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Autore: FuoriTarget    29/09/2012    1 recensioni
Sequel di Relazione clandestina. Credo sia necessario leggere la prima parte per comprendere la storia, ma siete liberissimi di tentare l'impresa.
La vita ha portato i due protagonisti ad allontanarsi completamente dopo una storia d'amore travagliata. Complici il lavoro, lo stress, le bollette da pagare e le rate del mutuo, ognuno dei due è annegato volonariamente nella propria solitudine. Cosa succederà se il matrimonio dei loro migliori amici li costringerà a incontrarsi dopo molti anni? E sopratutto se la sfortuna decide di intervenire rimescolando le carte in tavola?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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cap1


Travolti da un insolito destino




Capitolo 3






- I passeggeri sono pregati di allacciare le cinture di sicurezza, stiamo iniziando la discesa verso l’aeroporto di destinazione -
Il trillo alla fine delle comunicazioni era davvero irritante.
Come era irritante il bambino che, due file più avanti, non faceva altro che bombardare sua madre di domande.
O come il fruscio della carta del giornale dell’uomo dall’altro lato del corridoio.
Tutto era irritante. Persino il colore del vestito di Kate era irritante.
Quella giornata era iniziata male, anzi era proprio quel viaggio ad essere iniziato male. Lui non sarebbe dovuto salire su quell’aereo, né avrebbe dovuto accettare di farsi circuire dalla sua migliore amica e da suo padre. Era stata tutta una pessima idea.

Quella mattina, dopo aver dormito nel letto di Kate per lasciare a suo padre il suo, era rimasto qualche minuto in contemplazione del soffitto, nella speranza di una qualche illuminazione divina sul suo destino.
Aveva fatto di nuovo quel sogno, era la terza volta in pochi mesi, la decima negli ultimi anni. Sognava sempre la stessa cosa: si trovava in un luogo assolato, seduto ad un tavolo sul quale c’era una copia di “On the road” di Kerouac. Attorno a lui non c’era nessuno, poi pian piano cominciavano ad arrivare delle persone, come fossero delle ombre, ma non era qualcosa di spaventoso, anzi rendevano quel luogo meno desolato. Tra tutte spiccava solo una figura, lei al contrario degli altri era fin troppo chiara, come se da un momento all’altro dovesse scomparire nella luce, ne distingueva soltanto un vestito blu che danzava nel vento e le mani. Ogni volta si avvicinava a lui e gli consegnava qualcosa tra le mani, ma Manuel si svegliava sempre in quel momento, non aveva mai visto cosa fosse l’oggetto che gli veniva consegnato. Le prime volte che era capitato si era svegliato di colpo in un mare di sudore e senza ricordare nulla del sogno, quella mattina invece ricordava tutto e il risveglio era stato normale, fu solo turbato dal tempismo del suo inconscio. Di lì a qualche ora sarebbe partito per l’Italia, il suo paese natale in cui non metteva piede da sei anni, sarebbe andato al matrimonio del suo migliore amico con gente ormai completamente sconosciuta, in compagnia di quel sadico di suo padre e quell’arrapata approfittatrice della sua migliore amica, e ci si metteva pure la sua mente a fare giochetti perversi. Chi diavolo gliel’aveva fatto fare?
Fu un movimento nel letto a strapparlo dalle sue rimostranza ed informarlo che la suddetta migliore amica si era svegliata. Non aveva una gran voglia di affrontarla subito, per cui chiuse gli occhi e regolarizzò il respiro per fingersi ancora addormentato. Seppe che la recita aveva funzionato quando la sentì abbandonare il letto in punta di piedi.
Rimase a poltrire finché non tornò ad urlargli che la doccia e la colazione erano pronte e che doveva alzare le chiappe altrimenti avrebbero perso l’aereo. Erano le sei e un quarto.
Svariate ore, numerose imprecazioni e alcuni cazzotti dopo, si ritrovò in fila al gate 13 – ironia della sorte – a trascinarsi dietro due valige e una sacca portabiti, e quando la hostess gli sorrise augurandogli cordialmente “Buon volo” sfiorò quasi una crisi di nervi. Quasi. Perché Kate gli afferrò un avambraccio e gli sorrise come se il mondo fosse popolato da unicorni dalla criniera rosa.
Tutto quell’entusiasmo l’avrebbe ucciso, ne era certo.
Ora a pochi minuti dall’atterraggio non sapeva come sentirsi. Aveva mollato quell’angolo di mondo a vent’anni, gli sembrava passata un’eternità, invece non erano che sei anni; aveva lasciato dietro sé molte questioni irrisolte e soprattutto molte persone che non aveva più sentito, sebbene gli fossero mancate da morire.
Una su tutte, e quella per cui si sentiva maggiormente in colpa, era Sonia. Lei era stata la sua seconda madre, quella che c’era sempre stata a rammendargli gli squarci nelle ginocchia quando cadeva, a preparargli le cotolette quando prendeva un buon voto… gli era mancata da morire, ma per orgoglio non era mai tornato. L’aveva costretta a prendere l’aereo per la prima volta nella sua vita pur di andarlo a trovare, ma lui non si era mai degnato di spostarsi. La chiamava e le mandava regali tutte le volte che suo padre tornava a Verona ed ora non vedeva l’ora di ringraziarla.
