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Autore: Ireth_Mezzelfa    27/09/2012    3 recensioni
La tranquilla vita universitaria di Lucy Callaway entra letteralmente in collisione con quella del fastidioso ed insistente Daniel Baker, ragazzo bello, popolare e, a parere della nostra povera studentessa di arte, insopportabile quanto un parassita. Tra occhi neri, feste di Halloween e cotte per i professori, riusciranno Lucy e i suoi amici di sempre, Noa e Andrew, a vivere in santa pace?
Inoltre chi è che infila nel sacchetto del pranzo della nostra Lucy strani messaggi commestibili?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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The Bakery



Capitolo I


Salve a tutti lettori (se esistete)! Volevo proporvi questa nuova storia originale nata da…bo, dal nulla e che mi è venuta così, di getto. Spero proprio ci sia qualcuno disposto a leggerla e ad affezionarsi ai personaggi che la mia mente ha partorito.
Bèh, detto questo, spero lasciate un parere nelle recensioni per sapere se continuare o no il tutto! Buona lettura!





E’ una bella mattinata oggi, limpida e soleggiata come ogni mattina d’autunno dovrebbe essere, un po’ fresca ma croccante come le foglie rosse e gialle che calpesto mentre cammino di buon umore verso il panificio.
Ho scoperto il piccolo panificio appena fuori dal campus qualche mese fa, durante una delle mie corse mattutine, notando subito che era piuttosto affollato da studenti come me che ne uscivano soddisfatti con un sacchetto sottobraccio e un profumo delizioso che li accompagnava fino a lezione.
“Buongiorno!”  esclamo entrando mentre il campanellino appeso alla porta tintinna allegro.
“Buongiorno signorina Lucy!” mi saluta con la sua voce burbera Bob Jones, il sessantenne e baffuto proprietario che mi sorride rilassato dal bancone, oggi non c’è molta gente, anche perché è piuttosto presto, e il panettiere sembra in vena di chiacchierare.
“Ecco qui la sua focaccia!” dice porgendomi il solito sacchettino di carta con su scritto il mio nome.
“Grazie signor Jones! Giornata tranquilla oggi?”
“Per ora, cara. I veri affamati arrivano verso le nove. Ma quelli li lascio a Kite e me ne vado a dormire per un po’!” esclama l’uomo sfregandosi le mani con aria soddisfatta.
Kite Jones è suo figlio, l’ho visto più volte al bancone e all’Università, sembra un bravo ragazzo, ma ho come l’impressione che sia un tantino tiranneggiato da suo padre.
Guardo l’orologio appeso alla parete di legno chiaro sopra il bancone e mi accorgo di essere quasi in ritardo per la mia prima lezione della giornata.
“Devo salutarla, signor Jones! Arrivederci!” lo saluto mentre esco in fretta dalla porta che scampanella allegramente.
“A domani signorina Lucy!”
Cammino a passo svelto verso il college, è davvero un bel posto dove studiare, immerso in un grande parco con stradine lastricate che collegano tra loro i vari edifici di mattoni rossi.
Mi dirigo verso la principale costruzione in cui si trova la maggior parte delle aule tra cui quella in cui dovrò restare per tre ore di noiosissima storia dell’arte medievale.
Adoro l’arte, certo -o non avrei deciso di dedicarci i miei studi- ma quelle tre lunghe ore con il professor Turner che blatera di chiese paleocristiane, architravi e colonne non è proprio il massimo.
A me piace studiare l’arte dei sentimenti, cosa si nasconde dietro un’opera, quali ragioni hanno spinto l’artista a usare quel colore, quel mistero che mi fa rabbrividire ogni volta che noto un dettaglio che mi svela un piccolo segreto della mente di chi l’ha progettato. Non è difficile immaginare che le mie lezioni preferite siano quelle di arte moderna.

