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Autore: _Diane_    03/10/2012    4 recensioni
Dopo la fine della battaglia di New York contro alieni di vario tipo, ogni vendicatore è tornato alle sue usuali attività. Eccezion fatta che ogni giovedì sera il gruppo si ritrovi alla Stark Tower a vedersi in tutta pace un bel film. Al termine di una serata nella quale è stata proposta la visione di "Ritorno al Futuro", uno Steve ancora incerto del suo posto nel mondo viene colpito da un qualcosa che ne provoca lo svenimento. Al suo risveglio si ritroverà nuovamente spaesato nell'anno... 1991. Tra vecchi amici, nuove conoscenze, molti problemi, riuscirà il nostro Capitan America (alias Jarvis) a cavarsela e tornare a casa?
- Dal Capitolo Dieci -
«Tony Stark?»
Domandò senza mezzi giri di parole la giovane dai capelli rossi.
«Esattamente. E voi non credo siate i fantasmi del Natale passato, presente e futuro di Dickens, vero?»
La ragazza parve sconcertata dal comportamento di chi gli aveva appena aperto la porta. Un turbamento che durò qualche millesimo di secondo, dopo il quale rispose.
«Perché, avresti forse paura di confrontarti con i tuoi peccati, signor Stark?»
Genere: Avventura, Introspettivo, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Sorpresa, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Uno
I was caught
Sono stato preso

In the middle of a railroad track
Nel mezzo di un attacco di fulmini
I looked round
Mi sono guardato attorno
And I knew there was no turning back
E sapevo che non c'era modo di tornare indietro

My mind raced
La mia mente correva

And I thought what could I do
E ho pensato a cosa potevo fare

And I knew
E sapevo

There was no help, no help from you
Che non avrei avuto aiuto, nessun aiuto da te
 

Thunderstruck ~ AC/DC



Capitolo Tre


Sabato, 18 Dicembre 1991.

Una tazza fumante di caffè caldo non gli sarebbe per nulla dispiaciuta.

La sera precedente era tornato a casa troppo tardi perché, nella sala apposita al primo piano, servissero la cena. L'orario inflessibile, dalle 19,00 alle 21,00 non lasciava scampo. E lui era tornato parecchio dopo il calare del sole. Così si era rassegnato a quella giornata infernale ed era proseguito direttamente verso la sua camera da letto, di soppiatto per evitare scrupolosamente l'anziano custode. L'avrebbe sicuramente fermato con la sua parlantina travolgente. Magari chiedendo quale fosse il suo nome per la registrazione. Steve aveva preferito ritirarsi nel suo personale nido, gentilmente offertogli da chissà chi, e di ripensarci il mattino seguente.

Ora Steve, dopo aver riposato poco o nulla quella notte, sedeva composto in uno dei tanti tavoli all'interno di una caffetteria di grandi dimensioni. Sperava che, dato il daffare delle poche cameriere impegnate a servire ai tanti tavoli, nessuno avrebbe fatto caso a lui, seduto nel più minuscolo e sperduto. Così si dedicò all'attività che più di tutte lo rilassava al mondo. Sfilò dai pantaloni un block notes e una penna a sfera nera, che aveva trovato in un cassetto della camera quel mattino, e prese a disegnare tutto quello che aveva davanti agli occhi. Con un paio di linee timide accennò i contorni della grande stanza in cui si trovava, poi acquistò più sicurezza e finalmente s'immerse nel meticoloso lavoro di ridisegno.
Prima abbozzò qualche tavolo, poi iniziò a delinearne le persone sedute. Un uomo con un cappello di lana nero ed una sciarpa piuttosto ingombrante brandiva impacciato un bicchierone colmo di cioccolta con panna, seduto di fronte ad una prosperosa donna con lunghi capelli biondi. Un ragazzo con uno zaino appeso su una spalla attendeva la sua brioches, battendo freneticamente il piede per terra per l'impazienza.

Mentre disegnava, finalmente riuscì a tranquillizzarsi, dopo l'incontro inatteso di quella mattina.
 
«Ieri sera non ti ho visto rientrare!»

Tuonò l'arzillo vecchietto alla guardia del palazzo, accennando un saluto, mentre Steve stava migrando dalla sua camera al salone per la colazione.

«Non volevo disturbarla, era parecchio tardi e ho visto che stava lavorando dietro il bancone...»

