si, non materno, proprio paterno) «Lei non ti capisce quando parli, ha il cervello di una neonata. Una neonata morta»

«Ah, divertente...»

«Ma quindi tu sei mio padre?» chiese Ciel, rivolto al vampiro

«Si. Sono tuo padre, Ciel Phantomhive»

«Aspetta, quello è il mio nome!»

«Infatti, io sono il padre di Ciel Phantomhive»

«Ma come ti chiami tu?»

«Non sai come si chiama tuo padre?» sbottò infuriato Alucard-che-non-è-Alucard

«Io...» Ciel arrossì «Ti chiamavo sempre papà... ma comunque lo so, certo che lo so!»

«Infatti sono io, tuo padre, e il mio nome è...»

In quel momento passò un grosso camion che investì un paio di capre tabacchiere, le quali urlarono scatarrando, impedendo a tutti, tranne che al piccolo Ciel, di sentire il nome di suo padre.

Alucard-che-non-è-Alucard sorrise al suo bambino e il conte sorrise pure lui di rimando

«Papà!».

Hh. Si sono ritrovati il papà e il figlio. E noi siamo stanchi, è una giornata che li guardiamo girare per l'inferno. Siamo stufi delle capre tabacchiere e del sentimentalismo, siamo stufi persino dell'ultraviolenza, di cui si pensa che non ci si possa stancare mai. Vogliamo andare a dormire e mandare a dormire anche loro, ma non si può: questa è la centesima puntata e dobbiamo continuare a seguire 'sti pazzi, così da vedere che cosa combinano e farvi divertire.

Se volete che i vostri bambini si addormentino, a questo punto, metteteli davanti allo schermo e fategli seguire Kuroshihellsing: prima della fine di questo capitolo, saranno belli che addormentati, ve lo assicuriamo, soddisfatti o rimborsati.

Già è stata una storia lunga e sofferta, ma se pensate che sia finita, vi sbagliate. Non tutti i misteri erano stati risolti, non tutti i pericoli superati.

«Dobbiamo ancora trovare uno specchio dimensionale» Disse Mey Rin, riscuotendo tutti dai loro pensieri sentimentali e ultraviolenti «Allora, chi è con me?».

Tutti alzarono la mano. Tranne Undertaker. E se Undertaker non era dei loro, non serviva proprio assolutamente a nulla trovare uno specchio dimensionale, perché era lui ad avere il mitico giubbotto di pelle nera da terrorista che al suo interno conteneva un passaggio ultradimensionale. Ganzo, vogliamo averlo anche noi!

«Tu… no?» chiese Mey Rin, delusa e preoccupata insieme «Tu non vieni con noi?»

Undertaker la guardò come se avesse detto che le mosche avevano due zampe e ballavano la capoeira «Vengo» disse, semplicemente. Come se fosse ovvio.

Mamma, quanto si sprecava a parlare, ma da dove si spegne?

Mey Rin battè le palpebre, confusa, ma non replicò perchè aveva la sgradevole impressione che non fosse giusto parlargli. Lasciò perdersi e rendere introvabile neppure muniti di lanternino la conversazione.

«Bene» approvò Integra «Chi vuole avere l'onore di farci da guida, ragazzi?»

«Sarei ben lieto di assumermi io stesso quel ruolo, tesoro» affermò Alucard-che-non-è-Alucard, altresì detto “il padre di Ciel”, con galanteria.

Ciel fece una faccia disgustata e rivolse uno sguardo di profondo rimprovero a suo padre

«Che cosa stai dicendo, papà?»

«Sto dicendo che vi farò da guida, a te e al tuo bel gruppo di amici...»

«Tesoro?» ripetè Ciel «Lei è la mia nemica, papà! Non chiamarla in quel modo, mi si accappona la pelle...»

«Vorrei, ma quella donna è un tale gioiello...»

«Papà! Ti prego, no! Non dirmi che ti metti anche tu nella fila dei suoi spasimanti! Mamma mia, ma che cosa ci trovate... comunque è già fidanzata»

«Non è certo un ostacolo...»

«Papà!»

«Oh, giusto, non sei ancora vissuto abbastanza a lungo da queste parti, mio piccolo erede. Vedrai, quando sarai morto capirai»

«Grazie per la perla di saggezza...»

«A proposito, signorino, chi ti ha rapito?» chiese Finnian, cimentandosi anche lui nella pratica delle ciglia entusiaste.

Tutti erano impazienti di ascoltare la risposta definitiva di Ciel, quella che avrebbe risolto l'ultimo mistero...

«Boh».

Con la forza del gruppo, tutti uniti e tutti delusi per la fiacca risposta del conte, camminarono. Ormai più nulla li spaventava, né i lunghicorni né le capre tabacchiere, che tuttavia continuavano a fare un'antipatia apocalittica al povero Ciel Phantomhive.

Ad un certo punto, gli si presentò davanti una strana vecchina. Aveva un colorito vagamente violaceo (il che fece dispiacere un sacco Finnian), e capelli di un bianco panna molto morbido. Era vestita di stracci, e li guardava come un uomo in mare con un crampo guarda il bagnino.

Il padre di Ciel e Mey Rin si irrigidirono.

«Ragazzi, siete turisti?» chiese la vecchina, scrutandoli con gli occhi che andavano da destra a sinistra soppesandoli in modo quasi malato

«No» risposero Alucard-che-non-è-Alucard-padre-di-Ciel e la cameriera di villa Phantomhive

«Oh... peccato» constatò la vecchia «Niente, caprette, falso allarme...».

Le capre scatarrarono deluse.

«Chi era?» chiese Sebastian interessato

«Una vecchia demonessa che aveva intenzione di venderci tutti alle capre tabacchiera in cambio di erba rossa se fossimo stati dei turisti».

Il demone ammutolì.

Se il viaggio divisi in piccoli gruppi era stato cattivo e pieno di insidie, curiosamente questo non parve affatto cattivo.

Ciel parlò tutto il tempo con il suo padre ritrovato, che voleva sapere tutto di cosa era successo dopo la sua dipartita, di come andavano gli affari di famiglia, se il loro cane ce l'aveva fatta, e rimase parecchio sorpreso quando apprese che Tanaka-san, che lui aveva dato per spacciato, era invece sopravvissuto e senza un graffio anche.

Finnian e Seras avevano ricevuto per giocarci momentaneamente un cornocorto ciascuno, ma erano talmente sacrosanti ai loro occhi che non osarono fare altro che tenerli sulla punta delle dita e osservarli con gli occhi di fuori, osservandoli con reverenza idolatra. Erano due cornicorti! Ricavati da un lungocorno! Mentre guardavano quei due prodigi, ciò che avevano ritenuto introvabile per tutta la loro esistenza, si fece strada in loro un pensiero, che si evolse e a poco a poco divenne una convinzione: Integra era di sicuro la discendente di Heidi dal lungocorno, ma non lo sapeva e, come la sua ava prima di lei, aveva tagliato il suo unico lungocorno conquistato con la forza e col valore in due, per ricavarne le sue armi, i due cornicorti!