Altro calcio nello stomaco sarebbe stato rivedere i suoi amici. A parte Filo e Jack, che avevano sempre imposto la loro presenza più che lasciare a lui la scelta, degli altri non sapeva poi molto. Andrea si era trasferito a Padova per lavoro e si era fidanzato con una di là, Charlie gli pareva fosse diventato avvocato ma aveva avuto dei problemi con suo padre, per cui era andato ad esercitare a Milano, Paolo faceva ancora la specializzazione in chirurgia e secondo Jack faceva una vita da schifo tra interventi e turni di guardia. Del Vigna non sapeva nulla, né di Lorenzo e Laura, soprattutto di lei, Alice, di cui non aveva mai più voluto sentir parlare.
Lei sarebbe stato il colpo di grazia dei sensi di colpa. Ma si era imposto di non pensarci nemmeno: Kate gli aveva chiesto che avrebbe fatto al momento del loro incontro, la sua risposta era stata un’alzata di spalle e per ora la strategia rimaneva quella.
- Don’t be so nervous - gli mormorò Kate riferendosi a tutto tranne che all’atterraggio, poi intrecciò le dita con le sue e prese ad accarezzargli i polpastrelli.
Sapeva essere tanto dolce quanto diabolica un attimo dopo. Una bipolare.
- Non lo sono -
Sovrappensiero, le rispose in italiano.
- No prederme per culo -
- Il tuo italiano fa sempre schifo. Chi ti ha dato la laurea in lingue?! -
- Stronzo -
- Ah ecco, questo lo dici bene -
Kate parlava discretamente l'italiano, ma non lo faceva mai volentieri quand’erano a casa, sapeva che Manu non tollerava niente che gli ricordasse l’Italia, al di là del cibo.
Guardò l’orologio per l’ennesima volta, il volo era in ritardo di quindici minuti. Filo li avrebbe aspettati all’aeroporto, anche se Manuel avrebbe preferito una macchina a noleggio, ma i fratelli erano stati irremovibili, per cui ogni protesta era stata vana.
- Do you think it has changed? Stop looking at that!
Non le rispose, non ce n'era bisogno.
- Siamo in ritardo -
- Phil aspeta, don’t worry -
Lo schiocco dell’atterraggio lo prese in contropiede, era troppo impegnato ad incanalare la tensione in altro e si ritrovò con le mani sudate e aggrappate ai braccioli del sedile. Kate non gli scollava gli occhi di dosso. Suo padre invece lo ignorava beato sul sedile anteriore.
- Air British vi dà il benvenuto in Italia. Secondo il fuso orario locale sono le 10.37. La temperatura esterna è di 35° gradi, il meteo prevede una giornata soleggiata. Vi preghiamo di rimanere seduti ai vostri posti e mantenere allacciate le cinture finché non verrà spenta la spia. Vi auguriamo una buona permanenza -
Di nuovo quello scampanellio irritante e tutti i passeggeri presero a muoversi con frenesia.
Kate raccattò il suo libro e la borsa da sotto il sedile mentre Manuel spegneva la modalità volo dal cellulare. C’erano già due chiamate di Missy dall’ufficio e una mail di un cliente.
- Holiday- decretò Kate strappandoglielo di mano.
Non protestò solo perché sapeva che Missy avrebbe richiamato e che il cliente era uno a cui poteva rispondere con calma. La guardò nascondere il suo cellulare dentro la borsa con aria risentita e fulminarlo, neanche fosse stato un bambino scalmanato.
Dopo l’arrivo al terminal tutto si svolse senza intoppi, ritrovarono le loro valige sul nastro e nessuno fece storie alla dogana, caricarono tutto su un carrello e imboccarono l’uscita degli arrivi.
Subito dietro alle porte, tra una piccola folla, Filippo li aspettava con le mani in tasca.
Non era mai cambiato Filo, pareva lo stesso ragazzo scapestrato e ridanciano di una volta. Aveva sempre portato i capelli abbastanza lunghi ed ancora li teneva legati sulla nuca in un piccolo codino, la barba più lunga di quella di Manu e le sopracciglia incolte. Un occhio esterno l’avrebbe preso per uno di quei fricchettoni di classe, travestiti da ragazzi trasandati. Ma lui trasandato lo era veramente. A sedici anni sua madre lo doveva ancora rincorrere per casa perché si lavasse decentemente e probabilmente non era poi cambiato molto.
Quando li vide si aprì in un enorme sorriso e andò loro incontro con la sua camminata goffa.
La prima parola che gli disse Manuel non se la sarebbe scordata facilmente, non dopo tutti quegli anni di lontananza, non dopo averlo visto quasi con le lacrime agli occhi.
- Fratello… – sussurrò e senza indugi lo strinse in un abbraccio che non aveva bisogno di parole. Nemmeno l’odore di Filo era cambiato e lo fece dolorosamente sentire a casa.
Si erano visti a Natale a Londra e tre anni prima d’estate, sempre a Londra. Ogni tanto si sentivano su Skype, ma ora lui era lì: in Italia, in vacanza e in carne ed ossa. Sapeva che per Filo e Jack questo sarebbe stato un momento importante.
Dopo la loro separazione fu il turno di Sergio che in tutti quegli anni aveva fatto da collante tra gli Zonin e suo figlio. Scambiarono un abbraccio e qualche convenevole prima che Kate rapisse l’attenzione di Filo.
