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Autore: thecarnival    02/10/2012    7 recensioni
MOMENTANEAMENTE SOSPESA CAUSA: ESAMI UNIVERSITARI.
Lei: ventisette anni, francese di nascita ma italiana d'adozione.
Lui: italiano, meglio dire, romano D.O.C.
Lei: vive in un piccolo appartamento in una zona tranquilla di Roma e si mantiene grazie ad un modesto lavoro che tuttavia sta iniziando ad odiare, perché è propria a causa di esso che ha visto infrangere le sue aspettative sul vero amore e sugli uomini: l'organizzatrice di matrimoni.
Lui: condivide casa con due sue amici e colleghi e, a differenza di lei, ama il suo lavoro, perché non solo guadagna soldi ma anche donne: è uno spogliarellista in un noto locale di Roma, il Ladies Night, ed è la principale attrazione del locale.
Entrambi pensano che l'amore sia inutile e passeggero, che la gente si stanchi di stare sempre con la stessa persona e che, prima o poi, si finirà per soffrire.
Le loro vite si intrecceranno per caso e il caso non li lascerà più allontanare.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Undress my heart.'
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Allo stretto indispensabile.
Ai colpi di testa.
Ai colori.




SEI.

Avevo paura. Ero seriamente preoccupata: da una settimana a questa parte non avevo incontrato Geremia né mio padre aveva cercato di contattarmi, le cose a lavoro andavano bene, nessun danno a oggetti personali o a me stessa; cosa mi stava succedendo? Che fine aveva fatto la mia amica sfiga? 
- Dopo la cerimonia vi sposterete qui, è abbastanza grande per contenere entrambe le vostre liste di invitati; è sul prato ma i vostri due tavoli saranno in posizione centrale e rialzata rispetto agli altri in modo che tutti possano vedervi. L'orchestra sarà...
- La band vuoi dire! 
Ecco che ricominciavano i battibecchi tra le due spose, per fortuna erano amiche, non osavo immaginare cosa avrebbero detto o fatto se non lo fossero state. 
- Ilaria, io non voglio la band, voglio un'orchestra che suoi violini e altri strumenti a corda. Voglio una musica soave al mio matrimonio.- I suoi occhi chiusi e super truccati, l'aria sognante e le unghie ben curate mi fecero rabbrividire. - Ci saranno anche i gazebo vero?- Si rivolse a me, aprendo di scatto gli occhi castani e inviperiti.
- Veramente... No.- Prima che scoppiasse provai a spiegarle che il matrimonio era di entrambe e che stavo provando, insieme ai miei collaboratori, ad accontentare tutte e due. - Avevo pensato ad alcuni tavoli con sopra delle tovaglie di lino bianco e appuntati a esse dei piccoli fiorellini gialli e arancio che richiamano le composizioni ai vostri tavoli. 
- Io li voglio viola e rossi. 
Giada era la sposa più complicata tra le due, quella che stava con l'americano e che voleva le cose più strane. Che razza di abbinamento era quello che aveva scelto? Sospirai cercando una ragione per non strozzarla.
- Potremmo dividere le composizioni in base ai vostri tavoli e agli invitati. 
- L'importante è che io abbia i miei fiori viola. 
Quando tutti e quattro andarono via, mi rilassai sulla mia poltrona maledicendo Carla e la sua mania di darmi i lavori più difficili. Perché non potevo mai occuparmi di matrimoni semplici o di quelli civili? 
Mandai le ultime email per confermare la sala del ricevimento, chiamai il fioraio e anche il pastore che avrebbe celebrato il rito; stavo appunto parlando con quest'ultimo quando mi arrivò un messaggio al cellulare, mi soffermai a leggerlo più del dovuto, perdendo la concentrazione.
Ehi biondina, non pensare che mi sia scordato di te, sono solo troppo impegnato per passare a salutarti. Non disperare, recupereremo.”
Primo: non ero affatto disperata, anzi tutto il contrario: non aveva la minima idea di quanto fossi felice di non averlo incontrato in quei giorni.
Secondo: come diavolo aveva fatto ad avere il mio numero? 
La risposta lampeggiò nella mia mente come un'enorme insegna luminosa: il suo stupido amico che mi aveva duplicato la scheda! Un moto di rabbia mi assalì e fui tentata di rispondergli mandandolo, gentilmente, a quel paese; invece lo ignorai, credendo che in quel modo lui si sarebbe convinto che aveva sbagliato numero.
Signorina Emily, è ancora in linea? 
Avevo dimenticato di essere al telefono con il pastore Marzano – Sì, scusi, stavo appuntando tutto sull'agenda. Quindi confermiamo?
Quello rispose e chiusi la chiamata afflitta, possibile che quel tizio, di cui ancora non conoscevo il nome, doveva farsi sentire nei momenti sbagliati e inopportuni? 

