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Autore: Elpis    01/10/2012    10 recensioni
I personaggi di Kodocha sono cresciuti.
Sana è felicemente sposata con Akito, Naozumi convive con Fuka, Tsu ed Aya sono addirittura diventati genitori. Quanto a Rei, continua ad essere il manager affettuoso della sua pupilla e a coltivare il suo idillio con Asako.
Quattro coppie, ognuna con un passato diverso alle spalle.
Quattro coppie i cui destini si intrecciano in un gioco di linee dai contorni non ben definiti.
E se bastasse un test di gravidanza a ingarbugliare tutto e a rompere quei delicati equilibri?
Estratto 15° capitolo:
"Kami, vi prego, fate che almeno il bambino si salvi".
Una parte di lei avrebbe solo voluto abbandonarsi al vuoto dell'incoscienza, l'altra lottava per mantenere a fuoco ciò che la circondava e rimanere presente. Avvertiva un gran vuoto all'altezza del petto, un vuoto da cui nemmeno il dolore delle contrazioni riusciva a distrarre.
"Posso essere egoista, almeno per un momento?"
C'era un nome che martellava nella sua mente, più forte della voce dei medici, più insistente del rumore dei macchinari elettrici, più penetrante della paura.
"Akito-kun.
Ho bisogno di te, Akito-kun."
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Fuka Matsui/Funny, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Endless Love'
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Fantasmi dal passato
 

 
 

 "Take any form, drive me mad!
Only do not leave me in this abyss
where I cannot find you...” (1)
 
 

 
 