- Ehi ma dov’è Kate? Non l’avrete dimenticata sull’aereo? - finse di non vederla attorno a loro, quando era giusto accanto a lui. La prendeva sempre in giro per il suo metro e cinquanta scarso, molto scarso.
- You’re an asshole – gli scagliò un pizzicotto sulla spalla, il punto più alto che potesse raggiungere. Rispetto a lei Filo era davvero un colosso.
Finse di accorgersi di lei solo in quel momento e si chinò ridendo per stritolarla e sollevarla di qualche centimetro.
- Eccola qui la bambinetta! -
All’inizio aveva dovuto spiegarle quel nomignolo e non aveva trovato un traduzione adeguata, nonostante questo la sua reazione era stata positiva, l’aveva trovato buffo. Filo l’aveva soprannominata così dalla prima volta che l’aveva vista. Kate, a ventinove anni, si ostinava a portare sempre abitini a fiori iperfemminili, gonne, camicette e fronzoli vintage, che però insieme ai suoi occhioni da cerbiatta e ai boccoli scuri la facevano sembrare una bambolina di porcellana. Aveva provato – del tutto inutilmente – a farle cambiare look; fu un colossale buco nell’acqua, perché ogni altro stile la rendeva la caricatura di una donna adulta. Per quanto ci provasse, solo con tacchi altissimi riusciva a dimostrare almeno venticinque anni, c’era chi non le dava nemmeno vent’anni.
- Ci avviamo o volete mangiare qualcosa? Abbiamo parecchia strada da fare per arrivare a casa, ma Cici stava già preparando il pranzo -
Fu Sergio a prendere le redini della situazione e discutere con Filo la soluzione migliore, poiché Kate era stata rapita da una vetrina del duty free, e Manuel ne aveva approfittato per riprendersi il cellulare ed era già impegnato in una fitta conversazione con Missy.

Arrivare a destinazione fu un’agonia, era quasi mezzogiorno e, tra la stanchezza e la tensione che lo accompagnava da giorni per quel viaggio, quasi gli si chiusero gli occhi un paio di volte. Avrebbe voluto chiedere a Filo dove diavolo stessero andando, ma preferì non aprire bocca.
Jack aveva insistito parecchio per ospitarli, non aveva voluto sentire ragioni. Aveva detto che avevano tutto lo spazio per ospitare sia loro che suo padre e Manuel si era piegato anche a questo, in fondo lui e Kate non si sarebbero potuti permettere un albergo per due settimane di fila, se non sacrificando parecchio i loro - già miseri - risparmi. E se lui poteva anche attutire in qualche modo, Kate con il suo inesistente contratto da assistente non ce l’avrebbe mai fatta.
Imboccarono una statale di cui percorsero solo pochi chilometri, s’infilarono nel centro di una minuscola frazione per poi abbandonarla subito e, dopo una serie di curve, svoltarono in una strada bianca in mezzo alla campagna. Cinquecento metri più avanti, dopo un bel vialetto si scorgeva una macchia di vegetazione.
Man mano che si avvicinavano, la macchia si delineò in un giardino circondato da faggi e betulle, al centro due costruzioni poste ad angolo retto. Una era allungata e più vistosa, l’altra più bassa doveva essere stata un edificio di servizio per un’azienda agricola. Al centro del giardino si apriva un grande prato, abbellito da piante e cespugli disposti sul perimetro.
La parte più imponente era un antico casale ristrutturato, solido e rustico, con le tipiche caratteristiche delle costruzioni rurali della pianura Padana. Manuel non poté che ammirare quella dimora in silenzio. Non riusciva a credere che Jack vivesse in un posto tanto meraviglioso, era un angolo di terra strappato alle radici dell’Eden, qualcosa che a Londra non era più abituato a vedere. Nemmeno suo padre nel Surrey poteva vantare una tale magnificenza.
La strada terminava in un piccolo spiazzo ghiaiato e Filo parcheggiò accanto ad altre due vetture, all’ombra di alcuni alberi evidentemente sistemati apposta.
Appena sceso, venne investito dall’aria torrida dell’estate in pianura, c’era un discreto venticello caldo che non agevolava la tolleranza. Kate, che non aveva smesso di fare domande per tutto il viaggio, si guardava attorno ammirata e se fosse stata un cane avrebbe scodinzolato ai piedi di Filo, a giudicare dalla sua espressione adorante. La maledetta traditrice.
Manuel si aggrappò alla cinghia della sua tracolla per impedirsi di ringhiare.
Era incazzato nero.
Era sua quella roba. Era il suo sogno, suo, ma realizzato da qualcun altro. Si sentiva come se gli avessero strappato le budella dalla schiena e le avessero calpestate senza pietà. La rabbia era tale che credette di vomitare lì sulla ghiaia.
Sentì un cane abbaiare e Filo battersi una mano sulla coscia, mentre apriva il baule della macchina per prelevare i bagagli.
- Qui Kobe -
Un bastardino scuro sbucò da dietro la casa, correndo a perdifiato verso il suo padrone. Si prese un paio di carezze, poi scodinzolò attorno a tutti loro annusandoli. Era un bel cane, simile ad un giovane labrador dal pelo scuro. Trotterellava attorno a lui proprio come faceva Kate di solito. Si chinò per accarezzarlo dietro le orecchie e quello reagì saltellando ancora di più, doveva essere un cucciolo iperattivo. Manuel gli afferrò la testa e la scrollò amichevolmente un po’.
