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Autore: Montana    05/10/2012    2 recensioni
Kalòs kaì agathòs. Letteralmente, “bello e buono”.
Una delle prime cose che insegnano al Liceo Classico è questa, la teoria del bello e buono che gli antichi Greci avevano tanto a cuore.
Il tutto è riconducibile nelle due parole greche καλὸς κἀγαθός, la kalokagathia. I miti greci ne sono pieni.
Nell’Iliade tutti danno ragione ad Achille perché è bello e buono, e picchiano Tersite perché è brutto, zoppo e storpio.
Nonostante tutto, anche al giorno d’oggi è rimasta nel nostro subconscio la convinzione che se una persona è bella esternamente dev’esserlo anche all’interno.
A questo Zoe non credeva affatto.
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Ritornando alla sua posizione vegetativa iniziale, Marco registrò il pensiero che doveva chiederle cos’avesse contro la kalokagathia.
Avevano quattordici anni, e quella fu solo la prima volta che le vite di Zoe e Marco si scontravano bruscamente.
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"Quando due forze così grandi si scontrano non possono non lasciare segni su ciò che le circonda, Léon."
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Marco, ragazzo normale, vita normale, amici normali, fino al Liceo.
Léon, padre francese, famiglia rovinata, riflessivo e protettivo.
Zoe, genitori francesi, un passato misterioso, un segreto che non ha mai detto a nessuno.
Destinati ad incontrarsi, destinati a cambiarsi le vite.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le loro vite con Zoe'
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La nostra vita con Zoe

La Festa d'Autunno

«Zoe! Ti sbrighi a scendere, sì o no?! Sei tu che devi andare alla festa!»
«Arrivo!»
Federica sbuffò, guardando per l’ennesima volta l’orologio: sua figlia era di sopra chiusa in camera da più di un’ora e rischiava di fare tardi a quella festa d’autunno di cui le parlava da settimane.
Finalmente fece la sua comparsa in cima alle scale «Scusa Fed, non sapevo cosa mettermi, ormai sono troppo abituata a vedermi con le gonne al ginocchio! Ti piace questo?»
Federica le sorrise e le accarezzò la testa «Stai benissimo, tesoro. Sei davvero bella, dovresti pettinarti così più spesso!»
«Sono solo boccoli! E non toccarmeli, si rovinano...»
Salirono in macchina «Quindi sei sicura che ti riporta a casa qualcuno domani, vero? Perché papà arriva alle 15, prima delle 17 tra una cosa e l’altra non saremo a casa.»
«Tranquilla Fed, o Léon, o Adele o Marco saranno così gentili da aiutarmi!»
«Perfetto... Hai preso tutto vero? Telefono, pigiama...»
Vodka, aggiunse mentalmente Zoe, limitandosi a sorridere e annuire.
Passarono a prendere Adele, anche lei con la borsa un po’ troppo pesante per un semplice pigiama. Grazie allo scarso senso dell’orientamento di Fed, alle indicazioni poco chiare di Zoe e alle risate convulse di Adele dovute a queste due cose, sbagliarono strada tre volte prima di arrivare a destinazione.
«Odio la campagna! La odio! Voi divertitevi, io cercherò di non perdermi di nuovo...» disse Fed scaricandole davanti alla casa.
«Ma mère est incapable...»sibilò Zoe affrettandosi.
«Cioè?»
«Mia madre è un incapace. Scusa, quando m’incazzo torno alla mia lingua madre.»
«È sempre fantastico comunque sentirti imprecare in francese!»
Zoe la guardò male e suonò al campanello. A giudicare dal volume della musica, la festa doveva essere in pieno svolgimento, e c’era anche il rischio che nessuno sentisse il campanello, ma per fortuna dopo qualche secondo la porta si aprì e apparve Léon, esaltato come non mai.
«Zoe! Adele! Eccovi finalmente, cominciavo a preoccuparmi!»
«Per noi o per gli alcolici? Eccoli, a proposito.» disse Adele, porgendogli le borse; il ragazzo ne tirò fuori due bottiglie di vodka e una di tequila.
«Per entrambi, ovviamente. Oh, siete fantastiche! Questi sono per voi, cicchetti di benvenuto, astenersi piattole ed astemi! Purtroppo è rimasto solo dell’Aperol, il resto l’ha preso il fratello di Giulia. Non preoccupatevi, è il nostro barman!»
Le due ragazze buttarono giù i cicchetti in un sorso, già stordite dalle troppe parole di Léon.
«Ora vi lascio, devo ritrovare la mia ragazza. Ah, Zoe, Marco ti aspetta al bar, è subito qui a destra, vicino alle scale. Ah, siete splendide!» continuò lui andandosene.
«Mon dieu, qualcuno lo plachi...» mormorò Zoe mettendosi a posto i capelli.
«Smetti di parlare in francese o Marco non ti capirà...»
 
