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Autore: hiphipcosty    04/10/2012    5 recensioni
Due Edward e Bella bambini, due amici inseparabili, due anime gemelle che si incontrano su una barca. Lì passano il loro tempo, si divertono, giocano. Il segno della loro amicizia? Una foto, strappata a metà, legata a loro più di ogni altra cosa. Una sera, però, il fato decide di dividerli, con un incidente in mare, dove Bella, cadendo, perde del tutto la conoscenza.
I soccorritori salvano entrambi i bambini, ma i genitori di Bella no e così quest'ultima, senza ricordarsi nulla del passato, viene mandata in un orfanatrofio. Qui forse ci dovrebbe essere un triste 'the end', ma no. Non è questa la fine.Un giorno, infatti, anni dopo, il poliziotto Swan, nonchè padre adottivo di Isabella arresta Edward per una vendita di alcolici illegale. Decide di dargli una possibilità, 'assumendolo', sicuro che l'ambiente della caserma riuscirà a migliorare la sua condotta. Edward conosce così la figlia dell'agente, che non riconsoce immediatamente, e così decide di rivendicarsi. Come? Conquistandola, ovviamente.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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sETTIMO capitolo

                    -Settimo Capitolo-                   

La verità è che da piccolo non ho amato-Francesco Tricarico

La verità è che l'amore mi ha bruciato
quand'ero piccolo l'amore mi ha scottato
e me ne stavo seduto sul mio prato a guardare le stelle nel cielo
la verità è che l'amore mi ha bruciato
quand'ero piccolo l'amore mi ha scottato
E ora sono seduto sul mio prato a guardare una rosa che cresce

La verità è che io non ho amato
quand'ero piccolo io non ho amato
E ora starò da solo a guardare l'aria del mare senza più tornare
e fermerò il tempo e lo spazio e con lo sguardo attento guarderò lontano niente




La porta automatica del pub si aprì, mentre Edward aspettava in piedi di fronte ad essa. Immediatamente un odore di fumo ed alcool, gli invase il naso e non riuscì neanche a tossire lui, amante tanto di entrambi i vizi. Lanciò uno sguardo al locale, visionando un po’ la situazione: la stanza principale era ingombrata da una massa di persone che continuava fino al salone accanto, la sala giochi. Avrebbe avuto da fare, quella sera.

Si tolse il giubbotto di pelle, facendolo scivolare sulle spalle e avviandosi dietro il bancone. Mise la giacca all’appendiabiti, togliendo le sigarette dalla tasca del giubbotto e mettendola in quella dei pantaloni: ne avrebbe avuto bisogno, data la quantità di gente.                                                                                                      
Fissò per un momento l’orologio sulla parete che segnava le undici e mezzo. Era in ritardo e pregava che non ci fosse il suo capo, il quale non gli avrebbe lasciato di certo passare questo piccolo dettaglio. Subito Connor gli porse un saluto fuggente, mentre indicava la gente che aspettava davanti al tavolo, con aria piuttosto impaziente. Abilmente il ragazzo afferrò il suo grembiule nero e lo indossò legandoselo in vita e raggiunse velocemente una donna, con un gruppo di amici dietro. Edward sapeva come fare nel suo lavoro e quali clienti scegliere in situazioni come queste; doveva riuscire a capire quale era la ragazza più spazientita, ma anche quella che aveva un numeroso gruppo di compagni con se e che se avesse avuto un buon servizio, ne avrebbe sicuramente parlato con i propri conoscenti. E quella  ragazza, era una di quel genere.

<< Buonasera bellezza. >> esclamò sorridendo Edward, guardandola negli occhi. Questo bastò per farla calmare, ma ancora sul suo volto vi era un’ombra scocciata.                                                                                         

