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Autore: Ireth_Mezzelfa    03/10/2012    3 recensioni
La tranquilla vita universitaria di Lucy Callaway entra letteralmente in collisione con quella del fastidioso ed insistente Daniel Baker, ragazzo bello, popolare e, a parere della nostra povera studentessa di arte, insopportabile quanto un parassita. Tra occhi neri, feste di Halloween e cotte per i professori, riusciranno Lucy e i suoi amici di sempre, Noa e Andrew, a vivere in santa pace?
Inoltre chi è che infila nel sacchetto del pranzo della nostra Lucy strani messaggi commestibili?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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The Bakery



Capitolo 2

 

Grazie a tutte coloro che hanno recensito e a coloro che hanno letto o mi stanno seguendo (se ci siete!), spero che anche i secondo capitolo vi piaccia. Vi avviso che questi primi capitoli forse sono un po' lenti e introduttivi, ma vi prometto che la storia si movimenterà già a partire dalla prossima puntata, per ora...Buona lettura!



Inspirare, espirare, tieni il ritmo, Lucy.
Svolto l’angolo e continuo a correre un po’ più lenta mentre mi avvio verso l’uscita del campus seguendo il percorso della mia solita corsetta mattutina.
Anche oggi c’è un bel sole, ma l’aria è più frizzante di ieri, mi punge il naso in modo piacevole e mi mette di buon umore, facendomi dimenticare la brutta avventura di ieri sera.
Dopo qualche minuto arrivo alla mia meta consueta, il panificio Jones, e mi fermo un momento per prendere fiato e non ansimare in faccia al mio panettiere di fiducia, rossa come un pomodoro.
Il solito dlin dlon! della porta e il delizioso aroma del pane appena sfornato mi accolgono tra le chiare pareti di legno del negozio.
“Buongiorno!” esclamo rivolta verso il ragazzo al bancone: a quanto pare il signor Jones ha deciso di piazzare suo figlio alla mattina presto per farsi una bella dormita dopo la nottata a impastare pagnotte. Uomo astuto.
“Ciao!” mi risponde Kite, incrociando le braccia sul grembiule e guardandosi intorno nervoso.
Non ha proprio niente dell'omone tarchiato che è suo padre: è molto alto e ha un viso delicato, dai lineamenti gentili spruzzati di lentiggini, i capelli color miele, sempre arruffati, e due grandi occhi azzurri che spesso abbassano lo sguardo intimiditi.
Gli sorrido cortese, quel timido ragazzo mi è simpatico, abbiamo la stessa età e, studiando architettura, qualche volta ha dei corsi in comune con me, quindi ho avuto modo di parlarci ogni tanto.
“Finisco di mettere a posto qui e ti servo subito! Scusa ma oggi sono da solo e…”
“Non c’è problema, figurati!”
Lo osservo appoggiata al bancone mentre sistema in vetrina dei dolcetti e qualche piccola torta, mentre avverto il suo sguardo che fissa di sbieco il mio livido, cercando di non farsi vedere.
Cerco di ignorarlo-non ho molta voglia di evocare ieri sera- guardandomi intorno e apprezzando come sempre quel luogo piccolo e caldo, con quattro tavolini di legno dipinto di bianco come le pareti; a uno di essi sta seduta tranquilla una signora intenta a mangiare una brioche leggendo un giornale che tiene sulle ginocchia.
Le numeroso foto della famiglia Jones che abbelliscono il panificio mi sorridono illuminate dal sole che entra dalle due finestrelle e dalla vetrina principale, ispirando ricordi di epoche passate, più semplici e genuine come il pane che continua a sfornare il negozio di generazione in generazione.
Sospiro contenta e mi volto verso Kite che è rimasto lì fermo a fissarmi con espressione indecifrabile e un muffin in mano.
“Scusa scusa!” sobbalza
non appena gli rivolgo lo sguardo, appoggiando il dolcetto sul tavolo e probabilmente spiaccicandolo. “Vado subito a prendere il tuo pacchetto!” esclama quasi correndo verso la porticina che da sul retro.
“Non c’è problema!” ripeto sorridendo. Oggi non ho fretta, ho lezione più tardi e farò addirittura in tempo a farmi una bella doccia passando da casa.
“Ecco qua!”
Kite mi porge il sacchettino con sopra il mio nome e gli sorrido mentre noto che non riesce più a trattenersi dal fissare spudoratamente il mio occhio di panda.
“Hem…che ti è successo lì?” si decide poi a chiedere.
“Oh, niente di grave! Sono solo andata a sbattere contro…” contro un idiota. “…una cosa.”
“Oh!” annuisce lui con aria dispiaciuta “Spero non sia niente!”
“Passerà, tranquillo! Bèh, ti lascio al lavoro ora, salutami tuo padre!”
“Oh sì, certo! Ci…ci vediamo a lezione allora…” mi saluta lui mentre mi avvio verso la porta .
“Ciao Kite!”
Esco e accenno a una corsetta sul posto per scaldarmi un po’, tenendo stretto il mio pranzo in una mano…stavolta Noa non azzannerà la mia focaccia! Le impedirò di lasciarmi morire di fame.
Sorrido ringraziando tra me e me il panificio per salvarmi quotidianamente dal cibo-probabilmente radioattivo- della mensa e lancio un ultima occhiata all’edificio alle mie spalle dove trovo Kite che mi osserva dalla vetrina. Quel ragazzo farà prendere un colpo a qualcuno se osserva tutti con quegli occhioni che sembrano due fanali come sta facendo ora! Lo saluto di nuovo agitando la mano e ottenendo la sua imbarazzata risposta, poi ricomincio a correre tornando a casa.