« E mentre la regione di Osaka è scossa da violenti acquazzoni...»
La voce gli giungeva distorta. Le vocali erano amplificate, gli acuti gli ferivano gli orecchi. Era steso su qualcosa di morbido, gli pareva che quella ovatta lo risucchiasse, pronta a divorarlo al suo interno. Allungò una mano e la punta delle dita sfiorò qualcosa di soffice, spugnoso.
In un lampo di lucidità Akito Hayama intuì di essere riverso sul divano del salotto.
«... le autorità raccomandano ai cittadini di prendere le dovute precauzioni... »
Le parole della conduttrice gli piovevano addosso come una buffa cantilena. Il suo accento era ridicolo, persino peggiore di quello di Fuka, e gli faceva venire voglia di ridere. L'ilarità era simile a tanti sassolini incastrati in gola, avrebbe voluto riversarla fuori, ma sembrava che non riuscisse a trovare la strada giusta e preferisse turbinargli in pancia.
Niente di nuovo, A-chan. Quando mai sei riuscito a tirare fuori qualcosa di quello che sentivi dentro?
Il tono di rimprovero era quello di Kurata. Avrebbe voluto girare la testa ma aveva la brutta sensazione che se solo avesse mosso un muscolo si sarebbe schiantato al suolo, come precipitando da metri di altezza.
Vertigini.
Era steso sul suo divano, eppure si sentiva come sul picco dell'Himalaya.
Con un gemito di puro sconforto si issò sulle braccia, finendo disteso a pancia all'aria.
Dopo tutti questi mesi, sarei davvero risposto a buttarmi con un paracadute pur di vederti ancora, Kurata.
La stanza era quella di sempre. Bianca, vuota, fredda. Con il telecomando in bilico sul tavolino, la tv accesa con i suoi colori squillanti e la bottiglia di gin quasi vuota sotto il suo naso.
Aggrottò le sopracciglia, confuso.
Non era piena fino a cinque minuti fa?
La stanza iniziò a turbinare, i contorni del tavolino si disfecero in una macchia colorata.
Socchiuse gli occhi, sperando di porre fine al senso di nausea che d'improvviso gli aveva aggredito le budella.
Sono io o in questa stanza tutto si muove?
Un grugnito sordo gli uscì dalle viscere mentre si girava sul fianco. Una voce femminile gli solleticò le orecchie, come una mosca fastidiosa.
A-chan! A-chan!”
Provò ad ignorarla, ma quella tornava, un ronzio sempre più frequente. Era acuta, irritata, stridula.
A-chan! Non hai lavato i piatti, non è vero? E scommetto che non hai nemmeno fatto la lavatrice come ti avevo chiesto.”
Natsumi? Gli sembrava di vederla con la coda dell'occhio, i capelli corti fin poco sotto le orecchie come quando era piccola. Che cosa ci faceva lì a Tokyo, nel suo appartamento? Come aveva fatto ad entrare?
« Onee-san... » borbottò con la bocca impastata.
Le labbra di Natsumi si piegarono in una linea dura.
Quante volte devo dirti di non chiamarmi in quel modo? Non ci tengo a ricordarmi che siamo parenti... Kami, quanto vorrei che tu non fossi mai nato!”
Stringeva i pugni talmente forte che sul palmo le sarebbe rimasto il segno delle unghie. In un flash improvviso ricordò le grigie giornate della sua infanzia, quando si concentrava sul palmo delle mani di sua sorella e cercava di desumere da essi il suo umore. Se i palmi erano arrossati e le unghie mangiate fino al midollo, voleva dire che doveva cercare di stare zitto e attirare l'attenzione il meno possibile. In quei momenti bastava un nonnulla per far scattare Natsumi.
Ma le cose adesso sono cambiate, no?
« Credevo che avessimo superato la fase in cui mi urlavi contro ».
Nella sua mente quelle parole dovevano avere un filo logico. Difficile dire se quello che era uscito dalla sua bocca fosse un mugolio distinguibile o meno. Natsumi, comunque, sembrò capire, perché aggrottò la fronte e gli rivolse uno sguardo gelido. Poi rise, una di quelle sue risate finte che gli facevano formicolare le punte dei polpastrelli per la voglia di colpire qualcosa.
