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Autore: Disorientated Writer    04/10/2012    3 recensioni
Anno 1216: la pazzia di Gant potra' essere stata fermata, ma la Crociata Albigese no, e in tutta la Linguadoca infuriano battaglie tra i cristiani e gli Occitani.
Nella corte di Filippo Augusto si nasconde una persona pronta a tutto per aiutare la Chiesa ad estirpare l'eresia dall'intero territorio Francese. Pronta perfino ad uccidere il Re, se necessario.
Il Sud della Francia è messo a ferro e fuoco, e da Nord sbarcano flotte di mercenari inviate dai Baroni Inglesi che appoggiano l'incoronazione del piccolo Enrico III, minacciando gravemente l'armata del principe Luigi che a stento riesce a tener testa ai baroni e i loro mercenari.
In questo momento di grande tensione, Hyperversum decide di fare la sua parte, catapultando nel medioevo due fratelli, separandoli e incrociando le loro strade con quelle delle parti in guerra.
Perché se tutto puo' cambiare in un secondo, c'è qualcosa che non muterà mai: l'incredibile, immensa, sfortuna di Ian Maayrkas, il Falco del Re.
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[STORIA IN FASE DI RIEDITAZIONE! POSSIBILI CAMBIAMENTI DRASTICI.]
Fanfiction dedicata a Silvia :3
E possa Guillaume de Ponthieu essere sempre in vostro favore!
Genere: Avventura, Comico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Donna Barrat, Ian Maayrkas aka Jean Marc de Ponthieu, Isabeau de Montmayeur, Nuovo personaggio | Coppie: Etienne/Donna, Geoffrey/Brianna, Ian/Isabeau
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Quarto: fra Teste di Rapa, maledizioni a tutto spiano e pavoni arrosto, riesco incredibilmente a sopravvivere all ‘settimana del ballo’.











 
All’epoca, non avevo ancora completamente realizzato quello che mi stava succedendo.
Insomma, al contrario delle avventure di Ian, tra fruste e fughe dalle prigioni, il mio arrivo nel medioevo era stato piuttosto tranquillo, a parte lo shock iniziale del ritrovarmi bagnata fradicia in meno di due secondi.
Più che nel tredicesimo secolo, mi sembrava di essere in villeggiatura da parenti lontani, con abitudini un po’ strambe e una passione ossessivo-compulsiva verso la religione (la domenica mattina mi avevano infatti costretta a sopportare ben quattro ore di messa, più, ovviamente, la preghiera collettiva del pomeriggio).
Guardai la mia immagine riflessa nel grande specchio della stanza che i castellani mi avevano messo a disposizione e osservai Janetta, l’anziana domestica di madrelingua inglese che Isabeau mi aveva rifilato, prendere uno spillo e appuntarmi un nastro azzurro chiaro alla gonna, per poi scambiare qualche parola veloce con la sarta del castello.
La donna, che si era presentata come Geneviéve Vattelappesca, si era piantata in camera mia da tre orette buone,e non la finiva più di prendere appunti, confrontare colori e roba varia.
In un primo momento ero rimasta affascinata dal suo lavoro ma poi, dopo un’ora di noia totale in piedi su uno sgabello per permetterle di usarmi come manichino, avevo rivalutato la mia opinione sul lavoro di sartoria dell’epoca: incredibilmente noioso.
Sospirai, mentre ripensavo alla sera prima. La castellana mi aveva praticamente costretta a prometterle di disegnarle un vestito, e io non sapevo proprio da dove bisognava cominciare.
In fondo, quelli non avevano macchine da cucire, ma solo ago e filo. Povera me.
« Ahi! » esclamai, quando la serve mi punse il fianco con uno spillo.
La donna mormorò qualche scusa e passò all’altro fianco, mentre la sarta mi diceva qualcosa in un francese così veloce che non capii neanche mezza parola.
Feci quello che voleva essere un sorriso e tornai a guardare vacua la mia immagine riflessa nello specchio. Cosa bisogna rispondere quando qualcuno ti parla alla velocità della luce in una lingua straniera che capisci a fatica?
La cosa iniziava seriamente a mettermi in difficoltà. Mi lisciai le pieghe della sottoveste bianco panna che mi avevano fatto indossare per comodità, sentendomi piuttosto a disagio. Mi mancavano le mie care vecchie tute.