- Bel cane. Come si chiama? -
- Kobe - rispose Filo, mentre passava le valige a Kate e Sergio era al telefono.
- Scherzi? Come Kobe Bryant?-
- Chiaro! Abbiamo anche tre gatti: James, Bosh e Wade -
Manuel si astenne dal commentare la loro idiozia.
Kate li guardava perplessa, evidentemente non aveva capito nulla della conversazione, quindi Manuel si premurò di tradurre e spiegarle che avevano dato agli animali nomi di giocatori di basket. Lei non parve turbata, ma Manuel sospettò che non avesse capito nemmeno in inglese.
Intanto dal giardino accorse anche il padrone di casa, attirato dal caos e dagli schiamazzi di suo fratello.
Come aveva fatto Filo prima di lui, corse direttamente da Manuel e lo abbracciò di slancio, sorridendo dagli occhi al cuore.
Manuel si trovò spiazzato e immobilizzato. Un attimo prima stava ascoltando la propria rabbia salire, l’attimo dopo era avvolto dalle braccia dell’uomo che più aveva rimpianto e odiato allo stesso tempo. Jack se lo strinse per un momento, dopodiché si allontano per guardarlo e ridere.
- Sei stravolto, neanche fossi venuto a piedi -
Gli rifilò un piccolo buffetto e si stropicciò la faccia.
- Mi sono alzato all’alba e ho dormito male -
- Il solito coglione -
Manuel non se la prese, ma una gomitata ben piazzata raggiunse comunque le costole di Jack, che però rise di gusto mentre l’amico borbottava tra sé.
- Parla quello che sta per ingabbiarsi l’uccello a vita -
Si guardarono negli occhi e non c’erano parole per descrivere lo stato delle budella di Manuel in quel momento. Non aveva più avuto un amico come lui, a Londra non aveva nemmeno mai cercato qualcuno che potesse sostituirlo. C’era Kate, sì, ma lei era sua sorella, mentre loro erano i suoi fratelli.
- Venite dentro. Cici è in cucina -
Ecco, quello era uno dei tanti momenti che Manu avrebbe voluto rimandare, gli si chiuse immediatamente lo stomaco al nome della futura moglie di Jack, ma fu costretto a seguirlo.
Cici era uno dei vertici del triangolo dentro a cui Alice era sempre vissuta, quindi non sapeva cosa aspettarsi da lei. Certo, Chiara si era sempre dimostrata razionale e calma, – al contrario di Laura che pochi giorni dopo la sua partenza gli aveva inviato una mail minatoria piena di insulti e recriminazioni – e negli anni grazie a Jack avevano mantenuto un minimo contatto: apparizioni su Skype, saluti e raccomandazioni nelle mail, foto di Tommy e cose di questo genere. Ma rivederla dopo tanti anni… gli tremavano le gambe.
Gli ospiti vennero guidati lungo un sentiero lastricato che circondava la casa e il prato fino, ad una massiccia porta verde dalla quale si accedeva ad un piccolo atrio. Jack indicava porte e scale e forse solo Kate lo stava ascoltando, perché lui era troppo assorto nella contemplazione.
Attraversarono in fretta un bel salotto dalle tinte chiare per approdare in un’enorme cucina. Era la tipica cucina da casa di campagna, con una doppia porta finestra sul cortile, i mobili in legno e il piano in pietra, e al centro, su un piccolo tavolo, una donna in grembiule stava posando una pirofila fumante.
Cici al contrario degli altri due era cambiata molto. Manuel ricordava la ragazza timida, dai lunghi capelli scuri e con un inossidabile istinto materno con cui si prendeva cura di tutta la compagnia, una donna nata per essere mamma. Ora davanti a sé aveva una donna di trent’anni poco curata e con qualche chilo di troppo, ma per quanto il resto potesse essere cambiato, il sorriso con cui li accolse era esattamente quello di un tempo.
Le aspettative di Manuel crollarono tutte insieme quando Chiara mollò pirofila e strofinaccio e lo raggiunse afferrandogli il volto tra le mani, lo guardò dritto negli occhi, lo abbracciò come una madre col figliol prodigo di cui non ha più avuto notizia e lo baciò su entrambe le guance al limite della commozione.
- Sono così felice che tu sia venuto, per lui era davvero importante - gli mormorò all’orecchio, durante l’ennesimo abbraccio. Manuel comprese che tutto quell’affetto non era che il riflesso del suo amore per Jack e l’abbracciò a sua volta in un muto assenso. Cici si asciugò una lacrima col grembiule e non faceva altro che accarezzargli le spalle e sorridere ignorando tutti gli altri.
- Stai bene? -
- Sì Cici, sto bene. Mangio male, lavoro troppo, dormo poco e la domenica vado a correre. Tu? -
- Mangio male, lavoro troppo, dormo poco e la domenica faccio giardinaggio -
Tutti risero a quella risposta, compresa Kate che attirò l’attenzione di Cici, catapultandola di nuovo nel suo ruolo di padrona di casa.