Anche quella mattina arrivai in orario a lavoro; Carla non era nel suo ufficio, aveva lasciato un biglietto dicendo che era uscita per un sopralluogo. Mina e Giulia invece, erano già sedute alle loro scrivanie, ma invece di lavorare parlavano della loro serata precedente.
- Tu che hai fatto? 
Si accorsero di me solo perché feci tutti i rumori possibili, attirando l'attenzione – Oh, buongiorno ragazze, anche voi qui? 
La loro risata mi contagiò, era strano essere di buon umore di prima mattina. Ultimamente ero sempre così cupa e triste, un po' come Meredith Grey. 
Stavo per rispondere e raccontare loro della mia serata rilassante, passata sul divano a guardare una commedia americana quando il mio cellulare squillò: l'ennesimo messaggio.
Buongiorno Dumbo. Non puoi evitarmi per sempre.”
Lo misi in modalità 'vibrazione' e lo posai sulla scrivania.
- Chi era?- Mina e la sua morbosa curiosità.
- Non è che per caso hai qualche ammiratore segreto e non vuoi dircelo? - Giulia, quando ci si metteva, sapeva essere peggio di Mina, avrebbe potuto iscriversi a scienze investigative perché sarebbe stata un ottimo detective rompi scatole.
- Nessuno di importante. Volete sapere o no quello che ho fatto ieri?
- No, perché fai la stessa cosa ogni sera: stai a casa a guardare un film. Sei noiosa.
Volevo ribattere alle parole di Mina, ma l'altra arpia si intromise, mettendo fango su fango:
- Potrai parlare solo quando uscirai con qualcuno che merita e farete baldoria per tutta la notte. Fino ad allora, zitta e lavora.
Scoppiarono a ridere e finsero di darsi un cinque a distanza; le mandai a quel paese e mi misi a lavoro ignorandole. 