Superare? Come potrei mai superare il fatto che hai ucciso nostra madre? Nemmeno fra un milione di anni, Akito-kun!”
Non voleva sentire quelle cose. Provò ad alzarsi di scatto, ma un improvviso giramento di testa lo costrinse ad aggrapparsi alla spalliera della poltrona per non scivolare per terra.
« Vattene... vattene via... » bisbigliò agitando con aria stanca una mano.
La sua risata artefatta gli risuonò ancora nelle orecchie.
Posso andarmene, ma questo non cambierà quello che sei... Tu non sei un bambino come gli altri, sei un mostro, sei il figlio del demonio! Se nostra madre avesse immaginato cosa saresti diventato, non ti avrebbe mai fatto nascere!”
Chiuse gli occhi, provando ancora quella curiosa sensazione di sprofondare. Andava alla deriva in un mare fatto di suoni e sprazzi di colore.
C'è troppa luce qua dentro. Dovrei alzarmi, spegnare tutto. Buttare fuori Natsumi e tornare ad affogarmi con il gin.
Una pessima idea, Akito-kun. In queste condizioni domani non potrai nemmeno andare a lavorare. Contando che è l'unica cosa che sai fare, non mi stupisce che tu voglia mandare all'aria anche quello.”
Papà? La voce era inconfondibile. Provò ad alzare la testa e la luce del comodino gli ferì la retina. Non lo vedeva da nessuna parte, ma non poteva sbagliarsi. Solo lui aveva quel modo particolare di parlare, lieve ed educato come se stesse disquisendo del tempo. Così calmo e composto anche quando dentro bruciava.
« Papà? Ma cosa... Dove è andata Natsumi? »
Se socchiudeva le palpebre gli sembrava di vederlo lì, seduto al suo fianco sulla poltrona. Quel completo grigio – il completo da lavoro – che indossava sempre, anche quando stava in casa. Quasi come se non si sentisse a suo agio senza quello indosso, quasi come se la sua vera famiglia fosse l'impresa per cui lavorava.
I baffi fremettero per quella domanda.
Le hai detto tu di andarsene, no? Immagino che sia da qualche parte a farsi quei brutti tagli con la lametta.”
« Che cosa... che cosa stai dicendo? »
Chi aveva aperto la finestra? Da dove arrivava quel gelo improvviso, quella voglia di raggomitolarsi fino a toccare con la punta del naso le ginocchia?
Un sorriso, appena un accenno, sul volto stanco di suo padre.
Non far finta di non sapere, Akito-kun. Lo avevamo capito entrambi che tua sorella si faceva del male apposta. Se guardi con attenzione si notano ancora quelle piccole cicatrici bianche sugli avambracci.”
Basta.
Avrebbe voluto urlarlo. Perché erano tutti lì? Che cosa volevano da lui?
Che cosa vogliamo da te, Akito-kun? Niente. D'altronde nessuno si è mai aspettato che tu riuscissi a combinare qualcosa di buono nella tua vita...”
Glielo disse con il tono leggero di chi ordina qualcosa per cena. Come se fosse un assioma inconfutabile, una verità sulla bocca di tutti.
Ma non è così. Esiste ancora qualcuno che crede in me.
Kurata.
« Stai mentendo. Sono solo cazzate ».
Gli pareva che la lampada fosse sul punto di staccarsi e crollargli addosso. Istintivamente si parò la faccia con le braccia. La lampada rimase al suo posto, ma gli caddero addosso le parole di suo padre e fu ancora più doloroso.
Oh, parli di Sana-chan. Una ragazza adorabile.”
« Lei.. lei ha avuto fiducia in me » bisbigliò con un grumo sempre più consistente in gola.
Kami, se fa male pensare anche solo il suo nome.
Vide suo padre annuire con la coda dell'occhio, mentre si lisciava i baffi con un gesto distratto.
Sì, penso di sì. E guarda che fine le hai fatto fare, eh?”
