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Autore: Mirella__    01/10/2012    6 recensioni
Light ed L.
Due ideali di giustizia differenti.
Per l'intero anime abbiamo visto questi due personaggi affrontarsi, ma mai apertamente e alla fine L ha avuto la peggio.
Il suo allievo, Near, è riuscito dove lui ha fallito mettendo fine al caso Kira
Ma quando uno shinigami, divorato dalla noia, ha a disposizione un piccolo oggettino bianco nulla è per sempre.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Light/Raito, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti!
Ecco a voi un nuovo capitolo, questa volta dal punto di vista di Light.
Incontreremo anche in questo, un vecchio personaggio, da molti disprezzato e da molti amato.
Come al solito ringrazio chi recensisce, mette la storia tra le seguite o anche solo chi legge in silenzio.
Vi lascio al capitolo.

 
Buona lettura!

 
Vento, solo vento.

A quest’altezza non sento nulla se non il vento.

La sensazione del volo è inebriante, sono un tutt’uno con la notte, ogni virata è delineata, non  faccio un minimo errore, le mie ali rispondono come se fossero  delle comuni braccia, ne ho il completo controllo e in questo momento mi sento un Dio a tutti gli effetti.

Provaci L, prova a fermarmi, voglio proprio vedere se ci riesci.

Mi piace, adoro la tranquillità che c’è qua su, però quelle che mi fendono il viso non sono semplici brezze, ma folate d’aria gelida che sono a dir poco taglienti, tuttavia non ho intenzione di scendere di quota, avrei continuato a viaggiare a quest’altitudine se fosse servito a qualcosa, ma già vedo casa mia da qua su e so di dover atterrare ad una certa distanza, non devo catturare l’attenzione, non ancora.

L’atterraggio non è difficile come sembra, ora posso cominciare a camminare come un qualsiasi mortale. Sguardo basso e passo veloce, non devo dare nell’occhio, ma so già che nonostante abbia l’aspetto di un ragazzo normale, l’odore acre del sangue mi circonda e quindi passo tra vicoli stretti e strade secondarie. Non incontro gente, è tardi ormai, mezzanotte passata, di sicuro, Ryuk cammina dietro di me, continuando a ridere come un matto.

Finalmente arrivo a casa. Non mi concedo nemmeno un secondo di raccoglimento, ho del lavoro da fare, quindi cerco una rapida soluzione per entrarvi.

Mia madre teneva anni fa la chiave sotto lo zerbino, ma mio padre presto le aveva fatto togliere questa brutta abitudine, quindi questa non è un opzione. Faccio il giro e mi ritrovo sul retro.

Lì, forse, dovrebbe trovarsi un’altra chiave, nascosta in un vaso da giardino, celato ad occhi indiscreti, ma non ai miei. Aguzzo lo sguardo, fendo le tenebre che mi circondano e finalmente individuo il nascondiglio.

Apro la porta lentamente, cercando di fare meno rumore possibile e quando la richiudo mi giro di scatto. Tutto è immerso nell’oscurità, mi riesce difficile avanzare, ma so già che passi fare per arrivare in camera mia senza farmi sentire.

Poggio la mano sulla maniglia, non è abbassata di cinque millimetri, segno che mia madre tante volte era entrata nella mia camera…

Chissà cosa le avevano raccontato su di me. Avevano detto loro che in realtà io ero Kira?

 Scrollo le spalle, la cosa è alquanto irrilevante, ma allo stesso tempo improbabile.

Quando metto il piede nella mia camera non so cosa aspettarmi. Rimango sorpreso nel vedere che tutto è come lo avevo lasciato anni fa, ma ho del lavoro da fare, quindi analizzo velocemente cosa ho a disposizione.

 Mi serve una fonte d’informazione, immediatamente, devo vedere se ci sono ancora delle persone che credono in Kira, mi servono, ma non farò fatto lo stesso errore di tre anni fa, non mi fiderò di nessuno, mai più.

“Light, non c’è nessuno in casa”

Mi giro di scatto, guardando lo shinigami negli occhi, chiedendogli spiegazioni con il solo sguardo.

“Oggi è il ventotto febbraio. Tua madre ricorda questo giorno insieme a tua sorella, che è sposata tra l’altro…”

“Con chi?” Lo interrompo mordendomi l’interno della guancia, non volevo che il mio legame con lei fosse poi così evidente.

“Matsuda”

Rimango immobile, non un muscolo del mio viso si contrae, non provo nulla.

Una strana sensazione di fastidio percorre la mia spina dorsale, ma la faccio svanire in fretta, relegandola in un angolo remoto del mio cervello.

