Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: FuoriTarget    18/08/2012    4 recensioni
Sequel di Relazione clandestina. Credo sia necessario leggere la prima parte per comprendere la storia, ma siete liberissimi di tentare l'impresa.
La vita ha portato i due protagonisti ad allontanarsi completamente dopo una storia d'amore travagliata. Complici il lavoro, lo stress, le bollette da pagare e le rate del mutuo, ognuno dei due è annegato volonariamente nella propria solitudine. Cosa succederà se il matrimonio dei loro migliori amici li costringerà a incontrarsi dopo molti anni? E sopratutto se la sfortuna decide di intervenire rimescolando le carte in tavola?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
cap1


Travolti da un insolito destino




Capitolo 2






Che giornata di merda!
Aveva rotto un laccetto dei sandali, macchiato la gonna di caffè e in mensa c’erano solo robe fritte e unte. In più, un idiota le aveva mandato un mazzo di rose enorme in ufficio. Uomini di merda.
Un caffè e una cena e quello le mandava tredici rose, ma chi si credeva di essere! Doveva escogitare un modo per mandarlo a fanculo al più presto.
Perché poi lei era sempre l’ultima ad uscire da quel maledetto ufficio?! Gli altri se ne fregavano delle consegne, oppure era solo lei ad essere incapace di organizzare il suo tempo?
Quando finalmente riuscì ad andarsene da quel cavolo di posto, la sua borsa pesava due tonnellate e a stento raggiunse l’auto con quel sandalo pericolante.
Infilò un mano nella borsa per cercare le chiavi della macchina, ma in quel momento la custodia del portatile cominciò a scivolarle contro il tessuto lucido della gonna. Fu un domino letale: nel momento in cui si abbassò per sostenere il portatile col ginocchio, la giacca che teneva sulle spalle cadde in avanti e, nel tentativo di rimanere in equilibrio, una manica s’impigliò al tacco e lei perse la stabilità. Il computer volò a terra insieme alla borsa e al cellulare che teneva nell’altra mano, e il tacco del sandalo con un piccolo toc si staccò dalla tomaia.
Per un momento l’idea di rannicchiarsi a terra e piangere non le parve poi tanto disdicevole, ma si limitò ad imprecare contro il mondo.
Ovviamente il cellulare, che aveva resistito all’urto, decise che quello era il momento migliore per mettersi a squillare.
- Ciao Cici - rispose con un sospirone, le sue amiche avevano sempre un tempismo imbarazzante.
- Dove sei? -
- In ufficio, cioè nel parcheggio veramente - si chinò per cominciare a raccogliere la giacca e tutta la roba che era volata fuori dalla borsa.
- Te lo sei scordata -
- Cosa? - non era sicura di aver capito bene, ma il tono non prometteva bene.
- La cena, Ali! Te la sei scordata: tu, io, Laura e una pila di riviste da sposa alta un metro. Dovevi essere qui più di mezzora fa -
Merda.
- Ma no no, non mi sono scordata, - tentò di tergiversare mentre raccattava tutto il più velocemente possibile e lo lanciava sul sedile del passeggero - Mi hanno trattenuta, abbiamo avuto un problema con un cliente -
- Almeno hai mangiato qualcosa? -
- Sì certo, certo -
- Le mentine non valgono! - le urlò Laura in sottofondo.
- Allora no, ma non ho fame. Ho mangiato a pranzo - saltò sul suo sedile e bloccò il telefono con la spalla per mettere in moto l’auto - Comunque aspettatemi, dieci minuti e sono lì! -
Merda merdissima!
Non che fosse entusiasta, dopo una giornata di merda, di affrontare le due invasate armate di campioni di veli e pizzi, ma non poteva continuare a bidonarle a lungo. Doveva farlo per Cici e per quel maledetto del suo futuro marito.