- Oh, che maleducata!, non mi sono nemmeno presentata. Scusa, ma non vedo Manu da così tanto tempo, ero così in pensiero per il volo e il pranzo che mi sono fatta prendere dalla commozione. Io sono Chiara comunque, mi chiamano tutti Cici qui, tu devi essere Katelin, la sua coinquilina, no? Sono molto contenta di conoscerti, Jack e Filo mi hanno parlato moltissimo di te - aveva parlato talmente in fretta che nemmeno loro erano riusciti a seguirla, figurarsi Kate che infatti aveva un’aria decisamente perplessa.
- Non credo abbia capito molto sai? - le rinfacciò il suo futuro marito, facendola arrossire come un peperone, mentre Manu traduceva in parte ciò che aveva detto.
- Nice to meet you. I’m Chiara, the Bride - esordì quindi di nuovo Cici allungandole la mano, ma Kate la sorprese abbracciandola e schioccandole due baci sulle guance, come aveva fatto prima lei con Manu.
- Piaccere mio. I’m Kate and you’re gorgeous -
Ovviamente gli uomini risero allo strano scambio di presentazioni, che si concluse con un sorriso da parte di entrambe. Lui si premurò di spiegare subito a Cici che non era necessario che parlasse in inglese, perché Kate capiva bene l’italiano e che, se non capiva, era capacissima di chiedere di ripetere.
Dopo una serie di accordi per il pranzo, a cui avrebbe partecipato la famiglia Zonin al completo, e i saluti con Sergio che era rimasto strategicamente a giocare con Filo e il cane tutto il tempo, Cici propose loro di sistemare le stanze.
- Abbiamo pensato di sistemare Sergio dai miei suoceri che hanno una camera degli ospiti al piano terra, Kate nella nostra camera degli ospiti e tu Manu nella nostra -
- E voi? -
- Oh, io dormo nella cameretta e Jack sul divano -
Manu non fece in tempo a protestare che Kate con grande diplomazia intervenne al suo posto.
-No, noi dormimo insieme. This is your home and we don’t want to change your habits -
Ci furono parecchie proteste da parte di Cici, ma bastò spiegarle che non era una novità per loro dormire insieme che subito travisò e spiegarle l’equivoco fu ancora più difficile, con Kate che rideva come una pazza in sottofondo.
Sistemata anche la questione camere, rimaneva solo un grande assente.
- Where’s Tommy? - domandò infine Kate senza pudore.
Jack fece segno di seguirlo e, quando uscirono in giardino, fischiò due volte con le dita.
- È sempre in giro per il giardino col nonno, eccolo! – esclamò, indicando un frugoletto che usciva dalla vegetazione traballando sulle sue gambette.
Per quanto ne sapeva Manuel, doveva avere intorno ai due anni, ma lui non l’aveva mai visto se non in foto e ora era uno scriccioletto sporco di erba che arrivava alle ginocchia di suo padre e urlava ‘papa papa’. Si zittì però immediatamente vedendo i due sconosciuti accanto al genitore e il modo in cui rallentò squadrandoli da capo a piedi strappò un sorriso a Manuel.
- Tommy, vieni che ti presento gli amici di papà - a quel richiamo corse dal padre e si protese per essere preso in braccio. Il nonno che lo seguiva salutò tutti con grandi abbracci e se ne andò a cercare Sergio dentro casa.
- Lei è Kate, è inglese ed è amica di papà e dello zio Filo -
- Tio! - esclamò il bimbetto, indicando suo zio che attendeva vicino alla casa.
- Fai ciao a Kate - lo incoraggiò il padre.
- Tao Tet - lei gli strinse la mano e lo accarezzò mormorando parole in inglese, poi venne il turno di Manuel che con i bambini aveva le stessa naturalezza di un cieco in metropolitana.
- Questo è lo zio Manu- Jack lo presentò e lui cercava in tutti i modi di sorridere amichevole, mentre Kate gli diceva di togliersi quella faccia da stronzo in inglese.
- Ehm, ciao Tommy-
Il bambino lo studiò con attenzione, saldamente aggrappato a suo padre e mormorò un ‘tao’ stentato, poi Manu si scompigliò i capelli imbarazzato e gli fece la linguaccia – cosa che gli riusciva molto meglio che il sorriso luminoso che aveva sfoderato Kate – e il bimbo si sciolse. All’inizio ridacchiò e lo convinse a farla ancora, infine si fece prendere in braccio per torturargli la faccia e tirare la barba.

Il pranzo fu sontuoso.
Cici aveva preparato lasagne e arrosto con patate, mentre sua suocera aveva contribuito con parmigiana, cotolette e una lunga serie di contorni.
A Londra non erano certo abituati a tutta quell’abbondanza, tanto che Kate inizialmente non era troppo convinta di poter assaggiare tutto, continuava a ripetergli ‘sei sicuro che sia tutto per noi?’. Da parte sua non mangiava un arrosto così da molti anni, quindi si servì doppia porzione di tutto scatenando una reazione a catena di risate e preoccupazione per la sua alimentazione, mentre Sergio continuava a guardarlo scuotendo la testa con commiserazione.