Il telefono sta squillando ed io devo riarrotolarmi nell’asciugamano per andare a rispondere, saltellando come un involtino primavera vivente.
“In caso non ci sono!” mi avvisa Noa strillando dal bagno, il che significa ‘Se è mia madre, ignora le sue richieste come al solito, inventati una scusa e riattacca.’
Già, Noa non ha un bel rapporto con la madre, dopotutto la sua non è una storia famigliare tranquilla e nella media come quella che per fortuna ho io.
I suoi si sono separati quando era ancora molto piccola ed ha abitato per i primi dieci anni della sua vita con sua madre e il suo adorabile zio con problemi di dipendenza da alcool. Proprio così.
Di lui non mi ha mai parlato nel dettaglio ma so che non era mai molto carino -ed è un eufemismo, ovviamente- con sua madre quando tornava a casa completamente sbronzo la sera. Lei, a quanto ho capito dai racconti della mia coinquilina, ha sempre difeso suo fratello e Noa non l’ha mai perdonata per questo così ha deciso di trasferirsi da suo padre e chiudere ogni contatto con la sua vecchia vita.
Per questo ogni volta che la signora Haimi chiama a casa nostra, sono costretta a ripeterle che Noa non è in casa e che la richiamerà più tardi e lei puntualmente mi ringrazia cortesemente in uno spettacolino di menzogne che entrambe sappiamo che andrà avanti forse all’infinito.

