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Autore: Ever Lights    01/10/2012    11 recensioni
"«Aver paura di amare è come aver paura di vivere ogni singolo giorno della propria vita. Io non voglio che tu abbia timore di amarmi, Bella, perché qui», presi la sua mano e me l'adagiai sul cuore. «sento di provare davvero qualcosa per te. Non so se è amore, o se è qualcosa di differente, ma so che è positivo. Per questo voglio che tu sappia che desidero provarci. Desidero scoprire cose nuove, con te. Mi lascerai provare, per favore? Hai tu la chiave del mio cuore.»"
L'amore può voltarti le spalle come offrirti una mano. Un trentenne, due figlie, una relazione finita. Una donna, un passato da dimenticare, incubi che tornano a galla. Qualcuno metterà il proprio zampino per sconvolgere le loro vite.
E se, in più, il destino decidesse che le carte in tavola vadano cambiate e rimescolate?
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Emmett/Rosalie
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Ascolta il tuo cuore

Ascolta il tuo cuore ♥
Capitolo 10: Come home.


Ascoltatela "on repeat", please.


EDWARD.

«Dorme ancora?»
Socchiusi la porta e sospirai. «Sì, per fortuna.»
Fissai Bella. Teneva lo sguardo basso, gli occhi tristi, le mani che si inseguivano. Era molto tesa e cercava in tutti i modi di sconfiggere l'ansia.
«Ehi.»
Prese la borse e si avviò verso il salotto, ma la bloccai, afferrandola per il braccio. «Ne abbiamo già parlato, Edward.»
«No. Non devi fare così, chiaro? Bella, tu devi andare a Oxford, okay?»
«Non farmi la predica, non adesso, per favore.», scrollò il braccio e si sedette sul divano, la testa fra le mani.
«Se è la sindrome premestruale, okay. Ma se sei già acida da adesso, voglio capire il perchè.»
Scosse il capo, con un sorriso sulle labbra. «Ho paura che sia una scelta presa troppo alla leggera, Ed. E' davvero questo che voglio? Stare lontana da te, dalle bambine, dai miei amici?»
Sgranai gli occhi. «Bella...»
«No, niente Bella. Non voglio assolutamente separarmi da voi, mi si spezzerebbe il cuore. Non... non so cosa darei perchè Oxford fosse più vicina.»
Mi sedetti vicino a lei, prendendole il viso fra le mani. «E' solo per due giorni, lo sai, vero?»
«Appunto. Per me è troppo.»
«Amore, e quando diventeranno settimane, che farai?»
Sospirò e mi guardò negli occhi. «Non... Non voglio allontanarmi da te. Non voglio.»
Appoggiò la fronte contro la mia e le mie braccia, istintivamente, le circondarono i fianchi. «Rimani con me, Edward.»
«Sh... Sono qui, sono qui.»
Alzò lo sguardo e posò le sue labbra sulla mie, allungando la mano sulla mia nuca. «Non so cosa darei per rimanere qui con te tutto i giorno...»
Sorrisi. «Peccato che tu debba prendere fra mezz'ora o poco più un treno che ti porterà ad Oxford.»
«Grazie per avermelo ricordato.» Si tirò su in piedi e prese la sua valigia, con un sorriso mesto sulla bocca.
Arrivammo alla stazione in perfetto orario. Bella saltellava sul posto, i capelli tutti arruffati. «Ti puoi calmare?», le chiesi, vista la sua iperattività.
Mi lanciò un'occhiata fulminea, tirandomi un pugno sul petto. «Sta' zitto. Sono agitata.»
«Me n'ero accorto.»
Si accoccolò sul mio petto, e le baciai i capelli, aspirando quel profumo così buono, che sapeva di fiori e cannella.
«Posso rimanere qui? Ti prego.», cantilenò lagnosa, nascondendo il volto nella mia giacca.
Mi venne a ridere e la strinsi di più. Era così fragile e timorosa... L'avrei anche seguita fino all'università, ma ovviamente avevo le bambine a cui badare.
«Farò finta di non aver sentito.»
Sbuffò e i nostri visi furono a pochi centimetri l'uno dall'altro. «Ti prego...»
I nostri nasi si sfiorarono, e il suo fiato fu sulla mia bocca. «Bella, cosa vuoi che siano 48 ore? Passeranno così veloci che manco te lo immagini.»
«Mi dispiace solo che quando Mary si sveglierà io non ci sarò...»
Le carezzai i capelli, la guancia. «Le spiegherò tutto io, stai tranquilla.»
Chiamarono il numero del suo treno e i suoi occhi divennero tristi. «Devo andare.»
«Già...», sospirai, e la sua mano, così piccola, fu sulla mia guancia. «Su, l'hai detto tu che questi due giorni voleranno.»
«Sì, ma mi mancherai tantissimo.»
Dio, ero diventato così sdolcinato da far venire il diabete. Non riuscivo a staccarmi da lei per un secondo, figuriamoci per due giorni interi. Era come se fosse stata l'aria nei miei polmoni, l'acqua dissetante nella mia bocca, i pensieri nella mia mente. Non era possibile descrivere cosa fosse lei, per me.
«Ehi, lo sai che due giorni sono composti da quarantotto ore, che sono in tutto 2880 minuti, che sono la trasformazione di 172800 secondi?»
Quasi mi uscirono gli occhi dalle orbite. «Cosa stai dicendo?»
«E in tutti questi numeri, che sono follemente troppi, ti penserò e immaginerò di averti al mio fianco.»
D'impulso avvicinai le sue labbra alle mie, in un caloroso bacio. No, non doveva essere un addio... anzi, proprio non lo era. L'avrei rivista appena due giorni dopo, e sarei andato io stessa a prenderla lì, alla stazione, dove in quel momento eravamo uniti in un piccolo ma dolce contatto.
Di nuovo la voce metallica dagli altoparlanti, ancora un altro battito perso.
«Devo andare sul serio, adesso.»
«Chiamami, quando arrivi.» Mi diede un ultimo bacio e abbraccio, prima di prendere la sua valigia e allontanarsi salutando.
Quando risalii in macchina, tutto il vuoto che sembrava essere sparito era tornato a tormentarmi. Impugnai saldamente il volante e accesi l'automobile, dirigendomi verso casa.
Ero diventato così dipendente da Bella. Quasi come una droga. Se qualcuno tre mesi prima mi avesse chiesto se il mio cuore avrebbe potuto amare ancora, la mia risposta sarebbe stata no, perché dopo Tanya non ci avrei creduto più.
E invece ora il mio cuore stava battendo per un'emozione nuova, che solo Bella avrebbe potuto farmi scoprire.
Infilai la chiave nella toppa della porta di casa e mi sorpresi del silenzio che c'era. Mia madre era nella mia camera da letto, sulla sedia a dondolo, a dare il biberon a Viola, che la guardava tranquillamente nella semioscurità.