Ingranò la prima e quasi sgommò nell’uscire dal parcheggio. Si lanciò nel traffico ignorando la segnaletica e soprattutto i limiti di velocità, neanche fossero buffi numerini piazzati lì a caso, e come promesso, in dieci minuti le raggiunse. Caricò di nuovo la borsa da due tonnellate in spalla e, saltellando con una scarpa, in mano raggiunse il portone di casa di Laura; per fortuna le aprirono subito e non fu costretta a rimanere lì come una scema in equilibrio precario su uno stiletto.
Quando la videro così combinata, le due amiche ebbero la decenza di non fare domande, l’aiutarono semplicemente a sistemarsi mollando tutta la sua roba in giro per casa.
- Se continui così, sarai il primo caso in Italia di morte sul lavoro da esaurimento nervoso -
L’ironia di Laura era sempre stata tagliente ed Alice era abituata a subirla anche nei momenti peggiori, quindi non si alterò più di tanto per la battutaccia, ma si limitò a contraddirla.
- Purtroppo temo che sia un record già battuto -
I primi dieci minuti li passò con i piedi su una sedia e gli occhi chiusi, mentre Cici la delucidava sull’avanzare dell’organizzazione del matrimonio e ogni due frasi tentava di rifilarle qualcosa da mangiare. Si ostinò a rifiutare tutto finché Laura non le ficcò in mano un pacchetto di popcorn.
- Charlie? -
- A Milano per un convegno -
- Jack? -
- È a cena fuori con Paolo e Filo -
Non si erano liberate delle zavorre solo per poter stare a parlare di bomboniere e confetti in santa pace, quindi sicuramente volevano spettegolare di qualcosa. Però mancava Arianna, ex compagna di facoltà di Laura e maestra nell’origliare conversazioni altrui;  Margherita, la collega di Cici che ci provava con Paolo da una vita anche se usciva con loro solo da un paio di anni, e soprattutto mancava Elena, la cognata di Laura.
C’erano solo loro tre, perciò doveva essere un pettegolezzo grosso, qualcosa di molto personale, qualcosa che le coinvolgesse in prima persona… Oh, mio dio!
Una delle due era incinta?
Istintivamente cominciò ad osservare ognuna delle due con meticolosa attenzione. Cici non sembrava ingrassata, né entusiasta – perché lei avrebbe fatto i salti di gioia se fosse stata di nuovo incinta! – , non sembrava avere più pancia, ma l’abito che indossava poteva anche mascherarla. Laura invece non avrebbe fatto di certo i salti di gioia, quindi i sospetti ricadevano maggiormente su di lei, che se ne stava seduta sul divano in silenzio seguendo le parole di Chiara. Non pareva ingrassata, né nella pancia né nelle forme, però forse il modo in cui continuava a cambiare posizione delle mani tradiva una certa tensione. Ma che le era saltato in mente? Di certo si era dimenticata di prendere la pillola…
- Ali, senti a proposito di questo, ti volevo aggiornare su una cosa - Cici catturò la sua attenzione. Anche se non sapeva a cosa si riferisse quell’ “a proposito”, era troppo assorta nella contemplazione di un futuro erede dei Carlini per ascoltare.
Forse era arrivato il momento della rivelazione… Alice cominciò a fremere, i suoi sospetti erano corretti, aveva solo sbagliato persona? Era Cici ad essere incinta?!
- Fino alla settimana scorsa non era ancora arrivata la risposta, per questo non ti ho detto nulla... Jack nemmeno ci sperava più, ma ieri gli è arrivata una mail di Manu e ha detto che verrà per il matrimonio -
Vuoto.
Per dieci secondi nella mente di Alice e nella stanza attorno a lei, non ci fu altro che silenzio. Non percepì gli sguardi carichi di attesa delle due donne su di lei, anche se era certa che vi fossero. Non si accorse della sua mano piena di popcorn bloccata a mezz’aria. Né si rese conto di aver smesso di respirare.
Vuoto per dieci secondi e nient’altro.