Due ore e diciotto spilli piantati nella carne dopo, la sarta e la cameriera si congedarono, lasciandomi sola.
Quando le porte si chiusero, mi lanciai di peso sul letto di legno scuro, sospirando. Avrei dovuto iniziare a pensare all’abito per Isabeau, ma sinceramente non ne avevo la minima voglia. Un pensiero ben più cupo mi aleggiava per la testa: Andrew. Chissà che fine aveva fatto mio fratello.
Scrollai la testa, come a scacciare quel pensiero. Lui sapeva cavarsela.
Sicuramente nel bosco non aveva avuto problemi a sfuggire ai soldati di Ponthieu. Ma se invece l’avevano catturato i Briganti del Sud? Isabeau mi aveva spiegato che erano una banda di occitani piuttosto astiosi nei confronti dei francesi e degli inglesi. Andrew sarebbe riuscito a sopravvivere? … era vivo?
A quel pensiero, mi schiaffeggiai la faccia.
« Smettila, smettila! Andrew sta bene. Non devi preoccuparti per lui. » mi dissi, cercando di autoconvincermi.
Ecco perché detestavo rimanere da sola. I brutti pensieri non mi lasciavano mai. Decisa a fare qualsiasi cosa tranne piangermi addosso, aprii in fretta e furia il baule ai piedi del letto che conteneva tutti i miei scarsi vestiti.
Li tirai fuori uno ad uno, cercandone uno che fosse adatto ad essere spacciato per “americano”. Grazie al cielo, io e Isabeau avevamo più o meno la stessa taglia, e i vestiti che mi avevano regalato i due coniugi qualche giorno prima li aveva fatti la stessa sarta di quel giorno, basandosi sui tanti modelli che aveva creato per Dama de Montmayeur.
Ancora non riuscivo a capire perché Ian e Isabeau si preoccupassero tanto per me. In fondo, per loro ero una perfetta sconosciuta.
Poi però pensai che, del resto, dovevo fare la cugina lontana di Isabeau. E non credevo che le ‘cugine lontane’ andassero in giro con lo stesso vestito per due settimane. In ogni caso, tutte quelle attenzioni mi mettevano a disagio. Come potevo ripagarli, dal momento che ero un inutile peso morto?
Scacciai anche quei pensieri dalla mia testa. Dovevo occuparmi del vestito per Isabeau. Per ripagarli, avrei iniziato da quello. Presi l’abito azzurro cielo che mi avevano regalato il giorno prima. Se lo cambiavo abbastanza, Isabeau si sarebbe accorta che era quello che mi aveva donato? Sperai vivamente di no.
Andai a chiedere ago, filo e tutto il necessario alla serva che mi aveva assistito e trasformata in un portaspilli solo una mezz’oretta prima.
Con un inchino, la donna assicurò che mi avrebbe portato tutto il necessario nel giro di poco. Ottimo. Rientrai in stanza e decisi che per prima cosa dovevo scegliere come modificare l’abito.
Il vestito di per sé era piuttosto semplice. Lungo fino a terra, di un bel verde acqua e dai contorni leggermente merlettati. Inarcai il sopracciglio. E come glielo trasformavo in un abito ‘moderno’? Insomma, non potevo certo mandarla in giro con un miniabito ricoperto di strass. Ma, d’altro canto, non potevo neanche darle qualcosa che avrebbe potuto fare qualsiasi sarta medioevale.
Accidenti a te, Isabeau de Montmayeur!
Borbottando qualche altra maledizione mi sedetti sul letto, davanti al vestito, e lo fissai intensamente, quasi sperando che si trasformasse da solo. Nah, niente.
« Vedi? Se quello stupido di un gufo non avesse perso la mia lettera di ammissione ad Hogwarts, ora saprei trasformare questo vestito in un secondo! » dissi tra me e me, ironica, iniziando a camminare su e giù per la stanza, in cerca di ispirazione.
Per il resto della giornata non feci alcunché.
Il Progetto Vestito per Isabeau lo abbandonai quasi subito, e per sfuggire alla noia struggente di quei giorni mi rifugiai nella biblioteca del castello, alla ricerca di qualcosa da leggere. Non capivo quasi niente in francese, e difficilmente a Chatel-Argȇnt avrei trovato libri in inglese, ma dovevo sbrigarmi ad imparare decentemente la lingua comune, e i tomi della libreria mi avrebbero aiutata sicuramente nella mia disperata impresa.