«Massì, non devi giustificarti. Sembra impossibile ma anche io sono stato ragazzo, una volta. Ti piace proprio passare le serate nei pub newyorkesi, eh?»

Il signore strizzò l'occhio a Steve con malizia il quale, un po' imbarazzato, si mise a sorridere.

«Invece, parlando di cose più serie! Come dicevamo ieri, mi servirebbero nome, data di nascita... Ordinaria burocrazia, insomma.»

Il custode porse al ragazzo un pesante librone, sul quale poggiò una penna.
Il biondo fu assalito da una vertigine. Cosa avrebbe dovuto scrivere?
Gli venne in mente il nome che si era inventato, di punto in bianco, davanti alla giovane figura di Tony. Colto alla sprovvista, con il cuore che batteva all'impazzata, aveva detto di chiamarsi come l'intelligenza artificiale che aveva conosciuto nel ventunesimo secolo. Capì solo dopo che quello era stato un'azzardo, come scommettere tutti i propri averi su un cavallo zoppo ad un'importante corsa. In effetti Steve non sapeva se il giovane Stark avesse mai avuto un maggiordomo in carne ed ossa, prima della versione automatizzata. Ma dal tono con il quale aveva ripetuto "Jarvis", deduceva che non aveva mai sentito un nome simile.
Decise che quello non sarebbe stato male come cognome. Dopo aver impugnato saldamente la penna, ne poggiò la punta sulla superficie ruvida del foglio, prendendo una decisione anche per quanto riguardava il suo nome.

«Le do formalmente il benvenuto nel nostro Hotel, signor Edwin Jarvis.» Poi si interruppe un attimo, porgendogli la mano per presentarsi.
«Stanley Martin Lieber, ma puoi chiamarmi semplicemente Stan, al tuo servizio!»

Seguì una cordiale stretta di mano e Steve si diresse fuori dall'albergo... Notando solo in un secondo momento che aveva saltato la colazione.
Un po' rassegnato, chiedendosi se e quando avrebbe potuto mangiare qualcosa - dato che non lo faceva dal pranzo del giorno precedente - continuò a vagare per la città, finché non raggiunse il bar nel quale ancora si trovava.

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Steve continuava assorto a disegnare i lineamenti delle persone attorno a lui.

Intanto il cervello decise di mettersi in modo, rimuginando sugli avvenimenti del giorno precedente.
Insomma, l'aver fatto un nuovo balzo temporale. Essere stato quasi ucciso, poi trasportato come un sacco di patate in quell'albergo, infine medicato. Chi diamine si stava divertendo così tanto alle sue spalle? Avrebbe tanto voluto saperlo. E quando l'avrebbe saputo, un bel pugno assestato nel bel mezzo al viso l'avrebbe sicuramente aiutato a star meglio.
Poi c'era la faccenda... Stark.
Steve aveva l'impressione che l'incontro con... con Tony, un Tony giovane e completamente differente da come lo ricordava, fosse frutto della sua fervida immaginazione. In effetti non aveva nemmeno alzato lo sguardo per vederlo in faccia preso dal timore che, in qualche modo, potesse riconoscerlo.
"Sicuramente Howard avrà parlato chissà quante volte di me al figlio." Pensò, con una punta d'orgoglio.
Stranamente, benché ormai avesse avuto più e più modi per stare faccia a faccia con il Tony del ventunesimo secolo, mai erano capitati a parlare di suo padre. Strano, pensò; in fondo era un filo rosso silenzioso che, indelebile, univa i due vendicatori.

Però al momento v'era un'altra faccenda.
"Cosa diavolo mi è saltato in mente! Io, un maggiordomo?" Continuava a ripetersi, ammonendosi mentalmente.
Quindi il pensiero scivolava sulle ultime parole del giovane Tony.
Avrebbe dovuto presentarsi alle 10,00? Non sarebbe stato uno sbaglio, un rischio inutile da correre? Perché sfidare così tanto il destino?