Poi il suo cervello reagì e le mandò l’input corretto: i polmoni ricominciarono ad espandersi, la mano finì il suo tragitto dritta verso la bocca e sbatté le palpebre un paio di volte per mettere a fuoco l’esterno. Laura le stava regalando uno sguardo duro ed implacabile, seppur carico di aspettativa, mentre quello di Chiara era visibilmente più preoccupato e il suo corpo teso verso di lei.
Si affrettò ad imbastire una risposta quanto più neutra possibile.
- Davvero? Chissà come sta… -
Le amiche tacquero per pochi secondi, evidentemente prese in contropiede dalla risposta. Com’era prevedibile, fu Laura a prendere le redini della conversazione.
- Jack e Filo sono andati a trovarlo l’anno scorso a Natale, pare stia benone. Verrà con suo padre ed un’amica ha detto -
- Ah giusto, me n’ero scordata. Bene, sono contenta di rivedere Sergio -
Laura e Chiara si scambiarono un’occhiata perplessa, ma decisamente sollevata. Non che si aspettassero scenate isteriche, d’altro canto però l’argomento con Alice, e soprattutto con chi era al corrente delle vicende del passato, era assolutamente offlimits, non se n’era mai più parlato in sua presenza e nessuno ci teneva a ricordare. La sua reazione fece loro ben sperare e fu evidente che la tensione si sciolse in pochi secondi.
- Per la torta, invece? Hai deciso se fragole o cioccolato? -
- Jack vuole crema e fragole -
- Pienamente d’accordo! -
L’atmosfera tornò a distendersi e presto l’unica fonte di discussione furono i colori del bouquet della sposa. Alice sosteneva che dovevano essere lilla e verde come il resto degli addobbi e decorazioni, Laura invece preferiva il total white e andarono avanti a discuterne fino a tarda sera.
 
Il giorno dopo, la giornata iniziò di nuovo di merda per Alice.
Aveva dormito solo un mezzora verso l’alba, prima era stata travolta dalla reazione posticipata alla notizia della presenza di Manuel al matrimonio.
Non lo vedeva da sei anni. Non ci parlava da sei anni.
Il suo cervello era come impazzito per un sovraccarico di informazioni: aveva immaginato mille scenari possibili per il loro incontro, dalla lite furibonda con tanto di pugni e schiaffi, al completo disinteresse reciproco. Non sapeva cosa fare, né cosa pensare. La sua mente venne invasa dopo tanti anni dalle domande che aveva rinchiuso nel cassetto più profondo della sua coscienza. Perché non fosse mai tornato poteva benissimo immaginarselo, orgoglioso com’era. Ma perché se ne fosse andato senza una parola, così all’improvviso, ancora le lasciava quell’orribile sensazione di vuoto.
Le tornarono alla mente i primi mesi dopo la sua fuga. Prima c’era stata la rabbia, cieca e incontrollata, che aveva sfogato su chiunque la avvicinasse. Poi quando aveva capito che non sarebbe tornato, era arrivato il peggio.
Per tutta la notte aveva cercato di non pensarci, di trovare altro su cui concentrarsi. Prima aveva pulito la cucina e riordinato la posta, poi aveva finito per accendere il portatile e mettersi a lavorare ma aveva avuto effetto solo per la prima ora. Così era andata a ripescare il pacchetto di sigarette di emergenza che teneva nascosto dietro ai detersivi in bagno, ed era scivolata sulle mattonelle del bagno a crogiolarsi nei suoi rimpianti.
Anni prima aveva sognato una vita diversa. Una vita in cui non si sarebbe ritrovata a dormire ogni notte da sola in una casa vuota e silenziosa. Una vita fatta di certezze, di fiducia. Invece aveva passato anni a sfiancarsi di lavoro durante il giorno, così da svenire sul letto la sera ed impedirsi di pensare, e quando lavorava poco e non riusciva a stancarsi abbastanza, correva da Paolo a farsi prescrivere sonniferi e tranquillanti.
