Salve a tutti!
Ecco a voi un nuovo capitolo,
questa volta dal punto di vista di Light.
Incontreremo anche in questo, un
vecchio personaggio, da molti disprezzato e da molti amato.
Come al solito ringrazio chi
recensisce, mette la storia tra le seguite o anche solo chi legge in
silenzio.
Vi lascio al capitolo.
Buona lettura!
Vento, solo vento.
A
quest’altezza non sento nulla se
non il vento.
La sensazione
del volo è
inebriante, sono un tutt’uno con la notte, ogni virata
è delineata, non faccio
un minimo errore, le mie ali
rispondono come se fossero delle
comuni
braccia, ne ho il completo controllo e in questo momento mi sento un
Dio a
tutti gli effetti.
Provaci L,
prova a fermarmi,
voglio proprio vedere se ci riesci.
Mi piace,
adoro la tranquillità
che c’è qua su, però quelle che mi
fendono il viso non sono semplici brezze, ma
folate d’aria gelida che sono a dir poco taglienti, tuttavia
non ho intenzione
di scendere di quota, avrei continuato a viaggiare a
quest’altitudine se fosse servito
a qualcosa, ma già vedo casa mia da qua su e so di dover
atterrare ad una certa
distanza, non devo catturare l’attenzione, non ancora.
L’atterraggio
non è difficile come
sembra, ora posso cominciare a camminare come un qualsiasi mortale.
Sguardo
basso e passo veloce, non devo dare nell’occhio, ma so
già che nonostante abbia
l’aspetto di un ragazzo normale, l’odore acre del
sangue mi circonda e quindi passo
tra vicoli stretti e strade secondarie. Non incontro gente,
è tardi ormai,
mezzanotte passata, di sicuro, Ryuk cammina dietro di me, continuando a
ridere
come un matto.
Finalmente
arrivo a casa. Non mi
concedo nemmeno un secondo di raccoglimento, ho del lavoro da fare,
quindi
cerco una rapida soluzione per entrarvi.
Mia madre
teneva anni fa la chiave
sotto lo zerbino, ma mio padre presto le aveva fatto togliere questa
brutta abitudine,
quindi questa non è un opzione. Faccio il giro e mi ritrovo
sul retro.
Lì,
forse, dovrebbe trovarsi
un’altra chiave, nascosta in un vaso da giardino, celato ad
occhi indiscreti,
ma non ai miei. Aguzzo lo sguardo, fendo le tenebre che mi circondano e
finalmente individuo il nascondiglio.
Apro la porta
lentamente, cercando
di fare meno rumore possibile e quando la richiudo mi
giro di
scatto. Tutto è immerso nell’oscurità,
mi riesce difficile avanzare, ma so già
che passi fare per arrivare in camera mia senza farmi sentire.
Poggio la
mano sulla maniglia, non
è abbassata di cinque millimetri, segno che mia madre tante
volte era entrata
nella mia camera…
Chissà
cosa le avevano raccontato
su di me. Avevano detto loro che in realtà io ero Kira?
Scrollo le spalle, la cosa
è alquanto
irrilevante, ma allo stesso tempo improbabile.
Quando metto
il piede nella mia camera
non so cosa aspettarmi. Rimango sorpreso nel vedere che tutto
è come lo avevo
lasciato anni fa, ma ho del lavoro da fare, quindi analizzo velocemente
cosa ho
a disposizione.
Mi serve una fonte
d’informazione,
immediatamente, devo vedere se ci sono ancora delle persone che credono
in
Kira, mi servono, ma non farò fatto lo stesso errore di tre
anni fa, non mi fiderò
di nessuno, mai più.
“Light,
non c’è nessuno in casa”
Mi giro di
scatto, guardando lo
shinigami negli occhi, chiedendogli spiegazioni con il solo sguardo.
“Oggi
è il ventotto febbraio. Tua
madre ricorda questo giorno insieme a tua sorella, che è
sposata tra l’altro…”
“Con
chi?” Lo interrompo
mordendomi l’interno della guancia, non volevo che il mio
legame con lei fosse
poi così evidente.
“Matsuda”
Rimango
immobile, non un muscolo
del mio viso si contrae, non provo nulla.
Una strana
sensazione di fastidio
percorre la mia spina dorsale, ma la faccio svanire in fretta,
relegandola in
un angolo remoto del mio cervello.
“Bene”.
Dico togliendomi i
vestititi sporchi e buttandoli a casaccio in un angolo della stanza.
Apro i
cassetti e mi accorgo che anche i miei vecchi vestiti sono a posto.
Evidentemente
mia madre non ha ancora superato la mia dipartita, sembra che abbia
voluto
rendere immobile questa stanza, come in attesa del mio ritorno.