«Tranquilla, mamma, puoi andare.»
Mi porse la neonata che si annidò sul mio petto, guardandomi con quei suoi occhioni blu. «Mary dorme ancora.»
Se ne andò con tutta la pace che si era portata dietro, e di nuovo un senso di angoscia mi logorò dentro.
Era uno strano sentimento, un qualcosa che mi mancava nel corpo.
Ero davvero Bella dipendente. Anche in quel momento, senza di lei vicino a me, trovavo difficile svolgere qualunque azione, anche le più semplici.
Viola aveva il nasino appoggiato alla mia spalla, il suo respiro era diventato lieve e gli occhietti vibravano appena. Era una vista angelica, pareva una bambolina di porcellana.
Quasi facevo fatica a credere che avesse già cinque mesi, che erano passati così veloci da parere un soffio.
Le carezzai il naso, le guanciotte, i capelli. Era un gioiello prezioso.
«Papà?»
Alzai lo sguardo e Meredith era davanti a me, con il faccino storto in una smorfia triste. «Che succede, cucciola?»
«Dov'è Bella?»
Ahia. Sapevo che l'avrebbe chiesto. «È dovuta andare a scuola, amore.»
«E perchè non mi ha salutata?»
Intanto avevo messo Viola nel passeggino e fatto sedere sulle mie ginocchia Mary, che sembrava piuttosto corrucciata. «Non voleva svegliarti. Perché ora non facciamo colazione?»
Scosse il capo, contrariata. «No, io voglio Bella!»
Capii che era sull'orlo di una crisi di pianto, perchè i suoi occhi erano diventati lucidi e il labbro inferiore aveva iniziato a tremolare visibilmente.
«Amore, sii ragionevole. Ora non può venire, ma domani sera sarà di nuovo con noi.»
Una lacrima le cadde sulla guancia, seguita presto da altre che scorsero velocemente sulla sua pelle. «No! La voglio qui! Uffa! Dov'è? Dov'è? Voglio Bella!»
Sbatté i pugni sul mio petto, e fui solo capace di circondare le mie braccia intorno al suo corpicino. I singhiozzi la percossero e sentii diventare umida la camicia. Mi sentivo un debole quando lei piangeva per qualcosa, anche solo per un capriccio, perchè secondo me non potevo renderla felice in tutti i modi.
Che poi, cosa avrebbe potuto renderla più contenta di così? Aveva me, Bella, i miei genitori che l'amavamo.
L'amore era la cosa più grande che potessi darle, a differenza di sua madre che si ricordava di lei solo quando le pareva comodo.
«Adesso ascoltami, va bene? Se Bella fosse qui, cosa direbbe? Non le piacerebbe affatto vederti piangere, e anche se lei non è qui sappiamo bene che un uccellino le riferirà che hai fatto così.»
Gli occhi azzurri della bambina improvvisamente si illuminarono e comprese il ragionamento. «Davvero?»
Annuii, appuntandole una ciocca di capelli dietro all'orecchio. «Oh, già.»
«La possiamo chiamare, per favore?»
«Se prende il cellulare, sì.»
Estrassi dalla tasca l'Iphone e composi il numero di Bella, che ormai sapevo a memoria. Ogni giorno la chiamavo o le mandavo dei messaggi, ed era stato semplice imparare il suo recapito.
Isabella era diventata importante per me quanto per Meredith, e questo riuscivo a capirlo da solo da quando gli occhi della mia bambina si illuminavano mentre la donna le parlava, oppure anche solo quando le carezzava la guancia o i capelli.
Aveva di nuovo iniziato a vivere, esattamente come me. Ciò che sconvolgeva me, cambiava anche Mary. «Mi manchi, Bella. Quando torni mi fai tante coccole?»
Sorrisi spontaneamente. «Papà ha detto che sei andata a scuola, è vero? Però uffa... Okay, va bene. Vuoi parlare con papà? A domani.»
Mi sporse il telefonino, sospirando. «Cosa ti ha detto?»
«Torna domani sera. Però le manchiamo anche noi, ed è ancora sul treno.»
Le carezzai il viso e le palpebre, e lei si posò sul mio petto. La avvolsi di più nel plaid che aveva sulle spalle, mentre la sedia a dondolo iniziava ad oscillare. «A te manca Bella, papy?»
Sgranai gli occhi, colto alla sprovvista. Cosa potevo risponderle? Aveva quasi sette anni, ma di certo aveva capito che qualcosa stava cambiando in me.
«Tu la ami, vero, papà?», mormorò, osservandomi con quei suoi occhioni azzurri.
Bingo.
A volte era più intelligente lei, di me, di suo padre. Era una cosa un po' preoccupante, ecco.
«Ecco...»
Sorrise e iniziò a ridacchiare, coprendosi la bocca con le manine. «Sei diventato tutto rosso!»
E in effetti aveva ragione: le mie guance bruciavano e iniziavo a sudare freddo. «Ma che stai dicendo?»
Presi a farle il solletico freneticamente, e le sue risate si propagarono per tutta la camera. Era un ottimo metodo, solitamente, per farle cambiare discorso.
Ma quella volta, evidentemente, non funzionò...
«Dai, papà, lo so. Tu ami Bella, vero?»
Sospirai. «Sì. Sì, piccola.»
«Lo sapevo!» Batté le mani e fece un gridolino di gioia, per poi saltellare sulle mie ginocchia. «La ami! Come amavi la mamma! Anzi, no, di più! Molto di più!»
Posai un dito sulle sue labbra, per zittirla. «Stt, non urlare!»
Mormorò un “scusa” per poi tornare a sorridere. «Allora?»
«Amore, provo qualcosa per Bella, è vero, ma non so come definirlo.»
Teneramente, posò il capo sulla mia spalla, stringendo le piccole braccia intorno al collo. «Papà, io so che tu ami Bella. È come in quei film, dove fra i due innamorati scocca la scintilla e loro si sbaciucchiano e...»
La fissai, interdetto. «Come fai a sapere queste cose?»
«Ho visto dei film con zio Emmett. E poi farete... Come l'aveva chiamato lo zio? Ah, sì, sesso!»
Ero sbigottito. Come poteva sapere quelle cose? Aveva solo sei anni, che diamine! E conosceva già quel linguaggio...
Avrei dovuto fare un discorsetto con Emm.
«Ah, papà, a proposito: cos'è il sesso?»
«Te lo dirò quando sarai più grande. E in più, parlerò con zio Emmett...»
Sbuffò. «Va bene, ma uffa!»
Sviai subito l'argomento, onde evitare altre imbarazzanti domande a cui avrei risposto almeno fra cinque anni. «Ora andiamo a fare colazione, okay?»
Saltò giù dalle mie gambe e iniziò ad avviarsi verso la porta, prima di girarsi e guardarmi. «Papà?»
«Sì, cucciola?»
«Tu mi vorrai sempre bene, anche se comincerai ad amare Bella?»
Le diedi un bacio alla eschimese, prima di prenderla in braccio. «Sempre, tesoro mio. Te ne vorrò sempre perché tu hai una parte del mio cuore.»