Da alcuni anni aveva smesso con gocce e pasticche varie, non aveva neppure più la scorta come con le sigarette, quindi si era rassegnata ad una notte insonne e alle sei era già sotto la doccia.
Era scesa al bar a far colazione con calma e ad un orario ben distante dalle sue abitudini, tanto che anche il barista aveva strabuzzato gli occhi vedendola alle sette già in tacco dodici, attaccata al suo bancone a reclamare caffè in dosi da cavallo. Dopo un’ora, tre quotidiani e due caffè si decise ad andare al lavoro in anticipo.
Arrivò gongolando davanti al parcheggio ancora mezzo vuoto e, contrariamente al solito, se la prese con calma per evitare di sfracellare di nuovo borsa e pc sull’asfalto. La centralinista dell’atrio la salutò con un sorrisone falso come una Louis Vuitton comprata in spiaggia, e Alice sapeva che non appena si fossero chiuse le porte dell’ascensore dietro di lei, si sarebbe precipitata a chiamare la segretaria dell’ufficio engeneering. Quando in effetti arrivò al terzo piano, trovò Betta alla sua postazione, dritta come un fuso e con l’auricolare già sull’orecchio che le sorrideva furbescamente.
- Buongiorno Betta -
- Ingegnere, come mai così presto? -
Il tono con cui Betta calcava sempre il suo titolo di studio non le era mai sfuggito. Alice avrebbe tanto voluto risponderle che non erano cazzi suoi, ma lì dentro era ancora l’ultima arrivata.
- Tanto lavoro e poco tempo. Ci sono messaggi per me? -
- Ancora nessuno -
- Bene, a dopo allora - non le diede nemmeno il tempo di rispondere, perché imboccò il corridoio degli uffici quasi correndo.
Il suo ufficio era tra i più carini nonostante, non fosse propriamente suo, né propriamente un ufficio. Era un buco di tre metri per tre con una parete di vetro, come tutti quanti, e una minuscola finestra sigillata, in cui erano stipate due scrivanie una contro l’altra, così era costretta a guardare costantemente in faccia il suo collega. Per fortuna non era così male.
Per prima cosa accese il computer fisso, poi il portatile, dopodiché alzò la veneziana e guardò il parcheggio di sotto riempirsi di auto e motorini. Riconobbe il casco giallo di Michele, il tecnico del centro di simulazione e il grosso SUV bianco di Pierangeli, il direttore, un uomo dalle grosse capacità imprenditoriali ma nessuna conoscenza ingegneristica.
- Che ci fai già qui? - la voce di un uomo alle sue spalle la fece trasalire e minò il precario equilibrio dei tacchi.
Era Salvatore Pucci, l’uomo con cui divideva lo studio da due anni, ingegnere meccanico come lei, con doppio master in ingegneria dell’automazione e numerosi successi alle spalle. Splendido quasi quarantenne che portava ancora le Converse e le magliette dei Guns’n’Roses. Ovviamente, come tutti, era abituato a vederla arrivare di corsa e sempre all’ultimo minuto.
Gli bastò guardarla in faccia un momento per incupirsi e chiudersi la porta alle spalle.
- Brutta nottata?-
    - Abbastanza. Tu? Non avevi un’uscita galante? - lo canzonò, sapendo che la cena galante in realtà era una cena da sua madre.
- Spiritosa. E pensare che volevo offrirti pure un caffè -
Alice rise sotto i baffi, mentre prendeva posto al computer. In settimana avrebbero avuto una riunione con una compagnia indiana che produceva pannelli solari e Albertini, il capo dell’ufficio engeneering, voleva tutto il progetto pronto per mercoledì.
