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Autore: DeepBlueMirror    01/10/2012    1 recensioni
Nuovo capitolo della serie "Linda":
Anni dopo la morte di Matt e Mello, Linda racconta ad Halle alcuni eventi risalenti ai tempi di una collaborazione con Near durante un'indagine successiva il caso Kira : il rapporto equilibrato e neutro che li lega dall'infanzia si è spezzato, starà a Linda deciderne le sorti. OOC dovuto alla collocazione della storia al di fuori della linea cronologica di Death Note, tra il 2017 e il 2020.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Halle Lidner, Linda, Near, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Linda'
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Levo gli occhi dalla strada per un istante, il tempo necessario per controllare la mia compagna di viaggio addormentata sul sedile del passeggero: ha il viso rivolto verso il finestrino, ma non ho bisogno di vedere la sua espressione per capire che il suo è un sonno tutt’altro che tranquillo. 


Colgo un borbottio che somiglia a una protesta, in una lingua molto diversa dall’inglese, forse un dialetto indiano.


Leah ha alle spalle un passato a dir poco pittoresco: nata senza aver potuto nemmeno vedere sua madre, morta poche ore dopo il parto, ha trascorso l'infanzia con il padre. “Una cameriera scozzese e un pittore inglese, una coppia piuttosto bislacca, non trovi?” ha detto tempo fa, parlandomene. “Non so come si fossero conosciuti, ma penso sia stato un incontro interessante”. L’uomo si è occupato della figlia, senza però smettere di viaggiare in cerca d’ispirazione per le sue opere: Leah non ricorda tutte le mete toccate, ma ricorda bene la terza fiamma del padre, una giovane e ricca indiana, che mi ha descritto come una donna gentile, ma resa malinconica dall'assenza di lui.

"Quell’uomo era capace di viaggiare per mesi, senza farsi sentire né vedere, lasciandomi con qualche donna cui aveva giurato amore eterno, per poi tornarsene con una ancora più bella e agiata... era fatto così. Non facevo in tempo ad affezionarmi a una di loro che venivo trascinata in qualche altro paese dal nome impronunciabile.  L’India fu la mia casa per ben tre anni, un record... mio padre doveva aver trovato un grande amore o l’ispirazione suprema”.


La coppia è morta quando lei ha compiuto sette anni, non ho mai saputo per quali cause: i loro beni sono finiti nelle mani della famiglia di lei che ha rifiutato di accogliere Leah, abbandonandola al suo destino.


“Un anno per la strada. Ho vissuto così, senza vivere la mia condizione in modo tragico. Ero solo uno dei tanti bambini in quelle condizioni, mi feci forza e imparai presto a riconoscere il pericolo e ad evitarlo, così come imparai a procurarmi il necessario per sopravvivere”.  


All’età di otto anni Leah ha lasciato l’India ed è tornata in Inghilterra seguendo un anziano signore vestito alla maniera inglese, con tanto di bombetta e ombrello. 


"Quell’uomo mi salvò la vita” mi ha detto lei con un sorriso. “Era un pomeriggio di luglio, pioveva a dirotto e volevo a tutti i costi salvare un disegno tracciato in terra che mi era venuto particolarmente bene. Ero l’unica imbecille ancora per strada. Quel signore distinto che passeggiava tranquillamente nel mezzo di quel diluvio universale mi ha notata perché ero l’unica cosa da notare e paradossalmente questa è stata la mia fortuna... agire da bastiancontrario. Credo anche che il mio disegno mezzo sciolto nel fango gli fosse piaciuto. Che altro potrei dirti... lasciare l’India non fu così traumatico. Mi mancavano il sole, la natura lussureggiante e il canto del Gange, ma l’Inghilterra ha saputo offrirmi ciò che lì non avrei più potuto avere: una casa, un’istruzione e delle persone che mi hanno voluto bene. ”.

Non abbiamo più parlato del suo passato da quella volta, molti anni fa.