Integra cercava di parlare con Undertaker, ma ben presto si stufò delle sue risposte a monosillabi e cominciò a infilarsi nei discorsi altrui, fino a quando non trovò il suo posto in una discussione sulla miopia e l'ipermetropia tra Mey Rin e Andersen.

Andersen era convinto di essere così miope da non poter vedere neppure Alucard, senza gli occhiali, mentre Mey Rin stava cercando di rassicurarlo, anche se non era tanto sicura della risposta. E fra una rassicurazione e l'altra, gli diceva di quant'era bello essere ipermetropi... lo sappiamo, sembra crudele, ma in realtà non lo era affatto: Alexander Andersen amava ascoltare quei discorsi.

«Avete mai notato che nella serie Hellsing siamo tutti miopi?» Chiese Integra, scrutando alternatamente il volto di Mey Rin e quello di padre Andersen

«Sai» il prete aggrottò le sopracciglia «Ora che mi ci fai pensare è vero. Perché indossiamo tutti gli occhiali, tranne Seras e Walter, che però porta il monocolo? Mi ricordo della grande guerra di Londra, quando tutto era in fiamme... c'erano guerrieri con gli occhiali dappertutto. Anche se non è miope, persino Alucard portava gli occhiali. Poi però li ha tolti...»

«C'è troppa gente occhialuta in giro» disse con convinzione Mey Rin «Sembra che la vista della razza umana si sia indebolita troppo...»

«Già. La tua in particolare» disse Integra.

Ma Mey Rin non se la prese, perchè sapeva di avere, sotto gli occhiali, un paio di splendidi binocoli viventi e perfettamente funzionanti. Sorrise, semplicemente, e i due biondoni, Alexander e Integra, se ne chiesero il perchè senza però chiederglielo.

«Dove troviamo uno specchio interdimensionale o come cavolo si chiama?» Chiese improvvisamente Alexander Andersen «Insomma... verso dove stiamo andando?»

«Non ne ho idea» confessò Integra «Sinceramente non credo neppure di averne mai visto uno. Quello che sa cos'è e dove si può trovare dovrebbe essere mister Giubbottonero. Ehi, Undertaker, verso dove siamo diretti?»

«Non ne ho idea» confessò il wrestler

«Ah. Non potremmo chiedere informazioni a qualcuno del luogo?»

«Io sono del luogo» intervenne Sebastian Michaelis, deciso ad essere utile e a non farsi ignorare

«Giusto» Integra annuì «E dove possiamo trovare uno specchio interdimensionale?»
«Beh... specchi, portali e fermacapelli sono il genere di gingilli che mio fratello colleziona»

«Hai un fratello?» chiese Mey Rin, estasiata dall'idea di potere vedere un'altro superfico come Sebastian

«E che diavolo c'entrato i fermacapelli con gli specchi e i portali?» domandò invece Alexander Andersen, che stava cercando vanamente un nesso fra i tre oggetti

«I fermacapelli? Oh, niente, una sua piccola ossessione» spiegò Sebastian, con un sorrisetto furbo «Comunque mio fratello è una persona particolare, tanto affascinante per alcuni quanto disgustoso per altri. Ci sono momenti in cui lo trovo assolutamente repellente. Si chiama Jean-Paul e...»
«Jean-Paul?» intervenne Ciel, interrompendo una discussione con il padre «Intendi, il tizio dagli occhi di ghiaccio e le ciglia con il rimmel?»

«Sono naturali» si stizzì Sebastian «Altro che rimmel, quello se lo metterà Grell Sutcliffe, mica mio fratello!»

«Allora ammetti che è lui?»

«Certo che è lui! Perché, come fai a conoscerlo?»

«Beh... Sebastian, è stato lui a curarmi la gamba. Io credo che sia un pazzo sadico, perchè gli piacciono le malattie e mi ha conficcato un coltello nella carne. Perciò dovrai vendicarmi».

Sebastian sbiancò: sembrava piuttosto spaventato dall'idea di dover vendicare Ciel combattendo contro il suo fratellino Jean-Paul. Forse Jean-Paul era più pericoloso di quanto sembrava... e bisognava dire che sembrava pericoloso.

«Quindi dobbiamo dirigerci verso l'ospedale?» Volle sapere il conte Phantomhive, dopo averci pensato per un secondo

«Si» disse Sebastian «Mio fratello è un chirurgo molto famoso, sai?»

«Secondo me è un pazzo molto famoso, ma contento tu...»

«No!» urlò Finnian, prendendo a strapazzarsi le guance da solo (forse un qualche tipo nuovo di esternazione della propria disperazione) «No! Non voglio tornare in quel posto, io odio gli ospedali, li odio, li odio! E poi quello è un dottore!»

«Si Finnian...» iniziò a dire Ciel, cercando le parole giuste per calmare il giardiniere, ma venne interrotto prima che potesse dire anche un'altra sola parola

«E non solo è un dottore, ma ha anche gli occhi azzurri! Io odio chi ha gli occhi azzurri! Cioè, anche il signorino che adoro tantissimissimo ha gli occhi azzurri, e anche Bard che è il mio collega e a cui non farei mai del male, anche se poi per sbaglio gliene faccio sempre, però quello è un dottore! E a me non piacciono proprio gli estranei con gli occhi azzurri, tranne quelli che sono simpatici, perchè mi mettono sempre un sacco di paura...»

«Finnian, ma prendi fiato quando parli?» si sorprese Mey Rin.

Finnian parve accelerare ancora e non prendere proprio neanche una boccata d'aria

«Certo che prendo fiato quando parlo non lo sai? Perchè altrimenti come potrei continuare a parlare visto che se non ho fiato nei polmoni non posso parlare perchè sennò le parole non escono dalla mia bocca e se le mie parole non escono dalla mia bocca io non posso parlare ma quel che conta è che io non voglio vedere quel dottore cattivo perchè è cattivo e i cattivi io non li posso sopportare e ha fatto male al signorino Ciel che dice che gli ha conficcato un coltello nella gamba e quindi gli ha fatto male perchè sicuramente se a qualcuno conficchi un coltello in una gamba si fa male malissimo che una volta è capitato pure a me che un bisturi mi si è infilato per sbaglio in una gamba mentre mi facevano un'operazione e mi sono sentito malissimo perchè sanguinava tutto e avevo la gamba che bruciava e la ferita era brutta e profonda e me l'hanno dovuta disinfettare con una sostanza rossa che bruciava tantissimo altrimenti mi dicevano che prendevo una brutta infezione e morivo» Undertaker allungò una mano per tappare la bocca a Finnian, che concluse il suo lunghissimo discorso senza prendere fiato con un «Hmmmf!».

Ciel sospirò di sollievo e fu grato a quell'uomo alto e tetro che parlava pochissimo.

Undertaker lasciò allora andare Finnian, che lo guardò interrogativamente, come se gli stesse chiedendo qualcosa, magari proprio cosa fare.