Poi, ad un tratto, si sentì stranamente osservato.
Si voltò velocemente. Alle sue spalle trovò il volto incuriosito di una giovane donna, chinata un po' troppo in avanti verso di lui. I due volti, per  un attimo, si trovarono ad un soffio. Steve arrossì e prontamente ritrasse leggermente indietro il busto, mettendo qualche centimetro in più tra di loro. Non potè però esimersi dall'osservarla, a quella distanza comunque ravvicinata.
Indossava un completo nero, parecchio attillato. Una gonna traordinariamente corta per quegli anni, una camicetta nera aperta un po' troppo sul davanti che lasciava intravedere le forme di un giovane seno. Il viso ben proporzionato adornato da qualche lentiggine, coperta una frettolosa passata di trucco. Gli occhi color blu scuro, i capelli rosso fuoco raccolti da una spettinata coda molto lunga.
Il Capitano si chiese a) se si fosse tramutato in una calamita attira guai negli ultimi due giorni, b) se non avesse pensato troppo a Tony Stark nelle ultime ore.
Era quasi sicuro di conoscere il nome della giovane ragazza, che aveva al massimo sedici anni, anche se sembrava la sua copia più grande fasciata in quell'uniforme scura. Quando gli rivolse la parola, raddrizzandosi e portando le mani sui fianchi, notò che neppure il tono di voce era dissimile da quello che aveva nel futuro, le rare volte nelle quali l'aveva incontrata.

«Wow. Tu hai del talento.» poi, come a non voler dar luogo ad equivoci, aggiunse «Nel disegno, intendo.»

«Oh, questo?» Steve istintivamente chiuse il block-notes «Non è nulla, un semplice passatempo.»

«Nel quale sembri incredibilmente bravo, però!
»

«Io ti... ti ringrazio, sei gentile.
»

Poi fu come se lei si rese conto che, sebbene stesse parlando con un ragazzo che reputava interessante, aveva da svolgere un lavoro all'interno di quel locale.

«Ma... Non hai ancora ordinato nulla! Cosa vuoi che ti porti? Abbiamo delle deliziose brioches, oppure dei prelibati cappuccuni e anche...»

«Ti ringrazio, ma in realtà stavo per andarmene.
» Steve fece per alzarsi, spostando la sedia. «Credo di... aver dimenticato il portafoglio a casa. Me ne sono accorto quando mi sono seduto, non volevo occupare il posto d'altri, ora vado.»

«No, aspetta!» Lo fermò la ragazza, facendolo risedere poggiando le mani sui pettorali di Steve. Che poi lei ritrasse in fretta, facendo sì che il rossore dei capelli contagiasse anche le sue gote. «Scusami, intendevo dire... Ho quasi finito il turno. Vado a cambiarmi e se vuoi posso offrirti qualcosa, sempre che ti vada!»

Steve arrossì a sua volta, mimando un "sì" con la testa, cercando di essere il più convincente possibile. La giovane Virginia "Pepper" Potts si allontanò tutta entusiasta dal tavolo, slacciandosi i lacci del grambiule che indossava.
No.
Non poteva restare in quel locale.
Non poteva restare in quell'epoca.
Non poteva rischiare di scombussolare la vita d'altri.
Non ne aveva alcun diritto.


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La grandiosa villa, fino al giorno prima gremita di persone di diversa estradizione sociale - industriali, politici, colleghi, compagni d'università - ora era immersa in un assordante silenzio. Tony non ricordava che prima lo fosse mai stata. Un andirivieni di persone per discutere di lavoro, contrattare su armi, cene d'affari. Tutto quell'improvviso silenzio gli piombò addosso come un macigno.
Rigirava il bicchiere tra le mani, sorseggiandone poco alla volta.
Spesso aveva bevuto così tanto da non ricordarsi nemmeno più il nome. Gli piaceva, adorava la sensazione di onnipotenza che derivava dal perdere completamente la consistenza della realtà.
Ma ora, proprio quando quella sensazione si sarebbe rivelata consolatoria, il liquido alcolico aveva la consistenza di una carta ruvida trofinata sulle pareti della sua gola e giù, giù fino al fegato.
Guardò il Rolex d'oro bianco che portava al polso.
Segnava le 10,29.
Si alzò dalla poltrona nella quale era sprofondato emettendo un sospiro. Cosa diavolo si aspettava?
Si avvicinò al secondo ripiano del mobile più vicino, afferrando una delle numerose custodie trasparenti che vi erano riposte con cura. Sfilò il disco dai riflessi argentati, lo ripose nel lettore che si aprì con un sonoro "click". Poi richiuse lo sportello con cura. Ancora "click".
"Play".