Quando era entrata per la prima volta in quell’azienda durante il tirocinio della laurea specialistica, se n’era sentita un po’ intimorita. C’erano lunghi corridoi vetrati in cui si sentiva sempre osservata e pavimenti di marmo, che risuonava sotto i suoi tacchi come un monito. Le segretarie la guardavano tutte malissimo e i colleghi erano nella quasi totalità uomini; temeva di non riuscire a ritagliarsi uno spazio, che in un ambiente del genere sarebbe sempre stata considerata solo una tirocinante carina. Poi era arrivata l’occasione di farsi notare: aveva collaborato in un progetto, Albertini stesso si era complimentato con lei e si era proposto come relatore della sua tesi. Da lì il passo per il praticantato era stato breve e, dopo anni di contratti a progetto e collaborazioni parziali, era riuscita a guadagnarsi la sua scrivania e la poltrona di ecopelle. Ora si occupava quasi esclusivamente di sistemi di sicurezza per le macchine automatiche progettate dal resto dello staff, i suoi lavori erano revisionati direttamente dall’Ingegner Albertini e, sebbene fosse la sua più giovane e inesperta collaboratrice, la trattava sempre con garbo e rispetto.
Per quasi tutta la mattinata rimase incollata al progetto per gli indiani, c’erano dei calcoli che la notte prima non tornavano e su queste cose ci s’intestardiva sempre per ore. Non controllò la mail né ricevette telefonate, quasi non parlò neppure con Salva, finché all’ora di pranzo questi non la beccò a fissare lo schermo del portatile in standby.
- Cos’è che ti turba in quel desktop? -
Non gli rispose al primo colpo, quindi per farsi ascoltare fu costretto a scuoterle una spalla.
- Alice? Perché stai guardando lo schermo vuoto? -
Fu chiaro ad entrambi che lei cadeva dalle nuvole e si riscosse come se stesse dormendo.
- Oddio! -
- Stavi dormendo?! -
- Ma no, mi ero solo incantata. Vai a prendere il caffè? -
- Veramente stavo andando in mensa -
Di nuovo lei cadde alle nubi e guardò l’orologio del pc. Era l’una passata, mentre a lei sembrava di essere in ufficio solo da un paio d’ore.
- Credo di aver bisogno di dormire – decretò, rimettendosi le scarpe accantonate sotto il tavolo.
- Sì, credo anch’io -
Scese in mensa insieme a Salva, mangiavano quasi ogni giorno con Michele, quello del simulatore, che aveva la stessa età di Alice, e altri due ingegneri cerebrolesi dal lavoro come loro: Semprini e Benassi.
Le donne dello stabile si contavano sulle dita di due mani. Escluse le tre centraliniste, c’era la direttrice dell’amministrazione, una biondona appariscente come un evidenziatore, e le sue tre impiegate con cui Alice non aveva mai legato molto, e infine Sabina, la PR, l’unica con cui avesse uno straccio di rapporto. In genere pranzavano tutte assieme, tranne Alice che dopo un paio di esperimenti aveva preferito i colleghi uomini.
In tutto nel suo ufficio erano sette: lei e Salvatore, Semprini e Benassi che dividevano uno studio pure loro, Albertini il capo, il suo assistente Tradello, e Nestri, il vicedirettore. Poi c’erano quelli dell’ufficio tecnico che conosceva solo di vista e gli assistenti alle pubbliche relazioni che cambiavano troppo in fretta per impararne i nomi.
Tutto sommato la sua vita lavorativa non faceva tanto schifo, Salvatore era il migliore dei colleghi, simpatico e silenzioso al punto giusto. Se non fosse stato per gli orari da panico che faceva in ufficio e le scadenze che Nestri non tardava mai di ricordarle, sarebbe stato tutto perfetto.
Poi, per rovinare ulteriormente una giornata iniziata male, ma che sembrava migliorare, il suo telefono trillò per una mail ricevuta sul suo indirizzo personale: era di Laura, ma c’erano una ventina di contatti in copia, sicuramente era qualcosa legato al maledetto matrimonio. Decise che l’avrebbe letta una volta tornata di sopra perché non voleva guastarsi il suo già precario appetito.
Non avrebbe potuto fare scelta peggiore.