Dopo parecchi minuti passati a gironzolare intorno agli scaffali, trovai l’Iliade in versione francese. Guardai dubbiosa la copertina rilegata, chiedendomi se fosse una buona idea. A scuola ci avevano praticamente costretti a impararla a memoria, dopo un anno intero passato su quel libro, il che era decisamente d’aiuto.
« Massì, dai. Male che va, lo uso come cuscino per addormentarmi sul tavolo. » borbottai, scrollando le spalle e uscendo con estrema calma dalla libreria.
Lì nel medioevo le giornate si ripetevano, monotone. Voi direte: “ma su,sei capitata ottocento anni indietro nel tempo, in un vero castello medioevale e blablabla”. Bene, passato il primo momento di eccitazione, inizi a sbattere la testa contro tutti i muri che incontri per la noia. Ian era sempre occupato con il suo feudo, Isabeau aveva gli affari suoi a cui pensare, Martewall non era la compagnia ideale per i pomeriggi tra amiche, Brianna era sempre con Isabeau e Beau … beh, quel ragazzino era sempre a scodinzolare dietro Ian.
Oh, sì. Ero piena di persone con cui relazionarmi.
Aprii il libro e subito lo richiusi. Non avevo certo fatto i conti non i caratteri gotici dell’epoca, assolutamente illeggibili.
Sospirai, riaprendo il libro e strizzando gli occhi. Con un po’ di allenamento sarei riuscita a leggere qualcosa, ma in quel momento era pressoché impossibile, così maledii nuovamente l’impossibilità di trovare qualcosa di interessante da fare. Ma che si inventava la gente a quei tempi per combattere la noia?
E poi i moderni si meravigliavano che nel medioevo le famiglie fossero così numerose.
Siccome l’opzione lettura era sfumata, uscii dalla biblioteca e mi diressi verso il giardino, dove mi stesi sulla prima panchina all’ombra che trovai.
Guardai il sole filtrare tra le foglie dell’albero che mi sovrastava e sospirai. Mi mancava il mondo moderno. Mi mancava da morire.
Sentii gli occhi inumidirsi, quando la risata di una bambina mi riscosse. Scattai in piedi e vidi Alice, la nipotina di Martewall, venirmi incontro.
Dietro di lei, un’affaticata balia cercava di fermarla, inutilmente. La bimba mi si avvicinò e iniziò a tirarmi l’abito.
« Hei, piccolina. » dissi, chinandomi su di lei e dandole un buffetto sulle guance paffute. Lei sorrise e mi tese le mani. Lanciai un’occhiata alla balia, che sembrava stupita dall’ increscioso comportamento della bambina. Come se avesse commesso chissà quale reato.
Sorrisi ad Alice e la presi in bracco, esibendomi nel mio miglior sorriso alla volta della balia, che mi osservava stupita.
« Mia signora, vi prego, non perdete il vostro tempo con questa bambina. » mi disse, allungando le braccia per prendere Alice, ma io scrollai le spalle, congedandola.
Una volta che la balia si fu allontanata, rivolsi un sorriso alla bambina.
« Ma com’è che fai disperare tutti quanti senza neanche aprire bocca, eh? » borbottai rivolta alla bambina, che sembrava divertirsi un mondo a giocare a ‘cerchiamo-di-accecare-Harley-con-le-dita-sporche-di-terra.’
« Gah! » mi disse in quel modo buffo in cui parlano i bambini, battendo le mani.
« … ‘Gah’ anche a te, Alice. » borbottai, ridacchiando.
Cercò di dirmi qualcos’altro, ma evidentemente nonostante i suoi cinque anni nessuno si era preso la briga di insegnarle bene a parlare, così non riuscii a capire una parola.
Mi limitai a rimetterla giù, guardando l’orlo sporco di fango del suo abitino azzurro e sorrisi. Qualcosa mi diceva che io e quella bambina saremmo andate molto d’accordo.
A quel punto lei iniziò a correre, e io fui costretta a seguirla, nonostante incespicassi costantemente nel mio lungo abito, maledicendo nuovamente la moda dell’epoca. Oh, ma chi me l’aveva fatto fare di congedare la balia?