BELLA.

Le diciotto e trenta.
La giornata era passata velocemente , forse fin troppo, però in tutto quel tempo non avevo fatto altro che pensare alle persone che amavo.
Quanto mi mancavano? Troppo, da morire. Erano come l'aria che scarseggiava nei miei polmoni, dei battiti persi pensando al mio passato, che erano riusciti a farmi dimenticare, o meglio che stavano riuscendo, perchè ancora avevo dei postumi, ma ormai stavano diventando sempre più radi.
«Cosa vuoi per cena?»
Mi girai verso Angela, la mia compagna di stanza, colei con cui avevo passato tutta la giornata nel campus. Stava allacciando il giubbotto ed era in procinto di uscire, probabilmente per comprare qualcosa da mettere sotto i denti.
«Uhm, una pizza e una coca cola.»
Corrugò la fronte. «Non hai mangiato niente per tutto il giorno, e poi hai intenzione di ingozzarti di schifezze? Non è per caso che poi vomiti?»
Scossi il capo, prendendo dalla valigia il computer. «No, figurati, lo faccio spesso.»
«Mh, va bene. Però poi mi spieghi perchè non hai toccato cibo, oggi.», disse, sfilando la chiave dalla toppa. «Ci vediamo fra... Trenta minuti? Se non c'è coda, dovrei metterci poco.»
«Okay, tranquilla». Le sorrisi e lasciai che si richiudesse la porta alle sue spalle, per poi sospirare. Per un attimo, in quella lunghissima giornata, ero da sola, con i miei pensieri, finalmente.
Accesi il portatile, con lo stomaco in subbuglio e il cervello inceppato. Non era troppo tardi e di sicuro Edward non era ancora in cucina per preparare la cena, quindi avevo qualche minuto per vederlo.
Ma lui non era online, ovviamente.

Vedi di metterti online su Skype che la sottoscritta vorrebbe vedere la tua faccia da schiaffi.
B.

Sorrisi del mio stesso SMS, perchè sapevo che odiava essere definito in tale modo. Non per niente, il suo tono nella risposta fu abbastanza... rigido.

Se mi chiami ancora una volta in quel modo non mi vedi più. E non scherzo. Cmq arrivo subito.
E.