“Bene”. Dico togliendomi i vestititi sporchi e buttandoli a casaccio in un angolo della stanza. Apro i cassetti e mi accorgo che anche i miei vecchi vestiti sono a posto. Evidentemente mia madre non ha ancora superato la mia dipartita, sembra che abbia voluto rendere immobile questa stanza, come in attesa del mio ritorno.

 

Apro la doccia e presto il sangue viene lavato via dal mio corpo, ma non i miei pensieri che mi martellano la testa ogni singolo secondo, non ho il tempo di fare niente, di fermarmi su qualcosa, so che L è tornato, presto la casa verrà messa sotto sorveglianza, quindi, ancora un altro risciacquo ed esco dal bagno di fretta.

Scendo le scale infilandomi maglietta e pantaloni, arrivo in cucina e do un’occhiata al centro tavola.

Mele, c’erano soltanto mele.

Sorrido e ne afferro due, una la lancio a Ryuk che l’afferra gioendo, e, mentre mordo con avidità la mia, gustandomi sino all’ultima goccia di quel frutto così succoso e tangibile, salgo fino a raggiungere l’ufficio un tempo appartenuto a mio padre.

Il computer è diverso, nuovo. Lo riavvio e mi rendo conto che è molto più veloce del mio vecchio pc.

In un attimo sono sul web, ma ancora non posso cercare le informazioni che mi servono, devo isolare la rete prima.

“Cosa stai facendo Light?” Mi chiede Ryuk con la bocca aperta  nonostante il cibo ne strabordi, a quel punto sospiro e comincio a spiegare.

“Non posso restare qui, questa è una cosa ovvia,” le mie dita si muovono agili sulla tastiera, cancellando lettere su lettere per poi scriverne altre, sempre più veloci, sempre più veloci… “quindi devo cercarmi una nuova base. Kira non è mai morto per molta gente,  e qui, sul web, c’è ancora chi conserva la speranza di un nuovo mondo.” Carico un video, preso da una trasmissione di dibattito, analizzo ogni mossa dei presenti; tra gli spettatori ci sono vari attori, tuttavia ci sono anche delle persone serie.

Annoto mentalmente gli appellativi che passano in sottopressione e li riscrivo su un altro sito.
Nomi, vite e persino esperienze lavorative mi sfilano davanti agli occhi, senza nessuna censura, sono in grado di trovare ogni singola persona fino alle loro abitazioni. Ma ancora non mi basta, devo andare avanti.

La tomba di Kira

Questa frase mi salta all’occhio tra le miriadi di parole che appaiono continuamente in piccolo, sotto l’articolo che sto leggendo.
In pochi secondi la pagina si apre e allora comincio a leggere il breve testo.

Misa Amane, sospettata dalla polizia mondiale d’esser stata in precedenza il secondo Kira, si suicida all’età di ventisei anni.
Ogni anno, sulla sua tomba, appare una rosa rossa, ma la cosa che più incuriosisce è che questo fiore, non compaia all’anniversario esatto della sua dipartita, bensì quattordici giorni dopo, vale a dire il ventotto febbraio.
Nessuno ha mai visto qualcuno piangere sul freddo marmo bianco che nasconde il corpo dell’attrice e il mistero che circonda la rosa attira numerosi fans di Kira che cercano d’entrare in contatto con quella persona che ha avuto la capacità di non farsi mai scorgere da sguardi indiscreti. Molta gente desidera  parlarci, di farsi spiegare il significato di questo gesto, sperando, forse, in una risposta che contempli quel “nuovo mondo” che per molti non è mai stato altro che pura follia.

Sto in silenzio, non so per quanto tempo, mi rendo conto solo adesso d’aver interrotto la mia spiegazione.
“Il ventotto febbraio”. Sussurro mentre riprendo a picchiettare sulla tastiera. Sono sul punto di premere invio, quando il chiaro rumore di uno sportello che si richiude attira la mia attenzione.
Apro di scatto la porta dell’ufficio per andare in camera mia, scosto le tende e vedo che Matsuda è appena sceso da un’auto, accompagnato da due uomini e due donne, degli agenti.
“Dannazione!” Stringo i denti e corro nuovamente al pc. L aveva già fatto la sua mossa. Il fatto che abbia scelto proprio il mio vecchio collega di lavoro per cercare di fermarmi m’infastidisce parecchio.
Cancello ogni mia traccia in pochi secondi e afferro una penna. Scrivo dei nomi ed indirizzi a casaccio su un block notes e ne stacco il foglio. La mia scrittura è leggibile anche sul quadernetto.

Bene, avrebbero perso tempo cercando gente che di fatto non c’entrava nulla con i miei piani, forse L avrebbe immaginato che non era altro che un modo per sviarli dalle mie vere intenzioni, ma lo avrebbe capito tardi.

Afferro il Death Note e lo nascondo sotto la mia camicia.
Sento la porta d’entrata aprirsi e allora mi rivolgo verso le finestre della stanza. Spalanco le tende e i raggi della luna illuminano lo studio.
C’era sempre stata così tanta polvere in questa stanza?