“Dovrebbero sopprimere le lezioni così presto.” Borbotta una voce alle mie spalle.
Mi volto e mi trovo davanti la faccia stropicciata dal sonno di Andrew, un mio compagno di corso, nonché la prima persona con cui ho fatto amicizia qui all’Università.
“Ma dai, sono solo le otto!” Gli scompiglio i già fin troppo arruffati riccioli biondo scuri mentre lui mi guarda imbronciato.
“Solo perché tu non sei umana e te ne vai a scorazzare di corsa alle sei di mattina, non vuole dire che dobbiamo essere tutti automi come te.”
“Hei, cosa vuoi che ti dica? Mi piace alzarmi presto e tenermi in forma. Dovresti farlo anche tu, sai? Guarda che gli uomini con la pancetta flaccida non piacciono a nessuno.”
Andrew abbassa lo sguardo sul suo addome coperto dal maglione grigio di lana intrecciata alla ricerca di una ciccia inesistente sul suo fisico piuttosto asciutto.
“Mostro.” Sibila poi socchiudendo gli occhi con aria minacciosa verso di me.
“Poing!” esclamo io puntandogli l’indice sullo stomaco e proseguo verso l’ingresso ridacchiando.
“Non sei divertente!”
Invece prendere in giro Andrew Sullivan è divertentissimo, nonostante il suo imponente fisico da giocatore di football che era al liceo, è buono come un pezzo di pane e non se la prende mai per davvero. Lo considero una specie di grosso orso pigro contento di essere sé stesso ; immagino sia buffo vederci girare vicini: il gigante di un metro e ottantaquattro e la bambina di un metro e sessanta.
Entriamo a lezione e prendiamo posto come sempre in penultima fila. Non appena il professor Turner inizia il suo monologo, Andrew si accascia sul banco e sonnecchia con la testa tra le braccia.
Sbuffo, come fa a prendere sempre il massimo agli esami se dorme tutto il tempo?
Non potendomi permettere di seguire il suo esempio estraggo dalla borsa penna e quaderno e mi preparo ad affrontare questa infinita mattinata.

“Vedo che siete sopravvissuti.”
“Sopravvissuti, Noa? Sopravvissuti? E’ stato orribile.”
Mando giù il boccone di focaccia che mi sto gustando  seduta sull’erba e mi sollevo per guardare Andrew con aria di rimprovero.
“Ma se hai dormito tutto il tempo!”
“Io non dormivo. Io riflettevo riposando gli occhi, ecco.”
Sbuffo facendo cenno a Noa, la mia compagna di stanza di sedersi con noi al sole. Noa è di origini hawaiane e soffre un sacco il clima autunnale di questo periodo; il suo fisico minuto, anche oggi che non fa poi così freddo, è avvolto in un pesante maglione bianco e una grossa sciarpa di lana verde da cui spunta il suo visino color caramello e i suoi tratti dolci che contrastano con il suo cipiglio deciso che la porterà ad essere un avvocato temibile, ne sono certa.
“Piantatela di lamentarvi voi due. Io ho appena avuto due ore di diritto romano, ho solo un quarto d’ora prima della prossima lezione e non ne sto facendo una tragedia, quindi dammi un pezzo di focaccia.”
“Tiranna.” Borbotto passandole il mio sacchetto del pranzo.
“Devo andare!” esclama poi finito di sgranocchiare la mia focaccia.”Torniamo a casa insieme? Ci vediamo alle sette?” mi chiede poi mentre si alza e si tira la sciarpa fino al naso.
“Agli ordini!” mi metto sull’attenti io guardandola mentre scappa verso i suoi impegni giornalieri.
“Come fa ad essere così attiva?” borbotta Andrew stiracchiandosi e sdraiandosi sull’erba placidamente.
“Comincia a farti delle domande. Forse sei tu quello con dei problemi, Teddy Bear.”
“E taci.”
Sorrido tra me e me mentre mi godo il via vai di studenti nel parco. Questa vita universitaria non è poi così male!