Ad ogni modo, al telefono non è la madre di Noa, bensì mio fratello minore che mi chiede se poteva rivendere dei miei vecchi libri di scuola. Certo Math, fa pure affari con la mia roba.
Sospiro riattaccando, mi vesto e asciugo i capelli con calma mentre Noa esce per andare a lezione bardata come un esquimese.
“Ci vediamo a pranzo, omino Micheline?”
“Sì, panda suicida.”
Le faccio una linguaccia mentre chiude la porta, poi torno in bagno a controllare allo specchio il mio livido. Non è più gonfio e non è conciato poi così male in fondo! Cerco di coprirlo un po’ con il fondotinta e mi ritengo abbastanza soddisfatta del risultato, nonostante l’evidente alone nero che rimane a ricordarmi le mie valorose imprese.
Terminato il restauro facciale afferro la mia fedele tracolla di pelle e ci metto dentro i due libri della giornata piuttosto leggera che mi aspetta, infine esco a passo svelto controllando l’orologio di tanto in tanto, anche se so già che Andrew sarà in ritardo come al solito.
E infatti appoggiato a una colonna, appena prima del portone d’ingresso, non è Andrew quello che mi fissa con aria compiaciuta e le mani nelle tasche dei jeans aderenti che indossa, ma è…
“Daniel Baker!” esclamo esasperata avvicinandomi mentre lo guardo male. Che diavolo ci fa lì?
“Lucy Callaway!” mi saluta lui continuando a sorridere e guardandomi soddisfatto. “Buongiorno.”
Ha un cerotto più discreto e piccolo rispetto a ieri sera…ovviamente non poteva rovinare la sua reputazione con una cerottone enorme e bianco sul faccino. Figuriamoci. Mi fermo a fissarlo sospettosa.
“Che ci fai qui?”
“Ti aspettavo.”risponde lui tranquillo confermando i miei dubbi. Quindi è pure uno stalker, perfetto.
Sbuffo incrociando le braccia sul petto e guardandolo di sbieco: ora che lo vedo con i vestiti addosso- cosa bizzarra da pensare la seconda volta che incontri qualcuno-sembra stranamente più alto e in forma di quanto non mi fosse sembrato ieri sera, forse perché non ha come confronto gli energumeni di pallanuoto. In effetti è parecchio più alto di me, anche se non ci vuole molto, e ha due spalle larghe che gli donano un aspetto virile, nonostante non sia un pompato che esplode di muscoli; noto che indossa un semplice maglione grigio girocollo con una sciarpa blu distrattamente elegante che gli ricade sulla spalla.
“Che vuoi?”chiedo acida.
 Dov’è Andrew quando serve? E quante volte dovrò farmi questa domanda in questi giorni?
“Convincerti ad accettare le mie scuse e venire ad una festa sabato.”dice semplicemente lui, mantenendo la sua aria rilassata e pacifica, come se non lo stessi fulminando con lo sguardo.
“Ascolta, sei perdonato.” Dico io lentamente, scandendolo come quando si parla a un bambino piccolo. ”Sul serio, ti prego, non servono altre proposte allettanti.” L’ultima parola la metto tra virgolette mimandolo con le dita, tanto per essere ben chiara.
Ma lui non se ne va, anzi si avvicina di un passo e accenna un’espressione fintamente esasperata.
“Non mi capita spesso di dover supplicare qualcuno per uscire a divertirsi.”
“Bèh, dadàn!” scimmiotto io allargando le braccia e facendolo ridacchiare.
“E dai, Lucy Callaway, non fare la preziosa!”
“Non sei il mio tipo, Daniel Baker. Va a fare un occhio nero a qualcun’altra, chissà che tu non riesca a trovare compagnia.”
Lo guardo mentre mi scruta indeciso tra un’altra risata e l’ammirato, poi si decide  per la prima opzione e scuote la testa.
“Sei proprio uno spasso!” ripete con lo stesso tono di ieri e dandomi sui nervi. Ci vorrebbe un miracolo per scrollarmi di dosso Mister Sicurezza di Sé, ma per fortuna le mie preghiere vengono esaudite quando il peso della grande mano di Andrew cala sulla mia spalla accompagnata dalla voce del mio salvatore.
“Eccomi qui, Lucy! Tutto a posto?”
Mi volto e lo vedo scrutare dall’alto in basso il mio parassita capendo al volo che non è una delle mia abituali e gradite compagnie.
“Sì, grazie Andrew.” Dico io, sentendomi potente con quel gigante alle spalle e lanciando un’occhiata vittoriosa verso Daniel Baker, che non accenna comunque a muoversi.
“Ma che ti è successo alla faccia?!” esclama Andrew accorgendosi della botta e voltandosi subito verso il responsabile.
“E’ stato lui?”
Quasi scoppio a ridere per come ha indovinato al primo colpo: Andrew Sullivan, veggente incompreso.
“Proprio così.” Annuisco io sorridendo malvagia.
Daniel Baker alza le mani in segno di resa mentre il mio gigante buono assume un’aria vagamente minacciosa.
“D’accordo, d’accordo! Prima che mi scateni dietro Hulk biondo me ne vado. Ci vediamo, Lucy Callaway!”
“Ma anche no!” gli urlo dietro mentre si allontana camminando all’indietro per non farmi mancare lo spettacolo del suo sorriso malizioso.
“Non sperarci!” grida lui ridendo e voltandosi finalmente per andare a fare qualcosa di probabilmente molto inutile come pedinare una povera ragazza innocente.