Il grumo stava diventando un macigno che gli occludeva la trachea.
« Sta bene. Sana starà bene ».
Un sorriso storto, tirato.
Non ci credi nemmeno tu, non è così? E come potresti con quel figlio che le cresce nel ventre con la velocità di un cancro... Tale padre, tale figlio. La storia è destinata a ripetersi, non credi anche tu?”
« No! » la voce gli era salita roca alla labbra, in un afflato improvviso. Forse stava urlando, ma non gli importava. « Sana è forte... Lei... lei ce la farà, lei ha promesso che sarebbe sempre rimasta al mio fianco...»
Ce la farà. Non morirà. Non può morire.
Era una litania continua, una cantilena alla quale aggrapparsi per non sprofondare nel vuoto.
La risata di suo padre aveva il suono di un ingranaggio arrugginito.
Perché non glielo chiedi di persona, Akito-kun?”
Girò il collo così velocemente da avvertire un dolore lungo la spina dorsale. Non gli importava. Se non batteva le palpebre, riusciva a vederla quasi nitida.
Kurata.
Proprio lì, in mezzo a quel salotto che d'improvviso non sembrava più tanto bianco. Come sempre, la prima cosa a catturare il suo sguardo furono i suoi occhi di cioccolata.
Ogni volta mi ci perdo, Kurata. Mi chiedo se ti rendi conto dell'effetto che mi provochi.
Abbracciò la sua figura intera e un prepotente moto di orrore gli assalì le viscere.
Il ventre era gonfio, prominente. Sporgeva dal vestitino leggero, un orrendo bozzo che sembrava sul punto di esplodere.
« Kurata... »
Era un lamento. Una supplica. Non gli importava di apparire penoso in quelle condizioni. Provò ad alzarsi, perché non tollerava di starle lontano.
La stanza ondeggiava, l'unico punto fermo era lo sguardo dolce di Sana, a pochi passi da lui. La vide sorridere e venirgli incontro con le mani protese.
« Sana-chan... »
Era seduto sul divano e Kurata era ad appena pochi centimetri. L'orlo del suo vestito gli sfiorava le ginocchia, il pancione enorme era proprio sotto i suoi occhi.
« Sei qui. Finalmente » mormorò con la voce roca.
Sana si limitò a sorridere.
Già è qui. Difficile non notarla con quella stazza, eh? Ormai deve essere prossima al parto.”
No. Non è possibile. Era appena ai primi mesi... C'è tempo, c'è ancora tempo...
Eppure la pancia si stagliava proprio sotto i suoi occhi, tonda e gonfia.
Allungò l'indice, fin quasi a sfiorarla. Kurata sorrideva di quel suo sorriso di bambina, come se non avesse un problema al mondo.
Sana-chan... Come ho potuto farti questo?
I polpastrelli toccarono la stoffa leggera del vestito. Istantaneamente una smorfia contrasse il volto di Kurata. Ritrasse la mano di scatto, quasi come se di pentisse di quel suo gesto improvviso. Ma i lineamenti di lei rimasero increspati, un dolore profondo a scavarle le viscere. Sana aprì la bocca, per urlare, ma non una parola uscì dalle sue labbra.
« Che cosa le sta succedendo? »
Si voltò verso suo padre, smanioso di risposte. Lui sembrava l'unico in quella stanza a sapere cosa stava per verificarsi.
È il bambino.” rispose con calma serafica. “Immagino che il momento del parto sia prossimo.”
Un brivido lungo la schiena, come un colpo di frusta. La sensazione di non riuscire a respirare, i polmoni colmi di un liquido di gelida paura che impediva loro di contrarsi.
« No! »
Non avrebbe saputo dire se fosse un urlo o una preghiera. Forse entrambi, ma era inutile, era tutto inutile perché Kurata incassava le spalle scossa da silenziosi spasmi e le sue mani si stringevano inconsciamente intorno alla pancia.
Il bozzo del ventre era deforme e sembrava ingrossarsi ancora di più di secondo in secondo. Strane protuberanze apparivano a tratti, come se la cosa nel suo ventre calciasse, cercando di farsi strada aprendo uno squarcio nel ventre di Kurata.
