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Autore: Thebrightsideofthemoon    05/10/2012    0 recensioni
Ron e Hermione: due universi paralleli che hanno continuato a gravitare alla stessa distanza per ben sette anni, senza incontrarsi mai. Due universi che sono destinati a convergere in uno solo, l'unico che possa garantire loro la felicità.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Così Hermione lo aveva seguito alla Tana. Molly e Arthur Weasley erano andati a prendere Ron e Ginny alla stazione con la loro Ford Anglia turchese e si erano mostrati sin dal primo momento, nei limiti del possibile, entusiasti della futura permanenza di Hermione alla Tana. Ron le fece l’occhiolino non appena salirono in macchina.
“A metà mese ci raggiungerà anche Harry” – si era affrettata ad aggiungere Ginny, senza incontrare opposizioni.
Per tutta la durata del viaggio Hermione aveva osservato la signora Weasley che, con una certa regolarità, tirava fuori il suo fazzolettino di seta dalla borsetta e si tamponava gli occhi. Non si era mai voltata verso i sedili posteriori, ma lei aveva argutamente intuito che fosse in lacrime, perciò aveva cercato di intrattenere con i discorsi più disparati sia Ron che Ginny. E probabilmente non fu solo una sua impressione neanche che, una volta scesi dalla macchina, Molly Weasley le avesse rivolto uno sguardo umido carico di riconoscenza.
Hermione era stata sistemata nella stanza di Ron. George, terribilmente scosso dall’accaduto di pochi giorni prima, non aveva più intenzione di dormire nella stanza che condivideva con Fred; sosteneva che per lui fosse un supplizio vedersi circondato dagli oggetti dell’inventario dei Tiri Vispi Weasley, negozio che aveva prematuramente perso uno dei suoi cofondatori. Così aveva deciso di mettere sotto chiave la camera e di andare a dormire nella stanza di Ginny, la quale ogni giorno, a colazione, si lamentava di non riuscire a dormire a causa degli incubi del fratello. La verità era che a George mancava terribilmente il suo gemello, con cui aveva condiviso tutto, sin dall’infanzia. Paradossalmente era come se non fosse sopravvissuto. Era divenuto l’ombra di se stesso, si rifiutava di mangiare e di aprire il negozio. Passava intere giornate a piangere nella sua stanza, aperta solo di giorno, e allontanava chiunque gli si avvicinasse per parlare. Più volte il signor Weasley era salito nella camera dei gemelli con l’intento di parlargli; eppure, a Hermione, era parso di vederlo scendere, ogni volta, con più rughe in volto, gli occhi sempre più avvezzi a trasudare lacrime. Anche Ron avvertiva comprensibilmente il lutto. Spesso la signora Weasley trovava la tavola apparecchiata e la cena già pronta, o semplicemente il bucato candido di lavaggio. Hermione faceva di tutto per aiutarlo. Lo faceva soprattutto per stargli vicino, temendo che potesse lasciarsi troppo andare. A volte, la sera, lo perdeva di vista: Hermione sapeva che, se fosse salita nella sua stanza, lo avrebbe trovato disteso sul letto a riposare. Spesso lo raggiungeva e gli si sdraiava accanto. Lui se ne accorgeva subito e la cingeva in vita con il braccio libero dal cuscino; così si addormentavano.