Apro la
doccia e presto il sangue viene
lavato via dal mio corpo, ma non i miei pensieri che mi martellano la
testa
ogni singolo secondo, non ho il tempo di fare niente, di fermarmi su
qualcosa,
so che L è tornato, presto la casa verrà messa
sotto sorveglianza, quindi,
ancora un altro risciacquo ed esco dal bagno di fretta.
Scendo le
scale infilandomi
maglietta e pantaloni, arrivo in cucina e do un’occhiata al
centro tavola.
Mele,
c’erano soltanto mele.
Sorrido e ne
afferro due, una la
lancio a Ryuk che l’afferra gioendo, e, mentre mordo con
avidità la mia,
gustandomi sino all’ultima goccia di quel frutto
così succoso e tangibile,
salgo fino a raggiungere l’ufficio un tempo appartenuto a mio
padre.
Il computer
è diverso, nuovo. Lo
riavvio e mi rendo conto che è molto più veloce
del mio vecchio pc.
In un attimo
sono sul web, ma
ancora non posso cercare le informazioni che mi servono, devo isolare
la rete
prima.
“Cosa
stai facendo Light?” Mi
chiede Ryuk con la bocca aperta nonostante
il cibo ne strabordi, a quel punto
sospiro e comincio a spiegare.
“Non
posso restare qui, questa è
una cosa ovvia,” le mie dita si muovono agili sulla tastiera,
cancellando
lettere su lettere per poi scriverne altre, sempre più
veloci, sempre più
veloci… “quindi devo cercarmi una nuova base. Kira
non è mai morto per molta
gente, e qui, sul
web, c’è ancora chi
conserva la speranza di un nuovo mondo.” Carico un video,
preso da una
trasmissione di dibattito, analizzo ogni mossa dei presenti; tra gli
spettatori
ci sono vari attori, tuttavia ci sono anche delle persone serie.
Annoto
mentalmente gli appellativi che passano
in sottopressione e li riscrivo su un altro sito.
Nomi,
vite e persino esperienze lavorative mi
sfilano davanti agli occhi, senza nessuna censura, sono in grado di
trovare
ogni singola persona fino alle loro abitazioni. Ma ancora non mi basta,
devo
andare avanti.
La
tomba di
Kira
Questa
frase mi salta all’occhio tra le miriadi
di parole che appaiono continuamente in piccolo, sotto
l’articolo che sto
leggendo.
In
pochi secondi la pagina si apre e allora
comincio a leggere il breve testo.
Misa
Amane, sospettata dalla polizia mondiale
d’esser stata in precedenza il secondo Kira, si suicida
all’età di ventisei
anni.
Ogni
anno, sulla sua tomba, appare una rosa
rossa, ma la cosa che più incuriosisce è che
questo fiore, non compaia
all’anniversario esatto della sua dipartita, bensì
quattordici giorni dopo,
vale a dire il ventotto febbraio.
Nessuno
ha mai visto qualcuno piangere sul
freddo marmo bianco che nasconde il corpo dell’attrice e il
mistero che circonda
la rosa attira numerosi fans di Kira che cercano d’entrare in
contatto con
quella persona che ha avuto la capacità di non farsi mai
scorgere da sguardi
indiscreti. Molta gente desidera parlarci,
di farsi spiegare il significato di
questo gesto, sperando, forse, in una risposta che contempli quel
“nuovo mondo”
che per molti non è mai stato altro che pura follia.
Sto
in silenzio, non so per quanto tempo, mi
rendo conto solo adesso d’aver interrotto la mia spiegazione.
“Il
ventotto febbraio”. Sussurro mentre riprendo
a picchiettare sulla tastiera. Sono sul punto di premere invio, quando
il
chiaro rumore di uno sportello che si richiude attira la mia attenzione.
Apro
di scatto la porta dell’ufficio per andare
in camera mia, scosto le tende e vedo che Matsuda è appena
sceso da un’auto,
accompagnato da due uomini e due donne, degli agenti.
“Dannazione!”
Stringo i denti e corro nuovamente
al pc. L aveva già fatto la sua mossa. Il fatto che abbia
scelto proprio il mio
vecchio collega di lavoro per cercare di fermarmi
m’infastidisce parecchio.
Cancello
ogni mia traccia in pochi secondi e
afferro una penna. Scrivo dei nomi ed indirizzi a casaccio su un block
notes e
ne stacco il foglio. La mia scrittura è leggibile anche sul
quadernetto.
Bene,
avrebbero perso tempo cercando gente che
di fatto non c’entrava nulla con i miei piani, forse L
avrebbe immaginato che
non era altro che un modo per sviarli dalle mie vere intenzioni, ma lo
avrebbe
capito tardi.
Afferro
il Death Note e lo nascondo sotto la
mia camicia.
Sento
la porta d’entrata aprirsi e allora mi
rivolgo verso le finestre della stanza. Spalanco le tende e i raggi
della luna
illuminano lo studio.
C’era
sempre stata così tanta polvere in questa
stanza?