“Odio l’università.”
Noa  mi guarda dall’orlo della sua sciarpa mentre mi trascino per raggiungerla.
“Ci hanno dato da leggere tre saggi sulla pittura Olandese, tre saggi! E uno ha ben novecento pagine, ok? Io come posso farcela Noa?”
“Puoi brontolare camminando? Sto morendo di freddo qui ferma ad aspettarti.”
Continuando a sbuffare mi incammino insieme a lei verso la zona delle abitazioni, abitiamo in un piccolo alloggio in cui però ci troviamo benissimo, ognuna di noi ha la sua microscopica camera così il mio disordine rimane nascosto agli occhi della mia estremamente ordinata amica, e tanto basta a una convivenza pacifica.
Sta cominciando a fare buio e mi stringo nel mio maglioncino leggero, comincio ad aver un po’ freddo, ma è la fame ad avere la meglio nella classifica dei miei bisogni primari di stasera. Tutta colpa di Noa che si è sbaffata metà del mio pranzo.
“C’è qualcosa in frigo?” chiedo mentre passiamo davanti alla zona delle palestre, ma non faccio in tempo a ricevere risposta che all’improvviso uno scalpiccio e un tonfo di porte sbattute violentemente ci fa sobbalzare. Cosa cavolo sta succedendo?
A qualche metro da noi dalla porta sembrano spararsi fuori due persone-due ragazzi per la verità-in costume da bagno che…In costume da bagno?
Mentre cerco di capire cosa diamine stiano facendo due studenti mezzi nudi avvinghiati l’uno all’altro in costume da bagno alle sette di sera, si gettano fuori dalla porta un’altra decina di ragazzi –sempre in costume, cosa cavolo sta succedendo?!- che accerchiano i primi due e cominciano a strepitare e urlare.
“Si stanno picchiando!” esclama Noa, più perspicace di me davanti a quello spettacolo.
Senza pensarci ci mettiamo a correre verso il gruppo in fermento ed essendo decisamente più allenata della mia coinquilina, arrivo per prima e capisco subito che sta succedendo.
Un energumeno con due spalle che sembrano un armadio a sei ante sta spintonando un ragazzo un po’ meno grosso ma che, da come si lancia sul nuotatore, sembra deciso a rompergli qualche ossa, come minimo.
“Che succede qui?” urlo agli spettatori che riconosco essere gli atleti della squadra di pallanuoto del college, ma loro sembrano troppo impegnati a fare un entusiastico tifo per il loro compagno Mr. Energumeno per rispondermi.
Mi volto verso Noa che sta prendendo fiato con una mano su un fianco e mi guardo intorno per cercare aiuto. Possibile che non ci sia nessuno di grosso e muscoloso nei paraggi? Dov’è Andrew quando serve?
“Spaccagli il culo, Tommy!”sento sbraitare un nuotatore accanto a me.
L’Energumeno, incoraggiato dai suoi compagni, si lancia sul suo avversario mancandolo per un soffio e questi ne approfitta per assestargli un bel pugno sul petto. Mi porto le mani davanti alla bocca mentre il nuotatore reagisce con violenza… Cavolo, si faranno davvero male! Devo fare qualcosa.
Mi lancio all’improvviso in mezzo alla zuffa a braccia aperte-ma cosa credo di fare?- gridando “Basta ragazzi!” e ovviamente il tizio meno palestrato non mi vede. Ma io vedo benissimo il suo pugno. E il suo pugno vede benissimo la mia faccia.
Cado all’indietro sull’erba e fa un male cane. Fa un male cane al mio sedere, ai miei jeans che si sporcano di terra, ma soprattutto fa male alla mia guancia che mi sento pulsare dolorante.
“Ahio.” Pigolo portando una mano sulla botta mentre l’attenzione dei nuotatori si sposta sulla ragazza eroica che ha sacrificato la sua guancia per la pace tra studenti. Perché sono così idiota?
“Lucy, tutto ok?” Noa si fa largo tra i ragazzi e mi si inginocchia a fianco. “Hei tu idiota, vai a chiamare l’infermiera!”ordina poi a un’atleta che fila via intimorito dal suo tono autoritario.
“Ahio.”ripeto mentre il mio cuore rallenta il battito e comincio a calmarmi.
“Ma quella da dove saltava fuori?” sento esclamare qualcuno tra il gruppo che si è raggruppato intorno a me, che imbarazzo. Cosa pensavo di fare?
“Indietro ragazzi, indietro! Allora chi è che si è fatto male?” E’ arrivata l’infermiera che mi si piazza davanti e mi squadra attentamente.
“Riesci ad alzarti? Ti gira la testa?”
Mi gira la testa? Sbatto un paio di volte gli occhi e sembra tutto a posto. “No, sto bene.”
“Allora vieni con me che mettiamo qualcosa su quella botta. E voi tornate negli spogliatoi e piantatela di dare spettacolo!” Mi tende la mano e mi aiuta ad alzarmi poi indica il ragazzo che aveva ridotto la mia faccia molto simile a quella di un panda e gli fa cenno di seguirci verso l’infermeria delle palestre. “Vieni anche tu, devi disinfettarti quel taglio.”
Stringo i denti sperando che il tizio non abbia niente di grave -con il buio non riesco a vedere nemmeno che faccia abbia- il sangue non è proprio una delle mie visioni preferite.