“Ma chi è quello lì?”
Sbuffo cominciando a raccontare gli avvenimenti della sera prima e ci incamminiamo insieme verso la nostra aula.
“Ma è proprio così antipatico?” bisbiglia Andrew mentre la professoressa Richards scrive alla lavagna le caratteristiche principali della pittura olandese.
“Pff, non mi piacciono quelli come lui, tutti tronfi e gongolanti, lo sai.”
“In effetti, non esattamente qualcuno con cui ti vedrei...Però magari lo puoi sfruttare per farci invitare a qualche festa privata…” Borbotta lui mangiucchiando una penna.  
“Hei laggiù, signor Sullivan! Silenzio!”
Andrew china la testa grugnendo uno “Scusi.” alla Richards.
“La odio.”mormora poi rivolto a me.
“Lo so.”
E torniamo attenti a scrivere sui nostri appunti mentre io spero che Daniel Baker non abbia in programma altre visite indesiderate alle mie lezioni.

Fortunatamente alla pausa pranzo non trovo nessun ragazzo incerottato ad aspettarmi e, sollevata, posso sedermi con Andrew sul muretto del chiostro che circonda l’edificio principale a godermi il contenuto del mio sacchettino preferito.
“Sai, credo dovresti parlare alla Richards.” Dico mentre scarto la mia focaccia. “Potreste appianare le vostre divergenze se chiedi un colloquio con lei…“
“E chi sono io, Ghandi? Quella mi odia! Da quando ho dato la risposta sbagliata a quell’esame mi ha preso di mira. Maledetta vecchiaccia!”
Sto per ribattere che la Richards non è poi così decrepita -insomma, avrà sì e no sessant’anni!- e che lui ha risposto in modo poco educato quella volta, quando  la mia mano incontra qualcosa di diverso, oltre alla focaccia nel sacchetto di carta.
“Oh, guarda!” esclamo osservando il biscottino di pastafrolla che ho tirato fuori. Mi sta giusto sul palmo della mano ed è a forma di cuore,  glassato con del cioccolato.
“Mh? Buono.”commenta il mio amico addentando il suo hot dog.
“Ma io non l’ho ordinato…”dico osservando il dolcetto e controllando la scritta sul mio sacchetto: Lucy Callaway, nessun errore.
“Si saranno sbagliati.” Bofonchia Andrew alzando le spalle e arraffando il biscotto ficcandoselo subito in bocca.“Bfuobo cobucue!”
Lo guardo schifata mentre torna dal cioccolato al panino e con una scrollatina di spalle inizio a mangiare anchi’io. Strano però, fino ad ora il signor Jones non aveva mai sbagliato ordinazioni...