« Alice! Torna qui, dai! » provai a chiamarla, ma lei aveva deciso di far disperare anche me oltre a tutto il resto del castello, così anziché darmi ascolto imboccò la strada per la cittadella.
Imprecai e continuai a rincorrerla, rendendomi conto di quanto fosse ridicola la situazione. Una diciottenne che continua ad inciampare e spiaccicarsi sul pavimento mentre cerca di rincorrere una bimba di cinque anni alta un tappo e mezzo.
Ah, la gente sì che mi avrebbe presa in giro!
Per mia immensa sfortuna, erano tutti troppo occupati ai preparativi per il Gran Ballo per prestare attenzione a Baby Martewall, così riuscii ad acchiappare la bambina per il braccio solo quando ci trovammo fuori dal castello di Chatel-Argent.
« Vieni qui, signorinella! » esclamai, prendendo in braccio il diavoletto che se la rideva come una matta. Ah-ah.
« Uak. Uak! » mi trillò Alice nell’orecchio, indicando la strada.
Inarcai il sopracciglio, poi compresi: ‘walk’, camminare. Lo scricciolo voleva fare un giro per la cittadella.
Scrollai le spalle e la accontentai, sempre tenendola ben salda tra le mie braccia. Non avevo intenzione di inseguirla su e giù per tutta la strada.
Mancava poco più di una settimana al ballo, e alcuni invitati avevano già iniziato ad arrivare, travolgendo la solita –a sentire Isabeau- tranquilla, monotona vita del posto, anche se a me sembrava la solita noia mortale. Voglio dire, cosa faceva la gente una volta tornata dal lavoro se non c’era nemmeno la televisione?
Stavo per scendere dal ponte levatoio quando sentii una voce chiamarmi da lontano. Mi voltai e vidi l’irritante balia di Alice correrci incontro. Lanciai uno sguardo alla bambina in braccio a me e notai che neanche lei era particolarmente felice di vederla. Poverina, chissà che noia avere una balia.
« Lady Harley, dove state portando la bambina?! » quasi mi urlò in faccia, isterica.
Io inarcai il sopracciglio, limitandomi a squadrare la donna dall’alto in basso –non che io fossi chissà quale stanga, ma la donna doveva sfiorare a malapena il metro e quarantacinque.
« A fare una passeggiata fuori dalle mura del castello, no? Se volete unirvi a noi, ne saremmo più che onorate. » le dissi, ostentando un falso sorriso e voltandomi senza neanche darle il tempo di rispondermi.
La donna, presentatasi come Catherine Booth, continuò a dirmi come dovevo tenere Alice, cosa dovevo farle fare e blablabla per almeno una mezz’ora buona.
Ogni volta che apriva bocca alzavo gli occhi al cielo e mi limitavo ad ignorare i suoi ‘suggerimenti.
Poco dopo, scoprimmo che a Chatel-Argent era giorno di mercato. No, dico, avvertimi Isabeau, mi raccomando!
Non mi ero portata dietro neanche uno spicciolo –anche se in realtà non ce li avevo a prescindere- perciò ci limitammo a dare un’occhiata alle bancarelle più interessanti. Ad un tratto, notai in lontananza un bancarella di stoffe pregiate.
« Le dispiace tenere Alice per un secondo, Madama Booth? Dovrei vedere una cosa … » dissi, lasciando la bambina nelle mani della sua isterica balia e allontanandomi, dopo che Catherine ebbe promesso che mi avrebbe aspettata lì.
Aguzzai la vista, e notai che in mezzo al gruppo c’era niente meno che Geoffrey Martewall, con il volto rosso e la mascella contratta, come se stesse usando tutto l’autocontrollo di cui disponeva per non saltare al collo ai tre uomini innanzi a lui.
La prima cosa che notai fu che erano vestiti di nero. Interamente. Perfino i loro capelli erano neri, così come gli occhi. Rabbrividii. Quegli uomini non mi piacevano, proprio per niente.
« Non provare a fermarci, Martewall! Dobbiamo parlare con il signore del castello. Ora! » urlò quello che sembrava il capo, non curante della folla che li accerchiava.
Geoffrey, per tutta risposta, si limitò a inarcare il sopracciglio e alzare il mento in segno di sfida.
Sperai vivamente che a Catherine non venisse l’insana idea di portare la piccola Alice a vedere lo spettacolino.