<< Finalmente qualcuno è arrivato! >> disse seccata ad alta voce, muovendo le sue carnose labbra in una smorfia terribile. << E’ da mezz’ora che stiamo aspettando, si può sapere perché è così incapace l’altro barista? >> Edward fece un mezzo sorriso, preparando dei bicchieri.                                                                                                            
<< Cosa vuoi? >> chiese, manovrando le bottiglie destramente.                                                                                                              
<< Due Cubalibre per i miei amici e un Vodkalemon per me. >> Il  ragazzo non poté notare quanto fosse volgare la donna, nei suoi pantaloni lucidi stretti e quella maglietta scollata viola. Tuttavia annuì, voltandosi a prendere altre due bottiglie negli scaffali dietro a se. Versò il liquido trasparente nei bicchieri, sotto lo sguardo ammirato della ragazza.                                              
<< Sei davvero bravo, sai? >> esclamò, richiamando lo sguardo della ragazza. Vide che sorrideva, sbattendo le ciglia e spostando il peso da un piede all’altro. Ora sembrava essersi rilassata.                                                                                              
<< Solo questione di esercizio. >> tagliò corto lui. In effetti egli muoveva le mani in modo rapidissimo, rendendo quel semplice preparare dei cocktail, una vera e propria danza.                                                                 
Ci furono altri secondi di silenzio tra i due, mentre la musica da discoteca pulsava dalle grandi casse ai lati della stanza. Le luci ad intermittenza stordivano un  po’, rendendo difficile il lavoro che stava svolgendo l’uomo.                                                                                                                                                                                      
<< Grazie … >> disse infine la donna, porgendo un sorriso accattivante al barista davanti a se. Edward gli porse i tre bicchieri, mettendoci dentro due pezzi di ghiaccio. Sorrise, divertito dal cambiamento rapido di atteggiamento della ragazza. << Ah, senti, a che ora stacchi … tu? >> concluse, sistemando meglio la sua maglietta. Edward corrugò la fronte un po’ interdetto e divertito.                                                  
<< Non so neanche il tuo nome. >> gridò a causa della forte musica, per farsi sentire dalla ragazza. Lei fece spallucce, sorridendo.               
<< Erika. Mi chiamo Erika. >> La ragazza, che doveva avere circa una ventina di anni, restava in piedi, in mano quei bicchieri. La guardò attentamente, come immerso in profondi pensieri: fissò quei grandi occhi neri, del tutto coperti da un trucco pesante. Poi annuì, stringendo la bocca in un mezzo sorriso.     
<< Va bene … Quando stacco ti cerco. >> prese i soldi per le bevande e passò all’altro cliente. Non avrebbe potuto mai rinunciare ad una donna, giusto?         
 

Connor gli passò accanto, prendendo una bottiglia e sussurrandogli all’orecchio:                                                         
<< Come fai? >>. Il suo sguardo era ammirato, anche se una leggera punta di invidia brillava negli occhi. Edward sorrise, un po’ fiero e prose un drink ad un ragazzo.

La sera scivolò velocemente sulle spalle di tutta la gente in quel pub. Fu un lavoro quasi inarrestabile per Edward e Connor, che prepararono aperitivi e drink, ininterrottamente. Passarono di cliente in cliente, velocemente e con successo. La stanchezza si fece sentire in quelle ore, inoltre, specialmente per il primo, che aveva avuto una giornata abbastanza impegnativa alla centrale. 
Solo verso le due del mattino i due potettero riprendere fiato, accasciandosi stancamente sulle sedie esterne del pub, ancora pieno di gente che saltava al ricco ipnotico delle canzoni. Fortunatamente gli altri due ragazzi erano venuti a sostituire i due baristi, permettendo loro una pausa di ripresa. Edward si appoggiò allo schienale, seguito da Connor. Tirò fuori una sigaretta e ne porse un’altra all’amico, accendendo entrambe.                                                                                                                                                                                   

<< Non ce la faccio più … >> si lamentò Conn, chiudendo gli occhi e mettendosi una mano sulla faccia.       
<< Un po’ di nicotina ti farà bene, allora. >> commentò Edward, con la cicca in bocca. Lasciò distendere le gambe lunghe e si strinse nel cappotto,  notando solo allora quanto la temperatura stesse abbassando di giorno in giorno. Fece entrare il sapore del tabacco sulla lingua, rilassandolo.                                          
In effetti aveva notato anche lui, quanto quella sera il collega fosse molto distratto e pensieroso, quasi … preoccupato.                                                
<<
Questo lavoro mi ammazza! Ti giuro, con l’occupazione in fabbrica, più la sera questo, penso che prima o poi morirò … >> sbuffò,  con una smorfia in volto.                  
<< E allora cosa ci fai ancora qui? >> chiese, un po’ infastidito dai discorsi lamentosi del collega. << Lascia questo maledetto lavoro, se ti sembra troppo stancante. >> Lui ne aveva provati molti di lavori e questo era il più rispettoso e coerente con il rapporto fatica-guadagno.                                                                                                    
<< No, è solo che … >> si tolse la sigaretta dalla bocca, scuotendo la testa. << Quei soldi mi servono … Per me, per Miriam … >> Edward alzò gli occhi al cielo, drizzandosi sulla schiena.                                                               

<< Vedi? E’ per colpa la tua convivenza del cazzo, Conn. Ti prende un  sacco di soldi e ti toglie la tua libertà. Io te l’ho sempre detto di non fare la grande scelta, con la tua Miriam. >> esclamò, arrabbiato e pronunciando la parola Miriam un po’ schifato. Il suo progetto di vita era molto semplice: solo, senza moglie, senza figli, per lui questo voleva dire libertà. Opposto a ciò che stava vivendo l’altro.                                                                                                                                                                                     

Connor, abituato a i commenti contrari dell’amico, non si offese, rimanendo per un istante in silenzio.                               