*

“Dov’è Ron” – chiese Hermione a Ginny; si guardava nervosamente intorno mentre sgombrava la tavola dalla stoviglie sporche orchestrandone il rientro in cucina con la punta della bacchetta. Ginny rispose senza guardarla, ripiegando la tovaglia a quadri rossi e bianchi.
“Sarà andato di sopra; va’ pure a vedere, finisco io qui”
Hermione corse su per le scale e percorse il corridoio buio. Trovò la porta della stanza socchiusa e, mossa dalla curiosità, la spinse avanti di pochi centimetri, richiudendola dietro di sè: Ron era rannicchiato su se stesso, in posizione fetale, sul pavimento freddo. Accanto a lui, una boccetta di inchiostro rovesciata e alcuni fogli di pergamena stropicciati e appallottolati. Ron piangeva; scosso dai singhiozzi in un pianto convulso, a Hermione parve ancora più indifeso e vulnerabile.  Entrò a passi leggeri, cercando di fare meno rumore possibile; poi gli si sedette accanto e gli passò, leggera, una mano fra i capelli sudati. Al contatto lui tremò appena, tuttavia senza opporre resistenza né ritrarsi. Hermione lo guardò dondolarsi su se stesso, in un comportamento infantile; poi distolse lo sguardo, che andò a concentrarsi esattamente nel punto in cui i fogli di pergamena si sparpagliavano caoticamente sulle piastrelle di marmo. Raccolse quello a lei più vicino e lesse silenziosamente:
Cara Hermione,
è da tanto che ho voglia di scriverti, ma per un motivo o per un altro, non trovo mai la forza di farlo. E’ un po’ che ci penso e non è stato facile prendere questa decisione. Ad ogni modo, credo che sia la cosa più giusta da fare. So che mi vuoi bene e anche che vuoi starmi accanto in questo momento difficile. Tuttavia sono sicuro che tu ti sia resa conto di che persona io sia diventato. Mi infiammo per un nonnulla, passo le mie giornate chiuso nella mia cortina di malinconia e rabbia verso il mondo intero, che mi separa, dalle persone che amo, ogni giorno di più. E ciò che più mi spaventa è allontanarmi da te o, peggio ancora, ferirti, seppur involontariamente. E’ per questo che ho deciso di lasciarti, a malincuore: starai molto meglio senza la mia presenza. E’ chiaro che tu meriti di più, e uno stupido diciottenne in crisi esistenziale non può essere abbastanza per una ragazzaspeciale come lo sei tu.
Con infinito amore,
Ron.”