Se fosse stato davanti a me, ero certa che sarei scoppiata a ridergli in faccia, con conseguente attacco di solletico. Era il suo modo per alleggerire la situazione.
Il segnale acustico del programma mi fece ricordare cosa stavo facendo, e quando trovai l'avviso di chiamata dovetti fare un respiro profondo per riprendermi.
Appena vidi il suo volto familiare, il mio cuore balzò. Effetto Edward, ecco qual era la causa del mio batticuore continuo.
Aveva gli occhi stanchi, segno che probabilmente Viola aveva fatto i capricci, ma era comunque bellissimo. Almeno per me.
«Ehi.»
Mi sorrise e quel gesto mi scaldò il cuore. «Ma ciao.»
«Come stai?», domandò, sistemandosi la folta chioma rossa. Scrollai le spalle, indifferente. «E' tutto okay, solo un po' stanca. Tu? Non hai una bella cera.»
Sospirò. «Sono dovuto correre per andare a prendere Mary a scuola, che vomitava, ed è andata avanti così tutto il pomeriggio. Ho dovuto chiamare il medico e mi ha detto che è un semplice virus intestinale. Le ha prescritto dei fermenti lattici, così da alleviare i disturbi. E poi Viola ha i dentini che la disturbano, e ha pianto un bel po'.»
«In poche parole sei stravolto.», mormorai, e mi accorsi che mi stava letteralmente rimirando. Aveva il viso appoggiato sulle mani unite e fissava lo schermo, proprio dove ero io.
«Esatto. La scuola com'è? Che te ne pare?»
Per un attimo che non avrei voluto parlarne, ecco che tornava il tormento. «Per ora mi piace, ho conosciuto già alcuni ragazzi del mio corso che, se tutto va bene, si laureano poi a giugno come me. Sì, diciamo che è come me la immaginavo.»
«Bene, dai.» I suoi occhi, i suoi bellissimi occhi, si erano illuminati, facendo trasparire completamente la sua gioia, quasi come se fosse stato un bambino. «Mary non fa altro che parlare di te. Le manchi da morire.»
Un groppo mi salì in gola e dovetti distogliere lo sguardo per fermare le lacrime. «Anche voi, non immagini quanto.»
«Ehi, ricorda che domani sera sarai a casa nostra, a rimboccare le coperte a Meredith e abbracciata a me.»
Sorrisi, chiudendo gli occhi e beandomi della sua bellissima voce. «Lo so, è che... Dio, penso che sia diventata dipendente da voi tre. Mi manca qualcosa, quando sono lontana, ora come non mai.»
Se avesse potuto, sarebbe entrato nel monitor e mi avrebbe raggiunta, stringendomi fra le sue forti braccia.
Mi resi conto di quanto mi mancasse quel contatto, sebbene non ci vedessimo da quasi dodici ore.
Ed erano troppe, spropositatamente troppe. Avevo bisogno di qualcosa che mi ricordasse lui, o almeno la sua presenza fisica accanto a me.
Sarebbe stata una lunga notte, di sicuro insonne, senza lui accanto.
«Tu divertiti e conosci nuove persone, vedrai che la giornata di domani passerà in fretta.»
«Va bene. Mary? Dorme?»
Lui annuì, sporgendosi verso l'ingresso. «Sì, si è addormentata due ore fa. Svegliarla non mi va, dato che è stata male tutto il pomeriggio. La sveglio poi poco prima di cena, così vedo se vuole mangiare.»
«Capito.»
Fra noi calò il silenzio, e io abbassai il capo. Cosa potevo dire, o fare? Era a chilometri da me, ma io lo volevo accanto.
«Oh, aspetta. Ho sentito dei rumori. Arrivo subito.» borbottò, facendo strisciare rumorosamente la sedia contro il pavimento, e il suo viso scomparì dalla visuale.
Subito centinaia di pensieri mi sovrastarono, e subito pensai al mio amore per lui. Sebbene avessi compreso che entrambi avevamo bisogno di tempo, per riflettere molto su quel sentimento, non vedevo l'ora di quando anche lui mi avrebbe risposto allo stesso modo.
«C'è una persona qui che vuole salutarti.»
Edward teneva saldamente Viola da sotto le ascelle e con un braccio sotto il sederino. Gli occhietti della bimba, che ogni giorno diventavano come quelli del padre, si immobilizzarono sullo schermo, guardandomi.
«Ciao, piccolina.»
Avrei voluto accarezzarle quelle guance così cicciottelle e morbide, che spesso sfioravo mentre dormiva. La sentivo un po' mia, come se fosse stata una specie di nipotina, perchè ogni giorno la vedevo crescere e diventare sempre più bella.
«Come vorrei stringerla a me...». Una lacrima mi cadde lungo la guancia e non fui abbastanza veloce a toglierla che lui se ne accorse.
«Bella?»
Distolsi nuovamente lo sguardo, asciugandomi gli occhi con il dorso delle mani. «Va tutto bene, davvero.»
«Ascolta, adesso basta, okay? Perchè non ti godi un po' questo tempo con delle nuove persone, per pensare e fare ciò che ti piace? Sul serio.»
Sospirai. «Io mi sono divertita, oggi. È tutto grandioso, ma io vorrei essere lì con voi, accanto a Meredith quando si addormenterà e fra le tue braccia. Non mi pare di chiederti la luna, o sbaglio?»
«Amore, hai quest'opportunità, e io non voglio che te la lasci scappare, chiaro? È vero, sei lontana da noi, però pensa che con questo potrai realizzare i tuoi sogni. Non ci sono sempre lati negativi.»
Annuii mesta e lasciai che sbuffasse, fra i gorgoglii di Viola. «Ti prego, fallo per noi.»
Non potei fare altro che accontentarlo, ma quando una voce argentina e familiare di arrivò alle orecchie, sentii la gioia uscire da ogni minuscolo foro della mia pelle.
«Con chi parli, papà?»
Il mio cuore sobbalzò nell'attimo in cui il viso di Meredith fu nel campo della videocamera. «Guarda chi c'è nello schermo, amore.»
Edward le indicò il monitor, proprio in corrispondenza della mia faccia, e Mary emise uno strillo acuto. «Bella!»
Risi della sua espressione e della sua felicità. Era così dolce, semplicemente era facile volerle bene, perché si guadagnava il tuo amore con poco, tipo un sorriso o un piccolo gesto.
«Come stai?», chiese con quel sorriso angelico. Dio, era troppo bella.
«Bene, tesoro, tu?»
«Benino...» La sua voce era triste, e di sicuro c'era qualcosa che non andava, lo percepivo chiaramente.
«Mary, cos'hai?» Guardai Edward, cercando una risposta alla mia domanda, ma il suo volto non tradiva nessun emozione.
«Niente, niente...», mormorò la bambina, fissandosi le mani. A quelle parole, chinò anche il capo e il mio cuore si spezzò.
«Avanti, sputa il rospo.» le dissi dolcemente. «Ti conosco troppo bene, e so che quello è il visino di una bimba triste.»
«Okay...» sussurrò, alzando la testa. I suoi occhi erano pieni di lacrime, quasi specchio dei miei. «Mi manchi tanto, Bella. Quando torni?»
Come potevo rimanere lì, davanti a quel computer, a fissarla? Avrei fatto le valigie e preso il primo treno per Londra, ma sapevo che Edward non sarebbe stato per niente felice di quella mia scelta.
«Domani sera, cucciola.»
Tirò su con il naso. «E stasera chi me la racconterà la favola della buonanotte?»
Come potevo?
Seriamente. Il suo sguardo triste mi struggeva e il mio cuore ormai si era sciolto. Quella bambina mi aveva letteralmente conquistata e io non potevo fare nulla.
«C'è sempre papà. È solo per stasera, davvero. Domani saremo io e te abbracciate nel letto a leggere una bella fiaba, okay? Solo non piangere, che poi sto male anche io.»
Edward le accarezzò i capelli, sorridendole dolcemente. «Hai sentito?»
La bambina annuì e lui le baciò la fronte, stringendola sé. «Ora, da brava, vai a vestirti, su, che la nonna ci aspetta alle sette e mezza.»
Guardai l'orologio del computer. Erano già le sette meno un quarto... Il tempo volava.
«Ok, papy.», mormorò, per poi girarsi verso il monitor. «Allora ci vediamo domani. Buonanotte, Bella.»
«Buonanotte, pulcino.»
Avevo un nodo in gola e non riuscivo a respirare. Sarebbe stata dura, quella sera, addormentarsi, senza la mano di Edward fra i miei capelli e il suo petto contro il mio viso.
Come potevo combattere gli incubi che mi assillavano?
Ed si sistemò i capelli all'indietro, e poi mise a posto la camicia. «Ehi, ascolta, io ora vado a vestire Viola. Ci sentiamo più tardi, okay?»
Sospirai. «Va bene.»
«Bella...» Sbuffò, con quel suo sguardo severo. «Non farmi stare con il patema d'animo per tutta la serata, per favore. Divertiti, esci un po', ti farebbe bene. Per favore, fallo per me.»
«Ci proverò.»
«Grazie». Abbozzò un sorriso, tirandosi su in piedi. «A dopo.»
La chiamata terminò e dovetti scansare il computer dalle ginocchia perchè le lacrime scrosciarono impetuose sulle guance.
Mi sentivo parte di quella famiglia, sebbene conoscessi Edward da relativamente poco. Ma ciò che provavo per quelle bambine e per lui, soprattutto, mi faceva battere il cuore così forte da mozzarmi il fiato.
Mi mancavano, e Ed mi aveva chiesto di pensare ad altro, e non piangermi addosso proprio come stavo facendo.
Ma per lui era facile parlare. Io ancora non avevo fatto l'abitudine di star lontano da loro tre, e anche solo quelle poche ore mi avevano fatto uscire di testa. Figuriamoci come sarebbe stato tra due o tre mesi, quando avrei finito i corsi.
La chiave nella toppa rigirò un paio di volte, e Angela comparve dalla porta, con i cartoni della pizza.
«C'era un po' di coda, scusami.»
Mi asciugai le guance senza che lei lo notasse. Odiavo sembrare più fragile, ma solo al pensiero dei miei tre angeli mi faceva perdere un battito.
«Isa, hai pianto?»
Scossi il capo, negando l'ovvio. «No. no. Mi è finito qualcosa nell'occhio.»
Corrugò la fronte, poggiando sul tavolo il cibo. «Sappi che non ci casco. I tuoi occhi sembrano due pomodori. Quindi, hai pianto. Per quale motivo?»
Sospirai, per poi sedermi accanto a lei. «Ero in video chiamata con il mio ragazzo... E con lui c'era la figlia...»
«Non mi avevi detto che eri fidanzata.»
Alzai le spalle. «Perchè in realtà non lo siamo, insomma... E' tutto un po' complicato, ecco.»
«Oh. E quindi lui ancora non ti ha chiesto nulla, a riguardo?»
«Angela», borbottai, trangugiando una fetta di pizza. «Non abbiamo quindici anni. Siamo adulti, e entrambi abbiamo avuto precedenti relazioni. Sto solo aspettando il momento giusto, tutto qui.»
Finimmo la cena in silenzio, solo con il brusio della televisione di sottofondo. Nessuna di noi due riprovò ad allacciare il discorso, io in particolare per non cominciare a singhiozzare pensando a Ed e alle bambine.
Feci per stendermi sul letto a leggere un po', ma Angela attirò la mia attenzione, tossendo. «Bella, stasera c'è un'uscita fra i ragazzi del campus e del nostro indirizzo. Ti va di venire? Magari ti svaghi un po'.»
«Certo.» Annuii. Dopotutto conoscere nuove persone non mi avrebbe fatto male, tutt'altro. Edward mi aveva detto le stesse, identiche parole, quindi sarebbe stato felice, probabilmente.
«Perfetto. Ci aspettano alle nove nel cortile. Vedrai, ti divertirai da morire.»
Chissà perchè avevo lo strano presentimento che sarebbe stato perfettamente il contrario.