Quando aprì la casella di posta sul portatile, scoprì che già in sei avevano risposto e quindi doveva leggere oltre al papiro di Laura anche quelli degli altri. Il contenuto, riducibile in poche frasi che la sua amica aveva esposto invece in trenta righe, riguardava il regalo per gli sposi; ovviamente lei e Laura ne avevano già abbondantemente discusso, perciò non ci sarebbe stato bisogno di includerla in quella mail, ma una nota sul fondo diretta a lei in persona le spiegava di averne ricevuto copia per comodità. La comodità di Laura, chiaro.
La prima risposta era di Charlie che appoggiava la loro idea di regalare un viaggio di nozze degno di questo nome ai due neo sposini. Poche righe, chiaro e conciso, al contrario della sua fidanzata. La seconda era di Elena, la cognata di Laura, anche lei e suo marito erano d’accordo e proponevano Parigi come meta. La terza, di Filo che era ancora indeciso se fare un regalo da solo o  aggregarsi agli amici, intanto però proponeva New York. Prevedibilmente ci sarebbe andato volentieri anche lui con la coppietta, non poteva esimersi dal fare l’idiota anche via mail.
La quarta risposta la lasciò congelata sulla poltrona.
Il mittente era un contatto esterno alla sua rubrica: m.bressan@sothebys.uk. Più chiaro di così…
Iniziava con dei saluti generalizzati e con l’annuncio non troppo caloroso che sarebbe arrivato a Verona in tempo anche per l’addio al celibato di Jack. Dopodiché, appoggiava in pieno l’idea per il regalo e senza troppi giri di parole chiedeva di fargli sapere la cifra da mettere considerando di includere anche Kate, nessuna proposta per la meta. La mail si chiudeva con un ‘A presto’ decisamente troppo cordiale per uno che non si faceva vedere da sei anni.
Alice inizialmente fu tentata di cancellare tutto subito, poi la curiosità ebbe la meglio e se la rilesse una decina di volte. In fondo era il primo contatto che aveva con lui dopo un sacco di tempo. Scandagliò lettera per lettera fin quasi ad impararla a memoria ed infine rilesse varie volte anche il suo contatto.
Rimase a fissare lo schermo, indecisa se sedare del tutto le sue manie di controllo per parecchi minuti. Alla fine fu Benassi a salvarla con delle questioni di lavoro, abbastanza complesse da richiedere tutta la sua attenzione fino alle cinque.
 
Una volta giunta a casa, però, tutti i suoi scrupoli vennero meno. Si disse che doveva essere preparata perché l’incontro sarebbe stato inevitabile e conoscere il proprio nemico era per ora la sua strategia migliore.
Non l’avrebbe detto a nessuno e nessuno l’avrebbe mai beccata nella solitudine di casa sua, quindi si poteva permettere dopo tanti anni di maschere di sfogare il suo rancore in qualcosa.
Accese il portatile e si sistemò sul divano con la cena su un vassoio, rilesse la mail ancora una volta, dopodiché aprì Google e digitò Sotheby’s.
Il nome le diceva qualcosa ma solo allora si ricordò di averlo sentito nominare proprio da lui, era successo poco prima di Natale a Londra, erano andati a trovare Sergio ma lui voleva assolutamente vedere questo posto e lei non era riuscita a farlo desistere. Era una famosa casa d’asta londinese e già all’epoca Manuel ne parlava con grande interesse. Le bastarono pochi minuti di navigazione per trovare la lista dei dipendenti della sede di Londra. Tra questi figurava Manuel Bressan.
C’era un link sul suo nome, come su quello di tutti gli altri citati, ma il dito tremò un attimo prima di aprirlo.
Di sicuro ci sarebbe stata una sua foto e questo la fece tentennare, aveva distrutto ogni ricordo che aveva di lui affidando i superstiti alle cure di Jack. Era pronta per rivederlo?