<< Non è solo per quello … >> cercò di spiegare lui, ma Edward lo interruppe.                                                                                  
<< E poi quella donna è solo un’idiota patentata, Conn. Salvati finché sei in tempo. >> esclamò, con aria arrogante. << Mi hai detto che state passando un periodo di crisi, no? Perfetto! È la volta giusta che te la togli di casa, quella sanguisuga. >> Era ben chiaro a Connor che al suo amico non piacesse molto la sua compagna. Edward si voltò ad osservarlo, notando che ancora non rispondeva, e per la prima volta vide gli occhi rossi di lacrime dell’amico. Corrugò la fronte, sorpreso: aveva un’aria terribilmente triste, e quelle leggeri rughe sulla fronte, quella sera, sembravano ancor più evidenti, dimostrando benissimo i suoi trentatre anni.                               

<< Ehi, amico, che ti prende? >> chiese, sporgendosi dalla sedia per incontrare il suo sguardo. Lui rimase impassibile, continuando a fissare quel punto davanti a se. 
<< Miriam è incinta. >> esclamò, bloccando il respiro del ragazzo.                                                                                  

<< Merda. >> esclamò, stizzito. << La situazione si complica, così. >> commentò, rimettendosi comodo sulla sedia. Restò qualche istante in silenzio, per poi aggiungere. << Da quanto lo sa? >>                                    
<< Da pochi giorni; è alla terza settimana, ora. >> Edward annuì con fare serio, senza incontrare lo sguardo dell’amico. << E volete tenere il bambino? >>               

<< Certo, non potremmo mai … >> rispose impacciato, ma Edward lo bloccò, annuendo, comprensivo.  Ci furono secondi di silenzio, durante i quali il ragazzo rifletté.                 
 << Non  lo avevate progettato … quindi? >> chiese, con una smorfia sulle labbra.                                                
<< No … >> scosse la testa, perso nel vuoto. << No. >>                                                                                                    
<< Sei proprio in un grande merdaio. Sì, amico. >> esclamò, con un sorrisetto. Quell’altro non fece altrettanto. Si schiarì la gola, togliendosi dalla bocca la cicca. << E allora, quel momento di crisi, la tua storia con  quella … quella … come si chiamava? >>

<< Samantha. >> dichiarò lui, facendo un respiro di rimpianto.                                                                                                     
<< Giusto, Samantha. Insomma, tutto cancellato? >>                                                                                                                  
<< Penso di sì, dovrò farlo … per mio figlio almeno. >> concluse con aria triste, pronunciando la parola figlio con freddezza e preoccupazione. Samantha era la donna che Conn stava frequentando, nascondendolo alla sua compagna.                                                                                                                                
<< Ehi, non essere così giù, anche se hai un figlio puoi frequentare altre donne! >> lanciò un’occhiata divertita all’amico, facendolo per la prima volta sorridere.                                                                                                                              
<< No, Edward … >> fece, dopo un po’ di silenzio. << Penso che non si possa fare. Finisce … qui. >>             

Il ragazzo cercava delle parole opportune per rispondere all’amico, ma non ne trovò, restando zitto per altri minuti. Continuava a fissare quel volto così scuro e triste dell’uomo. In effetti, però, Conn se l’era andata a cercare: Edward gliel’aveva sempre detto di lasciare quella stupida donna. Oltre ad essere davvero insopportabile, pretendeva di spendere metà dello stipendio di Conn nei suoi bisogni minimi –come amava chiamarli lei-, mantenuta dal compagno.                     

Conn fece un grosso respiro, mettendosi la sigaretta in bocca  e alzandosi dalla sedia. Gettò il mozzicone per terra e rivolse un mezzo sospiro al collega.                                                                                                                         
<< Vado a casa, si è fatto tardi. Ci pensi te a …  >>                                                                                                               
<< Sì, non ti preoccupare, finisco io. >> Alzò la testa a mo’ di saluto e osservò la figura di Conn farsi sempre più piccola, finché scomparire dalla via.              
Decise di alzarsi anche lui, dando l’ultima boccata di fumo, ma una voce lo richiamò dalle spalle.                                  
<< Ehi, ehm … barista! >>

Edward si voltò di scatto, scoprendo quella ragazza di poco fa – se non sbagliava si chiamava Erika – a qualche metro di distanza. Osservò la donna, di corporatura esile, nei suoi pantaloni aderenti. Era carina, nel complesso. Gli fece cenno di venire ed il ragazzo si ricordò dell’appuntamento che si erano dati. Si alzò e la raggiunse velocemente,  sorridendogli. La ragazza gli prese la mano e notò solo allora che non si trattava di una donna, bensì solo di una ragazzina. Sbuffò dentro di se; ciò a lui non interessava.
Erika gli fece un sorriso e lo portò dentro il pub. Alzò gli occhi verso la ragazza e ringraziò per non essere il suo amico quasi-padre, in quel momento.