Marco era stato il primo ad arrivare, quindi gli era spettato un cicchetto di vodka. Non aveva bevuto altro, stava aspettando Zoe per la sfida che aveva intenzione di proporle.
Stava giocherellando con la cannuccia di quel fondo di drink che qualcuno gli aveva lasciato circa mezz’ora prima quando la vide apparire in fondo al corridoio.
E rimase letteralmente senza parole.
Si era fatta i boccoli, non l’aveva mai vista pettinata così. Lunghi boccoli le incorniciavano il viso e le sfioravano il petto, e stonavano un po’ con la sua espressione leggermente accigliata.
E aveva un vestito, decisamente più corto delle sue solite gonnelline a scacchi da studentessa modello.
Era stupenda. E abbastanza sconvolgente.
«Ehi tu, chiudi la bocca che ci entrano le mosche!» lo richiamò alla realtà il fratello di Giulia da dietro il bancone.
Per darsi un contegno, o forse perché fu la prima cosa che gli venne in mente di fare, trangugiò quel che restava del drink, rischiando anche di soffocarsi. Nel frattempo la ragazza lo aveva individuato e lo raggiunse.
«Buonasera! Ti prego, dimmi che sei più sobrio di Léon, Cecilia e tutti gli altri che ho incontrato finora...»
«Sei bellissima stasera!» gli scappò.
Lei lo guardò dubbiosa «Come non detto... Mi cercavi davvero o era un sogno alcolico di Léon?»
«No, no, sono sobrio! E sì, ti cercavo. Era un complimento comunque, non dovresti reagire così quando te li fanno...»
«Scusami. Grazie mille, alla fine non ero molto convinta del vestito, ma sono felice che ti piaccia. Cosa volevi dirmi?»
Picchiandosi mentalmente per evitare di aggiungere altro, Marco le sorrise e indicò il bancone degli alcolici «Mademoiselle Perfezione, una volta ti ho sentita fare un’affermazione abbastanza azzardata: hai giurato di reggere l’alcol meglio di molti ragazzi. Beh, non per vantarmi, ma io lo reggo perfettamente e ti sfido, qui ed ora, ad una gara di shots!»
Zoe scoppiò a ridere «Tu sei pazzo! Non so se mi convenga bere tanto, ho preso delle medicine...»
«Ti tiri indietro, Zoe Blanchard?» la canzonò Marco, con un sorriso sarcastico.
«Con te che fai quella faccia? Neanche per sogno.» rispose lei, avvicinandosi.
«Perfetto! Cosa ti è toccato all’entrata?»
«Aperol.»
«Ah, a me vodka. Non voglio partire svantaggiato... ehi, amico! Uno shot di vodka!»
Dopo che ebbero pareggiato, partì la battaglia all’ultimo sangue. O meglio, all’ultimo goccio.
«Tequila!»
«Rum!»
«Vodka!»
«Alla pesca!»
«Limone!»
«Fragola!»
«Ragazzi, basta. Se poi vi sentite male danno la colpa a me. Fate una pausa, d’accordo?» s’intromise il fratello di Giulia.
Erano entrambi abbastanza ubriachi. Zoe continuava a ridere, appoggiata pesantemente al bancone; Marco invece si sentiva esageratamente euforico e vedeva tutto fastidiosamente sfuocato.
«Allora Zoe, ti arrendi?» le chiese il ragazzo, cercando di scandire bene le parole.
Lei biascicò qualcosa in risposta.
«Hai già perso l’uso corretto della parola?! No, ma complimenti!»
«Era francese, sottospecie di... ignorante. Ho detto che il tuo alito è... talmente alcolico che se mi aliti ancora addosso... mi fai bionda!» rispose lei, scoppiando di nuovo a ridere
«Credi che il tuo sia tanto meglio? Ah, quindi quando bevi... parli tutte le lingue?»
«Italiano, francese e inglese! Senti qua: well, let there be... the sunlight, let there… be rain, let the… broken hearted… love again!»declamò Zoe con aria fin troppo convinta.
Marco le fece un piccolo applauso «Mi piacciono queste frasi a effetto. Cos’è?»
«Una... canzone, credo. Chiedi troppo dalla mia mente annebbiata dall’alcol! E poi non sono ubriaca... Ma mi è sempre piaciuta, significa una cosa tipo...»
«Aspetta! Frase a effetto per l’ultimo shot! Ehi, per piacere, puoi farcene un altro? L’ultimo!»
«L’ultimo sul serio, eh!»
Per togliersi di torno quei due rompicoglioni, il barman decise di fargli il suo cocktail speciale. Prese i quattro superalcolici e li mischiò assieme, poi passò i bicchierini ai due assieme a due fettine di limone.
«Allora... lascia che il sole splenda, lascia... che piova, lascia che i cuori... spezzati amino ancora! Giù!»
Quello shot fu devastante, lasciò loro la gola in fiamme, la bocca anestetizzata e la testa completamente vuota. Mordendo il limone eliminarono almeno il secondo effetto, ma gli altri due perduravano.
«Cazzo. Cosa c’era lì dentro?!» esalò Marco, reggendosi con più forza al bancone.
«Non ne ho... la più pallida... idea. ma ho voglia di ballare. Oh sì, ho tanta voglia di ballare.»
Prima che Marco potesse dire qualunque cosa, in assenso o in dissenso, la ragazza l’aveva già trascinato nel salotto opportunamente trasformato in sala da ballo.
Entrarono, neanche a farlo apposta, proprio al partire di una canzone. Zoe emise un grido «Io amo questa canzone! We Are Young!» e trascinò di nuovo Marco, stavolta al centro della pista.
 