« Jean de Ponthieu ha cose più importanti da fare che stare a sentire i vostri problemi da topi di fogna. » la voce di Martewall era talmente gelida da mettere i brividi.
I tre uomini in nero sguainarono le spade, e così fece Geoffrey.
A quel punto feci la cosa più stupida che mi potesse venire in mente: mi lanciai in mezzo a loro con le braccia spalancate, per evitare una lotta nel mezzo della piazza cittadina.
« Ah, adesso intervengono anche le donne a salvarti la pelle, Martewall? Non ti ricordavo così vile! » l’uomo sputò per terra, lanciandomi un’occhiata derisoria.
Io mi limitai a osservarlo, indifferente.
« Ser Martewall, la prego, non perda tempo con questa gente. » esordii, notando con un certo piacere perverso la faccia del Capo farsi sempre più rossa dalla rabbia.
« Come osa?! »
« Oso, oso. Sapete chi sono, monsieur?  »
Con la coda dell’occhio vidi Martewall scuotere lentamente il capo, ma sembrava più divertito che altro, e così tutti i presenti. Sulle mie labbra si disegnò un sorriso.
L’uomo mi guardò stupito, borbottando qualcosa di molto poco carino sulla mia presunta vita sentimentale. Qualcosa che assomigliava molto alla parola ‘baracca’, tanto per capirci.
Inarcai il sopracciglio e abbozzai un inchino, senza smettere di sorridere gelidamente.
« Il mio nome è Harley Karjalainen, cugina della castellana Isabeau de Montmayeur. »
Il mio sorriso si allargò nel vedere la faccia dell’uomo farsi sempre più rossa. 1 a 0 per Harley!
Martewall iniziò a ridacchiare, avvicinandosi a me. Cosa che vorrei non avesse mai fatto, perché la sua presenza accentuava in modo imbarazzante il mio metro e sessantotto scarso.
L’uomo rinfoderò la spada senza smettere di guardarmi, e io sentii un brivido lungo la schiena. E non era certo colpa del freddo.
« Ci rivedremo, Lady Karjalainen. Martewall. » con un’ultima occhiata sprezzante, si voltò, facendo frusciare le vesti nere come la pece e si allontanò in tutta fretta seguito dai suoi compagni, che non avevano aperto bocca.
Martewall mi rivolse un sorriso triste.
« Temo, mia signora, che vi siete appena inimicata una delle persone più pericolose del momento. Ah, e penso che questo possa considerarsi un nostro segreto. Meglio non impensierire monsieur Jean. »
Io mi strinsi nelle spalle, trattenendo un sorriso. Quella sera stessa Isabeau avrebbe saputo ogni minimo dettagli del mio incontro con gli Uomini Neri.
 
Geoffrey andò da Alice e Catherine, e io finalmente riuscii a vedere la bancarella.
Non ero tanto sicura che la mia improvvisata fosse stata una buona idea. In realtà, non ne ero affatto sicura. Sperai solo che Ian non si sarebbe arrabbiato così tanto.
Dopo una decina di minuti in cui la proprietaria della bancarella non chiuse bocca un secondo –aveva visto la mia discussione con gli uomini in nero- tornai dagli altri, pronta a rimboccarmi le maniche e darmi da fare con quel maledetto vestito.
Ero talmente impegnata con i miei progetti per l’abito, che non mi accorsi di qualcuno che correva controcorrente. E che mi sbatté addosso con talmente tanta forza da farmi cadere per terra.
« Pardonnez-moi, madame! » disse un’inconfondibile francese.
Alzai lo sguardo e mi ritrovai davanti un mio coetaneo dai capelli castano scuro e l’aria estremamente mortificata.
« Levati dai piedi, Testa di Rapa! » borbottai con quel poco di francese che sapevo, rialzandomi e allontanandomi il più in fretta possibile, non prima di averlo maledetto in tutte le lingue da me conosciute.
Quando tornai da Catherine e Alice, mi ero già completamente dimenticata dell’incontro –o meglio, io me l’ero dimenticato, il mio fondoschiena dolorante per la caduta mica tanto.
Lady Booth lanciò uno sguardo di disappunto al mio vestito leggermente sgualcito, ma per una buona volta tenne la bocca chiusa, per permettere a me e alla bambina di goderci il ritorno al castello.
 
 
E infine, il giorno da me tanto temuto arrivò.
