CAPITOLO
2.
A |
nche se ero
molto stanca, la mattina dopo mi alzai all’alba, fremente di
partire prima che
la città si svegliasse ma, così sembrava, Arget
era stato più mattiniero di
me: nella stanza lui non c’era, così come le sue
cose.
"Se
ne è andato…" pensai, chinando la
testa. Cercando di non saltare
troppo alle conclusioni, presi il mio zaino, l’arco e la
faretra e, mettendo
tutto in spalla, uscii in strada per cercare Arget, mossa da quel poco
di speranza
che ti resta sempre dentro, anche di fronte all’evidenza.
"Ben
svegliata!" mi sentii dire. Lui era appoggiato ad un muro della
locanda.
Un brivido mi scosse den-tro e in silenzio lo ringraziai per non avermi
lasciata sola.
"Da
quanto sei qui?"
Il ragazzo
alzò le spalle, con fare noncurante "Non molto."
"Mi
aspettavi?"
"Come
sempre, del resto: le ragazze si fanno sempre aspettare!"
Sorrisi.
"Allora:
dove hai detto di dover andare?" mi chiese, mentre cominciavamo ad
incamminarci verso le porte a nord – dato che la mia
città era l’unica ad
essere situata così a sud -.
"Alla
città della notte. Ci sei mai stato?"
"Un
paio di volte, ma ero soltanto di passaggio."
"E
verrai con me?"
"Certo!"
Sorrisi,
felice di poter avere compagnia. Dopo però seguì
un lungo silenzio. Mi chiesi
se la mia famiglia si fosse già accorta della mia assenza.
Fu Arget a
riprendere la conversazione, dicendo: "Sembra che tu e Ryan teniate
molto l’uno all’altra…"
Annuii: era
così, ci amavamo come fossimo fratelli. A quel pensiero
chiesi: "Arget?"
Lui si voltò
a guardarmi.
"Dov’è
la tua famiglia?"
Lui s’incupì
per un attimo, poi sorrise debolmente "Non credo sia il caso di
rattristarti con i miei proble-mi…"
"Perché
no? Io l’ho fatto con i miei e tu sei stato lì ad
ascoltarmi…"
Sorrise
ancora nello stesso modo lieve, poi disse: "Magari un’altra
volta." Ma la frase era intesa a chiudere il discorso.
Camminammo
per un paio d’ore, parlando del più e del meno
poi, stanchi del lungo tragitto
percorso fino a quel momento, ci fermammo a riposare, seduti
all’ombra di degli
esili alberi. Restai a scrutarlo per un po’, fin quando il
mio sguardo si posò
ancora su quel suo curioso tatuaggio sul collo.
"Non
ho idea di cosa sia." spiegò, notando che lo stavo fissando.
Fece una
pausa, mentre portava una mano sulla macchia, poi
continuò: "Ce l’ho
sempre avuta, come fosse una voglia…almeno, da quando posso
ricordare…lo so è
strana ma, a dire il vero, mi piace!"
Sorrisi con
imbarazzo, sorpresa dall’essere stata colta sul fatto.
Lasciai cadere quel
discorso e riportai lo sguardo sul suo viso, chiedendo: "È
lontana la
città della notte?"
Lui aprì il
suo zaino e prese una mappa. Puntò il dito poco
più in alto della città più a
sud "Noi siamo qui" disse, poi fece scorrere la mano sulla carta,
verso nord, indicando un piccolo pallino nero che rappresentava una
città che
affacciava sul mare e continuò "ed è qui che
dobbiamo andare. Per ora
raggiungeremo la costa passando poi per Illes Nora e Daynhalden.
Dirigendoci
sempre verso nord, arriveremo
alla
città della notte…ma temo ci vorrà del
tempo…"
Brutta
prospettiva: quella città era così lontana!
Probabilmente ci sarebbe voluto un
mese solo per raggiungere la costa…
N.d.A.: Ringrazio molte chi ha letto, chi è passato e chi, sentitamente, ha commentato. Spero continuerete a seguirmi. Etie.