Give me a second I
I need to get my story straight
My friends are in the bathroom
Getting higher than the Empire State
My lover she’s waiting for me
Just across the bar
My seat’s been taken by some sunglasses
Asking ‘bout a scar and

I know I gave it to you months ago
I know you’re trying to forget
But between the drinks and subtle things
The holes in my apologies
You know I’m trying hard to take it back
So if by the time the bar closes
And you feel like fallin’ down
I’ll carry you home
 

“Tonight, we are young! So let’s set the world on fire, we can burn brighter than the sun!”
Quella canzone, pensò Adele, si addiceva particolarmente alla circostanza.
Le erano passati accanto Marco e Zoe, ubriachi fradici, e ora stavano ballando da qualche parte in mezzo a quella mandria di persone. Magari con un po’ d’alcol (un bel po’, a giudicare dalle loro facce) la situazione tra quei due si sarebbe risolta.
Le invece non aveva bevuto tanto, doveva ancora finire il primo drink e se ne stava seduta su un divanetto di cavallino (i genitori di Giulia dovevano avere uno spiccato senso dell’orrido).
«Ehi, tu non balli?» le chiese improvvisamente qualcuno davanti a lei.
Alzò la testa e vide un ragazzo alto, biondo e sorridente con un drink in mano.
«Evidentemente no... Neanche tu, deduco.»
«No, ho sete e mi fa male una gamba, è libero quel posto?»
Adele annuì e il ragazzo si sedette «Mi chiamo Eugenio, comunque. Eugenio Filippo, per la precisione.»
«Che nome del cazzo.» sfuggì alla ragazza.
Lui però rise «Lo so, infatti mi faccio chiamare solo Filippo dagli amici. Eugenio è per i prof e i miei genitori. Tu invece?»
«Maria Adele, ma ti prego, solo Adele. Anch’io odio il primo nome, la gente mi chiama Maria Adele solo se è incazzata con me!!»
Lui sorrise e indicò il suo drink «Cosa bevi, Adele?»
«Non lo so, ha fatto tutto il barman. Ma sa di frutta, qualunque cosa sia. Tu?»
«Coca Malibù. Sei in classe con Giulia?»
«No, con il suo ragazzo. Tu non vieni a scuola con noi, vero?»
«No, faccio lo Scientifico. Sono amico di Giulia e suo fratello da... una vita! Non vi ha mai parlato di me? Sono così fantastico!»
«E soprattutto sei modesto. Quindi sei Filippo, il ragazzo più modesto della città?» lo prese in giro lei.
«E tu per caso sei Adele, la persona meno polemica dell’Universo?»
«Abbiamo cominciato subito a chiamarci con i secondi nomi? Abbiamo fatto in fretta a fare amicizia!»
Filippo sorrise «In effetti... io faccio sempre amicizia con tutti. Perciò adesso rimarrò qui seduto a mitragliarti di domande finché non smetterà di farmi male la gamba. E vista la botta che ho preso l’altro giorno a calcio, penso che ci vorrà molto, molto tempo...»
 