Il wrestler allora gli disse

«La strada fino all'ospedale è ancora lunga, e tu lo sai bene, quindi perchè non ci racconti qualche leggenda? Ma piano, per favore, altrimenti non ti capiamo».

Illuminandosi, Finnian prese a fare una delle cose che preferiva in assoluto: la narrazione delle leggende leggendarie prese dalla grande raccolta delle leggende.

Così narro della storia del fungo Al, che venne raccolto da un bambino che lo cucinò e se lo mangiò e divenne magrissimo e leggero e volò sopra i monti.

Poi raccontò una stranissima leggenda, quella di un uomo che aveva i capelli tutti fatti d'oro e se li tagliava per venderli, poi quando gli ricrescevano li tagliava e li vendeva di nuovo, e tutto questo per comprarsi una tintura per capelli, perchè lui odiava averli color oro; tutto questo finché un giorno non arrivò una fatina dai lunghi capelli neri che lo picchiò a sangue per fargli capire che in realtà lui aveva dei capelli bellissimi e che avrebbe dovuto spendere i soldi che guadagnava spendendoli non per tinture, ma bensì per comprare del buon cibo e dei bei giocattoli per i suoi due bambini, che i capelli d'oro non li avevano. Ma l'uomo, sebbene picchiato a sangue, fuggì e continuò a comprarsi le tinture per capelli...

«Ma era scemo?» Domandò Ciel «Cioè, la fata lo picchia, lui ha dei bellissimi capelli d'oro, potrebbe essere ricco vendendoli e che cosa fa? Si compra delle tinture per capelli? Ma dico io, questo è idiota seriamente?».

C'è da dire, che se anche i miti di Finnian sembravano una cosa idiota, tutti quanti mentre camminavano avevano smesso di parlare fra di loro per sentire le storie del giardiniere.

«Guardate laggiù!» Disse Alucard-che-non-è-Alucard-ma-che-è-il-padre-di-Ciel «Li vedete?»

«Che cosa?» domandò Ciel, proteggendosi l'occhio con la mano usata a mo' di visierina

«Come fai a non vederli, figliolo mio? Quelli sono i leggendari bisonti volanti!»

«I bisonti volanti! I bisonti volanti!» presero ad urlare Seras e Finnian.

Ciel guardò in cielo. E, in effetti, contro ogni logica conosciuta fino ad ora, questo era pieno di bisonti volanti.

Seras e Finnian avevano gli occhi pieni di lucine vorticanti, e guardavano i bisonti volanti librarsi leggeri (più o meno) nell'aria, alti e possenti. Erano degli strani animali, giganteschi, ancora più giganteschi dei lunghicorni, con sei zampe pelosinde, tutti bianchi con della pelliccia castana sulla schiena, una linea che terminava in una freccia sulla fronte. Per il resto erano uguali a tutti gli altri bisonti, anche se con un paio di zampe in più.

«Io suggerirei di allontanarci» disse Alucard-che-non-è-Alucard-ma-che-è-il-padre-di-Ciel, timidamente «Non è per rovinarvi la festa, ma...»

Ma erano tutti incantati a guardare i bisonti che volavano colla forza del pensciero (la forza del pensiero, ma detta in modo puccio-infantile), e non sembravano parecchio interessati ad andarsene.

«Dev'essere il Paradiso!» considerò Finnian, entusiasta.

Lui e Seras erano talmente presi dalle nuove creature da sogno che per sforzarsi di non perderne neppure un istante di quel bellissimo spettacolo si sforzavano di non battere le palpebre

«Mi bruciano gli occhi!» strillò Seras

«Anche a me!» piagnucolò Finnian.

Poi stettero zitti con i loro occhi spalancati in fase di essiccamento a contemplare i bisonti volanti.

D'un certo punto accadde una cosa magnifica, un bisonte, in una delle sue evoluzioni aeree si abbassò talmente tanto che quasi sfiorò le loro teste. Fu bellissimo, mentre il bisonte lanciava il suo potente verso… almeno fino a che non furono completamente ricoperti di qualcosa di bianco e soffice.

«Nevica!» esultarono i biondini

«Nevica?» ripeterono gli altri in coro, tutti tranne Alucard-che-non-è-Alucard-ma-che-è-il-padre-di-Ciel.

«Quella non è neve» precisò l'uomo, divertito

«Che cos'è?» chiese Mey Rin, prendendo un po' di quella roba in mano e ammirandola. Poi, finalemente comprese «Ragazzi, è pelliccia!»

«Evviva!» esultarono Seras e Finnian e cominciarono a riempirsi tasche e vestiti e capelli e scarpe di quel gradito souvenir

«Cooosa?!» esclamò Ciel sputacchiando peli di bisonte volante

«Ve l'avevo detto di andarcene… in questo periodo non viene nessuno perchè stanno cambiando la pelliccia. Perdono quella vecchia e sporca e se ne fanno crescere una più bellina»

«Che schifo! Sono coperto di peli vecchi di bisonte a sei zampe! Va bene papà, voto per andarmene» annuì il conte, nauseato.

Nel frattempo, la poliziotta e il giardiniere, sembravano spaventa-passeri parecchio cicciosi, perchè avevano sotto ogni singolo capo di abbigliamento tonnellate di pelliccia vecchia di bisonte volante, e in mano reggevano un cornocorto. Erano al culmine della contentezza.

Il gruppo si allontanò dalle precipitazioni pelose, scrollandosi e spolverandosi da sé e agli altri, tranne Seras e Finnian che si ostinavano a camminare come pinguini pur di tenersi tutta quella pelliccia.

In fin dei conti, il viaggio di ritorno non stava andando tanto male…

Qualcosa di spigoloso si mosse tra i peli di bisonte.

«Qualcosa di spigoloso si è mosso tra i peli di bisonte!» Osservò il giardiniere, abbassando un sopracciglio, perplesso

Ciel sospirò, alzando gli occhi al cielo (wow, lo stava facendo un sacco di volte ultimamente!) «Vieni qui, basta giocare! Non hai più posto per metterti quegli sporchi peli pieni di zecche, è inutile che ti inventi scuse per andarci!»

«Ho ancora le orecchie!» osservò Finnian

«Vieni qui!».

Il viaggio fino all'ospedale fu agevolato da un nuovo elemento, decisamente più piacevole dei precedenti: avevano scoperto una viuzza che aveva il nome di “Viuzza Tranquilla Piena di Fiorellini Colorati e Cose Pucciose e Priva di Pericoli Che Porta Dove Volete Voi”.

In quella viuzza, in effetti, c'erano fiorellini di tutti i colori dell'arcobaleno, e per la prima volta Seras manifestò una pericolosa voglia di strappare tutte le margherite, così, nonsense, e c'erano cose pucciose come conigliettini e animalettini carini di genere vario, e, soprattuto non c'erano pericoli.

Due volte dovettero percorrerla, perchè la volontà di Seras e Finnian li portò una volta nella Piana dei Lunghicorni, che diedero ancora le botte alla vampira, e al Tempio dei Bisonti Volanti.