« No! »
L'urlo era profondo, roco, animalesco.
Non Sana, ti prego. Tutti ma non lei. Sono disposto a pagare con la vita per gli errori che ho commesso ma ti prego, ti supplico, non portarmi via Sana.
La risata di suo padre gli risuonò nelle orecchie.
Ti sei ridotto a pregare i Kami, Akito-kun? Non lo sai che è inutile ribellarsi al proprio destino, figliolo?”
Gli sembrava di averlo proprio sotto agli occhi il volto di suo padre, quella ruga di concentrazione che gli increspava la fronte, quelle occhiaie scure che parevano mangiargli gli occhi.
Non ti eri davvero illuso di esseri lasciato il passato alle spalle?” continuò a deriderlo mentre Kurata si allontanava progressivamente dalla sua visuale. “Sei un assassino, Akito-kun. Lo sei fin dal tuo primo respiro in questo mondo. Era solo questione di tempo prima che tu finissi per uccidere anche lei...”
Assassino.
« Kurata! » provò a chiamarla anche se sapeva che era inutile.
Assassino.
Gli sembrava che la voce di suo padre gli gridasse quella parola nelle orecchie, in un eco impossibile da sopportare.
« No, ti prego. Non questo, non di nuovo... »
Assassino.
La testa era sul punto di esplodere. Sotto gli occhi si affollavano una marea di volti indistinti.
Sua madre, nelle poche foto sulle quali era riuscito a posare lo sguardo. Natsumi e le sue mani scorticate. Mami che ingoiava acqua nello stagno dietro la scuola. Suo padre che allentava il nodo della cravatta appena entrato a casa. La Sensei con le lacrime agli occhi per il suo ennesimo scherzo. Komori e quella lama di pugnale che brillava come se bruciasse.
Kurata.
Assassino.
Era come se ogni singola sinapsi si stesse ribellando a tutto quel dolore. Gli pareva di affogare e soffocare insieme, un abisso nero che lo trascinava sempre più in basso. Percepiva dei rumori di sottofondo, ma non era sicuro che corrispondessero alla realtà. Il portone che si apriva, voci maschili che si propagavano nell'atrio.
« Va avanti così da almeno mezz'ora. Lo abbiamo sentito urlare dal piano di sotto e ci siamo preoccupati... »
Non aveva senso. Niente aveva senso.
« Ci dispiace averla fatta venire fin qui, ma Hayama-san ci ha detto di chiamare lei in caso di emergenza. Ha detto che le aveva lasciato una chiave di scorta e che avrebbe saputo cosa fare...»
« Avete fatto benissimo a chiamarmi, signori Fuji. Non preoccupatevi di niente, penserò io a lui ».
Forse si trattava solo di un incubo. Un brutto sogno partorito dalla sua mente stanca. Forse presto si sarebbe svegliato e avrebbe scoperto che Kurata era al suo fianco con quella sua vita esile che poteva tranquillamente stringere con un braccio.
Un rumore di passi. Vicini. Sempre più vicini.
« Akito-kun...»
La voce aveva un suono familiare, stranamente confortante. Provò ad aprire le palpebre pesanti e la prima cosa che i suoi occhi registrarono furono due lenti spesse, dalla montatura robusta.
« Tsu » mormorò con un certo sforzo.
Gli parve che quello sorridesse, prima di scuotere la testa.
« Come hai fatto a ridurti in queste condizioni, eh? Ti sei scolato un'intera bottiglia ».
Un sorriso amaro affiorò stancamente sulle sue labbra.
« Lei morirà, Tsu. Moriranno entrambi, Sana e il bambino. E la cosa peggiore è che è quello che mi merito ».
La vista tremolò mentre anche le sue orecchie gli giocavano un brutto scherzo. Gli sembrò di aver sentito Tsuyoshi bestemmiare, ma era una cosa troppo assurda per essere vera. Poi si sentì strattonare verso l'alto e gli parve che le budella gli si rovesciassero.
« Andiamo che ti metto a letto, sei ubriaco fradicio » fu l'ultima cosa che udì prima di rimettere anche l'anima.
 