Il pranzo era stato allestito in giardino, subito accanto alla porta finestra della cucina di Cici, sotto un grosso albero; Tommy scorrazzava intorno al tavolo con una macchinina rossa e una moto, mentre gli adulti si abbuffavano fino allo strabiliante tiramisù di Chiara. C’era un’atmosfera bucolica, come se tutto fosse stato posizionato e allestito per ammaliare: dalla tovaglia bianca sapientemente ricamata al servizio di porcellana avorio bordato d’argento, dal tintinnio delicato dei bicchieri ai fiori al centro del tavolo e il pane alle erbe (e pancetta) della mamma di Jack. C’era talmente tanta perfezione che Manuel venne travolto da un’allucinazione stile pubblicità-Mulino-Bianco e persino Katelin in quel contesto gli sembrò estranea con la sua risata vibrante.
Fu Tommy a strapparlo da quell’incubo di perfezione piombandogli addosso con le macchinine, urlando ‘brum brumm’ e facendosi beffe di tutti gli ostacoli sul suo percorso, compresa la presenza di Manuel, che se lo ritrovò aggrappato ai pantaloni mentre cercava di superarlo. Lo sollevò dalle ascelle, dopodiché lo lasciò libero di proseguire la sua corsa e quello gli sorrise grato con i suoi quattro denti.
Per tutto il tempo la conversazione oscillò tra i pettegolezzi su alcuni amici, la vita amorosa di Filippo e i progressi di Tommy, solo al caffè Cici ebbe il coraggio di porre le domande che stavano aspettando tutti.
- Vabbè, ora che abbiamo la pancia piena, che ne dici Manu di aggiornarci un po’? Come va a Londra? Voglio sapere tutto quello che ci siamo persi - si rivolse a lui, porgendogli la zuccheriera con un sorriso ambiguo.
- Tutto? Potrebbe volerci un po’… -
- Oh beh, io sono in ferie e tu anche, loro in pensione e Jack e Filo vivono d’aria e d’amore. Abbiamo tempo - Katelin a quella risposta stava già ridendo, pregustando il disagio del suo migliore amico.
Perse tempo bevendo il caffè e giocherellando con la tazzina, non sapeva che dire: - Te l’ho detto: lavoro troppo, mangio male, dormo poco e la domenica faccio jogging. Non è che ci siamo molto d’interessante -
Chiara però era un osso duro e lui sapeva che quelle parole non le sarebbero bastate.
- Oh io credo di sì, mi hanno detto che hai insegnato in un liceo, proprio non ti ci vedo… non ne hai appeso nessuno per il collo? -
- Ti assicuro che avrei voluto. Comunque è stata lei a coinvolgermi, perché prima di entrare al dottorato ha insegnato spagnolo. Visto che guadagnava bene, ho provato a fare richiesta anch’io per insegnare arte e mi hanno mandato in una scuola per italiani all’estero. Un delirio, primo perché erano degli idioti insopportabili, secondo perché io non ci sono tagliato, perdevo subito la pazienza e li mandavo a quel paese -
- Invece ora che lavori per Sotheby’s, come ti trovi? -
- Benissimo, è molto impegnativo ma mi piace. Mi ha permesso di viaggiare molto, soprattutto negli ultimi tempi, il mese scorso ero ad Amsterdam e a marzo siamo andati a Tokyo per un’esposizione. Sono diventato un esperto a fare le valige... – si accorse immediatamente della gaffe, calò un attimo di silenzio che Filo colse con astuzia.
- In quello sei sempre stato bravo, coglione - gli mollò una manata sulla testa che scatenò l’ilarità generale, anche Chiara parve rilassarsi, e dopo che avevano rotto il ghiaccio, cominciò a tartassarli di domande.
A Kate toccò l’arduo compito di raccontare la notte di gelo in cui si conobbero: lui solo e sperduto in una città famelica, con una bottiglia di bordeaux in mano e solo le chiavi di casa in tasca, lei che l’aveva sbattuto fuori dalla caffetteria per chiudere e lo guardava piena d’angoscia. Disse a tutti di averlo scambiato per un barbone e Sergio confermò che in quel periodo lo preoccupava davvero molto, sempre a zonzo da solo notte e giorno.
Poi venne il turno dello svisceramento selvaggio e spietato della sua vita amorosa e sessuale. La sua adorabile coinquilina rivelò all’intera famiglia che non usciva regolarmente con una ragazza da oltre due anni e che tutte quelle con cui usciva duravano al massimo un mese.
- Il record è Larissa, the Norwegian one, tre mesi e quatro giorni - esclamò tutta sorridente alle risatine dei due fratelli.
- Non ho tempo di uscire, non sono mai a casa -
- You’re a liar -
- Sbaglio o ti ha appena dato del bugiardo? - domandò Jack con evidente ironia.
Chiara parve interessata alla questione, ma con disinvoltura spostò la conversazione su temi meno scottanti e chiese a Kate di cosa si occupasse. Con immensa gioia di Manuel, le sue disavventure universitarie risultarono estremamente coinvolgenti e nessuno fece più domande imbarazzanti.

La giornata proseguì tra alti e bassi, fino a concludersi con una cena altrettanto impegnativa a casa di Sonia, che aveva iniziato a piangere sulla porta e non aveva smesso fino al dolce. Le avevano persino portato un regalo: Kate l’aveva trascinato fino da Harrods per comprare un servizio da tè in porcellana e delle miscele speciali d’infusi, lui si era limitato a fissare il budget e a seguirla, bighellonando da una poltrona all’altra. Alla fine come sempre avevano speso più di quanto si potessero permettere, perché lei sosteneva che gli inglesi non si presentavano mai a mani vuote a casa di qualcuno, quindi aveva comprato regali per tutti. Con la carta di credito di Manuel.