La ragazza prese un drink insieme ad Edward, alzandolo in alto.                                                                                      
<< A chi brindiamo? >> chiese.                                                                                                                                                              
<< Ad un mio amico, che è nella merda fino al collo. >>                                                                                                                 
<< Okay. >> I bicchieri si sfiorarono facendo un rumore acuto e entrambi fecero scivolare il liquido lungo le gole, sorridenti e ancora contenti di non essere nella situazione dell’amico.

 

Uscì dal pub che erano ormai le quattro del mattino, l’alba che si stava alzando in  quel momento. Era iniziato a piovere e Edward correva per raggiungere la macchina velocemente, coprendosi nel suo giubbetto di pelle. Correva fuggendo da quella ragazza che aveva lasciato lì da sola, senza spiegazione, senza neanche svegliarla. Correva, ancora sulla pelle il suo profumo e in bocca il suo alito che odorava di alcool. Non era la prima volta che lasciava le ragazze così, né sarebbe stata l’ultima.                                                                         

Entrò in macchina, chiudendo la porta dell’auto velocemente, cerando di non far entrare nessuna goccia d’acqua. Fece un respiro, lasciando cadere la testa sul sedile ma, ad un tratto, qualcosa attirò la sua attenzione. C’era una sciarpa sul sedile. La riconobbe immediatamente: era quella di Isabella, probabilmente l’aveva lasciata lì per sbaglio. Restò ad osservarla, concentrato, guardando quelle sfumature di colore rosso e bianco, sul tessuto. Avvicinò la mano al foulard, lentamente. Senza accorgersene la prese in mano e l’avvicinò al suo naso. Non seppe perché lo stava facendo, ma lo fece e basta. 
Si portò la stoffa a contatto col naso e con la bocca, inspirando bene: il profumo di biancospino e di fresco lo deliziò. Il profumo migliore che avesse mai sentito, anche se …  aspetta, –in effetti-  gli ricordava qualcosa … un profumo che vagamente aveva odorato, una volta. Affondo il suo volto nel foulard, chiudendo gli occhi, estasiato. Poi li riaprì, irrigidì il corpo e allontanò bruscamente quella stoffa da se. Cosa diavolo stava facendo? Era meglio tornare a casa, la stanchezza iniziava davvero a farsi sentire.

 

                                                                                                                                                              ***

La sveglia segnava le quattro in punto del mattino e Isabella era ancora seduta sul letto, le braccia che stringevano le gambe. Si dondolava annoiata, chiudendo di tanto in tanto gli occhi, sperando in un colpo di sonno improvviso. Questo però sembrava non venire.                                                                                                    
Quella sera la ragazza non riusciva a dormire ed era molto strano per una come lei, che riusciva ad addormentarsi ovunque. Ricordava ancora la prima volta che andò in discoteca, addormentandosi annoiata sotto le casse rumorose della stanza.                                                                                                             
Era dalle undici che tentava di prendere sonno, ma esso sembrava essere lontano mille miglia da lei. Quando Bella non dormiva era per qualcosa di serio,  quasi sempre. Solo che quando avveniva, ad ella era ben chiaro la causa di ciò, cosa che quella sera non era in grado di capire.                                          
Osservava la pioggia sbattere sulla finestra trasparente e poi scivolare raggiungendo la fine del vetro. A lei piaceva la pioggia, le ricordava anche il mare, una cosa che adorava perdutamente. Amo la pioggia, lava via le memorie dal marciapiede della Vita * , insomma, come poteva non dargli ragione?                       
Sbuffò, distendendosi sul materasso prendendo la foto che teneva gelosamente custodita sotto il letto. La fissò e subito sul volto comparve un dolce sorriso. Perché ancora non ci aveva pensato prima? La foto era l’unica cosa che avrebbe potuta calmarla. Era impensabile la quantità di ricordi che quella piccola rappresentazione riusciva a ricordarle. Se la posò sulle labbra, dando un bacio a quella piccola figura nell’immagine.

<< Dove sei? >> chiese, rivolgendosi al bimbo con occhi tristi. Sospirò, mettendosela vicino al petto e chiudendo gli occhi.

 

Guardavi felice l’immagine riflessa nello specchio, muovendoti da una parte a l’altra, agitando il tuo vestito color panna. Era il tuo preferito e la mamma lo aveva messo in valigia a posta proprio per la prima cena, in crociera. Andavi pazza per il tuo abito, anche se non lo ammettevi, e tutte le persone si fermavano a guardarti e tu ascoltavi i commenti. Facevi finta di non sentirli, ma in realtà eri lì, tesa con l’orecchio ad origliare quelle parole piacevoli, che ti riempivano d’orgoglio.                                                                                   