A Marco girava la testa. E non capiva se fosse per l’alcol, per la musica troppo alta o perché Zoe gli stava troppo, troppo vicina.
Avevano cantato a squarciagola qualche canzone, poi improvvisamente era partito un lento. Loro due si erano guardati un po’ in imbarazzo e poi avevano cominciato a ballare.
Era così concentrato a cercare di riprendersi e ad ascoltare il testo della canzone, dove la cantante stava chiedendo al presunto ex ragazzo chi si credeva di essere perché era tornato da lei pensando che lo amasse ancora (e se ne andava in giro con un barattolo di cuori spezzati, un'immagine abbastanza agghiacciante secondo lui) da non rendersi conto che Zoe gli stava dicendo qualcosa. Fece per avvicinarsi per chiederle di ripetere, ma aveva la vista annebbiata e finì per darle solo una testata.
Chiuse gli occhi per il dolore e quando li riaprì vide qualcosa che gli fece tornare la vista lucida, anche troppo: gli occhi di Zoe.
Non se n’era mai accorto, ma erano stupendi. Grandi, luminosi, profondi e scuri, ma con qualche riflesso quasi dorato. Forse era tutto frutto della sua immaginazione dovuto all’alcol, ma aveva troppa voglia di dirglielo. Doveva trattenersi però, non doveva assolutamente dirle che...
«Non hai idea di che meraviglia siano i tuoi occhi visti da qui.»
Cazzo, l’aveva detto.
Ma no, per quanto fosse impastata quella non era la sua voce. Era quella di Zoe.
Si riscosse e la guardò, esterrefatto; sul viso dell’amica c’era un’espressione indefinibile, quasi inquietante.
«I miei...»
Lei non lo lasciò finire la frase, gli posò un dito sulle labbra, sempre guardandolo con quello sguardo strano e quell’espressione strana sul viso.
 
Léon si stava lentamente riprendendo dalla sbronza appena subita.
Si era bevuto quattro birre e due cocktail abbastanza micidiali, l’ultimo ricordo pressoché lucido che aveva era l’arrivo di Zoe e Adele.
Per questo, quando Giulia gli si parò davanti chiedendogli insistentemente se aveva visto dov’era la sua migliore amica, biascicò «Non lo so ma è arrivata prima, con Adele...»
«Non la sto cercando, so perfettamente dov’è!»
Léon la guardò, sempre più confuso. Giulia sbuffò e lo prese per un braccio «Vieni, vedrai che ti passa del tutto la sbronza!»
Lo trascinò nel salotto, dal quale Léon si era tenuto il più lontano possibile per tutta la sera perché odiava quella musica.
«Cosa c’è?»
«Aspetta... Ecco! La vedi adesso Zoe o no?!»
Léon si guardò attorno e la vide, finalmente.
Ma c’erano diverse cose strane, in lei.
Innanzitutto aveva i boccoli, e lei odiava sciogliersi i capelli, li teneva sempre intrecciati. Poi aveva un vestito, e quello non sarebbe stato neanche troppo strano se non fosse stato molto più corto del normale, e se lui non fosse stato convinto di averla vista con una gonna quando era arrivata.
Ma queste due cose erano niente, in confronto al fatto che la sua migliore amica era avvinghiata ad un ragazzo e si stavano baciando con parecchia enfasi.
Soprattutto considerando che il ragazzo in questione era indiscutibilmente Marco.
Giulia guardò con un sorriso l’espressione sbigottita sul viso del suo ragazzo e ringraziò di nuovo mentalmente suo fratello per il cocktail micidiale che aveva servito ai due suoi amici.
«Cazzo, sono davvero loro?»
«A meno che non abbiano dei sosia, direi proprio di sì.»
«Oh santo cielo... Sono ubriachi, vero? Tutto questo ci creerà dei problemi...»
Oppure no, e finalmente avrò ragione io...»
 