Chatel-Argent era stata addobbata, la sala del banchetto preparata, miracolosamente finito il vestito di Isabeau e la mia crisi da non-so-come-diamine-comportarmi quasi passata.
La castellana aveva continuato con le sue lezioni di francese, grazie alle quali ora potevo ordinare della carne senza ritrovarmi un cavallo intero in sala da pranzo.
Mi lisciai le pieghe ormai inesistenti dell’abito blu elettrico e sospirai. Janetta era dietro di me e mi sistemava i capelli in una crocchia dall’aria piuttosto complicata.
Sospirai. Perché, perché non potevo andare al ballo in jeans? 
Ero arrivata lì da due settimane e già non ne potevo più delle varie gonne, sottogonne, sottosottogonne, corpetti, veli e quant’altro.
Ripensai all’abito di Isabeau e a come me l’ero cavata con qualche drappo colorato qua e là. Fortuna che lei ne era rimasta estasiata.
Quando la serva finì di completare la sua opera, ebbi appena il tempo di passarmi una mano tra i capelli che subito Isabeau e Brianna si fiondarono in camera mia e mi trascinarono via di peso –non in senso letterale, ovviamente.
Scendendo le scale, lanciai un’occhiata al vestito multicolor di Isabeau (ma quanto sono brava?) e quello rosso cremisi di Brianna, che si intonava perfettamente ai capelli.
Chissà per chi si era fatta bella quella sera, mi chiesi. Ebbi risposta poco dopo, quando varcammo le soglie della Sala da Ballo-barra-banchetto-barra-quellocheè e si fiondò a parlare con Geoffrey Martewall senza nemmeno degnarci di un saluto.
Isabeau mi sorrise, complice, e si incamminò verso Ian.
O meglio, cercò di incamminarsi verso Ian, perché ad ogni passo veniva fermata da dame, cavalieri, conti e quant’altro che si complimentavano ora per la sala, ora per il vestito –modestamente-, ora per il cibo che passava tra gli invitati, ed erano ansiosi di fare la mia conoscenza.
Mentre mia “cugina” era impegnata a conversare amabilmente con una contessa dall’aria non snob, di più, vidi arrivarmi addosso un pavone arrosto, con tanto di coda.
Mi scostai appena prima che il paggio mi rovesciasse addosso l’intero animale.
Isabeau ridacchiò e salutò la dama con un inchino, per poi trascinarmi di gran carriera verso Ian, che in quel momento era circondato da un gruppo di altri cavalieri, Guillaume e una dama dai capelli ramati.
E insieme a loro c’era anche … oh, diamine.
« Messieurs, vi presento mia cugina, Harley. » esordì Isabeau con un inchino. Notai che aveva accuratamente omesso un qualsiasi cognome.
Feci un inchino e osservai i presenti.
« Harley, loro sono: monsieur Etienne de Sancerre, monsieur Henri de Bar, madame Donna de Sancerre e … »
« Testa di Rapa. » borbottai, troppo piano perché chiunque mi sentisse. Cacchio.
Sperai vivamente che il conte non mi avesse riconosciuta. Cacchio.
Speranza vana. Henri de Grandpré, così l’aveva presentato Ian, si esibì in un gran sorriso.
« Oh, noi ci siamo già incontrati, non è vero, mademoiselle? »
L’ho già detto “cacchio”?
Abbozzai un sorriso e mi limitai a stringermi nelle spalle.
Quello dal volto abbronzato e i capelli castani fece una specie di ghigno e disse qualcosa in francese, troppo piano e troppo velocemente perché io ne potessi cogliere il senso.
Ma a giudicare dall’occhiata ammonitrice della moglie, non doveva essere stato un commento molto lusinghiero.
Guardai Ian interrogativa e lui si limitò a scrollare le spalle.
In quel momento, decisi che avrei imparato il francese alla perfezione.
Guillaume de Ponthieu scosse la testa e si limitò a prendere congedo, diretto da non so quale conte dal nome impronunciabile.
« Allora, mademoiselle, vi trovate bene qui in Francia? » mi domandò la donna dai capelli ramati, in un inglese perfetto.
Io inarcai il sopracciglio, e Ian mi sussurrò un ‘Anche lei viene dal futuro.’ all’orecchio che mi lasciò basita.