Cosa avevo detto?
Ah, già: non mi sarei divertita. E ovviamente avevo azzeccato, ancora una volta, rendendo così reali i miei pensieri.
Avrei preferito essere in un letto, a Londra, fra le braccia del mio quasi ragazzo, anziché lì, fra tutte quelle persone a me sconosciute.
Angela me le aveva presentate, ma io avevo scordato i nomi pochi secondi dopo che me li disse. Cosa altrettanto ovvia, data la mia sbadataggine.

La prossima volta non darò più ascolto ai tuoi consigli.
B.

Sbuffai, continuando ad ascoltare i discorsi dei presenti. C'era una puzza di fumo onnipresente, che mi bruciava i polmoni e mi ricordava lui.
Voglio scappare, andarmene, fuggire da qui. Tornare a Londra, da Ed, da lui.
Avrei dovuto supplicare Edward di smettere di fumare, perché tutto quello mi faceva tornare in mente il passato, i ricordi terribili.

Perchè? Che è successo, adesso?
E.

Cosa stava succedendo? Avrei voluto fargli un video e inviarglielo per SMS, magari avrebbe capito come mi stavo divertendo.
Sì, divertendo un corno, proprio.

Mi sto annoiando e qui scorrono fiumi di alcool manco fossimo in un bar nell'happy hour.
Mi manchi, voglio tornare da te.
B.

Avrebbe capito, adesso?
Sperai di sì, e l'ennesima zaffata di quell'odioso odore mi penetrò nello stomaco, in tutto il corpo.
Dio, stavo per vomitare.
«Bella, che indirizzo fai?»
Mi schiarii la voce. «Legge, Psicologia e Lingue...»
Il ragazzo strabuzzò gli occhi, incredulo. «Caspita... Dicono che sia una delle formazioni più difficili ma altolocate che ci siano qui a Oxford.»
«Sì, esatto.»
Tutti quei ragazzi dovevano venire da famiglie benestanti, perchè sapevo benissimo i costi di quell'univeristà...
Tredicimila sterline all'anno, senza contare vitto e alloggio.
Un patrimonio, e io avevo avuto una fortuna immane a capitare lì. Tutto grazie a una borsa di studio.
Anche se avevo sentito da alcune fonti che Oxford non donava sostegni agli studenti... E perchè a me sì? Cosa avevo di diverso?
Niente, ero una semplicissima ragazza come tutti gli altri, uscita con il voto massimo dal liceo – anche quello fu un gran colpo di fortuna.
«Ragazzi, Bella è una nuova arrivata, quindi perchè non darle un dignitoso benvenuto?»
Mi sporsero un bicchiere colmo di vino rosso e mi costrinsero a berlo.
Perfetto, cominciavo a vedere le stelle.
«Ehi, Jacob, come va con Liz?», fece Angela, scolando tutto il nettare. Solo a vederla inghiottire tutta quella roba mi saliva la nausea.
Un ragazzo dalla pelle ambrata si sporse verso la luce, sedendosi sul bracciolo del divanetto. «Va a gonfie vele! Sul serio!»
I suoi occhi mi sembravano così familiari, anche i lineamenti del viso mi pareva di averli già visti...
«Come si chiama di cognome Jacob?», mormorai a Angy. Lei tossì, e mi rispose sottovoce. «Black, se non erro.»
Jacob... Black.
Il mio cervello cominciò a lavorare senza sosta e potevo sentire gli ingranaggi entrare in moto.
Oh, Dio. Era davvero quel Jacob Black? Quel ragazzino così solare e dalla pelle scura con cui avevo trascorso la mia infanzia?
Lasciai che il caos continuasse, e io mi allontanai un po' dalla marmaglia. Avevo bisogno di aria pulita e soprattutto respirabile.