La sarta te lo aveva cucito apposta, solo per te. Per la crociera. Come ti piaceva quella parola, eh? Sì, l’amavi, infondo avevi sempre desiderato andare su una barca, ti ricordi?                                                                                 
Ti specchi ancora, fino ad annoiarti. Così esci dalla cabina, non avverti neanche i tuoi genitori, lo fai e basta senza pensarci troppo e inizi a correre lungo il corridoio. È rivestito da una parete in legno e il pavimento è ricoperto da una moket rossa. L’adori: passi le tue dita paffute avanti in dietro, mentre il tessuto sotto la tua pelle ti fa il solletico.                                                                                                                                                                    
Corri ed esci dall’edificio interno, spingendo la pesante porta d’entrata. Vai sul pontile e stringi le tue dita attorno alla ringhiera. Ti sporgi e cerchi di guardare il mare azzurro: ha detto la mamma che nel mare ci sono delle sirene e che se guardi meglio le puoi vedere. Affiorano dall’acqua e salutano le persone che le osservano; chi le vede –sono molto rare- sarà fortunato per tutta la vita. Così tu sei lì, ingenua bambina, con gli occhi puntati sul blu profondo.  Alzi i piedini, grandezza ventinove, mentre i tuoi capelli bruni ti cadono sulle guance. Ti piace proprio il mare, pensi, è così bello per te. Quando fissi le acque i tuoi occhi brillano e le tue gote arrossiscono, emozionata. E ancora di più ti pare bello stare sulla cima della nave a guardare quel blu, mentre il vento ti accarezza il volto.                                                                        

<< Dice mio papà che non ci si deve sporgere così tanto. >> Senti una voce acuta che viene dalle tue spalle, un po’ arrogante, e ti volti. C’è un bambino rossiccio, con una bella camicetta bianca e dei pantaloni che gli stanno troppo lunghi.                                                                                                                                                                    
<< Lo hai mai fatto? >> chiedi tu, muovendo la testa, osservandolo meglio. Il bambino resta immobile con una smorfia sulle labbra. Arrossisce, poi stringe i pugni.                                                                                                                             
<< No. >> risponde sincero. Tu gli fai cenno di avvicinarsi, e gli prendi la mano per portarlo ancora più vicino a te. Non sei timida, non lo sei mai stata.    
<< Devi alzare i piedi e stringere forte alla ringhiera, per non cadere. >> Gli fai vedere, decisa a fare provare a quel bambino sconosciuto la bellezza di questa sensazione. << E’ semplice. >>                                                                
<< Non lo posso fare. >>                                                                                                                                                                                              
<< Perché? >>                                                                                                                                                                                           
<< Perché mio papà non vuole. E nemmeno mia mamma, penso, anche se non gliel’ho mai chiesto. Ma loro sono sempre molto d’accordo tra loro, specialmente per darmi le punizioni. >>                                                                
<< Non ti daranno una punizione, se guardi il mare. >> replichi tu, corrugando la fronte. Il rossiccio ci pensa un pochino, abbassando lo sguardo. Poi lo rialza e ti chiede:                                                                      
<< Sicura? >>                                                                                                                                                                                                       
<< Sì. Te lo prometto! >> esclami sorridente, facendoti un gesto simbolico sul petto. Il bambino ti guarda un po’, poi mette le mani sulla ringhiera e alzandosi in punta dei piedi, sorride. L’aria fresca gli scompiglia i capelli e i suoi occhi si chiudono e si aprono, infastiditi dalla corrente del vento.                                                           
<< Hai paura? >> chiedi, guardando la faccia un po’ preoccupata del bimbo. Lui scuote la testa in modo energico, orgoglioso. << Hai visto come è bello il mare? Mia mamma dice che lì ci vivono delle sirene. >> esclami, indicando l’acqua. Il rosso ti guarda curioso.                                                                                                     
<< Cosa sono le sirene? >>                                                                                                                                                            
<< Sono delle donne bellissime, metà donna e metà pesce. Vivono nei mari e chi le vede sarà felice per tutta la vita. >> Il bambino spalanca gli occhi, entusiasta.            
<< Davvero? E tu l’hai mai vista una? >>                                                                                                                                                   
<< No, sono molto rare le sirene.  E poi sono belle, bellissime. >> Parli con sicurezza, contenta di avere una cosa tutta tua, che quello sconosciuto non sa. Ti senti importante, raccontandolo.                                                                                      
Lui ci riflette un po’ su, continuando a guardare l’oceano ammirato, attento ad ogni minimo movimento spumeggiante dell’acqua.                        
<< Io un giorno vedrò una sirena. La prenderò, ci innamoreremo e poi la sposerò. >> dice convinto. Te lo guardi con una smorfia.                        
<< No, è impossibile.  Loro non possono vivere senza l’acqua! >> esclami, ovvia.                                                                     
<< Vorrà dire che le comprerò una … una … piscina, così lei potrebbe vivere là! >> risponde, speranzoso. Ma tu vuoi  
distruggergli  i sogni, ti sembra una cosa stupida pensare  queste cose.                                                           
<< No, è inutile, non potrai sposarla mai. >> rispondi, stizzita.                                                                                             
<< Non è vero! >> corruga la fronte, spazientito. << Un giorno te la porterò a far vedere, così ti ricrederai! >>                                                                                                       
<< C’è caso che tu non la veda neanche. Sono rarissime. >> dici, convinta e un po’ innervosita. Passano un po’ di secondi, durante i quali tutte e due siete concentrati a vedere il mare.                                                             