Svolto a destra, immergendomi in un’ennesima via trafficata con il sollievo di chi sa di avere davanti ancora pochi minuti di guida in quel caos infernale che è Los Angeles. Faccio mente locale per richiamare le informazioni fondamentali del caso, così da essere più preparata possibile al mio arrivo. So già che avrò a malapena il tempo per una doccia veloce, meglio ottimizzare i tempi: omicidi seriali, periferia, tre vittime, morte per soffocamento, corpi mutilati, vengono scambiate tra le vittime secondo combinazioni sempre diverse. Sospiro, ritrovandomi a desiderare per una volta un banale furto di gioielli o un omicidio che non sia seguito da una serie di altri delitti più o meno macabri. 


Oltretutto, la meticolosità ossessiva del modus operandi del killer mi ricorda molto...


-Hn…- sospira Leah, assumendo una posizione meno rilassata e sbadigliando vistosamente.

-Due minuti e saremo a casa mia- la informo, rallentando per fermare il veicolo davanti all’ennesimo semaforo rosso.


Spero solo di sbagliarmi.

 

 

-C’è tempo per una doccia e uno spuntino?- domanda, guardando con aria distratta la pioggia leggera che ha iniziato a rigare il finestrino.

-Sì per entrambi, ma solo se sei disposta a farti la doccia con me in cinque minuti e a mangiare un tramezzino al volo.

-Andata- risponde, sospirando e tendendo le braccia davanti a sé per distendere i muscoli intorpiditi.


Verde.


-Hai un’aria meno stanca...- osservo, facendo manovra per infilarmi in un parcheggio miracolosamente libero -...Leah- aggiungo, non resistendo alla tentazione di pronunciare quel nome che da anni risuona solo nella mia testa. Tiro il freno a mano e spengo il motore, voltandomi poi verso di lei: sembra essersi incantata a guardarmi con aria meravigliata.

-Non… non mi avevi mai chiamata per nome.

-Lo so.

-Non pensavo nemmeno te ne ricordassi.

-Potrei dire lo stesso… quella sera eri sconvolta, devi essertelo lasciato sfuggire senza volere.

-No.

Incrocio i suoi occhi castani, notando che per la prima volta da quando ci siamo riviste sono vagamente sorridenti: -Se ti ho detto il mio vero nome, è perché volevo che tu lo sapessi- risponde, aprendo la portiera e lasciando l’abitacolo, attendendo che faccia lo stesso per avvicinarsi e proseguire. -Dal mio ingresso in orfanotrofio in avanti ho voluto bene a pochissime persone, nessuna delle quali ha mai saputo il mio nome. Quella sera in particolare … Matt … insomma, non gliel’ho mai detto, e non avrei più potuto farlo. Tu eri lì, mi sei stata vicina per giorni, era il modo migliore per dimostrarti quanto te ne fossi grata.

Mi sento piuttosto stupida per non aver capito le sue intenzioni di quella sera, ma Leah non era in sé, l’avevo trovata in lacrime, accanto ad un portatile distrutto e a un ritratto lasciato a metà; non aveva parlato per ore, limitandosi a piangere in silenzio una lacrima alla volta fino a riguadagnare abbastanza controllo di sé per mormorare con voce spenta “Quell’idiota”.

-C’è sempre una certa persona che ha pazientemente atteso che ti rifacessi viva- le dico, stringendola gentilmente a me per qualche secondo. -E che mi ha permesso di trascinarti nuovamente fin qui per rivederla. Pensi possa essere un buon partito?

-Certo, signora Bennet. Combinatemi un incontro durante il prossimo ballo, così che io possa elegantemente gettarmi tra le sue braccia- replica in tono infastidito, ma con il sorriso sulle labbra.

Mi limito a ridere della citazione del nostro libro preferito degli anni del liceo: -Muoviamoci, o sarai costretta a rinunciare allo spuntino.

 


 

-Buon pomeriggio, Lidner.

-Anche a te, Gevanni- rispondo con un lieve sorriso, sorpassandolo. Leah rivolge un saluto al mio collega, intento a programmare il sistema di sicurezza affinchè la mia amica possa aggirarsi nella struttura senza scatenare allarmi e trappole; noto che ad ogni passo mosso nel lungo corridoio illuminato la sua espressione sembra rabbuiarsi.

-Tutto bene?- le sussurro, guidandola verso la sala monitor principale.