No,
mia madre era una fanatica della pulizia,
un po’ come me, ma allora perché sembra che questa
stanza non venga spolverata
da anni? Solo la scrivania è tirata a lucido.
Ogni
cosa, così come in camera mia, è al suo
vecchio posto.
Per
un momento mi sento svuotato. Persino la
determinazione è andata via di fronte alla verità
che mi si para davanti.
Mia
madre non è mai andata avanti, lei aspetta
ancora mio padre e me…
Mi
riscuoto, ma cosa mi salta in mente in questo
momento? Mi volto di spalle e faccio scorrere la finestra verso
l’altro. Mi
sporgo sul cornicione, sto per andare via, tuttavia, quando sento la
maniglia
della porta scattare mi blocco, ho la strana sensazione che la persona
che è
appena entrata nella stanza sia proprio…
“L-Light!”
Matsuda
sbarra gli occhi, indietreggia, inciampa
sui suoi stessi piedi e cade sbattendo la schiena contro lo spigolo
della
porta. Rimane senza fiato per un momento, poi si rialza e afferra la
pistola
sotto la sua giacca.
Trema
da capo a piedi, non riesce a reggere
nemmeno l’arma, nonostante l’imbranataggine
dell’uomo, a quella vista non posso
fare a meno di stringere il mio polso destro nella mano sinistra, quasi
ad
aspettare che la scena si ripeti, ancora e ancora, nonostante Matsuda
non abbia
ancora tolto la sicura.
Restiamo
entrambi immobili, guardandoci negli
occhi.
Dopo
poco tempo che a me sembra un infinità,
riesco finalmente a riacquistare la calma e allora mi siedo sul bordo
della
finestra, accennando l’ombra di un sorriso a mio cognato.
“Hai visto un
fantasma, Matsuda?” Chiedo ingenuamente dando
l’ultimo morso alla mela rossa
della quale ormai non era rimasto altro che il torso. Per un istante,
immagino
la situazione dalla prospettiva dell’uomo che mi sta davanti
che non riesce
ancora a rispondermi e… mi viene da ridere.
Forse
questa mia reazione non è altro che un
modo per ammorbidire l’odio che provo verso
quell’inetto. Ma posso definire
questo sentimento odio?
Sì,
lui mi ha sparato, giusto un paio di anni
fa, ma sarei riuscito a farla franca senza il suo
“geniale” intervento? No,
devo ammetterlo a me stesso. Ormai all’epoca ero stato messo
con le spalle al
muro, incastrato, senza via d’uscita, quindi non credo che
quel che provo in
questo momento verso Matsuda sia odio, tutt’al più
ostilità e una voglia matta
di fargliela pagare per aver messo le mani su mia sorella.
“Stai
impazzendo Matsuda, vedi persino i
morti?” Dico crudele cominciando a fargli il lavaggio del
cervello, sempre che ne
abbia uno, sotto quella montagna di
capelli.
Lo
vedo tentennare per un momento, non sa se
chiamare i rinforzi.
“Non
sono pazzo L-Light” Sussurra
lui inumidendosi le labbra, avanzando di un
passo e tendendomi la mano. “Adesso, allontanati da
lì e afferrami la mano”.
Aggrotto le sopraciglia, cominciando a pensare che non ci sia bisogno
di
confondergli le idee perché è già
messo male di suo, ma quando l’aria fresca della
notte mi scosta i capelli dal viso capisco cosa intende.
Pensa
che mi stia per buttare dal primo piano.
Trattengo
una risata e decido di stare al
gioco. “A cosa servirebbe Matsuda? O qui, o in carcere, che
differenza farebbe?
Spiegamelo tu, perché io proprio non ci arrivo”
Dico
con tono sommesso. Mi
sbilancio leggermente all’indietro, non
tanto da lasciarmi cadere, ma abbastanza per vedere
l’indecisione attraversare
il volto pallido del poliziotto. In fondo, sono pronto a scommettere
che lui mi
vuole morto quanto io voglio morto Near.
“Non
è detto Light”. Mi dice lui avvicinandosi
ancora e mentre noi teniamo quest’incontro, Ryuk ride e
sghignazza nel vedere Matsuda
farsi prendere in giro, ancora.
“Già,
forse sarai tu ad uccidermi, stavolta”.
Continuo io sistemandomi in modo tale da potergli mostrare il mio polso
destro.
Lui
trasale a quella vista, ma non dice nulla.
“Matsuda,
i giochi sono appena iniziati. Non ho
intenzione d’abbandonare le scene così
presto” Dico lasciandomi risucchiare dal
vuoto per poi spiccare il volo giusto un secondo prima di toccare terra.
L’agente
non si era neppure precipitato alla
finestra per vedere la mia fine, ma era sceso fino ad arrivare dove
avrebbe
dovuto trovarsi il mio corpo.
Non
posso vedere la sua espressione, sono già
in alto, seguito da Ryuk.