No, mia madre era una fanatica della pulizia, un po’ come me, ma allora perché sembra che questa stanza non venga spolverata da anni? Solo la scrivania è tirata a lucido.

Ogni cosa, così come in camera mia, è al suo vecchio posto.
Per un momento mi sento svuotato. Persino la determinazione è andata via di fronte alla verità che mi si para davanti.
Mia madre non è mai andata avanti, lei aspetta ancora mio padre e me…
Mi riscuoto, ma cosa mi salta in mente in questo momento? Mi volto di spalle e faccio scorrere la finestra verso l’altro. Mi sporgo sul cornicione, sto per andare via, tuttavia, quando sento la maniglia della porta scattare mi blocco, ho la strana sensazione che la persona che è appena entrata nella stanza sia proprio…
“L-Light!”
Matsuda sbarra gli occhi, indietreggia, inciampa sui suoi stessi piedi e cade sbattendo la schiena contro lo spigolo della porta. Rimane senza fiato per un momento, poi si rialza e afferra la pistola sotto la sua giacca.

Trema da capo a piedi, non riesce a reggere nemmeno l’arma, nonostante l’imbranataggine dell’uomo, a quella vista non posso fare a meno di stringere il mio polso destro nella mano sinistra, quasi ad aspettare che la scena si ripeti, ancora e ancora, nonostante Matsuda non abbia ancora tolto la sicura.

Restiamo entrambi immobili, guardandoci negli occhi.

Dopo poco tempo che a me sembra un infinità, riesco finalmente a riacquistare la calma e allora mi siedo sul bordo della finestra, accennando l’ombra di un sorriso a mio cognato. “Hai visto un fantasma, Matsuda?” Chiedo ingenuamente dando l’ultimo morso alla mela rossa della quale ormai non era rimasto altro che il torso. Per un istante, immagino la situazione dalla prospettiva dell’uomo che mi sta davanti che non riesce ancora a rispondermi e… mi viene da ridere.

Forse questa mia reazione non è altro che un modo per ammorbidire l’odio che provo verso quell’inetto. Ma posso definire questo sentimento odio?

Sì, lui mi ha sparato, giusto un paio di anni fa, ma sarei riuscito a farla franca senza il suo “geniale” intervento? No, devo ammetterlo a me stesso. Ormai all’epoca ero stato messo con le spalle al muro, incastrato, senza via d’uscita, quindi non credo che quel che provo in questo momento verso Matsuda sia odio, tutt’al più ostilità e una voglia matta di fargliela pagare per aver messo le mani su mia sorella.

“Stai impazzendo Matsuda, vedi persino i morti?” Dico crudele cominciando a fargli il lavaggio del cervello, sempre che  ne abbia uno, sotto quella montagna di capelli.

Lo vedo tentennare per un momento, non sa se chiamare i rinforzi.

“Non sono pazzo L-Light” Sussurra  lui inumidendosi le labbra, avanzando di un passo e tendendomi la mano. “Adesso, allontanati da lì e afferrami la mano”. Aggrotto le sopraciglia, cominciando a pensare che non ci sia bisogno di confondergli le idee perché è già messo male di suo, ma quando l’aria fresca della notte mi scosta i capelli dal viso capisco cosa intende.

Pensa che mi stia per buttare dal primo piano.

Trattengo una risata e decido di stare al gioco. “A cosa servirebbe Matsuda? O qui, o in carcere, che differenza farebbe? Spiegamelo tu, perché io proprio non ci arrivo”

Dico con tono sommesso.  Mi sbilancio leggermente all’indietro, non tanto da lasciarmi cadere, ma abbastanza per vedere l’indecisione attraversare il volto pallido del poliziotto. In fondo, sono pronto a scommettere che lui mi vuole morto quanto io voglio morto Near.

“Non è detto Light”. Mi dice lui avvicinandosi ancora e mentre noi teniamo quest’incontro, Ryuk ride e sghignazza nel vedere Matsuda farsi prendere in giro, ancora.

“Già, forse sarai tu ad uccidermi, stavolta”. Continuo io sistemandomi in modo tale da potergli mostrare il mio polso destro.

Lui trasale a quella vista, ma non dice nulla.

“Matsuda, i giochi sono appena iniziati. Non ho intenzione d’abbandonare le scene così presto” Dico lasciandomi risucchiare dal vuoto per poi spiccare il volo giusto un secondo prima di toccare terra.

L’agente non si era neppure precipitato alla finestra per vedere la mia fine, ma era sceso fino ad arrivare dove avrebbe dovuto trovarsi il mio corpo.

Non posso vedere la sua espressione, sono già in alto, seguito da Ryuk.

  
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