-L’ultima volta che ci siamo viste avevo una pianta carnivora nello stomaco- bisbiglia lei con aria cupa. -Deve essersi riprodotta.

Ridacchio, sfiorandole gentilmente un braccio:- Andrà bene- la rassicuro, fermandomi davanti all'ingresso. -Non posso venire con te, purtroppo, c’è un indagine in corso cui devo immediatamente prendere parte.

-Non devi parlare con… Near? Non è lui a capo delle indagini?- domanda, esitando come ogni volta che è costretta a pronunciare il suo nome.

-Sì, come sempre è lui a capo delle indagini, e no, quello è compito tuo- ribatto con serietà, guadagnandomi un suo sguardo esasperato. -Per oggi lavorerò con Gevanni e Rester. Coraggio, Linda.

Dopo aver sorriso del cambio di nome, Leah fa un passo in avanti, attendendo l'apertura automatica della porta.

Poi entra.

 

 










 

-Coraggio, Linda.


Deglutisco nervosamente, lasciandomi però sfuggire un sorriso.

Linda, eh.

Nella mente degli eredi di L è ben impressa sin da subito una regola che persino gli scapestratissimi Mello e Matt non hanno infranto sino a quando non stati certi di essere giunti al capolinea: non rivelare mai a chiunque per alcun motivo informazioni sul proprio passato, specialmente il proprio nome.

Ma Halle non è “chiunque”, è l’unica persona ancora in vita che si sia presa cura di me in questi anni; inoltre comincio ad essere stanca di tutta questa segretezza... dopotutto, Kira è morto, e per quanto riguarda il mio ruolo come ipotetico successore di L è estremamente improbabile che mi tocchi una tale incombenza: prima di me ci sono altri diciotto membri della Wammy’s.

Che io mi chiami Linda, Leah o Jessica Rabbit comincia a non fare più particolare differenza.

 

La porta si richiude alle mie spalle, mentre i miei occhi vagano su quel poco che c'è da vedere: la solita fredda luce artificiale, i soliti monitor, il solito silenzio, riempito solo dall’eco dei miei passi.Mi muovo in linea retta, fino a posizionarmi al centro esatto della stanza:-Near?- chiamo, confusa dall’assenza di risposta. Non riesco a vedere la sua sagoma bianca in nessuno degli angoli della stanza dove era solito stare.

Sono passati anni, Linda… potrebbe aver cambiato abitudini, mi dico, dimenticando poi la faccenda per un istante.


Chissà quando ho cominciato a pensare a me stessa come Linda… forse è stato per evitare che mi sfuggisse involontariamente ad alta voce il mio vero nome. Sembra che Halle invece non lo faccia.


Percorro la stanza con lo sguardo un’ultima volta, notando finalmente qualcosa di diverso: una piccola porta, sempre in acciaio, quasi mimetizzata con il resto della parete non coperta da schermi. Mi avvicino, sentendomi peggio ad ogni passo.


Un ascensore.


Premo il pulsante di chiamata, attendendo impazientemente che le porte si aprano; una volta entrata, scopro che da qui è possibile muoversi solo di un piano verso l’alto.

La mia corsa dura pochi secondi, le porte si aprono su una stanza meno illuminata della precedente.


No, un corridoio, non una stanza.


Mi muovo cautamente, disorientata: non sono mai finita in quest’ala della struttura, non ho idea di dove mi trovi. La locazione e le dimensioni dell’ascensore lasciano pensare che sia una zona in cui Near è solito recarsi, ma non riesco a dedurre nient’altro. All’inizio del corridoio ho visto delle scale, quindi non è di recente costruzione...


Devo smettere di pensare a cose che mi fanno sentire uno straccio.


Sospiro, tornando a concentrarmi sul percorso e ritrovandomi di fronte ad un ingresso ampio e senza porte d’alcun genere, un semplice foro rettangolare nella parete, circa due metri d’altezza per tre di larghezza.

Varco silenziosamente la soglia, apprezzando l’illuminazione tenue presente nella stanza, piacevole nonostante la sua natura artificiale.