<< L’ho vista! >> urla tutt’ad un tratto, saltellando. Ti guarda contento, con gli occhi verdi spalancati. << Ti giuro, l’ho vista! Lì, guarda, lì, l’hai vista? C’era una sirena!  L’hai vista anche tu, vero? Si vedeva benissimo! >> Fissi i suoi occhi luccicanti. Lui l’hai vista. Tu no, come hai fatto a non notarla? Ma non lo puoi dirglielo, no; non puoi fargli passare questa. Poi davvero se la sposa!                                                                                                  
<< Ehm … sì, anch’io! Ehm … C’era anche la sua amica, hai visto? >> chiedi, convinta che questo lo spiazzerà. Il bambino rimane un po’ interdetto, ma poi annuisce convinto.                                                                            
<< Ehm … Sì, certo … >> appoggia il mento sulla ringhiera. << Aspetta, ma quella … un’altra, guarda, ce n’è un’altra, vedi? Laggiù! No, peccato, ormai è già sparita … >>                                                                                            
<< No, no, l’ho vista! >> rispondi beffarda. << Guarda!! Anche là, lì proprio in quel punto, una sirena! Vedi? >> indichi l’orizzonte, a caso.                                                                                                                                                                             
<< Sì, sì che la vedo >> dice, mentendo. << Anche lì, un’altra! Ha la coda arancione, vedi? >>                                                                  
<< Sì, è vero! >> rispondi, bugiarda. << Anche quella! E lì c’è la sua mamma, te ne sei accorto? >> Il bambino non ti poteva rispondere di no, come aveva fatto prima, doveva ottenere quella piccola vittoria.                    
<< Sì … e guarda là! >>

Tu e quel bambino avete continuato a parlare per minuti, che piano a piano sono diventate ore. Il tempo è scivolato su di voi come una lenta carezza, così lieve che neanche vi siete accorti del suo passaggio.                                                                         
Avete visto molte sirene –o almeno così entrambi sostenete-  e vi siete divertiti a inventare le storie legate a quelle figure. Vi siete lasciati dopo un po’, accorgendovi solo allora di non sapere l’uno il nome dell’altro.

<< Pronto? Sì, cercavo il dottore psicologo dell’orfanatrofio? Sì, buongiorno dottore, sono Bella Swan. Scusi l’ora così mattutina, ma stanotte ho sognato … ed ho fatto un sogno particolare e forse … qualcosa si è ricomposto nella mia memoria perduta, penso. >>

 

 

<< Ma è normale che tuo padre ci metta così tanto? >> chiese Edward, guardando Bella. Lei sorrise per la smorfia che era comparsa sulla bocca del ragazzo e annuì, alzando gli occhi.                                                          
<< E diciamo che questa volta si sta impegnando: in genere è ancora più lento! >> esclamò, togliendo il caffè dai fuochi. << E’ peggio delle donne, te lo posso garantire. >>                                                                                       
Edward guardava seduto sulla sedia la figura della ragazza muoversi velocemente, prendendo le tazzine e i cucchiaini dai vari cassetti e sportelli. Aveva la chioma bruna legata in una crocchia che aveva lasciato qualche ciuffo fuori, distrattamente.                                                                                                         
<< E dovessi vedere prima delle cene importanti … >> aggiunse, sospirando. Edward sorrise a quel volto così grazioso, invitandola a sedere. Lei versò il liquido bollente sulle tazzine e porse un cucchiaino al ragazzo accanto a se. Non lo negava, la sua presenza le faceva soggezione. Qualche volte affondava nei suoi occhi verdi smeraldo, senza ascoltare le parole che uscivano da quelle labbra perfette. Adorava il suo sguardo ed il suo sorriso: quella punta del labbro che saliva, i denti bianchi che sfoderava. Bellissimo.                                                                                                                                                                                       