Ma, alla fine, dopo che Seras ebbe entrambi gli occhi neri e un dente mancante e parecchie rientranze in più e, quando un bisonte volante, atterrando, sbattè a terra e danneggiò momentaneamente Finnian solo con la coda, riuscirono ad arrivare all'ospedale.

Seras si era rigenerata, e Finnian faticava a respirare.

L'ospedale. Il suo incubo. Tutti quegli aghi, quelle punture … si sentì pervadere da un senso di gelo talmente freddo che lo scottò internamente. Si fece prendere dai ricordi e da conseguente crisi isteriche. Cominciò a strillare a più non posso, e sarebbe pure corso via se non fosse stato intralciato da tutta quella ingombrante pelliccia che si era messo nei calzoni. Avanzò un pochino, ma si accorse che muovendosi in quel modo non sarebbe mai potuto sfuggire ai terribili dottori con le loro cattivissime siringone, così si nascose dietro Seras, che era larga quanto lui a causa della loro passione per la pelliccia sporca in comune, e così conciati camminarono svelti verso il loro destino.

MuMu, alla reception, sembrava avere avuto la splendida idea di fare un sonnellino per riposarsi dalla lunga giornata lavorativa. Chissà da quanti terroristi aveva salvato l'ospedale oggi...

Ciel si accorse che, in effetti, si sentiva stanchissimo. Non vedeva l'ora di tornare a casa, sdraiarsi sul suo lettino con tutti i vestiti e chiudere i suoi occhietti stanchi.

Il cornocorto si svegliò di soprassalto, e li guardò tutti grondando sospetto.

«Ah, vedo che il vostro gruppo di terroristi si è allargato...» il suo sguardo dubbioso e indagatore ricadde su padre Alexander Andersen «Certo che avete una bella faccia tosta, eh, a presentarvi con un altro capo-terrorista proprio qui davanti a me, che io i terroristi li conosco... chiamo il dottor Michaelis. Voi, signorini, rimanete qui e cercate di non fare saltare niente per aria mentre non ci sono, intesi?».

Il demone-toro parve alzarsi con difficoltà, si stiracchiò davanti a loro con tutta la tranquillità del mondo ed entrò nell'ospedale.

«Perchè fa così quel tizio? Che cosa gli avete fatto per fargli capire che siamo dei “terroristi”?» chiese Integra, alzando un sopracciglio

«Niente» spiegò Ciel, stancamente «Noi non abbiamo fatto niente, è solo che l'uomo-mucca adesso assente ha l'insano pallino che chiunque abbia un cappotto nero sia per forza un terrorista imbottito di tritolo ed esplosivi vari»

«Oh, ok».

Attesero, e dall'oscurità emerse una figura snella, dai capelli corvini e liscissimi. Aveva l'espressione sveglia, ma seria e competente, tipica dei dottori. Il suo volto si accese in un sorriso quando vide, in mezzo al gruppo una figura altrettanto snella, con gli stessi capelli corvini, ma vestiti con gli umili abiti di un maggiordomo, che per quanto stilosi ed elaborati sono comunque quelli di un semplice servitore.

Mey Rin trattenne il fiato. Era uguale al suo Sebastian, era uguale, preciso, identico, ma quegli occhi glaciali e azzurri, così taglienti e caldi nonostante evocassero una meravigliosa distesa glaciale, con tanto di scorcio di laghetto di un blu impressionante, con un bellissimo igloo modellato alla perfezione, come solo Sebastian poteva fare. O, forse, Jean-Paul. Quegli erano tanto straordinari quanto più vicini al genere umano rispetto a quelli color fegato di Sebastian, che erano sulla gradazione del rosso.

E poi cavolo! Era un Sebastian che, nonostante tutta la grazia e la leggiadria ultraterrena, poteva essere scambiato per un essere umano più del fratello e ciò le rendeva agli occhi di Mey Rin più bello (per quanto possibile) del fratello maggiordomo. E aveva pure un lavoro più altolocato.

Era incredibile che ciò che vedeva fosse in carne ed ossa.

Non era uno strafico: era uno strafico allucinante.

Aveva già sentito da qualche altra parte questa frase, ma anche se non ricordava dove, gli sembrò la cosa più intelligente mai detta nella storia terrestre, e che capitava proprio a fagiolo nella sua testa.

«Ehi, i miei occhi m'ingannano, o ciò che vedo è il mio fratello Sebastian?» disse il chirurgo, sorridendo in un modo strano, quasi indulgente

«I tuoi bulbi oculari funzionano ancora, non temere Jean-Paul» rispose freddo il maggiordomo, socchiudendo gli occhi

«Abbiamo bisogno del tuo aiuto, dottor Michaelis» disse Ciel, quasi supplicando. Anzi, lui non supplicava, chiedeva dignitosamente un favore con le mani giunte in segno di profondo rispetto, null'altro.

«AchshiqiaIS» disse Mey Rin, non propriamente più in possesso delle sue facoltà mentali.

«Scaccastagna!»

«Mastah!».

Questi non hanno neanche bisogno di una spiegazione.

«Tutto per il mio dolce fratello» acconsentì Jean-Paul, sorridendo «Ma ora venite dentro, e mentre mi spiegate qual'è il favore che dovrei farvi, magari Sebastian potrebbe spiegarmi com'è che se la passa sulla Terra. Dimmi, fratello, ti ascolto»

«Lo sai, fratello, lo sai già. Sono un maggiordomo demoniaco... cos'altro vuoi sapere?»

La nostra allegra comitiva di eroi si apprestò ad entrare, ma MuMu si frappose fra l'entrata e la gente

«MuMu, che ti prende ora?» chiese Jean-Paul, irritato

«Io lavoro qui, e come onesto lavoratore pretendo rispetto. Pertanto dirò io chi può passare e chi no» muggì il demone-toro

Jean-Paul sospirò «Lasciatelo fare, altrimenti si mette a fare strillacci e diventa intrattabile per tutto il giorno».

Il gruppo si mise in fila indiana e MuMu, sentendosi importante, li scrutò.

Il primo della fila era Sebastian

«Il fratello del dottor Michaelis, si»

Poi Ciel «Si» Poi Integra «Purchè non fumi» al che, lady Hellsing afferrò un cornocorto e lo brandì contro MuMu che si rimangiò tutto, spaventato «Va bene».

Lasciò passare tutti, tranne “il terrorista alto alto della volta scorsa, che si vede che c'ha la faccia di muro dei terroristi”, e Padre Alexander Andersen.

«Qualcuno può garantire per questo terrorista?» chiese MuMu, con fare furbo, additando Andersen

«Io!» Seras alzò la mano «Io so che nessuno di noi lo conosce bene, ha un cappotto dimensionale, quello che ha addosso, dove ci tiene un sacco di cose esplosive e lame di baionetta santificate, nessuno di noi lo conosce bene e io penso sia un terrorista».

Gli occhi di MuMu si tramutarono magicamente in due palline da golf, tondi tondi e bianchi tranne un puntino nero, forse di sporcizia, al sentire tutte quelle cose, e soprattutto che nessuno lo conosceva bene ben due volte! Spero che abbiate capito che è una metafora: gli occhi di MuMu non hanno poteri magici di trasfigurazione. Almeno credo.