Davanti ai miei occhi fa mostra di sé un’ampia finestra spalancata attraverso la quale fa il suo ingresso un vento freddo e umido, portando nella stanza gocce di pioggia serale.


Davanti alla finestra, di schiena, siede il mio peggiore incubo degli ultimi tre anni, colui che ho desiderato non incontrare mai più, rimuovere dalla memoria.

Tutto questo perché ciò che egli è oggi è essenzialmente colpa mia.


Avrà freddo, immagino.

Si è sistemato in piena corrente, il capo reclinato all’indietro, incurante delle gocce che sono certa lo colpiscano ritmicamente ogni secondo che passa.


Sa che sono qui.


 

-य़ह ठंड है ... तुम बीमार हो सकता है.


 

Osservo il rapido movimento del suo capo, ora rivolto verso di me.

-Ho detto: fa freddo, potresti ammalarti- traduco, osservando con aria seria i suoi movimenti.


Il perchè il mio cervello abbia scelto l'hindi e non l'inglese è qualcosa su cui ora come ora non ho voglia di interrogarmi.


Ritrovarmelo davanti, il suo solito sguardo puntato con gravità sul mio volto, le labbra schiuse, pronte a lasciar fuggire qualche parola e al tempo stesso incapaci di portare a termine il loro compito, mi inquieta.

Comincio inevitabilmente a ripensare a ciò che per tre anni ho tentato di dimenticare.


Non è un buon segno... non è mai un buon segno quando mi vengono i brividi, specialmente in luglio. Deve esserci qualcosa che non ho notato, in questa stanza... qualcosa di

pericoloso.


-Non dici nulla?- provo, tentando di distrarmi.

Near piega il capo verso destra, senza smettere di fissarmi:-Bentornata.


Ho paura che lui non capisca. Che non capisca che in questo momento esatto stiamo rischiando di giocarci la nostra stessa vita. Che non veda quello che sto cercando disperatamente di suggerirgli...


Oh, no.

Così non va bene, posso resistere all'ondata di ricordi indesiderati, ma non alla combinazione ricordi-gentile accoglienza da parte di chi dovrebbe bersagliarti di insulti: mi ritrovo a passare dallo sbalordimento totale alle lacrime nel giro di pochi secondi 

Mi sento un’imbecille, ormai basta qualunque cosa per ridurmi in questo stato... una volta non avrei pianto nemmeno sotto tortura fisica o psicologica, ma ormai ciò che avevo appreso come possibile erede di L stava lentamente svanendo nei meandri della mia memoria... un processo iniziato durante la mia relazione con Matt e accelerato notevolmente dopo la sua morte.

E il mio rapporto discontinuo e turbolento con Near non ha certo giovato.


-Dobbiamo sbrigarci, non è il momento di perdere la testa. Tu occupati di lei, noi ci muoveremo più in fretta possibile.

-D’accordo... Linda, per favore, cerca di calmarti...

 

Continuo a perdermi in un mare di immagini che mi fanno provare ondate di ribrezzo verso me stessa.

-Ti fa davvero piacere che io sia qui?- domando, mutando il carico di emozioni inappropriate in un commento costruttivo: non posso mostrarmi debole davanti a lui, non dopo quello che ha passato per colpa mia.

-Se così non fosse, non avrei chiesto ad Halle di tentare di convincerti- risponde lui, passandosi le dita tra i capelli umidi di pioggia e guardandomi come se avessi appena detto una cosa molto stupida.

 

-No che non mi calmo! Non avresti dovuto! Io ero sacrificabile! IO! Lui no! Doveva capirlo... dovevi capirlo!

-Linda...

-Ho fallito... ho fallito nell’unico compito che mi era stato assegnato.

-Cosa... Lui ti ha chiesto...?

-Ho fallito... devo... andarmene... 

 

Non avrei dovuto andarmene a quel modo.

Proprio no.

 

Davanti a questa rivelazione tanto scontata quanto illuminante, la mia mente sembra riuscire per un secondo ad accantonare ogni pensiero cupo e autoreferenziale.


Alla fine, l'unica cosa realmente importante da considerare è questa: Near non mi ha mai abbandonata.