Di nuovo gli avevano riempito il piatto, come se non mangiasse da anni; Sonia al contrario degli altri non si era fatta sfuggire la barba sfatta, le occhiaie, il pallore e la forma fisica non più così tonica, l’aveva stretto all’angolo in cucina mentre erano soli e l’aveva rivoltato come un calzino con un solo sguardo.
- Che farai quando la vedrai? - era stata l’unica domanda che gli aveva rivolto.
Inizialmente aveva pensato semplicemente di mentirle, qualcosa tipo ‘Parli di Alice?’, ma lei era Sonia e se le avesse mentito, oltre a sentirsi terribilmente in colpa, si sarebbe sentito anche terribilmente in imbarazzo, perché quella fiutava le sue balle a distanza. Quindi, dopo averci pensato con attenzione, le disse quanto di più sincero gli venne in mente.
- Non lo so. Probabilmente nulla -
In risposta ricevette una carezza sulla guancia e un sorriso triste: - Sono cambiate molte cose, forse le tue aspettative saranno tradite -
Sonia era la cosa più vicina ad madre che ricordasse nella sua vita precedente e non riuscì a trattenersi dall’abbracciarla forte prima di andare via. Aveva sempre lo stesso odore di sapone e lenzuola appena lavate che ricordava tanto casa: cuscini bianchi, una poltrona di pelle, legno sopra e sotto e bianco tutto attorno.
Solo i capelli di Kate sciolti sul cuscino accanto al suo riuscirono a scacciare quella sensazione alla bocca dello stomaco, come se il suo stesso corpo si stesse ribellando a quell’odore. L’abbracciò e affondò il naso nella massa di boccoli della sua migliore amica, quante volte l’aveva cercata nel sonno in un puerile bisogno di stringere qualcuno. Kate odorava di borotalco e di Londra.
Tra le domande di Cici e quelle ancora più imbarazzanti di Sonia, Kate avrebbe avuto materiale per sfotterlo per i prossimi dieci anni, ma per tutto il giorno era stata la sua spalla salda e costante, l’aveva tolto da situazioni ambigue e aveva risposto a tutte le domande che le avevano posto con ironia, senza mai accennare al relitto d’uomo a cui si era trovata davanti spesso. Era brava in queste cose Kate, diplomatica, acuta e tagliente.
Spesso si chiesto se non sarebbe stato tutto più facile se si fosse innamorato di lei; sarebbe stato bello, con lei non avrebbe dovuto chiarire niente né dare spiegazioni o fingersi meno chiuso ed egoista. Avrebbe potuto essere sempre se stesso, in ogni momento, perché tanto lei aveva già visto il suo peggio. Ci aveva provato con tutte le sue forze ad innamorarsene, ma era stato un buco nell’acqua e quando aveva concluso che non avrebbe mai potuto immaginarla come la sua donna, era diventata davvero sua sorella. Solo una volta, in un momento di disperazione alcolica, l’aveva baciata ed era stato ridicolo, all’inizio lei aveva risposto ma poi era scoppiata a ridere ed ora quella storia era sempre un buon pretesto per farsi due risate.
Alla fine si riduceva tutto lì, a quella scintilla. L’aspettava sempre, tutte le volte che vedeva una ragazza carina e le chiedeva di uscire, aspettava e aspettava di sentire qualcosa di nuovo, quello scatto che lo convincesse a buttarsi. Aveva aspettato con Larissa, che era bella da mozzare il fiato, e prima di lei con Abbie e persino con Chelsea, nonostante avesse sei anni meno di lui.
Invece non era mai successo nulla.
I suoi pensieri vagavano incontrollati da Kate a Sonia, poi Larissa e tutte le altre, e infine sempre là: capelli rossi, occhi azzurri, un vestito blu e mille lentiggini. Alice.
Affondò di nuovo il volto tra quei capelli sperando di ritrovare la compostezza e la calma per scacciarla dal suo piedistallo, spesso quell’odore l’aveva riportato con i piedi per terra.
Sonia aveva l’odore del rimpianto, invece Kate dell’appagamento e del senso di colpa.
Solo a tarda notte riuscì a riconquistare un degno afflusso di sangue al cervello tale da permettergli di ripercorrere e analizzare tutto ciò che era successo. La sua coinquilina ronfava, mentre lui continuava a rigirarsi senza capire se quel peso sullo stomaco fosse la doppia porzione di polpettone o il tarlo che Sonia aveva insinuato in lui.
Aveva davvero delle aspettative su di lei? E se davvero ne aveva, quali erano?
Era stata una lunga giornata e non riusciva a dormire, forse era solo quello il problema. Tentò di far scivolare via tutto con un po’ d’aria e si alzò diretto in cucina.
Dopo aver provato con l’aria, un bicchier d’acqua e persino della grappa che aveva trovato in un mobiletto in alto, si ritrovò appollaiato su uno sgabello col portatile davanti e una relazione di lavoro a fargli da scacciapensieri. Erano le tre del mattino, erano in vacanza e Kate l’indomani l’avrebbe sicuramente fucilato.
Non appena decise che tanto a letto non ci sarebbe tornato, sentì dei passi sulla scala subito seguiti dalla voce di Chiara.