Amore, stai tranquilla. Ancora diciotto ore e sarai da noi.
E.

La sua risposta fu il colpo finale. Diciotto ore, tremendamente troppe. Troppe da sostenere, troppe che il mio cuore potesse sopportare.
Alzai la cornetta, dopo aver composto il numero di Edward, e lasciai che suonasse.
Mi avrebbe richiamata lui, come faceva tutte le volte.
Infatti...
«Ehi
«Ehi...»
«Che è successo?»
«Voglio tornare a Londra. Adesso, seduta stante.»
Sbuffò, dall'altro capo del telefono. «Non dire cazzate. Sono sicuro che ti stai divertendo, in fondo
«Divertendo? Se questo è un modo, per te, di divertirsi, ti stai sbagliando di grosso!» La mia voce uscì più acida e stridula di quanto avrei voluto, e sperai che non mi mandasse a quel paese.
«Ora ascoltami: torna di là e prova a fare meno l'asociale.»
Mi stava prendendo per il culo? Io, introversa? Ma quando mai?!
«Da quando sarei un'asociale, io?!», borbottai, pensando di chiudere la comunicazione.
«Insomma, non sembra che tu stia cercando di legare, stasera...»
«Non prendiamoci in giro, Edward!» Non sapevo più che dirgli, dato il mio nervosismo. «Se vuoi torno in quella stanza, ma sappi che domani faremo i conti.»
Sospirò, di nuovo. «Avanti, non fare così. Non diventare una bambina capricciosa.»
«Ah! Quindi io sarei una bambina capricciosa?!» Dio, riusciva a farmi uscire di testa in pochi secondi, e nel lato negativo del termine, per giunta. E in quel momento mi aveva davvero stufato. «Va bene! Allora ti lascio stare, dato che volevo solo sentire la persona più importante della mia vita! Grazie, davvero, Edward. Ci vediamo domani. Ciao.»
Attaccai furiosa la cornetta. Merda, mi era anche venuto mal di testa.
Al diavolo lui e i suoi discorsi del cazzo.
Il mio cellulare iniziò a vibrare forsennatamente. Se pensava sul serio che potessi rispondergli dopo quei pensieri, poteva anche andare a dormire, perchè non avrei mosso un dito.
«Tutto bene?»
Sobbalzai a quella voce, e mi voltai. Jacob era davanti a me, con un accendino e un pacchetto di sigarette in mano.
«Sì, è tutto a posto, grazie.»
Si accese una sigaretta, continuando a fissarmi. Il suo sguardo mi infiammò le guance e dovetti voltarmi.
«Sai... Tu assomigli tanto a una persona che conosco.» borbottò, affacciandosi sul ponticello, assumendo la mia stessa posizione.
Osservai l'acqua dello stagno, ghiacciata e ferma. Il prato era spoglio e le fronde degli alberi scricchiolavano scosse dal vento.
«Sul serio?»
«Sì. Non la vedo da tanti anni, però sono sicuro che avete qualche cosa in comune.»
Tutto si fece più chiaro, cristallino. «Ti va di parlarmene?»
Lui annuì, espirando tutto il fumo, che formò piccoli cerchi avvolti nella nebbia notturna. «Ci eravamo conosciuti all'asilo, in Scozia. Avevamo legato da subito, era la mia migliore amica. Frequentammo le scuole assieme, ma lei a sedici anni fu costretta a trasferirsi in Spagna. Mi manca da morire. Fu come se una parte di me se fosse andata, lasciandomi incompleto.»
Il fiato mi manco nei polmoni e le mie convinzioni si fecero reali. «Come si chiamava di cognome?»
«Swan.» La sua voce divenne un sussurro appena percettibile, e io mi irrigidii. Okay, perfetto.
Era davvero lui...
«Che c'è?»
«Sei... Sei tu, Jake?» Il mio cervello andò in stand-by, e la mia lingua si mosse da sola. «Sei... Jacke il pirata?»
Strabuzzò gli occhi, indeciso sul da farsi. «Bells?»
Le lacrime salirono agli occhi e ruppero gli argini. Lo strinsi fra le braccia e lui mi sollevo. Quanto mi era mancato, quanto?
«Dio, non ci posso credere! Sei davvero tu!», singhiozzai e asciugò le lacrime, sistemandomi i capelli.
«Dove sei stata, per tutti questi anni? Non sei cambiata per niente!»
Abbozzai un timido sorriso, ricontrollando i ricordi. «Da troppe parti. Ho il cervello in subbuglio. Ma ora sono qui, a Londra. Speriamo per un bel po'. E tu che ci fai, a Oxford? Non ricordo che andassi così bene al liceo!»
Mi pizzicò il fianco, proprio come era solito fare da adolescente. «Tieni a freno la tua linguaccia. Alla fine non ero un ribelle, lo sai anche tu. Sono uscito con dei buoni voti, poi ho conosciuto Liz e l'ho seguita qui.»
«Il solito romanticone da strapazzo.», scherzai e lui rise. Mi era mancato anche quello: il suo sorriso, le sue risate nel cuore della notte in campeggio in tenda nelle vacanze estive.
Rimanemmo qualche secondo a sorriderci a vicenda, fino a che lui alzò il dito, come se nel suo cervello si fosse accesa una lampadina.
«Canti ancora, qualche volta? Avevi una bellissima voce, ricordo che amavi questo tuo talento.»
Sospirai, girando una mano come a sminuire la cosa. «Ho quasi abbandonato del tutto la musica perchè il ballo mi ha presa totalmente. Ho anche aperto una scuola di danza con delle mie ex compagne di istituto, sempre a Londra.»
«Che figo!», esclamò, dandomi una pacca sulla spalla. «Però ogni tanto canti qualcosa? Anche solo per hobby?»
«Sì, capita. La mia doccia conosce bene tutte i miei acuti.»
Ridemmo insieme, come ai vecchi tempi, quelli che avevo amato, quelli che avevano preceduto il periodo nero.
«Perfetto! Allora vieni, ti faccio sentire dagli altri, ne sarebbero entusiasti!»
Mi strattonò per il braccio senza darmi il tempo di controbattere che fummo di nuovo nella stanza di prima, lui che si schiariva la voce e annunciava ai ragazzi di questo mio desiderio.
O meglio: quella costrizione.
«Che ti va di cantare?»
Sbuffai. «Se ce l'hai, Rolling in the deep.»
I suoi occhi si illuminarono, mentre i miei cercavano di schivare tutti quegli sguardi curiosi.
Le note si propagarono nell'aria tesa, e io avrei voluto solo scomparire.
Eppure, presi coraggio e iniziai a cantare le prime parole, e a mio malgrado furono tutte giuste e perfettamente intonate.
Tutti mi osservavano, le ragazze schioccavano le dita a tempo con la musica e i ragazzi mi fissavano allibiti.
Terminata la canzone, mi aggrappai le braccia di Jake, che diede inizio al coro di applausi.
«Sei stata grandiosa! Hai una voce stupenda!»
Sorrisi, impacciata, a tutti i complimenti che mi furono porsi, fino a che un Erik non fece segno di abbassare i toni.
«Ehi, Bella, senti: noi stiamo cercando una cantante per la nostra band, ti andrebbe di farne parte? Se non ti va, puoi anche dire di no, non ci offendiamo.»
Strabuzzai gli occhi, incredula. Era stato il sogno della mia adolescenza poter prendere parte a un gruppo, ma non ebbi speranze.
Ora, mi si stava riproponendo la stessa occasione, e non potei lasciarmela sfuggire. «Certamente! Ne sarei felicissima! Basta mettersi d'accordo bene sulle date, e io ci sarò.»
Erik mi circondò le spalle con il braccio, proclamandomi nuova cantante degli Skulls.