Ancora una volta si disse che doveva conoscere il suo nemico perché tanto l’avrebbe rivisto comunque e aprì la sua scheda personale. C’era una foto in bianco e nero come molte delle altre, appariva a mezzo busto e aveva un’aria seria, non doveva essere una foto molto recente, oppure a Londra aveva scoperto il siero della giovinezza. Aveva i capelli più corti dell’ultima volta che l’aveva visto e la barba più sfatta, s’intravedeva una maglietta sotto una giacca più elegante, nulla di più.
Ma le labbra, quelle labbra…
Era ancora bello come lo ricordava.
Nella descrizione in inglese sotto la foto erano elencate poche informazioni. Il suo ruolo di esperto in arte contemporanea e collaboratore del relativo dipartimento da oltre tre  anni, un riepilogo dei suoi studi in Italia e in Inghilterra e una nota che lo definiva tifoso del Chelsea.
Eccola lì, una vita riassunta in quattro righe.
Di colpo le venne in mente che forse anche sul sito del CPMA erano presenti delle informazioni su di lei, e si affrettò a controllare, per fortuna erano solo citati il suo nome e i suoi contatti nel caso anche a lui fosse venuta la malsana idea che aveva avuto lei.
A quel punto però era totalmente immersa nei suoi film mentali su come si sarebbe svolto il loro incontro. Lo scopo primario era evitare di evirarlo al primo minuto, giusto per dargli il tempo di vedere se aveva la faccia tosta di rivolgerle la parola o meno, o se addirittura in un lampo di genialità decidesse di strisciare ai suoi piedi e scusarsi. Quindi doveva essere preparata. E quindi era autorizzata a continuare le sue investigazioni.
Procedette con ordine cercandolo prima sui principali social network, ma in tutti trovò account protetti o completamente oscurati, com’era prevedibile. La seconda mossa fu cercarlo direttamente su Google e qui ebbe alcune sorprese scoprendo che aveva partecipato ad alcune pubblicazioni di cataloghi d’arte e collaborato con curatori per piccole esposizioni. La pagina principale era quella legata la sito di Sotheby’s che però aveva già vivisezionato in lungo e in largo, per cui si decise a compiere la mossa decisiva, quella più meschina ma risolutiva di tutte le sue morbose curiosità.
Per una serie infausta di vicende in passato era venuta a conoscenza della password dell’account di Facebook di Filo, se ne vergognava un po’ ma all’epoca non le venne nemmeno in mente di usare quell’informazione per rintracciare Manuel, mentre in quel momento non si fece scrupoli a violare la privacy di Filo (che tanto poi usava Facebook una volta ogni tre mesi).
Cercò immediatamente Manuel e l’unico contatto riconducibile a lui era un certo Emm Bress, però con grande stupore scoprì che non erano ‘amici’, che anzi condividevano solo l’amicizia con una certa Katelin Marsh Mellow. Sebbene il nome non promettesse benissimo quella donna sembrava essere l’unico collegamento tra lei e Manu; appena aprì il suo profilo Alice capì di aver fatto centro.
L’immagine ritraeva il mezzo busto di una ragazza in bianco e nero. Era discretamente carina, si potevano intuire capelli ricchi e scuri ma gli occhi erano coperti da occhiali da sole che decoravano un volto rotondo e paffuto. Era una bella foto, forse addirittura professionale. Nella foto abbracciava un uomo a cui arrivava a stento alla spalla, di cui però era stato tagliato completamente il volto e gran parte del corpo impedendo di rivelarne l’identità. Nelle informazioni risultava nata a Liverpool ma residente a Londra, dipendente dell’Università di Londra ed impegnata di una relazione complicata con Emm Bress. Quella era la sua nuova ragazza? Quella!?
Dei post non ci capiva praticamente nulla poiché erano tutti in inglese ed era troppo tardi per leggerli con attenzione, quindi si buttò direttamente sulle foto prima che a Filo venisse in mente di entrare nel suo account. Aveva pochi album e almeno duecento foto caricate dal cellulare.