Hermione si stropicciò gli occhi, incredula. Rilesse più e più volte le poche righe stese con grafia tremula e disordinata, indugiando sulle lettere sbiadite sotto alcuni rigonfiamenti circolari di piccole dimensioni del foglio: Ron aveva pianto mentre scriveva. Inconsciamente aveva ritirato il proprio braccio dal suo capo e aveva smesso di accarezzarlo; fece per alzarsi.
“Non ce la faccio” – singhiozzò Ron, la voce rotta dai gemiti – “non ce la faccio, io.. io ti amo.”
Hermione non si mosse, gli occhi lucidi e fissi nel vuoto; lui si alzò sui gomiti, tossendo, e alzò la testa, il volto attraversato da una smorfia a metà fra il dolore e la tristezza. La guardò, poi si tirò su a sedere a fatica, poggiando la schiena e la testa all’indietro sul letto alle sue spalle.
“Non sono.. abbastanza forte.”
Hermione posò la lettera dove l’aveva trovata e si avvicinò a lui, sedendogli accanto. Sentiva il suo respiro affannoso e irregolare irrompergli dal petto, facendolo più volte sussultare. Doveva aver pianto molto.
“Non serve. So difendermi benissimo da sola, Ronald Weasley dei miei stivali.”
“ Io voglio starti accanto, anche se questo significa accettare i tuoi cambi repentini di umore, il tuo piangere senza sosta, le tue nevrosi. E mi difenderò, se è questo che temi: lo farò se e quando sarà necessario. Non mancherò di farti notare quanto sei stupido, Weasley. Sta’ tranquillo.”
Ron si voltò verso di lei e accennò una risata. Lei continuò:
“Non c’è bisogno che tu continui a provare a fare terra bruciata intorno a te. Devi entrare nell’ottica del fatto che le persone non possano smettere di volerti bene, così, da un momento all’altro. Devi smetterla di pensare di essere forte, al di sopra di tutto e di tutti. Smettila di chiederti di essere impassibile: piangi, urla, se può farti stare meglio. Ma lascia che sia io a decidere dove voglio stare.”
Hermione cercò a tentoni la sua mano per stringerla.
“Io voglio stare qui.”
“Sei una masochista”
“Aspetterò che tu rinsavisca per decidere. Non mi aspetto che tu possa capire. Ti ho già detto che hai la sfera emotiva di un cucchiaino da tè?”
“Mmm sì, mi pare di ricordare qualcosa del genere..”
Risero. Non stavano così bene da giorni. Rimasero in silenzio per un po’.
“Hermione?”
“Si?”
Ron si mise ginocchioni davanti a lei e si sbilanciò in avanti, il volto a pochi centimetri dal suo viso. I loro respiri di mescolarono, sino ad assumere lo stesso ritmo lento e profondo. I suoi occhi azzurri si tuffarono in quelli color nocciola di lei, per poi nascondersi dietro alle palpebre abbassate. Ron accostò delicatamente le sue labbra a quelle di Hermione e le dischiuse, chinando appena il capo di lato e prendendole il viso fra le mani. Quello fu l’inizio della sua guarigione.Così Hermione lo aveva seguito alla Tana. Molly e Arthur Weasley erano andati a prendere Ron e Ginny alla stazione con la loro Ford Anglia turchese e si erano mostrati sin dal primo momento, nei limiti del possibile, entusiasti della futura permanenza di Hermione alla Tana. Ron le fece l’occhiolino non appena salirono in macchina.
“A metà mese ci raggiungerà anche Harry” – si era affrettata ad aggiungere Ginny, senza incontrare opposizioni.
Per tutta la durata del viaggio Hermione aveva osservato la signora Weasley che, con una certa regolarità, tirava fuori il suo fazzolettino di seta dalla borsetta e si tamponava gli occhi. Non si era mai voltata verso i sedili posteriori, ma lei aveva argutamente intuito che fosse in lacrime, perciò aveva cercato di intrattenere con i discorsi più disparati sia Ron che Ginny. E probabilmente non fu solo una sua impressione neanche che, una volta scesi dalla macchina, Molly Weasley le avesse rivolto uno sguardo umido carico di riconoscenza.
Hermione era stata sistemata nella stanza di Ron. George, terribilmente scosso dall’accaduto di pochi giorni prima, non aveva più intenzione di dormire nella stanza che condivideva con Fred; sosteneva che per lui fosse un supplizio vedersi circondato dagli oggetti dell’inventario dei Tiri Vispi Weasley, negozio che aveva prematuramente perso uno dei suoi cofondatori. Così aveva deciso di mettere sotto chiave la camera e di andare a dormire nella stanza di Ginny, la quale ogni giorno, a colazione, si lamentava di non riuscire a dormire a causa degli incubi del fratello. La verità era che a George mancava terribilmente il suo gemello, con cui aveva condiviso tutto, sin dall’infanzia. Paradossalmente era come se non fosse sopravvissuto. Era divenuto l’ombra di se stesso, si rifiutava di mangiare e di aprire il negozio. Passava intere giornate a piangere nella sua stanza, aperta solo di giorno, e allontanava chiunque gli si avvicinasse per parlare. Più volte il signor Weasley era salito nella camera dei gemelli con l’intento di parlargli; eppure, a Hermione, era parso di vederlo scendere, ogni volta, con più rughe in volto, gli occhi sempre più avvezzi a trasudare lacrime. Anche Ron avvertiva comprensibilmente il lutto. Spesso la signora Weasley trovava la tavola apparecchiata e la cena già pronta, o semplicemente il bucato candido di lavaggio. Hermione faceva di tutto per aiutarlo. Lo faceva soprattutto per stargli vicino, temendo che potesse lasciarsi troppo andare. A volte, la sera, lo perdeva di vista: Hermione sapeva che, se fosse salita nella sua stanza, lo avrebbe trovato disteso sul letto a riposare. Spesso lo raggiungeva e gli si sdraiava accanto. Lui se ne accorgeva subito e la cingeva in vita con il braccio libero dal cuscino; così si addormentavano.