La stanza da ricevimento al piano terra, ornata da prezioso marmo bianco e da varie cristallerie, fu scossa da un tremito. La musica assordante la riempì istantaneamente; il fragore che l'apparecchiatura acustica produceva fece istantaneamente star meglio la mente di Tony. Che si distese un poco, mentre tornava ad occupare la stessa poltrona di poco prima.
Proprio in quel momento la porta in mogano massiccio si spalancò.

«Una musica infernale. Lo trovo un bel modo di iniziare la giornata, che dici?»

La figura possente di Obadiah Stane fece il suo ingresso. Tony nutriva una particolare forma d'affetto per quell'uomo, sempre dedito a parlare di affari - e di armi, e ancora d'affari; sicuramente lo rispettava, così come faceva suo padre. D'altronde prima che avrebbe compiuto ventun'anni, era lui l'erede materiale della Stark Industries, Tony lo sapeva bene.

«Se solo non fosse che tu detesti questa musica.» Sottolineò sarcastico Tony, versando un poco della Tequila che stava tentando invano ii sorseggiare al nuovo arrivato.

«Tu la chiami modernità. Io la chiamo "diventare sordi prima dei trent'anni". Prima o poi, ammetterai che ho ragione.
»

«Nah-nah, non credo proprio!
» Aggiunse Tony, porgendo il drink al nuovo arrivato.

«Ti ringrazio ma declino l'offerta. Tra poco arriveranno degli importanti avvocati per discutere di un paio di cosette per quanto riguarda i passaggi di proprietà, non vorrei dar loro una cattiva impressione.
»

«Ricevuto. Libero il campo, allora.
»

Tony si alzò, prese sia la bottiglia che il bicchiere di cristallo, sistemò alla benché meglio la lussuosa poltrona e si diresse verso l'uscita del salone.

«Tony, la musica. Sai che di quegli aggeggi moderni non me ne intendo.
»

Gli ricordò Obadiah. Girò i tacchi, tornò verso il lettore CD, e con un gesto spense l'impianto. Tutt'intorno il silenzio rimpiombò istantaneo.
Poi si diresse nuovamente verso la porta.

«Aspettavi qualcuno per caso?
»

«No, nessuno.
»

«Comunque, parlando d'altro. Sarebbe il caso ti trovassi un maggiordomo. Anche se non sarà facile, dato che l'altro ieri hai cacciato tutti in malo modo!
»

Tony dapprima non parlò; alzò le spalle, poi aggiunse.

«Preoccupati solo di amministrare bene la mia azienda, durante quest'anno.
»

Ed uscì.

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Era ormai sera quando la chiave scivolò sicura nella toppa della serratura. Un giro a sinistra. Poi un altro. E ancora un altro.
La porta si aprì, cigolando un poco. Il buio inondava la camera, tanto che Steve riuciva solo vagamente a distinguere le sagome dei mobili grazie alla flebile luce dei lampioni fuori che giungeva attraverso le finestre.
Istintivamente tastò la parete alla destra dell'ingresso per cercare l'interruttore. Lo trovò, e spostò la leva dal basso verso l'alto.
Ma non accadde niente.
Riprovò un paio di volte ma la luce non ne volle sapere d'accendersi.
Spostò il peso del corpo fuori dall'uscio ancora aperto, facendo leva sullo stipite. Fuori però il corridoio continuava ad essere illuminato a giorno.
Riportò il corpo all'interno della stanza, però con circospezione. Non era sicuro fosse un caso che solamente la sua camera fosse al buio.

Pronto ad affrontare chiunque si sarebbe parato di fronte entrò, richiudendo lentamente dietro di sé la porta. Per un attimo attese che gli occhi si fossero abituati alla semi-oscurità. Poi, stando ben fermo poggiato contro al muro, iniziò ad ispezionare la stanza con lo sguardo.
Apparentemente non era stato spostato niente, né qualcosa sembrava mancare. Tutto era esattamente come Steve l'aveva lasciato. Avanzò di qualche passo, ponendo attenzione a non far rumore con le assi del parquet. Non un rumore o un respiro si disturbavano il silenzio che permeava l'aria.
Dopo alcuni minuti passati ad aspettare, come un segugio, che qualcosa accadesse, Steve iniziò a sentirsi stupido per quella situazione. Magari era davvero saltato, per qualche motivo a lui sconosciuto, solo il contatore della sua camera.
Inspirò e sospirò profondamente; tutta la tensione accumulata negli ultimi due giorni proprio non lo voleva abbandonare, anzi. L'incontro pomeridiano con la giovane Pepper l'aveva indotto ad essere ancora più prudente. Per quello aveva deciso di non recarsi da Tony, sebbene la scelta si fosse rivelata più difficile del previsto.