«Passate, ragazzi, presto, mettetevi in salvo» disse il demone cornocorto a Seras e Finnian, che avevano i vestiti talmente imbottiti di chissà che cosa da avere tutto l'aspetto di due dirigibili.

MuMu si sentì coraggioso e fiero di sé.

E poi Jean-Paul osava pure aprire bocca, lui era un professionista!

Nel frattempo all'interno dell'ospedale, si risolvevano le questioni più leggere e meno gravose rispetto al salvare gli ospedali dai brutti terroristi barbuti e ispidi, cioè come un gruppo di personaggi terrestri della Tv avrebbe potuto andarsene dall'Inferno per tornare nel loro mondo che era distruttivo, si, ma non era così brutto.

«Quindi, in definitiva» ricapitolò Jean-Paul «Voi vorreste che io vi prestassi uno dei miei specchi dimensionali per tornare nel vostro mondo, giusto?»

«Esattamente» annuì Sebastian.

Nel frattempo, Ciel curiosava con la sua sedia a rotelle.

Aveva avvistato un reparto che prima non aveva visto, troppo intento a prestare stupidamente attenzione a un tizio con qualche rotella fuori posto che lo aveva accoltellato.

Era tutto pieno di specchi e altri oggetti, cioè le ossessioni precedentemente elencate da Sebastian appartenenti al fratello Jean-Paul.

C'erano un mucchio di specchi.

Ciel si specchiò in tutti, o almeno ci provò. Dopo aver visto i primi due, tornò indietro correndo dal suo gruppo di amici forzuti che lo proteggeva.

Nel primo c'erano degli strani, animali che assomigliavano a dei cavallini colorati.

In particolare gli pareva di vederne uno nel cielo specchiato dallo specchio dimensionale che si muoveva velocissimissimamente. Era in picchiata, un corpo azzurro con la criniera e la coda arcobalenati che erano tirate all'indietro dalla velocità enorme, cosa che a Ciel apparve strana in senso positivo.

Quella specie di cavallino era più veloce di un fulmine, e quando stava per toccare terra, Ciel ebbe l'impressione che da lì a poco si sarebbe schiantato per terra, facendo una frittella di cavallino interdimensionale. Ma non fu così, a quelli che parevano pochi metri dal terreno, ci fu un booom e un arcobaleno si espanse lungo tutto il terreno, mentre il cavallino risaliva in cielo, illeso e, soprattutto, aveva fatto senza dubbio la sua bella figura. Poi sparì volando fuori dal bordo dello specchio. Il boom arcobalenato lo raggiunse, buttando la sua sedia a rotelle indietro e una pioggia di goccioline (era composto da questo il super arcobaleno), anzi, sarebbe meglio dire un acquazzone, inondò la stanza.

Ciel si accorse con stupore che il cavallino nello specchio aveva appena superato il muro del suono come se fosse la cosa più normale del mondo. E aveva le ali.

Sbattendo le palpebre, incredulo, andò a guardare il secondo specchio, ma gli parve di intravvedere qualcosa che somigliava in modo inquietante a Dora l'Esploratrice, perciò tornò dagli altri, un po' shockato.

«Si può fare» Ciel, non appena arrivò, sentì approvare Jean-Paul, e ciò gli causò un sollievo inimmaginabile. Finalmente, per quanto orrenda, sarebbe potuto tornare alla Casa del Reality!

Alexander Andersen era entrato lo stesso, in un momento di distrazione del demone MuMu, e il cornocorto, compiaciuto, aveva pensato che il terrorista barbuto se la fosse data a gambe. L'Iscariota raggiunse gli altri e il gruppo si avvicinò agli specchi.

«Ecco» disse Jean-Paul «Potete usare quello specchio».

Tutti tirarono un sospiro di sollievo.

Casa, dolce, mostruosa casa di Dracula, dolce Casa del Reality cadente… ah, finalmente avrebbero potuto riposarsi...

«Non così in fretta» disse una voce atona e incredibilmente neutra.

Tutti alzarono lo sguardo. E non credettero a ciò che videro.

C'erano due cosini grigi che fluttuavano nell'aria. Erano due cosini grigi di forma cubica... beh, a dire il vero uno era cubico (non stiamo scherzando, era proprio rigidamente geometrico, assolutamente, perfettamente, cubico e levigato eccezzion fatta per protuberanze quali naso, orecchie e arti), mentre l'altro aveva la forma di una mezza supposta. Avevano delle facce serie e entrambi portavano gli occhiali: il mezzo supposta li aveva da vista, quello quadrato li aveva neri. Entrambi possedevano quelle che sembravano un paio di alucce di forma quadrata e un cappello a punta piramidale.

«E quelli cosa sono?» Chiese Ciel, a metà fra lo spaventato, il disgustato e il curioso

«Sono folletti! Sono folletti! Aiuto, Mastah!» urlò Seras, indicando le creature fluttuanti

«È vero, siamo folletti» disse il mezza supposta, con voce piattissima e atona.

Wow, come sono emotivi! Uhh, che battute ricche di... ricche di... hmm... suspence... terrore, paura, sgomento... hmm, battute degne dell'entrata in scena di un super cattivo, ehm... a forma di... uhm... supposta.

«Folletti?» Domandò Integra «E cosa siete venuti a fare? E poi non mi ricordavo che i folletti fossero quadrati»

«Il ragazzino dall'occhio unico gigante deve venire con noi» disse il folletto di forma cubica, indicando Ciel Phantomhive «Lo abbiamo già rapito una volta e lo rapiremo ancora. Questo è l'inizio di un'altro fantastico piano trentasettennale»

«E in cosa consisterebbe questo piano?»

«Rapiremo il piccolo conte e per trentasette anni lo cresceremo inserendo nella sua giovane testa fragile le idee di noi folletti. Poichè è un nobile ed è affermato nel mondo di voi umani, ci permetterà di conquistare sia la Terra che l'intero Mondo Magico»

«E perché ci avete raccontato il vostro piano?»

«Capo» il folletto cubico si rivolse a quello a forma di mezza supposta «Perché gli abbiamo raccontato il nostro piano?»

«Non lo so. Sto pensando lento lento» il folletto scrutò dritto davanti a sé e, mentre parlava, mosse gli occhi per guardare tutti con una lentezza inconcepibile da chiunque non fosse un bradipo

«Comunque» disse Andersen «Neanche io mi ricordo che i folletti fossero fatti così... non dovreste essere carini, vestiti di verde e con un po' di porporina sulle guance?».

I due folletti guardarono l'enorme prete come si guarda... verso il nulla cosmico. No, non intendiamo “verso il nulla oscuro e profondo che rispecchia una parte di noi”. Intendiamo “come guardare verso un pannello completamente bianco”. Poi estrassero dalle tasche due cellulari grigigni (ovvero di un grigio più smorto del solito, il che è strano visto che il grigio è un colore pressoché privo di saturazione) e premettero un bottone a casaccio.