Quando andavo a scuola non facevo mai colazione o, se mangiavo, mi limitavo a ingerire qualcosa di secco come biscotti o simile evitando il latte e il caffè perché sapevo che a metà mattina sarei dovuta correre in bagno. Da grande persi la mia intelligenza e furbizia e iniziai a fare colazione bevendo latte e caffè, i due ingredienti più lassativi possibili messi insieme: verso le undici corsi in bagno per un attacco di mal di pancia incredibile. 
Forse era stata colpa del cinese della sera precedente, non ero mai stata male come in quel momento in vita mia; dovevo iniziare a mangiare in maniera decente e smettere di ingozzarmi di schifezze. 
Tornando in ufficio trovai le due streghe sedute sulla mia scrivania a ridere come due idiote.
- Oddio... “
Dovresti tornare al locale, potrei rifare il numero della panna solo per te.” 
Stavano leggendo i messaggi del mio cellulare.
- Giù, senti questo: “
Sto mangiando del pollo con i miei coinquilini: preferirei avere te davanti, con quella vestaglia nera e trasparente.” Era quella che ti abbiamo regalato noi? 
Mi avvicinai a loro, arrabbiata, togliendo dalle mani di Mina l'oggetto delle loro risa – Cosa state facendo?
- Ha cominciato a tremare e... Abbiamo letto. Scusaci.- Tra le due Giulia era quella con la testa sulle spalle e la meno curiosa. – Però adesso spiegaci cosa sono tutti questi messaggini.
Mi sbagliavo. - E' il tizio del Ladies Night, quello della panna.- Non mi fecero finire di parlare perché iniziarono a saltellare felici come delle antilopi nella foresta per tutta la stanza ripetendo quanto fosse romantico che - testuale - 'quel figo mi scrivesse ogni mattina, pomeriggio e sera'. A detta loro il romanticismo stava nel fatto che la nostra sembrava la versione rivisitata di “Pretty Woman”, lui era il prostituto e io la tizia ricca che cercava di migliorargli la vita; lui però non mi sembrava così infelice della vita che stava conducendo.
- E tu che gli dici?
Risposi mentre raccoglievo le mie cose per tornarmene a casa: nel pomeriggio avrei visitato la Vigna San Sebastiano insieme alle spose. Alla notizia che lo ignoravo per fargli credere che avesse sbagliato numero, Mina e Giulia iniziarono a insultarmi; non mi interessava cosa pensassero loro, io volevo solo che quell'idiota la smettesse di importunarmi.
- Io però potrei avergli risposto per sbaglio, prima. 
Era ufficiale: odiavo Mina. - Cosa hai fatto?- Sibilai, mentre mi avvicinavo minacciosa e con l'ombrello in mano: l'avrei usato come arma se fosse stato necessario. - Cosa gli hai scritto?
- Niente di grave, ho usato il tuo stile.
Mi bloccai – Ironica e tagliente? 
Negò con il capo e accennò una mezza risata – Isterico, quello di una zitella. 
Mi finsi arrabbiata mentre loro due morivano dalle troppe risate: Giulia cadde per terra e si teneva la pancia, dicendo che la mia espressione era troppo buffa; ancora una volta le mandai a quel paese e me ne uscii dall'ufficio. 
Non sapevo cosa avesse risposto Mina al messaggio e in tutta onestà non mi interessava affatto, ma mi aveva infastidito il loro intromettersi nella mia vita. Se non gli avevo raccontato nulla di tutta quella faccenda, c'era un motivo: quello di tener fuori, il più lontano possibile, Mr Panna, perché quello portava solo guai e sfiga. 
Loro due non erano cattive e quello che facevano lo facevano per il mio bene, di questo ne ero a conoscenza, ma il mio brutto carattere mi faceva reagire in quel modo, portandomi a trattarle sempre male. 

- Ciao Emily, come stai? 
Non potevo crederci, quel tizio era sempre in agguato e pronto ad assalirmi quando poteva. Stavo iniziando a pensare di scendere con le scale e abolire per sempre l'ascensore. Lo salutai per educazione anche se avrei preferito ignorarlo; lui come al solito aveva voglia di parlare perciò continuò a infastidirmi con la sua vocetta nasale.
- Non pensi che sia strano incontrarci sempre qui dentro?
Lo aveva notato davvero? Allora era un genio! - No, figurati. Io ci vivo qui dentro è normale incontrare qualcuno ogni tanto. 
Rise come un idiota e mi venne voglia di prenderlo a pugni – Lo so che è assurdo, ma ti assicuro che è una coincidenza: è la mia pausa pranzo e se non mangio le sfogliatine della signora Maria starò male per tutto il giorno.
Un altro dei miei problemi era che giudicavo troppo in fretta le persone; quel ragazzo era sempre stato gentile con me e aveva ragione, ci incontravamo solo negli orari di entrata o uscita dal lavoro; in effetti anche lui doveva andare a mangiare o a casa a dormire. Ero proprio stupida! 
Le porte dell'ascensore si aprirono e mi lasciò uscire, sorridendomi gentile; non ero abituata a tutta quella galanteria. 
- Cosa sono queste sfogliatine di cui parli? 
La mia bocca non era collegata al mio cervello oppure il mio cervello aveva smesso di funzionare. Perché cavolo mi mettevo a parlare di cibo con quello che fino a qualche istante prima avevo creduto fosse un maniaco sessuale? 
- Non le hai mai assaggiate? Dobbiamo rimediare. 
Mi sorrise ancora e, prendendomi per mano, mi trascinò fino al piccolo panificio di fronte al palazzo in cui lavoravamo. Ci accolse una signora bassina e ciocciotta, ma molto simpatica: lei doveva essere Maria.