E anche Edward, anche se non lo avrebbe ammesso, molto spesso restava quasi stordito da Bella. Era così affascinante e apprezzava molti suoi lati del carattere, così tanto familiare. Si conoscevano appena, ma era come se entrambi provassero una rispettiva simpatia l’uno nei confronti dell’altro.                                         
<< Uh,scusa, non te l’ho chiesto, vuoi lo zucchero? >> chiese ad un tratto, lei. Edward annuì, ma mentre faceva per alzarsi, Bella lo superò avvicinandosi alla cucina. Allungò la mano, aprendo uno sportello, e distese le dita nel tentativo di afferrare il pacco di zucchero. Il ragazzo notò la difficoltà, così si alzò dalla sedia, le si avvicinò  rapidamente e prese quel sacco bianco.                                                                                                                                                      
In quel gesto, le dita affusolate della ragazza sfiorarono quelle magre del ragazzo, attirando i loro sguardi. Qualcosa tamburellò sotto la pelle di entrambi e tutti e due si guardarono, sbattendo le ciglia. Sentirono un singhiozzo, un gemito che si fece sentire all’interno dei loro petti.                                               
Quel contatto dette i brividi ad entrambi, ma quelli non erano semplici brividi, sembravano come degli … avvertimenti.                                                                                                                                                                 
Erano a poca distanza l’uno dal naso dell’altro, le mani che si toccavano quasi. Edward fissava Isabella intensamente, come ipnotizzato da qualcosa e non capì come aveva fatto fino ad allora a non notare i suoi occhi  bellissimi, bruni. Non seppe perché restò qualche secondo a fissarla, -si pentì, successivamente- ma era curioso, forse voleva risentire quel profumo buonissimo, quell’odore di biancospino, così fresco e delizioso.                                                                                                                                                          

Fu Bella la prima ad allontanarsi, il volto leggermente rosso, biascicando: << Grazie … >> Edward restò qualche secondo interdetto, un po’ frastornato: cosa stava facendo? Era come se improvvisamente qualcosa gli avesse fatto girare la testa. Scosse il capo, come per riprendersi e si rimise al tavolo, accompagnato da Isabella.                                                                                                                                                               
<< Quanti cucchiaini vuoi? >> chiese lei, cercando di togliere quell’imbarazzo venutosi a creare.                    
<< Due andranno benissimo, grazie. >> Gli porse la tazzina e bevvero insieme il caffè.                                                            
<< Grazie ancora per la sciarpa! Non so come ho fatto a lasciarla lì! >> esclamò, dopo un sorso di quel liquido. Edward sorrise, annuendo. Si guardò un po’ in giro notando i libri sparpagliati sul tavolo.                       
<< Stai studiando? >> chiese, interessato. Lei annuì, interdetta da quella luce negli occhi di Edward, che gli era appena spuntata.            
<< Purtroppo. Non ci capisco niente. >> esclamò, mogia.                                                                                                                                    
<< Cos’è, scusa? >>                                                                                                                                                                                   
<< Matematica. >> Edward drizzò la schiena, inclinando la testa. << Tieni, se vuoi. >> disse lei, spingendogli il libro di trecento pagine sotto gli occhi. Lui la guardò, un po’ imbarazzato, come se si vergognasse a fare ciò quello che avrebbe fatto.                                                                                                                                      
<< Non ti torna un problema? >> chiese, osservando attentamente il foglio.                                                                          
<< Questo, non riesco proprio a capirlo! >> fece, con una punta di fastidio, indicando il numero dell’esercizio.

Edward strinse gli occhi, prendendo un lapis e accucciandosi, per vedere meglio. Corrugò la fronte.                               
<< Ma è sul grafico dei logaritmi? Sono … Semplici.  >> guardò Bella come se fosse un imbecille. <<  Scusami, ma se è   y= f(x) = |log2 (4x -1/2) + 3 | Basta semplicemente traslare sull’asse delle x di due unità, sposti di tre unità i punti sull’asse delle ascisse, poi tutti i punti negativi della funzione li porti nel quadrante positivo. Infine aumenta il periodo di quattro π. Quasi stupido, no? >>

Aveva parlato con sicurezza e tranquillità, tanto al  punto che Bella si sentì quasi un’idiota.                       
Rispose un po’ tentennante, così Edward prese fiato ed iniziò a discutere.                                                       
Bella ascoltò con pazienza le spiegazioni successive di Edward, che si risultò un ottimo insegnate, il più bravo che avesse mai conosciuto, in matematica.  Riusciva a concludere ogni esercizio, problema, calcolo con semplicità, come poteva bere un bicchier d’acqua. La ragazza restò attenta ai suoi chiarimenti, guardando ammirata l’espressione seria, mai vista sul volto del ventenne.  Corrugava la fronte, le guance si colorivano un pochino, i suoi occhi iniziavano a brillare, ma fermi.                                                                       
Gli porse tutti gli esercizi che non le tornavano, mentre lui  seguiva le sue difficoltà.  Lei ascoltava attentamente, affascinata dalla bravura di quel ragazzo, che leggeva e risolveva sui fogli tutti i disegni aritmetici e geometrici, accompagnati da spiegazione curate e semplici.                                                                                                                                            