Si voltò per riaprire la porta e scendere da Stan per avvertirlo del problema quando... qualcuno da dietro lo assalì. Steve non riuscì nemmeno a capacitarsi di ciò che stesse accadendo. Cadde in avanti per il peso del suo aggressore e si ritrovò faccia a terra, le mani bloccate dietro la schiena, la canna fredda di una pistola premuta con forza sulla sua tempia. Stava per divincolarsi e rispondere a tono all'agguato, ma l'uomo parlò.

«Buongiorno. Anzi, buonasera. Avrei alcune domande da farle. Direi però di non cominciare con il piede sbagliato, che dice?»

Steve si bloccò. Per quanto gli era concesso, sdraiato per terra e con una pistola puntata alla testa, la girò abbastanza per non avere più dubbi. Più cercava di stare fuori da quel "casino", più ne veniva trascinato dentro. Il tono di voce tentava di mascherare la commozione che provava in quel momento, quando scandì tre parole.

«Agente Phil... Coulson?»










Note finali:


Spero, spero che la lunghezza dei capitoli sia adeguata e abbastanza movimentata affinché voi non giungiate fin qui stremati e sconvolti! Mi sto impegnando per mantenere circa questa quantità di parole nei vari capitoli, anche per dar modo alla storia di proseguire di un passo ad ogni aggiornamento. Ovviamente però, come sempre, amo lasciarvi sulle spine alla fine del capitolo! *Muahahah* risata malvagia.
Ehm sì, oltre ai motivi malvagi c'èra anche quello di rischiare di introdurre troppi personaggi in una volta! Quindi ho preferito rimandare al prossimo capitolo... :)

Precisazioni varie:

1) Edwin Jarvis è il nome del vero e originario maggiordomo di Tony. Sì, perché almeno fumettisticamente parlando, non esiste alcuna intelligenza artificiale, ma il nome "Jarvis" è semplicemente associato al personaggio in carne e ossa. Questa fiction, appartenendo al fandom "The Avengers", parte dalle basi nell'universo cinematografico Marvelliano, nel quale J.A.R.V.I.S. è appunto l'intelligenza artificiale creata da Tony. Ma che nel 1991, dove è capitato Steve, fortunatamente non esiste ancora... :)

2) Sempre parlando di nomi vari, Stanley Martin Lieber è il vero nome del nostro Stan Lee, figlio di immigrati di origine rumena. (cit. Wikipedia)

3) La scena di Steve seduto al tavolo del bar che disegna e la cameriera (e che cameriera!) che interrompe i suoi pensieri è direttamente ripresa dalla scena tagliata del film "The Avengers" nel quale succede qualcosa di simile. Cercatela, a seguire c'è un altro cameo sempre del buon vecchio Stan!

4) La canzone che Tony ascolta è la stessa che appare nell'intro del capitolo, ossia "Thunderstruck" degli AC/DC, facente parte di un CD del 1990 dal titolo "The Razors Edge". Diciamo che è cresciuto ascoltando buona musica, il nostro Stark jr! :)

5) Obadiah Stane, per chi non lo sapesse, è un personaggio che appare nel primo film di "Iron Man". Amico fin dalla giovinezza di Howard, si è sempre occupato di aiutarlo negli affari e prende le redini delle aziende Stark, almeno fino a quando Tony non abbia compiuto i 21 anni. Che cosa abbia combinato in quel film poi... si sa. Vero che lo sapete? XD

Ok, credo che sia tutto! Come sempre, nel caso voleste farmi notare qualcosa, scrivete pure come commento a questo capitolo!
Grazie, grazie ed ancora grazie per i commenti (ai quali cerco di rispondere il prima possibile), per i preferiti, le ricordate, le seguite! Rinnovo l'invito, anche per voi lettori silenziosi, a lasciare un commentuccio. E' davvero importante per me sapere cosa ne pensate delle mie "strambe" idee e su come migliorarmi! :)

A presto con il quarto capitolo!

_Diane_


   
 
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