- Emily, ti presento la signora Marianna che tutti chiamano Maria. 
Le strinsi la mano e lei mi riempì di cibo e complimenti. Quel tipo aveva ragione: le sfogliatine erano squisite, non ne avrei potuto fare a meno per il resto dei miei giorni.
Uscimmo dal panificio rotolando: mi sembrava di essere ingrassata di altri dieci chili per tutto quello che avevo mangiato, sarei scoppiata da un momento all'altro; come avevo potuto farmi trascinare da un tizio e mangiare tutte quelle cose? 
Dovevo smetterla di farmi domande e iniziare ad agire: salutarlo e andarmene erano le prime cose da fare.
- Grazie mille per il pranzo. Sei stato davvero gentile.
Era chiaro come l'acqua: il mio cervello era morto; se mi avessero fatto in quel momento un elettroencefalogramma si sarebbe vista una lunga linea piatta. 
- E' stato un piacere, potremmo farlo un'altra volta se ti va.
Dovevo solo negare, salutare e andare via. - Certo, puoi solo dirmi il tuo nome? Io, beh sai, ho una pessima memoria.
- Mario e qui c'è anche il mio numero.
Mi diede il suo biglietto da visita e poi lo salutai sul serio dato che dovevo incontrare le mie due simpaticissime clienti alla Vigna e non potevo perdere altro tempo.
Sull'autobus presi il cellulare per memorizzare il numero e trovai un altro messaggio il cui mittente era sempre “Non Rispondere”, lo lessi per curiosità:
Ho vinto: mi hai risposto. Biondina 0 - Pi...” 
La voce elettronica mi annunciò che quella era la mia fermata perciò lanciai il telefono nella borsa e scesi di corsa per non perdere la coincidenza. Dopo dieci minuti arrivai a destinazione, stanca e sudata. Odiavo i mezzi pubblici ma fin quando non avrei trovato un automobile a buon prezzo mi sarei dovuta arrangiare.

Dopo tutto il pomeriggio trascorso ad ascoltare le lamentele di Giada e le suppliche di Ilaria quando arrivai a casa presi due aspirine e mi buttai esausta sul divano con le lacrime agli occhi a causa del troppo mal di testa; quel lavoro mi stava uccidendo.
I matrimoni erano belli quando erano semplici e intimi, quando ci si sposava per amore e non per interesse; ammettendo che l'amore potesse spingere due persone a legarsi per sempre con un contratto.
Mi addormentai vestita, senza cenare; avevo mangiato abbastanza a pranzo e troppo stanca per camminare fino in camera da letto. Pensai a Mario, aveva un sorriso carino e gli occhi azzurri: mi piaceva quel colore degli occhi, chissà di che colore erano quelli di Geremia. 



Ero in ritardo e non avevo dei vestiti puliti perché la sera prima non avevo caricato la lavatrice; in più, essendomi addormentata sul divano, ero puzzolente e ancora vestita.
Maledii il mio lavoro per tutto il tempo della doccia, soprattutto quando dovetti indossare un abitino beige, l'unico indumento non troppo elegante che mi era rimasto nell'armadio, insieme a delle scarpe con il tacco rosse. 
Presi borsa e cappotto e uscii in fretta da casa: se fossi arrivata troppo in ritardo il Dottor Rossi non mi avrebbe ricevuta e quella corsa sarebbe stata inutile. 
Il traffico quella mattina fu dalla mia parte e riuscii anche a beccare tutte le coincidenze; scesa dall'autobus iniziai a correre come se stessi facendo la maratona di New York, nonostante non credessi di saper correre su quelle trappole mortali. In realtà avevo paura di cadere a ogni passo e di fare una figuraccia davanti a tutti i passanti, ma la reputazione con l'analista era più importante di una figuraccia per strada. 