EDWARD.

Riprovai ancora una volta a fare il numero di Bella, che però non rispose.
Cazzo, erano dodici ore che non la sentivo, e cominciava a salirmi l'ansia. Dopo la nostra litigata, la sera prima, non mi aveva più risposto al cellulare.
E la situazione non era tanto cambiata, nelle ultime ore.
Le inviai un messaggio, aspettando una sua risposta. Nulla, niente di niente.
Ero stato solo un coglione, e ora lei forse si era anche offesa perché l'avevo chiamata in quel modo. Proprio come succedeva a me quando mi chiamava “faccia da schiaffi”.
«Papà, tutto bene?»
Meredith mi tirò la manica della giacca, attirando la mia attenzione. Le accarezzai i capelli, prendendola in braccio.
Eravamo nei corridoi della sua scuola perchè era il “Daddy Day”, e tutti i padri erano stati chiamati per prendere parte a quella giornata, giusto per fare qualche lavoretto e passare del tempo con i propri figli.
Viola era nel passeggino, accanto a noi, che mordicchiava il sonaglio. «Ehi, Mary, sai che giorno è oggi?»
La bambina mi guardò di sottecchi, curiosa. «Il “Daddy Day”?»
Scossi il capo, sorridendo. «Anche, ma anche?»
Ci rifletté su, senza però trovare una risposta. «Un aiutino?»
«Che data è?»
«E' il due febbraio duemiladodici, e sono le dieci del mattino, perchè?»
Alzai gli occhi al cielo. «Il numero due non ti dice nulla?»
Aprì la bocca a “O”, per poi scendere dalle mie braccia e prendere fra le sue la piccola Viola, ovviamente con il mio aiuto.
«Oggi è il complemese di Violy!»
Risi della sua reazione, e cominciò a baciare le guance della sorellina. «Sono cinque mesi. Auguri, scricciolo.»
Cinque mesi... Cinque mesi che la mia seconda stella era con noi ma quasi cinque mesi che Tanya se n'era andata.
Scacciai via quel pensiero, guardando le mie figlie. Erano due gemme preziose, tutta la mia vita, tutte le mie ragioni di esistere erano racchiuse in loro.
La voce della maestra di Mary ci richiamò. Misi Viola nel marsupio e presi la manina di Meredith, che saltellò entusiasta.
«Ti voglio bene, papà! Grazie per essere qui!»