Nonostante tutte le difficoltà, le distanze spazio- temporali, le incomprensioni e il destino che gli è toccato, ha sempre atteso silenziosamente il mio rinsavire.

Non posso continuare a crogiolarmi nel mio dolore come una moderna Deianira, gli devo tutta la fiducia che in questi anni non ho riposto in lui.

Gli dimostrerò quanto la mia condotta passata abbia poco a che fare con lui e tutto con la mia incapacità di affrontare un futuro più instabile e duro di quanto avessi mai ipotizzato.

 

-Mi dispiace- mormoro, tormentando con fare piuttosto infantile il lembo della camicia prestatami da Halle .

Near sorride lievemente, notando il mio goffo tentativo di porre rimedio alla mia condotta passata come farebbe un bambino sorpreso con le mani nella marmellata da una madre molo severa.

-Lo so- replica semplicemente, tornando a voltarsi verso la finestra spalancata.

 

Non so cosa rispondere.

Forse perché dopotutto non c’è altro che io possa aggiungere.

Decido quindi di tacere, accoccolandomi ai suoi piedi e tenendogli compagnia finché riterrà la cosa di suo gradimento.

 

E rifiutando categoricamente di posare gli occhi sulla sedia a rotelle sulla quale l’ho costretto a passare il resto della sua esistenza.

 

 




 

 

Aggiornamento breve (?) e faticoso.


Devo decisamente smettere di promettere aggiornamenti rapidi, lo so.

Mi piacerebbe dire che non è stata colpa mia, ma la verità è che, per quanto quest’ultimo periodo sia stato uno dei più difficili della mia vita ( so che a vent’anni suona ridicolo, ma è stato davvero orribile), avrei sicuramente potuto aggiornare in tempo.

La prova di tutto ciò sta nel fatto che mi ritrovo qui, con 39 di febbre e un raffreddore micidiale, a lasciarvi un nuovo capitolo.

 

Per la cronaca, la mia scelta è ricaduta sullo studio della psicologia.

Ho intenzione di impegnarmi a fondo, per questo CREDO che le mie visite sul sito si faranno ancora più rade, pur continuando a lavorare alla storia.

Perciò, autrici le cui storie seguo con entusiasmo da tempo, non linciatemi se non troverete commenti alle vostre storie, saprò farmi perdonare.

 

Sappiate che i vostri commenti sono sempre una gioia, soprattutto dopo mesi di incertezze e instabilità emotive.

Sappiate anche che il ritmo lento corrisponde ad un enorme lavoro di scavo psicologico dei miei due amati personaggi; ho passato ore ed ore a studiare il loro linguaggio verbale e non, spero apprezzerete il risultato.

Linda si è comportata male finora, cosa diavolo ha combinato?

Avrebbe sicuramente potuto agire in modo migliore, ma ha tutto a che fare con la mentalità acquisita più o meno inconsciamente alla Wammy's House. Chi ha già letto "Linda's Portraits" (quindi tutti voi, vero? :) ) dovrebbe già conoscere qualcosina del suo carattere, qualcosa che Mello ci aveva raccontato... questo dettaglio potrebbe suggerirvi qualcosa sul "fallimento" di Linda, o meglio, su quanto la sua lunga fuga sia stata sensata o meno.

Si capirà.

Near lo ha capito?

Forse ha intuito qualcosa, sicuramente ha disapprovato i tre anni di silenzio, as you saw. 

Forse non ne ha ancora realmente capito le motivazioni.

Chi è Deianira?

Vediamo, è la moglie di Eracle, la tragedia cui faccio riferimento sono Le Trachinie di Sofocle.

Eracle se ne torna dalla conquista della città di Ecalia con la bella e giovane Iole, figlia del re sconfitto. Deianira tenta di farlo reinnamorare di lei, ma la sua ingenuità condurrà alla morte dell'uomo, in seguito alla quale, disperata, si suicida... la storia è questa, in sintesi estrema.

 


La storia passata di Linda è qualcosa che ho sempre voluto scrivere.

 

 

Il perché della paresi di Near verrà svelato, non temete.

 

Vi abbraccio, perdonate il commento-romanzo :)

Irene

 

  
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