Aprii la porta dello studio con soli cinque minuti di ritardo e la segretaria mi fece accomodare su una di quelle tante sedie scomode verdi e arancioni che c'erano nella sala d'aspetto. “Il dottore è occupato al momento, desidera qualcosa nell'attesa?” Mi aveva detto la segretaria e avrei tanto voluto spaccarle l'enorme Mac che aveva davanti in testa, perché avrebbe potuto chiamarmi e avvertirmi, almeno avrei fatto a meno di correre e sudare come un maiale in calore.
Dopo una lunga lotta interiore tra quale colore tra giallo e arancione fosse più brutto e quindi in quale sedia avrei poggiato il mio accomodante sedere, scelsi l'arancione e mi rilassai aspettando che il dottore di sto cavolo si liberasse; sfogliai qualche rivista, cancellai tutti i messaggi ricevuti senza neanche leggerli per liberare la memoria e ne mandai uno a Carla dicendo che avrei ritardo per colpa dell'appuntamento con l'analista; stavo per perdere quella poca pazienza che avevo quando delle urla attirarono la mia attenzione, mi sporsi dalla sedia per ascoltare meglio.
Il mio secondo nome era curiosità.
- La mamma sta male e io non posso andare a vederla perché tu lo hai proibito, che razza di padre sei?
- Pietro, abbassa la voce. 
- Non abbasso un cazzo. Mi hai tolto tutto, ma non ti permetterò di portarmi via la possibilità di vedere mia madre.
- E' colpa tua se siamo arrivati a questo punto, avresti dovuto fare a modo mio. Seguire i miei consigli invece di fare quello che fai... Sei una profonda delusione.
A qualche minuto di silenzio seguì un tonfo, il rumore di un oggetto lanciato per terra o contro il muro. Sentii dei passi verso la porta e mi spostai verso la finestra per non farmi vedere e scoprire: se avessero saputo che avevo origliato non avrei fatto una bella figura. 
- Non ti preoccupare, Dottore, risolveremo la questione a modo mio. E' tutto suo signora. 
Mi voltai quando il ragazzo aveva girato l'angolo, il Dottor Rossi era in piedi accanto la porta e stringeva la maniglia come a volerla rompere; aveva le nocche bianche e solo dopo qualche minuto si voltò verso di me.
- Mi scusi per lo spettacolo, si accomodi pure.



Non dovevo piangere, in fondo non era poi tanto grave avere male ai piedi per colpa delle scarpe; dovevo resistere fino in ufficio perché lì le avrei tolte ottenendo la pace dei sensi. 
Non erano poi così alte o così scomode, c'era il platò ad attutire il peso e il tacco non era spillo ma abbastanza grosso; il problema stava nella punta che stringeva troppo le mie dita rendendole ancora di più dei salsicciotti pressati e doloranti. 
La vibrazione della mia borsa mi distrasse dai miei pensieri sulle scarpe maledette; il numero era sconosciuto e per quanto odiassi quelle tipologie di chiamate dovetti rispondere perché poteva essere qualche mia cliente.
Emily, devi venire subito qui. 
- Scusa, ma con chi parlo?
Con tuo fratello! Per favore ho bisogno del tuo aiuto. Ti mando per messaggio il mio indirizzo, fai presto perché è urgente.
Guardai il telefono sbigottita per qualche istante, fino a che non mi arrivò un messaggio da “Non rispondere” con scritto una via e il numero civico; sbuffai e scesi alla fermata successiva, cambiando del tutto il mio tragitto. Al telefono mi era sembrato preoccupato e che avesse davvero bisogno del mio aiuto, perciò strinsi i denti e corsi verso casa sua. 
Per fortuna non ero così lontana e arrivai presto in via Treviso numero diciannove, il portone del palazzo era aperto e ne fui grata perché non avrei saputo a chi suonare; in realtà non sapevo neanche il piano in cui abitava quel cretino perciò gli mandai un messaggio a cui rispose qualche secondo dopo dicendomi anche che avrei trovato la chiave nelle palle del toro. 
Salii le scale fino al sesto piano perché, ovviamente, in quel palazzo non c'era l'ascensore; arrivai mezza sfinita e in punto di morte, avevo tolto le scarpe davanti al 3B sorridendo come una scema pensando ai protagonisti di un libro che stavo leggendo e avevo continuato la mia scalata verso l'idiota. 
Al 6A sospirai vittoriosa e cercai le palle del toro; a sinistra su un muretto con il ripiano in marmo, dietro una pianta grassa, c'era una piccola statua in bronzo di un toro in una posizione strana, sembrava stesse per fare la cacca; non potevo credere a quello che stavo facendo: infilai la mano sotto le palle di quella statua e le staccai, prendendo la chiave.
Disgustata, aprii la porta e cercai l'idiota, non sapevo neanche come chiamarlo, ma in qualche modo mi annunciai non ottenendo nessuna risposta: mi preoccupai. Guardavo tanti film horror o fiction poliziesche, per un attimo pensai che mi avesse chiamata a casa sua per uccidermi o per incastrarmi in un omicidio, poi però sentii la sua voce.