“Mettici questa per un po’, quando stai meglio torna a casa e stenditi un po’.” Dice l’infermiera porgendomi una borsa del ghiaccio e scomparendo in corridoio.
Sono seduta sul lettino con le gambe a penzoloni e mentre poso il ghiaccio sulla botta, mi maledico per essermi intromessa.
“Non dovevi lanciarti in mezzo così!” mi rimprovera Noa in piedi di fronte a me, neanche mi leggesse nel pensiero.
“Per lo meno hanno smesso di picchiarsi.” Borbotto alzando le spalle. “Sono messa molto male?” chiedo mostrandole la guancia.
“Hai un bel livido, ma non è tanto gonfio, poteva andarti peggio!”
Sospiro. Ci voleva proprio un bell’occhio nero da vittima di stupro!
“Vado un secondo in bagno, poi torniamo a casa ok, paladina della giustizia?”
“Dovevi farlo tu, avvocata dei miei stivali.” Le dico mentre lei mi lascia sola.
Sbuffo, ho fame, ho freddo e ho perso pure tempo con questa storia. Maledetti ragazzi rissosi, non li sopporto proprio gli aggressivi, guarda te se dovevo anche difenderli dal loro cervello vuoto!
“Permesso?”
Una voce mi distrae dai miei pensieri, è il ragazzo che è venuto in infermeria e grazie al cielo ha un grosso cerotto sulla fronte che nasconde eventuali visioni che causerebbero certamente un mio semisvenimento.
Devo dire invece che lui non è un brutto spettacolo dato che è ancora in costume da bagno, è piuttosto alto e ha un bel fisico scattante e definito, non eccessivamente palestrato, ma abbastanza muscoloso per notare che non è certo un pigro orso come Andrew.
“Avanti.” Dico io scrutandolo entrare con aria sicura di sé mentre si passa una mano tra i capelli scuri, ancora bagnati, presumo dalla nuotata in piscina finita male.
“Ciao, penso di averti tirato un pugno in faccia.” Dice, poi ride tra sé e sé e noto che ha denti simmetrici e un sorriso perfetto che non sfigura sul bel viso completato da due occhi che sembrano essere verde scuro.
Ora che ci penso l’ho visto spesso in giro per il college, dev’ essere uno di quei ragazzi popolari a cui non ho mai dato troppa attenzione.
“Ciao, penso che la mia guancia ti stia odiando molto.” commento io indicando la borsa del ghiaccio.
“Volevo scusarmi, non ti ho proprio vista.”
“Non fa niente.” Invece fa malissimo, idiota.
Vedo che mi osserva inclinando la testa, sembra stia cercando di riconoscermi.
“Sei carina, non ti ho mai vista alle mie feste.” conclude dopo un po’ “Com’è che ti chiami?”
“Lucy Callaway.” rispondo io sulla difensiva. Non mi piace il suo tono presuntuoso, come si permette? “E tu?”
Sembra stupirsi della mia domanda per come mi guarda in modo strano. Mi spiace, bello mio, non sei popolare come pensi, forse?
“Oh, sono Daniel Baker, piacere.”
Sta davvero facendo un inchino in costume da bagno? Ma per favore.
“Come mai ti stavi picchiando con la squadra di pallanuoto al completo?” chiedo per farlo smettere di fissarmi con quello sguardo che non mi piace affatto.
Lui solleva le spalle e con noncuranza agita una mano.
“Volevo farmi una nuotata, ma a quanto pare devono occupare tutte le corsie per i loro allenamenti. Così ho dovuto dargli una lezione.”
Sbuffo disgustata di fronte alla sua arroganza.
“Ma se ti stava per distruggere quel tizio.”
“E allora per fortuna che sei arrivata tu: lo scudo umano! Cosa pensavi di fare?” Sogghigna lui, mentre incrocio le braccia scocciata.
“Cercavo di farvi smettere.” Bofonchio “Ma forse era meglio lasciarvi lì a darvele come dei veri uomini delle caverne.”
“Touchè!” esclama lui alzando le mani e sedendosi accanto a me sul lettino. Ma che diavolo fa?
“Bèh…” inizia mettendomi un braccio intorno alle spalle lasciandomi di stucco “…come minimo per aver danneggiato il tuo faccino, devo invitarti questo sabato a un party con i miei amici.” Daniel Baker ammicca in un modo che forse dovrei trovare affascinante, ma che me lo rende ancora più antipatico. Mi alzo di scatto allontanando lui e il suo braccio. Cos’è tutta questa confidenza?
“Come minimo per aver danneggiato il mio faccino, potresti farmi il favore di lasciarmi in pace?”
“Siamo un tantino acide, o sbaglio?”
Lo  guardo dal mio imponente metro e sessanta. Possibile che una persona ti stia così antipatica in pochi minuti? Se c’è una cosa che ho sempre odiato più dei violenti presuntuosi sono i cascamorti, e questo ragazzo è un mix di tutti e tre, fantastico!
“Dovresti evitare di insultare qualcuno a cui hai appena regalato un occhio nero, Daniel Baker. Quindi grazie e arrivederci, non mi serve altro.” Oh amo vincere le conversazioni, non mi capita spesso di riuscire ad avere l’ultima parola, ma questo tizio mi ha esasperato così tanto che questa mi è uscita bene!
Sono pronta ad andarmene sentendomi potentissima, quando sento lui che se la ride.
“Sei uno spasso, Lucy Callaway!” esclama. “Ci vediamo sabato allora?”
Mi volto irritata e lo vedo appoggiato al lettino, con il suo sorrisetto arrogante.
“Va a metterti una maglietta, non sarò lì quando la polmonite verrà a prenderti a pugni!”
Lo sento sghignazzare ancora mentre cerco i bagni per raggiungere Noa e tornare finalmente a casa, lontana da quello stupido stupido Daniel Baker.




Ecco fatto, spero abbiate apprezzato :)
Aspetto recensioni,
un bacio,
Ireth


ps. TUTTE le immagini che troverete nei vari capitoli non mi appartengono, le ho trovate su
http://weheartit.com/
  
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