Partì una musica hip-hop leggermente inquietante e le due creature presero a fare quello che sembrava un rap ingessato e robotico con voci non eccessivamente entusiaste

«♪♪Folletti, folletti! Guarda come siam fatti!

Teste quadrate, cappelli a punta!

Sturati le orecchie e ascolta il mio rap!

Folletti, folletti!

Folletti, folletti, folletti!

Siam dei geni perfetti!

Folletti, folletti! Vi uccideremo nei vostri letti!

Folletti! Folletti! Per noi voi siete inetti!

Folletti!

BLEAH!♪♪».

E fecero una linguaccia emettendo rumori da sturalavandini incrociati con dei leoni feriti (cos'è? Come si può chiamare una creatura del genere? Sturaleone? Leonura? Leondino? Leone sturato? Leone lavandino? O semplicemente: leone vomitevole).

Ciel sollevò un sopracciglio

«Voi mi avete rapito?» urlò, aprendo le braccia improvvisamente «Voi cosetti quadrati che fate le linguacce?»

«Si» rispose con estrema lentezza il folletto di forma cubica

«Io vi ammazzo!» Ciel cercò di prenderli, ma i folletti scomparvero con un “ping” in una nuvola viola all'odore di lucido per scarpe.

«Sarà per la prossima volta, figlio mio» Lo rassicurò Alucard-che-non-è-Alucard-ma-che-è-il-padre-di-Ciel «Questa volta sono riusciti a fuggire... ma la prossima volta...»

«A proposito» disse Integra «Tu non puoi venire con noi! Sei un'anima infernale!»

«Ma... ma...»

«Niente ma! Sei un'anima appartenente all'Inferno ed è reato portarti con noi! L'ho letto in un regolamento affisso alla strada, per i turisti: è severamente vietato fare uscire dal perimetro infernale le anime che sono entrate regolarmente al suo interno e che sono iscritte all'albo dei dannati. Sono sicurissima che tu sei iscritto...»

«Beh...» Alucard-che-non-è-Alucard-ma-che-è-il-padre-di-Ciel giunse le mani in preghiera «Ti prego, lasciami in questo corpo! Ho avuto troppo poco tempo per assaporare l'incredibile potenza di Vlad Dracula e vorrei poterla avere anche fuori da qui! Ti prego! Ti prego! Ti prego!».

Anche Finnian, per pura solidarietà si unì a lui, e lo fece (udite udite!) ancora una volta senza mai prendere fiato.

«No!» Disse Integra, cercando di tagliar corto, ma i due continuarono a pregarla come se non avessero udito nulla «Ho detto no, e questo è quanto! Perciò ora uscirai dal corpo del mio vampiro e ci lascerai andare via!»

«Ma io voglio tornare con mio figlio Ciel» le disse Alucard-che-non-è-Alucard-ma-che-è-il-padre-di-Ciel «Ho ancora molto tempo da passare con lui! Sono morto troppo giovane e l'ho lasciato solo, tutto solo contro il mondo crudele! Se non vuoi farlo per me, almeno fallo per lui! Guardalo, è così piccolo... così piccolo e tenero, e tutto solo, contro le insidie del mondo. Ha ereditato un impero finanziario e compiti gravosi, ma questo non significa che sia pronto per fare tutto da solo! Integra Farburke Wingates Hellsing, pensaci: Ciel è solo un bambino, nient'altro che un bambino! Allora, fallo per lui: fammi tornare a casa, lasciami nel corpo di Alucard»

«No».
Integra lo guardò con uno sguardo duro come il cemento. Il cemento armato, rinforzato e appesantito con del piombo. Il cemento armato sbattuto sulla tua testa: si sa, si ha davvero la percezione della durezza del cemento quando lo si sente proprio contro il proprio cranio. Specie se si ci spezza qualcosa.

Alucard-che-non-è-Alucard-ma-che-è-il-padre-di-Ciel sorrise

«In ogni caso, vorrei proprio vedere come fai a tirarmi fuori da questo corpo!»

«Alexander Andersen!» Integra afferrò una manica al prete «Adesso! Esorcizzalo!».

Andersen estrasse due baionette d'argento e con un movimento fluido le giunse in forma di croce, poi le avvicinò al volto di Alucard-che-non-è-Alucard

«Esci da questo corpo! Esci da questo corpo, o lurido spirito infernale»

«Mio padre non è un lurido spirito!» si lamentò Ciel, ma senza troppa forza, perchè non aveva voglia di vedersela con il prete armato di baionette

«Esci e va nelle tue infernali profondità, ora, lascia questo corpo! Va, vai! Esci e torna indietro! Vade retro satana!»

«Proprio carino» commentò Alucard-che-non-è-Alucard-ma-che-è-il-padre-di-Ciel, indicando il prete con il pollice «Cioè, pensa che un esorcismo capace al massimo di tirare fuori da un corpo lo spirito di un gatto con la lebbra possa farmi del male?»

«Ah si?» Andersen si arrabbiò e nel farlo divenne rosso come un peperone.

Un paio di vene gli si gonfiarono sulla fronte. I muscoli visibili, quelli del collo, si gonfiarono e l'apparenza già robusta e taurina si intensifico: se ci si aggiungevano un paio di corna, poteva sembrare un toro umanizzato. Anzi, un bisonte volante umanizzato.

«Ora faremo sul serio!» Ruggì.

No, in questo caso “ruggì” non è sinonimo di “urlò forte”, come nella maggior parte delle altre volte in cui l'abbiamo usato. Vogliamo dire proprio “ruggì”, nel senso che emise un suono vibrante e graffiante e incredibilmente forte come il verso dei grandi felini, come le tigri o i leoni.

Alucard-che-non-è-Alucard-ma-che-è-il-padre-di-Ciel prese ad indietreggiare: aveva capito che non c'era troppo da scherzare e che quel prete sapeva i fatti suoi. La croce che pendeva sul petto di Andersen prese ad illuminarsi e riscaldarsi come se avesse preso fuoco, mandando i suoi bagliori in giro per tutta la stanza. L'Iscariota prese a tremare e allargò le baionette, poi le sollevò verso l'alto e parlò con voce altissima e con un timbro che non sembrava neppure il suo

«Dio! Ti invoco! Invoco la divina potenza tua perchè fluisca nelle mie membra! Perchè la tua forza sia la mia forza! Dammi il potere, Dio!».

Alucard-che-non-è-Alucard-ma-che-è-il-padre-di-Ciel capì immediatamente che avrebbe dovuto reagire prima che il rituale si compisse e si lanciò contro Andersen, colpendolo con un pugno al costato. Il gigantesco prete si chinò verso di lui e il vampiro sentì qualcosa che lo scottava e si allontanò gridando: si accorse allora che la croce era diventata più che incandescente, che fumava, e che era diventata inavvicinabile da lui, repellente. Così prese un vaso e glielo scagliò contro, ma questo si infranse contro Andersen senza che il prete ne rimanesse neppure graffiato.