- Sono qui, ultima porta in fondo al corridoio.
Superai l'unico ambiente del soggiorno-cucina e camminai per il lungo corridoio nel quale c'erano diverse porte colorate: una rossa, una verde scuro, una blu, una nera e infine in fondo, arancione; bussai e aprii incerta.
- Ma che cazz! Ti sembra il modo? Non potevi vestirti?
- Finalmente sei arrivata. Devi aprire la porta nera e prendermi la carta igienica, per favore.
Avrei pagato oro per vedere la mia espressione in quel preciso istante; dovevo avere la bocca spalancata e gli occhi fuori dalle orbite oltre all'istinto di sbattere la porta e tornarmene da dove ero venuta. Geremia se ne stava seduto sul water, completamente nudo, con un rotolo finito in mano e la faccia da schiaffi. 
- Stai scherzando?- Negò e chiusi la porta in maniera poco delicata, borbottando. All'interno della porta nera c'era uno sgabuzzino, cercai per un po' e quando la trovai tornai da lui lanciandogliela in faccia -Tieni, idiota.
- Sei molto carina con questo vestito. 
Nonostante avessi chiuso la porta, riuscii a sentire quel complimento e non potei fare a meno di sorridere; era strano che proprio lui mi dicesse qualcosa di gentile dato che era sempre stato scortese e maleducato. Ero in ritardo a lavoro per colpa sua e dovevo dirglielo, perciò mi sedetti sul divano di stoffa blu e bianca che c'era in cucina e aspettai che mi raggiungesse; picchiettavo il piede sul pavimento per lo stress, lo avrei ucciso, anzi prima lo avrei torturato: strappato i peli del naso uno alla volta, legato da qualche parte e fatto il solletico sotto i piedi e alle ascelle, gli avrei fatto la ceretta nelle parti intime e poi, fatto a pezzetti. Sì, era un piano perfetto.