*

“Dov’è Ron” – chiese Hermione a Ginny; si guardava nervosamente intorno mentre sgombrava la tavola dalla stoviglie sporche orchestrandone il rientro in cucina con la punta della bacchetta. Ginny rispose senza guardarla, ripiegando la tovaglia a quadri rossi e bianchi.
“Sarà andato di sopra; va’ pure a vedere, finisco io qui”
Hermione corse su per le scale e percorse il corridoio buio. Trovò la porta della stanza socchiusa e, mossa dalla curiosità, la spinse avanti di pochi centimetri, richiudendola dietro di sè: Ron era rannicchiato su se stesso, in posizione fetale, sul pavimento freddo. Accanto a lui, una boccetta di inchiostro rovesciata e alcuni fogli di pergamena stropicciati e appallottolati. Ron piangeva; scosso dai singhiozzi in un pianto convulso, a Hermione parve ancora più indifeso e vulnerabile.  Entrò a passi leggeri, cercando di fare meno rumore possibile; poi gli si sedette accanto e gli passò, leggera, una mano fra i capelli sudati. Al contatto lui tremò appena, tuttavia senza opporre resistenza né ritrarsi. Hermione lo guardò dondolarsi su se stesso, in un comportamento infantile; poi distolse lo sguardo, che andò a concentrarsi esattamente nel punto in cui i fogli di pergamena si sparpagliavano caoticamente sulle piastrelle di marmo. Raccolse quello a lei più vicino e lesse silenziosamente:
Cara Hermione,
è da tanto che ho voglia di scriverti, ma per un motivo o per un altro, non trovo mai la forza di farlo. E’ un po’ che ci penso e non è stato facile prendere questa decisione. Ad ogni modo, credo che sia la cosa più giusta da fare. So che mi vuoi bene e anche che vuoi starmi accanto in questo momento difficile. Tuttavia sono sicuro che tu ti sia resa conto di che persona io sia diventato. Mi infiammo per un nonnulla, passo le mie giornate chiuso nella mia cortina di malinconia e rabbia verso il mondo intero, che mi separa, dalle persone che amo, ogni giorno di più. E ciò che più mi spaventa è allontanarmi da te o, peggio ancora, ferirti, seppur involontariamente. E’ per questo che ho deciso di lasciarti, a malincuore: starai molto meglio senza la mia presenza. E’ chiaro che tu meriti di più, e uno stupido diciottenne in crisi esistenziale non può essere abbastanza per una ragazza speciale come lo sei tu.
Con infinito amore,
Ron.”

Hermione si stropicciò gli occhi, incredula. Rilesse più e più volte le poche righe stese con grafia tremula e disordinata, indugiando sulle lettere sbiadite sotto alcuni rigonfiamenti circolari di piccole dimensioni del foglio: Ron aveva pianto mentre scriveva. Inconsciamente aveva ritirato il proprio braccio dal suo capo e aveva smesso di accarezzarlo; fece per alzarsi.
“Non ce la faccio” – singhiozzò Ron, la voce rotta dai gemiti – “non ce la faccio, io.. io ti amo.”
Hermione non si mosse, gli occhi lucidi e fissi nel vuoto; lui si alzò sui gomiti, tossendo, e alzò la testa, il volto attraversato da una smorfia a metà fra il dolore e la tristezza. La guardò, poi si tirò su a sedere a fatica, poggiando la schiena e la testa all’indietro sul letto alle sue spalle.
“Non sono.. abbastanza forte.”
Hermione posò la lettera dove l’aveva trovata e si avvicinò a lui, sedendogli accanto. Sentiva il suo respiro affannoso e irregolare irrompergli dal petto, facendolo più volte sussultare. Doveva aver pianto molto.
“Non serve. So difendermi benissimo da sola, Ronald Weasley dei miei stivali.”
“ Io voglio starti accanto, anche se questo significa accettare i tuoi cambi repentini di umore, il tuo piangere senza sosta, le tue nevrosi. E mi difenderò, se è questo che temi: lo farò se e quando sarà necessario. Non mancherò di farti notare quanto sei stupido, Weasley. Sta’ tranquillo.”
Ron si voltò verso di lei e accennò una risata. Lei continuò:
“Non c’è bisogno che tu continui a provare a fare terra bruciata intorno a te. Devi entrare nell’ottica del fatto che le persone non possano smettere di volerti bene, così, da un momento all’altro. Devi smetterla di pensare di essere forte, al di sopra di tutto e di tutti. Smettila di chiederti di essere impassibile: piangi, urla, se può farti stare meglio. Ma lascia che sia io a decidere dove voglio stare.”
Hermione cercò a tentoni la sua mano per stringerla.
“Io voglio stare qui.”
“Sei una masochista”
“Aspetterò che tu rinsavisca per decidere. Non mi aspetto che tu possa capire. Ti ho già detto che hai la sfera emotiva di un cucchiaino da tè?”
“Mmm sì, mi pare di ricordare qualcosa del genere..”
Risero. Non stavano così bene da giorni. Rimasero in silenzio per un po’.
“Hermione?”
“Si?”
Ron si mise ginocchioni davanti a lei e si sbilanciò in avanti, il volto a pochi centimetri dal suo viso. I loro respiri di mescolarono, sino ad assumere lo stesso ritmo lento e profondo. I suoi occhi azzurri si tuffarono in quelli color nocciola di lei, per poi nascondersi dietro alle palpebre abbassate. Ron accostò delicatamente le sue labbra a quelle di Hermione e le dischiuse, chinando appena il capo di lato e prendendole il viso fra le mani. Quello fu l’inizio della sua guarigione.
   
 
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