Il primo album erano foto di un casolare in campagna, c’erano alcune ragazze con lei e nella maggior parte lei sorrideva con indosso un abitino a fiori colorato un po’ demodè. Il secondo erano evidentemente foto di una festa, in una di queste era presente Manuel nascosto nella penombra di una terrazza, di lui si distinguevano solo dei jeans che avevano visto momenti migliori, una sigaretta e delle converse verde militare, accanto a lui c’era Katelin ma anche lei era parzialmente in ombra e gli parlava all’orecchio.
Il terzo album rivelò a tutti gli effetti il loro legame. Erano in spiaggia con galosce e cappotto entrambi e tutti gli scatti li ritraevano in posizioni e atteggiamenti conviviali se non addirittura intimi. In alcuni appariva un terzo ragazzo in altre solo lei, Manuel non era mai inquadrato direttamente e indossava sempre occhiali da sole e sciarpone davanti al viso.
Non gli era mai piaciuto farsi fotografare, Alice lo ricordava bene e la consapevolezza di serbare ancora certi ricordi le strappò un sospiro.
Provò a sbirciare le foto caricate del cellulare sperando di trovare un inquadratura decente di Manuel.
Le prime erano cavolate: piatti di cibo, scarpe o accessori interessanti, poi c’erano dettagli casalinghi come un cesto per la biancheria stracolmo con un commento sarcastico sui costi delle lavanderie o lei con una cuffia per la doccia tutta fiori e paperelle. La prima che catturò la sua attenzione ritraeva un uomo seduto con la fronte contro un tavolo pieno di birre e le braccia a penzoloni nel vuoto, c’erano una valanga di commenti riferiti a quello che comprese essere un Manuel particolarmente ubriaco, il più enigmatico di tutti diceva ‘le donne italiane lo perseguitano’.
Dopo un’altra serie di foto di cibo e piatti vari ne trovò una che raffigurava un Manuel a figura intera perplesso davanti al banco frigo di un supermercato la didascalia citava ‘the chef dilemma’, seguivano altre foto di loro di due, in una delle quali lui dormiva sulle sue ginocchia a torso nudo mettendo così un freno ai dubbi di Alice sulla loro relazione.
Spense il portatile con la sensazione di non aver risolto nulla, se non di aver acuito il suo malessere. Si sentiva stanca e per nulla preparata dalla portata dell’evento, anzi tutta la carica e la curiosità che le avevano dato le prime foto era sfociata in un senso di colpa senza ragioni.
Non voleva davvero rivederlo, non aveva idea di come gestirlo ne di come rapportarsi con questa Katelin Marsh Mellow  che era evidente fosse l’amica che avrebbe portato con se in luglio.









Inutile spazio autrice:
Lo so sono in ritardo di milioni di anni... ma ho avuto ottime ragioni. Diciamo.
Ringraziate tutti Sandra... senza il suo betaggio avrei fatto un pasticcio. Grazie mille carissima.
Ho solo tre cose da dire:
-questo capitolo si configura come speculare a quello precedente e ancora non entriamo nel vivo della storia, ma c'è tempo vedrete..
-io odio leggere il linguaggio da social network, ho cercato di evitarlo il più possibili ma in alcuni casi mi scuso ma era necessario.
-Kate si chiama Katelin Mellow, ho scelto di scherzare un po' sul cognome e sulla sua apparenza paffuta e burrosa per questo il gioco di parole con i dolcetti marshmallow e il nome di fb.
Se avete domande sul lavoro di Alice non fatemele... è stato un incubo reperire informazioni su ingegneria e roba varia. Per tutto il resto sarò ben felice di rispondere appena ho tempo.
Non ho nemmeno risposto a tutte le recensioni, proverò di farlo quanto prima. So sorry.
Ora sono le 02:16 del mattino quindi passo e chiudo.
Come sempre su fb sono Fuori Target Efp.
1bacio.Vale




   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: FuoriTarget