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Capelli lunghi e
neri, occhi allungati dalle iridi d’oro liquido, labbra
morbide socchiuse come in un bacio. Indossava una succinta tunica color
bronzo
che l’avvolgeva come una guaina, lasciando scoperte le gambe
quasi per intero.
Un’ampia scollatura disegnava un triangolo che aveva il
proprio vertice
sull’ombelico e proseguiva fino alle spalle, le maniche erano
lunghe e svasate
ai polsi. I lacci dorati dei sandali si avvinghiavano alle gambe fin
sotto al
ginocchio.
La voce calda e
appena un po’ roca della creatura annunciò:
«Io sono la Sfinge.»
Ian
pensò che era bella oltre ogni umana immaginazione.
***
La
divinità si avvicinò con calma verso di lui. Con
un brusco movimento,
Misha lo costrinse a toccare la terra con la fronte. Ian sentiva i
passi della
dea e il cuore che martellava nel petto a un ritmo sempre
più insostenibile.
Lei era sempre
più vicina.
L’aria
divenne immota e pesante da respirare.
Il tempo
sembrò fermarsi quando i piedi della Sfinge giunsero a un
palmo
dal suo volto chinato sul terreno sabbioso.
Ian credette che
era impossibile. Eppure era lì, più vicino di
qualsiasi
uomo alla soluzione del mistero più profondo e angoscioso
che da sempre aveva
tormentato il genere umano. Il mistero cui centinaia di religioni aveva
tentato
di rispondere. Il mistero che la scienza aveva cercato invano di
svelare.
L’attesa
era insopportabile. Il battito nel suo petto, assordante.
La Figlia del
Cielo era lì. Il suo corpo gli faceva ombra.
«Chi
sei?» domandò quella stessa voce, roca e femminile.
Ian aveva
pensato per molto tempo a cosa avrebbe risposto a quella
domanda. Aveva riflettuto a lungo, ben prima di intraprendere quel
viaggio.
Prima di convincere Monika e la USIC. Prima di parlarne
l’anno prima al
generale Freeland.
Fece un lungo
respiro.
Un altro.
«Io...
»
Misha lo
colpì brutalmente con un calcio. «Ti rivolgerai a
lei solo dopo
le parole il tuo corpo è il
più sacro dei
luoghi, il paradiso che il mondo non può eguagliare»
ringhiò la Delicata.
Ian
deglutì. «Il tuo corpo è il
più sacro dei luoghi, il paradiso che il
mondo non può eguagliare. Io sono tuo figlio, mia
signora» disse infine. «Un
tuo figlio lontano. Molto lontano.»
La Sfinge
restò immobile e in silenzio.
Senza sollevare
lo sguardo da terra, Ian indicò con una mano Ty e
Monika. «Anche loro sono tuoi figli, mia signora.»
La dea si
sedette sui talloni. «Guardami.»
Ian
sentì che aveva paura, ma non riuscì a
disobbedire a quella voce.
Allungati,
affilati, ed esaltati dal kohl, gli occhi della Sfinge
effondevano dalle palpebre socchiuse una luce dorata, simili a due
scintillanti
soli gemelli. Era incredibilmente più bella di quanto un
uomo fosse in grado di
sopportare. Ian si sentì perduto.
La dea
inclinò il capo da un lato, come per osservarlo meglio.
«Il
colore dei tuoi occhi...» sussurrò.
Fu allora che
Ian vide ciò per cui lui, Ty e Monika erano venuti fin
lì.
Appesa al collo
con un semplice laccio di cuoio, una piccola clessidra
dorata pendeva tra i seni della Sfinge.
Solo che quella
non era una clessidra.
Era Hyperversum.