- Il tuo sorriso mi spaventa: vuoi rapinarmi? Perché se è cosi non ho un soldo qui...
Rapinarlo? Era proprio idiota quel ragazzo. Alzai lo sguardo per rispondergli e per l'ennesima volta rischiai di morire quel giorno: era nudo, con solo una misera tovaglia a coprirgli l'amichetto in basso. 
- C'è qualcosa che vorresti chiedermi o vuoi che la tolga? 
Forse era meglio alzarmi e guardarlo in faccia. - Senti, razza di idiota, mi hai fatto venire fino a qui di corsa solo perché non potevi alzare il tuo culo dal cesso e prenderti da solo la carta igienica?
La sua indifferenza mi faceva innervosire ancora di più. - Non credi sia disgustoso camminare per casa in quel modo? Non sapevo chi altro chiamare: Riccardo è uscito per fare la spesa e Giovanni è a lavoro.
Quindi Riccardo viveva con lui, in quell'appartamento; chissà quale delle tre porte era la sua camera e chissà come faceva a vivere insieme a un troglodita come l'idiota che avevo di fronte. Era meglio non rispondergli e andarmene, avevo già perso l'intera mattinata in sciocchezze e se Carla avesse saputo che invece di tornare a lavoro subito dopo l'appuntamento con l'analista ero andata a fare visite di cortesia a degli spogliarellisti, mi avrebbe decapitata. 
- Devo andare, ma me la pagherai.
- Come posso sdebitarmi?- Mi accompagnò fino alla porta, aprendomela come un perfetto gentiluomo. 
- Intanto cominciando a smettere di mandarmi messaggi. 
Uscii da quella casa prima che l'aria diventasse irrespirabile; stare troppo vicina al suo corpo nudo non faceva bene ai miei ormoni arrugginiti; se sorrideva, poi, mi mandava in confusione ancora di più: non era normale avere quei denti così dritti e bianchi, forse era testimonial della Mentadent, dovevo provare a fargli mordere una mela. 
Il mio cervello era andato di nuovo. 
- Ti darò un biglietto omaggio per il mio spettacolo. 
E tutto, come al solito si riduceva al sesso – No grazie, ho già visto abbastanza.
- Potrei fartene uno privato allora. -Rifiutai mentre scendevo le scale, mettere più distanza possibile era la soluzione migliore. - Ti inviterò a pranzo, o a cena! Mi farò perdonare, vedrai.
Scossi la testa sorridendo, non avevo nessuna intenzione di uscire con lui né tanto meno di vederlo ancora; il modo perfetto per ripagarmi del favore sarebbe stato sparire per sempre dalla mia vita, ma sapevo che una richiesta del genere era impossibile. L'orso Balù insegnava che più si cerca qualcosa più non la si trova e viceversa; avevo solo bisogno di stare ferma ad aspettare che il destino facesse il suo corso, sperando però, che fosse come lo volevo io.






*****

Ma ciao belle donne, come state?
Sono già iniziate le lezioni universitarie? Come procede la scuola? PFF l'autunno è arrivato ma qui fa ancora caldo.
Non perdiamoci in chiacchiere e passiamo al capitolo.
Prima di dimenticarlo, il libro di cui parla Emily quando passa davanti al 3B non esiste ma è sempre un riferimento alla storia di Roberta:
YOU SAVED ME. (Che vi obbligo a leggere)
A parte il fatto che lo trovo noioso da moooooorire, non ho molto da dire:
anche questa volta il capitolo si divide in due parti, più o meno.
- Emily a lavoro alle prese con quelle due sceme di spose che personalmente vorrei strozzare perché stanno facendo impazzire pure me.
- Emily a casa di Geremia.
Ovviamente nella prima parte accadono un sacco di cose interessanti.
CHI è Mario e che vuole?
Alzi la mano chi li ha shippati per un momento. IO STO ALZANDO ANCHE I PIEDI!
I numerosi messaggini che Mr Panna le manda: oddio ma questo tizio è una tortura... non ha altro da fare? Lavorare, dormire, cercarsi delle amiche che non siano Emily? MAH!!!
La litigata strana che ha sentito dall'analista. ZANZANZAN.
Sono proprio curiosa di sentire le vostre supposizioni soprattutto sull'ultima parte del capitolo, quando Geremia vuole invitarla ad uscire.
* tante risate *


Credo di non avere altro da dire se non :
Per chi volesse esiste un
GRUPPO dove ogni tanto mi piace fare l'idiota più di quanto io non lo sia xD
Esiste anche una mia
pagina facebook dove pubblicizzo il mio account YOUTUBE e quello DAILYMOTION.
O ancora, il mio account
TUMBLR.

Voi che aggiungete la storia tra le varie categorie, che leggete e recensite: siete fantastiche e vi ringrazio immensamente. Prima o poi vi arriverà un Gerry mezzo nudo a casa.

Grazie a
Ellina Bellina per la pazienza che ha con me e per evidenziare alcune frasi in rosa.





   
 
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