Era stata, tutto sommato, una bella mattinata. Avevo visto Mary ridere e divertisti assieme alle sue compagne, e soprattutto insieme a me.
Dopo tanto tempo, la vedevo sorridere di gusto, proprio come avrebbe dovuto sempre fare, come tutte le bambine della sua età.
Ora si stava buttando letteralmente a capofitto sul suo piatto di lasagne.
«Amore, racconta alla nonna cosa abbiamo fatto oggi.»
Mia madre le raccolse la lunga chioma in un elastico, cosicché non finisse nel sugo, e poi le diede un buffetto sulla guancia piena.
Meredith le sorrise. «Abbiamo fatto dei disegni insieme, con la signorina Flach, e poi siamo andati nel laboratorio di musica, dove papà ha fatto sentire...»
«Ingoia il boccone, tesoro.», la rimproverai, e lei si scusò, per poi riprendere da dove aveva interrotto. «Dove papà ha fatto sentire quanto è bravo a suonare il pianoforte! Glielo ha insegnato il nonno, vero?»
Esme annuì, così tremendamente rapita dalla sua nipotina. «E poi abbiamo fatto altri disegni e un laboratorio di falegnameria, dove abbiamo costruito un giochino per Viola! Poi quando andiamo a casa te lo faccio vedere, okay?»
Risi delle sue espressioni convinte. Era capace di rubarmi il cuore in ogni suo singolo gesto. La mia principessa, che ogni giorno diventava grande e io volevo tenerla stretta a me e non lasciarla fuggire.
Il mio cellulare, deposto sul tavolo, vibrò e sul display comparve il suo nome.
«Scusatemi un attimo.»
Mi allontanai il giusto indispensabile, per poi alzare il ricevitore. «Se non fosse perchè ti ho chiamata dieci volte in tutta la mattinata, mentre ero a scuola con Mary, e tu non mi hai degnato neanche di un segno di vita, non ti saluterei neanche e ti manderei a quel paese. Ma dato che tu per me sei importante, voglio solo dirti che mi manchi da morire.»
Dall'altra parte lei non mi rispose, ma riuscivo comunque a sentire il suo respiro affannato, pesante.
«Bella? Ti prego, dimmi qualcosa.», la implorai, sbottonandomi i polsini della camicia. Cominciavo ad avere caldo, e lei che si comportava così non mi dava un grande aiuto.
«Edward...»
Il suo tono era freddo, duro, distaccato.
Merda, l'avevo davvero fatta grossa.
«Dio, Bella. So di essere stato un coglione, e voglio scusarmi per ieri sera. Non... non volevo dirti quelle parole, non le penso affatto. Sei stupenda, non so che farei. Ti prego, perdonami, non era mia intenzione.»
Lei sbuffò, e potei immaginarla tamburellare le dita sul tavolo. «Ti perdono, ma solo perchè sei tu
Sospirai, felice. «Davvero, grazie. Non puoi immaginare come mi sia sentito...»
«Shhh... E' tutto a posto adesso. Stai tranquillo, va tutto bene. Scusami tu se non ti ho più risposto, ma dopo quella... litigata ero troppo furiosa e ti avrei solo insultato. E poi quando sono arrivata in camera ieri sera, a mezzanotte, ho spento solo il telefono e sono crollata. E ho finito all'università.»
«Ah... Ora però è tutto passato, no?»
Lei rise, come una bambina. «Certo che sì, sciocchino. Ah, a proposito, devo raccontarti tante cose quando tornerò a casa
«E io le ascolterò tutte.»
La sentii sorridere contro il cellulare. «Bravo. E c'è anche un'altra cosa
«Che cosa?»
«Ti conviene andare alla stazione al più presto possibile, perchè sono quasi arrivata
«Co.. Cosa?!», domandai, incredulo. Come poteva... «Com'è possibile?»
«Ti spiegherò tutto appena arrivo. Ora sbrigati, manca mezz'ora. Non vedo l'ora di abbracciarti.»
«Sì, anche io. A dopo.»
Chiusi la conversazione in fretta e furia e tornai al tavolo, prendendo la mia giacca e sporgendo a mia madre il costo del pranzo.
«Dove vai?», mi chiesero Esme e Mary, aggrottando la fronte.
«Ci vediamo a casa. Sta arrivando Bella, a dopo.»
Detto quello, uscii dal ristorante e misi in moto l'auto, mentre il mio cuore prese a battere così velocemente che pensai mi sarebbe uscito dal petto.


BELLA.

Aria di Londra. Pioggia, la mia amata pioggia. Anche se pure a Oxford il tempo non era stato clemente.
Presi la mia valigia, con un sorriso ebete in faccia, e inspirando l'odore di umido che era entrato nel vagone.
Stavo per rivederlo, finalmente. Sarei presto stata di nuovo fra le sue braccia, il mio rifugio, il mio posto.
Scesi dal treno, guardandomi intorno. Non lo vedevo, ma sapevo bene che era nei paraggi. Lo sentivo, percepivo il suo profumo tra tutte quelle persone.
Mi incamminai verso la piccola ala d'attesa, cercandolo. Ed era lì: le mani in tasca, la testa che si fissava le scarpe, i capelli arruffati.
Gli corsi incontro, e quando fui a poca distanza gli feci squillare il cellulare e mi voltai.
«Dove sei?», domandò, alzando lo sguardo e osservandosi intorno.
«Prova a guardare davanti a te.»
Fece come gli avevi riferito, e quando mi vide sorrise soltanto, e i suoi occhi divennero lucidi.
Affondai il viso nel suo petto, stringendolo a me.
Ero fra le sue braccia, di nuovo. Il suo odore mi inondò i polmoni, le mie dita si intrufolarono fra i suoi capelli, morbidi come il velluto.
«Sono finalmente a casa.», mormorai, guardandolo negli occhi. E solo in quell'istante capii quanto fossero importanti quelle parole.
A casa. Ero a casa, in un luogo che mi apparteneva e in cui ero amata.
«Sei qui, sei qui.»
Appoggiai le labbra alle sue, mentre le nostre lacrime si mischiarono. «Sono con te, sono qui.»
«Amore mio...»
Ecco cosa era per me: il mio rifugio felice, il mio posto segreto. La mia casa.
Ero nel mio paradiso, finalmente felice e tranquilla.



____________________
CAPITOLO BETATO.
Holaaaaaa :D
Rieccomi qui, nonostante gli impegni, ma sono qui, con voi! u.u
Sono, o non sono brava? eeeeeh, dai!
Anyway, eccovi un capitolo di passaggio lungo come la Quaresima .-. Non è colpa mia, davvero! E' che quando scrivo di loro mi lascio prendere la mano...
Non è normale ç_ç
Ringrazio Aniasolary per il betaggio improvvisato ♥
Ringrazio le 192 persone che hanno inserito AITC nei seguiti, le 63 nelle preferite e le 16 per le ricordate <3
E poi le 40 anime pie che mi hanno inserito fra gli autori preferiti <3
E poi grazie a Simo, Bià, Marti, Ania, Frà, Ilaria, Moni, Chuck, Sanya, Aurora, Giuls e a tutte le altre <3 Vi voglio un mondo di bene <3
Sappiate che be'... avrete mie notizie molto presto u.u Quindi Stay Tuned :3
Ah, tanto che ci sono mi autopubblicizzo AHAHHAAH XD
Originale Romantica Anime Infrante (Twilight)
Se ci fate un salto fatemelo sapere :3
E qui i miei contatti: Profilo FB Gruppo FB
Rimanete collegate, mi raccomando u.u Ci sentiamo la PROSSIMA SETTIMANA *-*. E fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto o meno, mi farebbe molto piacere ricevere le vostre solite e dolcissime recensioni :')
Un bacio <3




   
 
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