Anche Alessandra stava osservando la stessa scena, seduta in disparte su una specie di pouf. Non sapeva se ridere o piangere, si limitò ad un mezzo sorriso privo di qualsivoglia allegria e ad alzare il bicchiere che aveva in mano come in un brindisi a quella nuova vecchia coppia che si finalmente si sarebbe formata.
Le sembrava quasi impossibile che Zoe Blanchard avesse messo da parte tutte le sue seghe mentali, ma a quanto pareva Antonucci aveva più spirito persuasivo di quanto sembrasse.
«A cosa brindi?»
Quella voce, l’avrebbe riconosciuta tra mille. Anche tra un migliaio di voci registrate, avrebbe riconosciuto quella originale.
Così come avrebbe sempre riconosciuto i suoi occhi color foglia secca, il suo ciuffo di capelli chiari sempre perfettamente pettinati, quel naso leggermente a punta e quella smorfia che lei sapeva essere un sorriso.
«A niente. Non sto brindando, sto guardando com’è il mondo attraverso questo cocktail.»
«E com’è?»
«Distorto. E più rosa.»
Il ragazzo rise «Come mai sei qui da sola? Non si beve da soli alle feste? Stai aspettando qualcuno? Me, per esempio?»
Pur essendo esattamente quella la cosa che stava facendo, scosse meccanicamente la testa.
«Non stai aspettando nessuno, quindi? Vieni con me allora, ho visto un posto carino qua vicino...»
Avrebbe dovuto rifiutarsi, odiarlo al punto da non parlargli neanche più.
Ogni volta si ripeteva che non doveva più fare quello stesso, stupido errore. Eppure, anche quella sera gli prese la mano e lo seguì, con la piccola, vana speranza che quella volta sarebbe finita in modo diverso.
 
Dopo il suo primo bacio in terza media, Zoe ne aveva dati altri.
Non tantissimi, perché erano una cosa a cui teneva particolarmente, ma qualcuno sì.
Ma un bacio come quello, ne poteva essere certa, non l’aveva mai dato né ricevuto, e sotto sotto sapeva che non le sarebbe ricapitato molto presto.
Aveva sempre avuto una passione per gli occhi di Marco, talmente lucidi da sembrare quasi di vetro, e quella sera quando se li era trovati davanti aveva provato l’irrefrenabile voglia di affogarci dentro.
Per quello gli si era avvicinata senza mai abbassare lo sguardo, pensando che al massimo gli avrebbe dato un’altra testata e tutto sarebbe finito lì.
Ma evidentemente la loro storia di testate aveva deciso di salire di livello, perché lui aveva chiuso gli occhi e l’aveva baciata.
A quel punto Zoe aveva deciso di fregarsene degli occhi di marco per occuparsi di un’altra parte del suo viso.
Perché Marco la stava baciando e, l’aveva sempre immaginato, baciava veramente bene. Istintivamente gli strinse le braccia attorno al collo e si alzò leggermente sulle punte, perché lui l’aveva ormai superata di qualche centimetro, e lo sentì abbassarsi e stringerla.
Non capiva neanche come riuscissero ancora a respirare, ma non gliene fregava assolutamente niente. L’unico pensiero sensato che le attraversò la mente fu che, se fosse stato per lei, quel momento non sarebbe mai dovuto finire.
 
Marco invece era semplicemente euforico.
Non si era reso conto di quanto volesse realmente baciare Zoe finché non l’aveva fatto e non l’aveva sentita rispondere con passione.
Era così sottile che stringendola con forza come stava facendo poteva quasi abbracciare anche sé stesso, e sentiva il suo cuore battere così forte da fargli paura, come se stesse per uscire dalla cassa toracica ed entrare nella sua a far compagnia al suo, di cuore iperattivo.
Dopo quelli che gli sembrarono secoli, ma comunque troppo presto, furono costretti a separarsi. Riaprì gli occhi, ancora stordito, e si raddrizzò continuando a tenerla stretta. Zoe alzò lo sguardo, gli fece un sorriso timido e sconvolto e si appoggiò piano a lui.
Anche Marco sorrise, perché felice come in quel momento non lo era mai stato.

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Volevate il bacio? Lo volevate?! Avete avuto il bacio!
Sì, d'accordo, gioite quanto vi pare. Tanto questa gggioia non durerà a lungo <3
(Non lanciatemi oggetti pesanti, sappiate che io vi voglio taaanto bene!)
Dunque, un paio di note sul capitolo: le canzoni, innanzitutto! Zoe al limite della sbronza cita "Sherry Darling" di Bruce Springsteen, la canzone che parte quando Zoe e Marco vanno a ballare è ovviamente We Are Young dei Fun., e la canzone che sente Marco di cui traduce il ritornello è Jar Of Hearts di Christina Perri (in inglese dice Who do you think you are/ Running 'round leaving scars/ Collecting your jar of hearts/ And tearing love apart).
Poi, mi raccomando, tenete bene a mente la storia di Alessandra perché presto o tardi si collegherà bene con tutto.
Ah, se non recensite neanche questa volta uscirò dai vostri computer e vi picchierò a sangue. Perché se questo non è un capitolo da recensire, ditemi voi cosa devo fare! Un'invasione aliena?! Uno tsunami?!

 

  
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