C’era un’altra persona che veniva dal futuro e ne’ lui ne’ Isabeau  me l’avevano detto?
Mi costrinsi a fare un sorriso e le risposi educatamente, morendo dalla voglia di saperne di più su quella ragazza. Anche lei aveva scelto di rimanere lì come Ian o era stata costretta?
… anche io sarei stata costretta a rimanere lì, ottocento anni troppo indietro?
La voce di Ian mi riscosse dai miei pensieri non proprio allegri.
« Volete concedermi questo ballo, Isabeau? » domandò alla propria dama con un inchino, facendo un cenno verso quella che potrei definire ‘banda’.
Lei accettò con un sorriso e i due partirono verso la pista da ballo, senza nemmeno degnarmi di uno sguardo.
Etienne e Donna li seguirono subito dopo, e Henri de Bar si allontanò con una donna dall’aria ispanica, che classificai come sua moglie.
Così, rimasi da sola con Henri de Grandpré alias Testa di Rapa.
« Ehm … sono desolata per l’altro giorno. » borbottai. Non era affatto vero, ma non mi sembrava il caso di puntualizzare.
Lui mi guardò e fece un sorriso, come a dire ‘non ti preoccupare’.
E tra noi scese il silenzio.
Mi guardai i piedi, imbarazzata. Cosa dovevo dire? Potevo accusare un mal di testa, così da evitarmi l’ennesima brutta figura di parlare a vanvera? Meglio di no, probabilmente avrei solo allarmato inutilmente Ian e Isabeau, e non mi andava di disturbarli mentre piroettavano felici per la pista, con due sorrisi identici stampati sul volto.
Stavo pensando a qualche scusa per allontanarmi quando una nanerottola bionda mi si fiondò letteralmente addosso.
« Hei, Alice! Ma tu non dovevi rimanere con Marc e Michel? » le chiesi, poi guardai oltre la sua spalla e compresi la sua presenza lì. La piccolina doveva essersi intrufolata nella sala –cosa non molto difficile, dal momento che le porte erano tutte spalancate e la bambina era alta si e no un tappo e mezzo- e la povera vecchia Catherine Booth sgomitava per la sala alla ricerca della peste.
« Lei è la nipote bastarda di monsieur Martewall? Sembra molto affezionata a voi. » mi chiese in tono curioso Henri, della cui presenza mi ero totalmente dimenticata.
Io annuii, e Alice batté le mani.
« Forza, nanerottola, ti riporto a letto. Non devi intrufolarti nelle feste per grandi! » la sgridai. Lei sembrò rabbuiarsi, ma dal mio sorriso capì che scherzavo e ridacchiò, battendo nuovamente le mani.
Con un inchino salutai il conte di Grandpré e mi allontanai in tutta fretta con la bambina in braccio. Parecchie persone si voltarono a guardarmi, ma io mi limitai ad ignorarle. Ah, il pensiero medioevale.
Posai la bambina tra le braccia stremate di lady Booth e le accompagnai nella loro stanza, lieta di una scusa per saltare il ballo. 
Solo quando mi ritrovai stesa a letto, con il cuscino premuto sulle orecchie per non sentire la musica provenire dai piani inferiori, mi resi contro che non avevo scambiato una parola con Donna Barrat.












Madamoiselle's Corner: 
CI SONO RIUSCITA, PER IL SANTO PANINO, CI SONO RIUSCITA! *O* 
*intona canti di vittoria e improvvisa una conga.* 
Uaaaaau, che strano capitolo. Maccommé che mi sembrano tutti strani i miei capitoli? D: 
-
Vorrei dedicare tuutte le parti in cui appare Alice -praticamente l'intero capitolo- alla mia adorata Alice/Sil/Cam/Pecce/Blablabla :3 
I love you. E GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE per 'The Mark of Athena'. Ti amerò per il resto della mia miserabile vita.

-
Gli uomini in nero. Teneteli d'occhio. Spero di non avervi confuso ancora di più le idee e che questo capitolo vi sia piaciuto :3
Cercherò di pubblicare il prima possibile, ma non prometto nulla! çwç 
-
Ah, se trovate qualche incongruenza spazio-temporale-quellochevipare, ditemelo! non sono un granché in storia medioevale, e Google non è sempre molto utile ç__________ç

alla prossima! 
Madamoiselle Nina. 

   
 
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