Vengo distratta dai miei pensieri da qualcuno che si sta avvicinando alla nostra postazione.
“Buongiorno professor Fielding!” esclama a voce molto alta Andrew, con un sorrisetto, mentre il mio…hem, nostro professore di letteratura ci cammina incontro con la sua cartella piena di libri.
“Buongiorno ragazzi!” risponde lui con quella sua voce profonda e un sorriso amichevole sul volto gioviale facendomi arrossire come sempre.
Lo so, lo so, avere una cotta per il professore è una cosa piuttosto imbarazzante e patetica, inoltre il professor Robert Fielding non è esattamente il tipo di cui una ventenne va ad infatuarsi: è sui cinquanta ed è sposato –e già questo sarebbe più che sufficiente -, inoltre è un tipo alto e smilzo, nonostante le spalle ben piazzate, dal naso importante sui cui stanno gli occhiali da vista e i capelli ormai non sono proprio del tutto presenti…Insomma, nonostante sia tutto sommato un più che passabile quasi cinquantenne, non è il prototipo del professore maledetto e sciupa alunne.
Il fatto è che ha una voce pazzesca. E la sa usare per rendere gli argomenti più noiosi interessanti, quasi sensuali e beh, è normale che io – e gran parte delle ragazze del corso obbligatorio di letteratura inglese, in realtà – abbia un debole del tutto letterario e platonico per lui.
Ed è normale che Andrew mi prenda in giro spietatamente. Sempre e comunque.
“Professore, come sta?” chiede il mio amico mentre il professor Fielding si ferma di fronte a noi in tutto il suo metro e ottanta di giacca intellettuale con toppe ai gomiti, camicia azzurra e pantaloni cachi.
Nemmeno a dirlo, il docente ha un buon rapporto con quasi tutti i suoi alunni, in particolare con quelli che vanno molto bene ai suoi esami...quindi con me!
“Bene, signor Sullivan, sto andando a lezione da quelli del primo anno...Poveretti! Non mi sopporteranno già più!”esclama ridendo con la sua voce. Oh sì, con quella voce lì.
“E voi, ragazzi? Quand’è che ho l’onore di tartassarvi po’?”
“Giovedì, alle undici e mezza.” Rispondo io un po' troppo rapidamente.
“Già, Lucy non vede l’ora di essere tartassata un po’!”
Andrew, brutto cretino.
“Ne sono lieto, non la deluderò, signorina Callaway, sarò noiosissimo!” ride ignaro dei significati nascosti e ambigui, il mio caro prof. amorevole. “Tra l’altro Lucy, mi serviresti in ufficio uno di questi giorni, ho quel materiale che mi avevi richiesto.”
“Oh, grazie professore. Domani mattina verrò nel suo ufficio!” dico, pentendomi subito dopo della scelta di parole.
“Si assicuri che venga prof!” sogghigna Andrew guardandomi con aria furbetta e guadagnandosi un mio pizzicotto arrabbiato sotto il maglione, senza farmi vedere da Fielding.
“Non è mai stata in ritardo quindi confido nella puntualità della signorina Callaway! Piuttosto lei, signor Sullivan, cerchi di non tardare come sempre a lezione!”
Agita il dito verso Andrew che sorride innocente e annuisce, mentre il professore raccoglie la sua cartella da terra .
“Bèh, ragazzi, vi saluto, altrimenti sarò io quello in ritardo! Arrivederci a giovedì!” ci saluta allontanandosi con quelle sue gambe lunghe e dinoccolate.
“Andrew, brutto…”
Picchio Andrew come un’indemoniata finchè non lo costringo a fuggire via e me ne rimango seduta a gambe incrociate mentre il mio stupido compagno mi osserva da dietro una colonna continuando a ridacchiare.
Tanto lo sa che nel giro di cinque minuti lo perdonerò.
In realtà lui sa anche benissimo che la mia cotta per Fielding è del tutto intellettuale e che non sarà mai niente di serio, ma il fatto è che quello per me è un rapporto perfetto.
Lui insegna con la sua voce sexy e io imparo, ammiro e immagazzino. Semplice. Non ho bisogno che di questo, un rapporto alunna-insegnante basato sul rispetto e la professionalità, senza le complicazioni e le ferite di un rapporto sentimentale.
Dopo la mia ultima storia -un rapporto a distanza che mi ha sfracellato il cuore in un anno e mezzo di tira e molla-, ho deciso di averne abbastanza, almeno per un po’, e di concentrarmi sugli amici, lo studio e il divertimento dei miei anni di college. Ci sarà un momento per i ragazzi, ma non è questo.
Assolutamente no.
Quindi viva viva i rapporti platonici!
Mi alzo e controllo l’orologio: è il caso di incamminarsi. Passando di fianco alla colonna afferro Andrew per una manica della giacca e me lo trascino dietro.
“Con te non ho ancora finito comunque.” minaccio.
Ma lui ride, lo sa già che il gigante e la bambina non litigano mai per davvero.


Finito anche questo capitolo con due new entry, Fielding e Kite...che ve ne pare di loro?
Intanto Daniel Baker non si smentisce e si rivela davvero una tarma per la nostra Lucy! Vedremo se riuscirà a spuntarla o se Andrew dovrà picchiarlo veramente...
E quel biscottino?
Vi lascio sperando che continuiate a seguirmi,
un bacio!
Al prossimo capitolo,

Ireth
  
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