- Ah ecco non mi ero sbagliata, eri tu -
Manuel la guardò con un misto di stupore e imbarazzo. Era stato colto in flagrante.
Prima che potesse risponderle, gli sorrise e accese la luce sopra al tavolo: - Lo vuoi un tè? - annuì senza nemmeno rifletterci.
La ammirò svolazzare nel suo regno con maestria, come una regina nel suo castello fatato, in pantaloncini e maglietta stinta dei Lakers. In un batter d’occhi aveva davanti a sé una tazza fumante.
- Zucchero o limone? -
- Solo limone -
- Latte? -
- Non sono diventato così tanto inglese… - scherzò, affondando la fetta col cucchiaino.
Passarono alcuni minuti di imbarazzante silenzio, lui giocava con limone e bustina mentre Cici rimescolava senza sosta. C’era imbarazzo in quel momento, ma non tensione, in effetti non ce ne sarebbe stata ragione, i loro rapporti erano sempre stati cordialmente pacifici. Litigare con Cici era davvero difficile.
- Domani ho l’ultima prova dell’abito… - iniziò lei titubante - Ci vado con Alice, credi che a Kate farebbe piacere venire? -
Piacere? Conoscendola, non vedeva l’ora d’incontrare Alice e tartassarla di domande, avrebbe provato un piacere perverso nell’estorcerle tutto ciò che voleva. Probabilmente in un’altra vita doveva essere stata una torturatrice del KGB, o una mistress giapponese dedita alla dominazione.
- Voi sarete all’addio al celibato e non voglio lasciarla qui da sola tutto il giorno... -
Decise di essere sincero, in fondo anche lei lo era stata.
- Figurati… freme all’idea di conoscerla - Manuel era talmente pieno di disappunto per quella confessione che Chiara non poté che ridere della sua buffa espressione.
- Quando ha trovato la partecipazione non stava più nella pelle, aveva finalmente una ragione valida per trascinarmi qui -
- Quindi, lei sa? -
- Tutto, dal primo all’ultimo minuto della mia vita -
Chiara ne fu sinceramente sorpresa, Manuel era sempre stato chiuso e taciturno, difficilmente si apriva con qualcuno e non lo faceva mai fino in fondo. Aveva spesso sospettato che fosse più sincero con se stesso che con gli altri, al punto da maturare un’eccessiva severità verso di sé, invece a quanto pareva quella bambolina tutta boccoli e curve l’aveva stregato.
- Allora forse non è il caso che si incontrino prima di voi due? Non voglio aggiungere altra tensione -
- Non ci saranno spargimenti di sangue Cici, te lo garantisco. È una storia talmente vecchia ormai… anzi, sono felice di sapere che sta bene e non vedo l’ora di poterla salutare – ed era una bugia talmente colossale che se ne vergognò persino mentre la diceva. Non che fosse falso, era felice di sapere che Alice stesse bene, ma non poteva, proprio non poteva, ridurre tutti quei turbamenti a semplice curiosità.
- Sta bene?! Hai parlato con Jack di questo? -
- A tratti. Perché, Alice non sta bene? -
Cici finì l’ultimo sorso del suo tè e guardò Manuel dritto negli occhi. Per la prima volta si chiese davvero cosa sarebbe accaduto al loro incontro, non se n’era mai preoccupata fino in fondo, erano passati anni e doveva essere tutto dimenticato; eppure negli occhi e nella voce di lui a quella domanda era apparso qualcosa, un malessere di fondo, come se, incrostata e ammuffita da qualche parte, giacesse ancora la carcassa del loro amore.
Alice si era preparata ad incontrarlo e probabilmente anche lui, inoltre, conoscendo i soggetti, avrebbero sorriso e chinato il capo davanti a tutti, magari si sarebbero anche abbracciati, ma non appena li avessero lasciati soli era certa che la tensione sarebbe scoppiata in qualche modo
- Sta bene, solo è cambiata molto -
A quelle parole reagì chiudendo il portatile e lasciando vuoto lo sgabello della cucina, solo quando arrivò alla scala si voltò per sorriderle.

 - Lo siamo tutti.























Inutile spazio autrice:
Periodo di depressione folle... sto sinceramente di merda.
Nonostante tutto ecco qui il capitolo, col solito ritardo di un mese e in più  una chiara impronta del mio inavvicinabile umore.
Chiarimenti:
-del lavoro di Kate parlerò più avanti
-l'incontro avverrà nel prossimo capitolo quindi stay tuned  (...si dice così?)
-Tommy per chi non l'avesse capito è il figlio di Jack e Chiara ed è nato due anni prima dei fatti (fuori dal matrimonio, non osate scandalizzarvi!!)
-Manuel è un fine umorista.. io l'ho sempre detto.
Mille grazie come sempre alla geniale e tempestiva beta, che oltre a correggere in tempi fulminei mi punzecchia a dovere.
Grazie Sandra senza di te sarei nella cacca.
Non ho risposto a tutte le recensioni nemmeno stavolta, vedo che riesco a fare in settimana. So sorry.
Come sempre io aggiorno ad orari inumani, ora sono le 04:47 del mattino e sono appena tornata (sobria) dalla festa della birra, quindi è tempo di nanna anche per me..
Come sempre su fb sono Fuori Target Efp.
1bacio.Vale




   
 
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