<< Hai capito? >> chiese dopo un discorso durato circa dieci minuti, con un sorriso sulle labbra.                                 
<< Più o meno. >> rispose, imbarazzata. Edward sospirò, cercando di non farsi sentire, non voleva umiliarla. << No, ma molto meglio di prima, davvero, grazie. Miracoli non puoi fare con me e la matematica. >> Edward rise, porgendo il libro alla ragazza. Bella guardò il volto dell’uomo, curiosa.               
<< Sei bravissimo. Come fai? >> chiese, ammirata.                                                                                                                 
<< Cosa? >> chiese, interdetto. Non gli piaceva ricevere i complimenti, capì.                                                                                               
<< Insomma, hai risolto tutto velocemente, come se non fosse niente e … Poi vedevo come ti brillavano gli occhi quando … >>             
 << Non mi brillavano gli occhi. >> protestò.                                                                                                                                            
<< Oh, sì che ti brillavano! >> dichiarò, sorridente. << Edward, davvero, sei molto bravo. Ti piace la matematica, vero? >> chiese, sporgendosi dalla sedia. Il ragazzo si irrigidì, un po’ infastidito. Non voleva quelle domande, riaprivano ferite troppo dolorose; quelle della sua unica passione, svanita in frantumi alla morte del padre.
<<  Sì, cioè no … E’ solo che … >>  abbassò lo sguardo.                                                                                                                                                 
<< Dovresti fare qualcosa. Hai mai pensato ad una università di matematica? >> chiese, naturale. Edward trattenne il fiato, immobile. Era da anni che non ci pensava all’università. Non ci aveva mai riflettuto? Pf, era stato anni a sognare l’università di matematica di New York, un posto finalmente dove si sarebbe trovato a suo agio, dove sarebbe stato circondato dai calcoli, la sua vita.                                                                  
<< No, no! Università … Non ce la farei … >> rispose, cupo. Era stupido pensare ad uno studio, non avrebbe mai potuto farlo, lui.                                                            
<< Ma ti piace, si vede! Risolvi calcoli lunghissimi come se nulla fosse! Hai un talento, davvero, perché non hai continuato gli studi? >> chiese lei, scrutando il viso dell’uomo.  Si mise un ciuffo dietro l’orecchio.                                                                                                                                                                                     

 << Non avevo voglia. >> rispose secco, nervoso. Si alzò dalla sedia, dando alla ragazza le spalle. Gli era salita, tutt’improvvisamente, una fastidiosa sensazione. Bella non riusciva a percepirla, però, e continuava a fargli  troppo invadenti, per i gusti del ragazzo.                                                                                                  
<< Dimmi per cosa, davvero. Era per l’insegnante che avevi al liceo? Forse non si rendeva bene conto, di chi aveva davanti. Sai anch’io … >> continuava a parlare, cercando di capire. Edward irrigidì il corpo, cercando di non essere sgarbato.                                                                    
<< No, Bella. Non è per quello. Problemi familiari. >> esclamò gelido. Odiava quelle domande, odiava quella voce in quel momento, odiava Bella, in quell’istante.                                                                                                        
<<  Ah, ehm … Scusa, problemi economici, forse … Scusa, non ho capito, però potresti  appellarti ad una assistenza … >>

<< Cazzo, Bella, non sono affari tuoi, va bene?! >>

Si girò di scatto, guardando in cagnesco la donna davanti a se, stringendo i pugni, con la mascella tesa. Bella sobbalzò, restando immobile, osservando quel volto che in meno di pochi secondi  era mutato diventando tirato, con gli occhi freddi. Perchè quella reazione così aggressiva? Restò qualche secondo in silenzio, senza togliere lo sguardo da quegli occhi verdi, quasi impaurita. Cosa aveva fatto di sbagliato?                                                                              
Poi Edward chinò il capo, scuotendo la testa, passandosi una mano nei capelli. Sbuffò, sentendosi improvvisamente in  colpa.                                                                                                                                                                                                        
<< Scusa, Bella, io non … >> alzò lo sguardo, con occhi pentiti, ma Isabella lo interruppe, fredda.                                                       
<< No, niente. Hai ragione. >>             

Si alzò e raggiunse le scale velocemente, nascondendo il viso al ragazzo.





*Woody Allen


***

Hola
, carissime! Come state? Rinizio scuola?
Eccomi qui con il settimo capitolo. Sto rabbrividendo: settimo capitolo, come ho fatto  mandarla avanti questa ff? :))
Prima di tutto mi scuso per il leggero ritardo con cui ho postato - un giorno- , ma spero di avervi abbastanza -almeno un pochino, pochino ...?- soddisfatte con questo capitolo. Personalmente mi piace di più rispetto a quello scorso, ma siete voi a giudicare!
Il prossimo aggiornamento spero sia in orario e vedremo i progressi della nostra coppietta...
Non vi sto ad annoiare, facendovi il riassunto del testo, tanto lo sapete già! Ditemi cosa ne pensate -compreso "fa schifo", "Non lo leggerò mai più...", "datti all'ippica ..."-
Un grosso bacio a tutti e  alla prossima!!
hiphicosty

PS. mi dispiace per non aver trovato il video della canzone. Leggete il testo, però, perchè mi sembra molto simile alla figura di Edward... A presto!

  
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