«Io canto il tuo nome! Io glorifico la tua onnipotenza! Tu sai e tu vedi!» Andersen abbassò gli occhi, che aveva alzato al cielo, sulla figura di Alucard-che-non-è-Alucard e un ringhio gli sfigurò il volto, facendolo somigliare a quello di un animale rabbioso «Vade retro, demone! Prínceps gloriosíssime cœléstis milítiæ, sancte Michaël Archángele, defénde nos in prœlio advérsus príncipes et postestátes advérsus mundi rectóres tenebrárum harum, contra spirituália nequitiæ, in cœléstibus. Veni in auxílium hóminum: quos Deus ad imáginem similitúdinis suæ fecit, et a tyránnide diáboli emit prétio magno.Te custódem et patrónum sancta venerátur Ecclésia; tibi trádidit Dóminus ánimas redemptórum in supérna felicitáte locándas. Deprecáre Deum pacis, ut cónterat sátanam sub pédibus nostris, ne ultra váleat captivos tenére hómines, et Ecclésiæ nocére. Offer nostras preces in conspéctu Altíssimi, ut cito anticipent nos misericórdiæ Dómini, et apprehéndas dracónem, serpéntem antíquum, qui est diábolus et sátanas, et ligátum mittas in abyssum, ut non sedúcat ámplius gentes».

Poi sferrò un colpo di baionetta dritto al petto del vampiro, trapassandolo. Alucard sarebbe potuto “sopravvivere” (è corretto dire sopravvivere per un non-morto? Vabbè, diciamo così...), ma se quel fendente benedetto fosse stato diretto a qualcos'altro? Dopotutto non era stato equipaggiato per ferire più efficacemente la carne, ma l'anima.

Alucard-che-non-è-Alucard cadde in ginocchio, poi spalancò le braccia e la bocca, mostrando le zanne e rivolgendo il volto al cielo. Scosso da spasimi, sputò un fumo nero e denso che parve ribollire nell'aria e che, una volta abbandonato il suo corpo, fuggì fuori dalla finestra.

«Papà...» Piagnucolò Ciel, tendendo le mani verso il fumo.

Richiuse le dita. Ritrasse le braccia e drizzò le spalle. Lui era forte, lui era invicibile, lui era coraggioso. Si voltò, per guardare in viso chi gli aveva insegnato ad essere quello che ora era diventato ma... ma non lo vide.

«Dov'è?» Urlò

«Chi?» Chiese Andersen, estraendo la baionetta dal petto di Alucard con tranquillità, quasi stesse spalmando della marmellata su una fetta biscottata e non stesse tirando fuori una lama dalla carne di un vampiro «Tuo padre?»

«No! Non mi interessa di lui, siamo stati troppo poco tempo insieme! Intendo Undertaker!»

«Ah... beh... il demone toro all'entrata non l'ha fatto entrare, non ricordi? Dice che è un terrorista...»

«Ma abbiamo bisogno del suo giubbotto per tornare a casa!»

«Bene» Andersen annuì «Allora vai pure a prendere il suo giubbotto...»

«Perchè io?» Ciel fece notare a tutti di essere su una sedia a rotelle, andando avanti e indietro spingendo le ruote «Mandateci qualcuno che può usare i piedi! Sebastian! Maledetta bestiaccia nociva, vai a prendere Undertaker... non il suo giubbotto, voglio Undertaker tutto intero e non mi interessa come farai tu a passare con quella specie di tizio paranoico che fa la guardia, d'accordo?»

«Certo, my lord» Sebastian si inginocchiò galantemente di fronte a Ciel, poggiando un solo ginocchio per terra e portando il palmo sul cuore

«Smettila di fare 'ste smancerie!» sbraitò il bambino «Non abbiamo tempo, portami Undertaker!».

Neanche dieci secondi dopo, Sebastian rientrò con il wrestler in braccio che gli ringhiava contro con la faccia di chi gli avrebbe volentieri strappato a morsi il naso

«My Lord, ecco il tuo amico»

«Bene» approvò Ciel «Ma mettilo a terra. Senza fargli male» ordinò, raccomandandosi.

Sebastian eseguì e, giusto perchè la premura è sempre troppa e la prudenza sempre poca, Sebastian si affiancò al suo padroncino.

Undertaker si aggiustò il giubbotto. Dal corridoio venne un muggito inferocito: evidentemente MuMu non approvava che il terrorista temibile dal giubbottone nero venisse clandestinamente introdotto all'interno del suo prezioso ospedale.

Jean-Paul sorrise, con gli occhi azzurri brillanti «Penso sia meglio che vi affrettiate. MuMu potrebbe non approvare, e ogni minuto speso qui è un minuto a vostro rischio e pericolo. Su, andate pure, e che Lucifero vi...»

«Grazie» lo interruppe Mey Rin d'un fiato, pensando a quanto fosse poco conveniente farsi mandare un augurio di benedizione da parte di Lucifero mandato da un demone. Anche se era un demone bellissimo e …

Ecco, doveva smetterla. Ci mancava solo di perdere una marea di sangue dopo tutte le belle cose che aveva fatto oggi. Sii forte, Mey Rin, sii forte, sii forte, sii forte ...

«Oh» disse il demone, corrucciandosi appena e facendo sospirare d'amore la cameriera «Bene. Allora… in bocca al Lungocorno»

«Agli schifo di Lunghicorni» corresse Ciel, serio, annuendo sicuro di sé.

Mentre tutti aspettavano con il cuore in gola, sperando che nessuna mezzasupposta li avesse più interrotti e nessun bisonte volante gli sarebbe caduto addosso, il giubbotto venne fatto specchiare.

E... non accadde nulla.

Mey Rin inspirò rumorosamente.

«E adesso?» disse Andersen «Che si fa?»

«Io sono stanco» piagnucolò Ciel «Ci vedo tutto sfocato. Non riesco neanche a vedermi bene in quel maledetto specchio».

Tutti rivolsero per riflesso alle sue parole lo sguardo allo specchio.

La superficie levigata sembrava immutata. Dopo qualche secondo, però tutti i presenti ebbero la sgradevole sensazione di avere qualcosa che non andava nei bulbi oculari, come se si stessero inevitabilmente disidratando.

Integra fu la prima ad accorgersi che, in effetti, l'effetto svaniva se si chiudevano gli occhi e si distoglieva lo sguardo, ma che lo sgradevole effetto tornava come niente fosse se si rimirava per qualche secondo ancora la superficie riflettente.

«È lo specchio» affermò Integra, decisa

«Già» disse Ciel, con amarezza «È senza dubbio quel dannato specchio il problema. Se non funziona questo, adesso come torniamo a casa? E io che ci avevo pure sperato...»

«No, no! Non è quello che voglio dire: è lo specchio, non la tua vista!»

«Davvero?» le sopracciglia di Ciel andarono in su. Il bambino puntò lo sguardo sullo specchio e poi sul muro. Il bambino arricciò il naso «Pulite, per carità divina, questo posto rassomiglia più a una stalla che ad un ospedale! C'è il rischio che qualcuno si prenda qualche germe letale!»