 
***
 
 
L'odore di viole era forte nell'aria e si spargeva come una carezza sul viso.
Sapeva che era la sua pelle ad emanare quel profumo eppure non riusciva a capacitarsene.
« Dovremo fermarci ».
Era una preghiera, un'inconscia richiesta di assoluzione. Era la speranza che fosse lei a trovare la forza per porre fine a quello sbaglio.
La sentì irrigidirsi fra le sue braccia e rovesciare la testa indietro per fissarlo direttamente negli occhi.
« Avremo dovuto farlo molto tempo fa » gli rispose arricciando un angolo della bocca
Deglutì un misto di saliva e senso di colpa.
« Siamo ancora in tempo ».
I canini bianchi affondarono nel labbro, in un gesto inconsciamente sensuale.
« No. Non lo siamo più... » gli soffiò contro prima di spingersi di nuovo contro il suo corpo.
Mentre la sua lingua gli forzava le labbra e le sue forme morbide gli premevano contro il petto, sentì di nuovo quella curiosa sensazione di abbandono, lo spegnersi della razionalità.
Stava sbagliando, di nuovo, e lasciò che il piacere che gli dava quella consapevolezza lo inondasse del tutto.
 
 
***
 
« E azione! »
Ormai erano ore che stavano provando quella stessa scena.
Non sarebbe stato un problema, se non fosse che le sembrava che il mal di testa la stesse per uccidere.
« Stop! Kurata andiamo, un po' di serietà! Questo pedinamento sembra una pagliacciata! »
La voce del regista era ruvida. Sussultò, producendosi in un ormai abusato sorriso di scusa e cercò di racimolare la concentrazione.
In realtà non avrebbe dovuto fare un granché. Solo seguire Kurumi, attenta a non farsi scoprire. Lei era il detective e Asako il soggetto da pedinare.
Semplice, intuitivo.
Ma non ce la faccio più. Lo stomaco mi gorgoglia dalla fame e la mia vescica sta per esplodere. Girare un film quando si è incinta si sta rivelando più complicato di quanto credevo.
Gettò un'occhiata in tralice a Rei che si agitava nervoso sulla sedia. Convincerlo a non rivelare le sue condizioni al resto del cast era stata stranamente una faticaccia. Credeva che sarebbe stato più che felice di mantenere il riserbo visto che questo avrebbe potuto ostacolare la sua carriera, invece per una volta sembrava che l'ambizione avesse lasciato il posto all'ansia per le sue condizioni di salute.
« Kurata! Non puoi correre un po' più forte? Sembri una lumaca! »
Strinse le labbra, trattenendosi a fatica dallo sbuffare.
Avrei potuto farlo mezz'ora fa. Adesso sarei un po' stanca, se permette.
Ricacciò la battuta salace dentro la gola, accelerando l'andatura. Sapeva che avrebbe dovuto ingoiare qualche rospo quando aveva deciso di continuare le riprese nonostante il suo stato. Certo, se avesse detto la verità anche solo al regista, probabilmente questo si sarebbe dimostrato più comprensivo.
Ma so bene come vanno queste cose. Posso implorarlo di mantenere il segreto, ma nel giro di una settimana qualche giornalista riuscirà ad estrapolare la verità. E allora sarebbe un inferno.
Un brivido le attraversò la schiena nell'immaginare la torma di reporter che la assillava con le sue domande. “Come si sente di fronte alla prospettiva di crescere un figlio da sola?” “Questa sarà forse la fine della sua carriera?” “Perché suo marito l'ha abbandonata?”. Chissà, magari con un po' di inventiva sarebbero riusciti a coinvolgere anche Naozumi. Alcuni giornalisti più tenaci non si erano rassegnati al fatto che fra loro due non ci fosse del tenero. “Vuole rivelarci chi è veramente il padre del bambino? Forse Kamura?” le avrebbero chiesto ammiccando.
Improvvisamente correre stava diventando più facile. La rabbia sottile che le scorreva nelle vene serviva momentaneamente a ricaricarle le batterie.
Ce la farò. Posso farcela. Non voglio i reporter sotto casa.
Si scostò nervosamente i capelli dal viso, pensando che non aveva davvero bisogno di altre persone che le ricordassero Akito e il dolore per il suo abbandono.
 
 
 
Note:

1. Si tratta di una citazione di Cime Tempestose pronunciata da Heathcliff dopo la morte di Catherine. Vi riporto la traduzione. Assumi qualsiasi forma, fammi impazzire! Solo non lasciarmi in questo abisso dove non riesco a trovarti...”


 
 
 
Ciao a tutti!
Mi scuso per questo pazzesco ritardo. La prima parte del capitolo è un po' sconclusionata perché Akito è ubriaco e quindi i suoi pensieri non seguono un filo logico. Spero che sia comunque leggibile, come sempre per critiche e chiarimenti sono a disposizione. L'idea del bambino che nasce squarciando il ventre della madre (immagine tetra, lo so) è ripresa dal manga se non sbaglio.
Dopo dieci capitoli ecco la risposta al perché Akito non riesce ad accettare che Sana sia incinta: è tormentato dal senso di colpa e dai fantasmi del passato. È terrorizzato dalla prospettiva che la storia si ripeta e Sana muoia durante il parto, che muoia anche il bambino e che lui si trovi di nuovo solo. Non giustifico il suo comportamento ma spero sia maggiormente comprensibile.
Un breve flash – di nuovo senza nome – sulla coppia traditrice. Scoprirete in futuro di chi si tratta.
Passo adesso ai ringraziamenti: un milione di grazie a desy90, ryanforever, ilapietro91, _Silvia_Salvatore, sabry92, tokykia, Pan17, jeess, nthea, Dramee e vale89 che hanno commentato lo scorso capitolo. Non mi merito nemmeno tutto questo appoggio, ma grazie comunque <3
Vi saluto e alla prossima, un bacio
Ely

  
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