Jean-Paul aprì appena la bocca e lo guardò come se avesse appena detto cantando e ballando, reggendosi sulle propire gambe “io non sono Ciel, un bambino che si rigenera pian pianino ma per bene come tutti i corpi umani! Sono una marionetta, ia-ia-o!” e poi si fosse accoltellato con una mannaia di carta bagnata.

La loro immagine, riflessa sullo specchio, tremolò vistosamente, prima che tutto si appannasse velocemente. Non solo lo specchio, ma tutto. Fu come se tutto cominciasse a perdere colore e consistenza, poco alla volta. Le loro voci si mischiavano tutte, urla e bisbigli, mormorii confusi, fondendosi in un'unica litania discordante. Il mondo era bianco e abbacinante. Fu come se la nebbia che li aveva aggrediti brillasse di un unico, bianco bagliore, poi a poco a poco, tornò loro la vista.

Tutti si fissarono, boccheggiando come pesci, come controllando che fossero tutti ancora lì, e i loro sguardi si appuntarono allo stesso tempo sullo specchio dimensionale.

L'immagine era scura, come un piccolo vortice di nubi temporalesche che si addensavano, vorticando sempre di più. Fu come se invadessero la stanza. Qualcosa che sembrò un fulmine li accecò per qualche istante, durante il quale al loro sottofondo di voci si unì qualcosa. Era un urlo, profondo e disumano, ma sempre un urlo. Mey Rin strillò di riflesso e una voce, inconfondibilmente calda e suadente, gridò «MuMu!». Fu come se qualcuno avesse riacceso un interruttore. Tutto tornò visibile e tutti i loro sensi si riaccesero.

Si guardarono. Si trovarono con gli occhi spalancati e il fiatone, a guardarsi intorno.

Quattro.

Quattro furono i colpi battuti alla porta, prima che questa fosse presa e scaraventata via, accartocciata in un unico grumo come carta stagnola. Ciel, Seras e Finnian strillarono.

«Per di qua!» urlò Sebastian, indicando lo specchio.

Un enorme tentacolo, nero come la pece e come l'odio sgusciò all'interno dell'edificio, piano, quasi con eleganza, come un serpente incantato dal'incantatore. Fu seguito da un altro e, un altro ancora. Parvero contrarsi, sgretolando le fragili pareti dell'ospedale e qualcosa tentò di trascinarsi dentro.

Ciel emise un verso strozzato

«Voi andate» disse Jean-Paul. Una luce tremendamente determinata brillava nei suoi occhi azzurri. Guardarono quell'ultima volta quelle brillanti distese di ghiaccio, coraggiose, impaurite, prima di voltarsi e non girarsi più. Andersen aprì la porta. Fuggirono. Sebastian fu l'ultimo, e nel voltarsi, poco prima di andarsene vide un tentacolo cercare di prendere suo fratello. Jean-Paul si scansò, come se non ci fosse stato nulla di più semplice. Girò per qualche istante la testa verso di lui. I suoi occhi non brillavano, non nel senso più comune del termine. Scintillavano. L'iride non era più semplice azzurro, era luce, era potere. Il demone sorrise. I suoi denti, affilati come rasoi, quasi brillavano nella penombra.

«Abbi cura di te» articolò, piano, a fior di labbra.

Sebastian annuì, impercettibilmente.

Delle ali, frastagliate, dell'ombra più pura, si aprirono di scatto dalla schiena del demone. Non lo guardava più. Sebastian poteva fiutare, poteva assaporare il suo potere... la sua aura brillava fievole, ma sprigionava una potenza inconcepibile, né dall'uomo, né dal diavolo. Gli ultimi due discendenti della famiglia Michealis, gli ultimi due degni titolari, non erano concepibili né dal sacro né dal profano. Due facce di una stessa moneta, uguali e diversi, parte dello stesso mondo, ancora attaccati ma per sempre destinati a non corrispondere.

Il potere ribollì nell'aria, fino al suo universo. Se ne sentì travolto, e stava lì, affascinato a guardare... come poteva fare altro? L'aura, di un azzurro glaciale, era più che potere, era fiamma, una fiamma splendente fatta di denso ghiaccio, e rischiarava i vuoti lasciati dalle lampadine che accendevano e spegnevano, senza sosta. Tutto fu chiaro e bianco, per qualche secondo, poi l'universo precipitò nel buio. Quegli occhi brillavano ancora...

Un'onda di potere, veloce, inarrestabile, si propagò dall'intero essere del demone. La visuale sull'altro mondo, traballò, instabile, poi tutto divenne nero. Si udì un suono di vetri infranti.

«Cos'è successo?» disse Ciel, spaventato, sentendo quel suono.

«Credo... credo che lo specchio dimensionale sia rotto, signorino» disse Sebastian, perso

Ciel, nel vedere ciò che vide, fu ancora più spaventato «Chiudi la porta, pezzo di scimunito, non lasciare il passaggio aperto!».

Sebastian sospirò.

«Yes, my lord».

La sua mano guantata chiuse delicatamente l'uscio. Era tutto finito...

«Caspita» considerò Ciel, osservando l'intera stanza e avendo un'improvviso e sensato dejà-vu.

Le pareti erano viola e tappezzate di porte, centinaia, migliaia di porte.

I nostri eroi si guardarono intorno affascinati e intimoriti, come se temessero che una delle porte si aprisse e mostrasse loro qualcosa di terribile, o addirittura che fosse la porta qualcosa di terribile.

Si strinsero tutti insieme.

Qualcosa... era un fischiettio? Si, sembrava quello.

Dei passi si avvicinarono, senza fretta. Si sentiva uno strano frush frush.

Integra strappò di mano i due lunghicorni a Seras e Finnian, e li brandì come armi, mentre gli altri si preparavano. Chi a fuggire, chi a combattere, chi aspettava semplicemente con il cuore in gola.

I passi erano sempre più vicini... si, si, stava senza dubbio fischiettando... era orecchiabile anche...

I piedi si fermarono. Oltre ai loro respiri, non si udì più nulla.

Poi qualcuno, o qualcosa, smanettò con la maniglia davanti a loro. Ciel pensò che, se morivano ora, dopo tutto quello che avevano passato, dopo essere scappati dall'Inferno, oh mamma, se ci pensava rischiava di morire di naturali problemi cardiaci, erano proprio degli sfigati.

Integra sgusciò silenziosamente dietro una porta, quella da dove i passi sembravano provenire.

La porta di fronte a loro si aprì, lasciando entrare della luce. Una sagoma nera, non molto grande in verità, apparì di fronte a loro.

Integra acchiappò per la testa il piccoletto e chiudendogli il collo in una presa, puntandogli uno dei cornicorti contro la giugulare.

«Salve, ragazzi. Ecco dove vi eravate cacciati» disse Walter, con voce soffocata, lasciandosi ad una risatina isterica.




Extra: l'illustrazione della leggendaria Ninì con il cappuccio paillettato nella sua leggendaria dualità: di giorno e di notte
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