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Il
giorno successivo, iniziarono ufficialmente le lezioni.
Tuttavia, sia per la Day
Class che per la Night Class,
quel primo giorno di scuola era rivolto unicamente agli studenti del primo anno
e a quelli ammessi al programma di scambio culturale, così che imparassero ad
ambientarsi e a prendere familiarità con la scuola.
Di conseguenza, nelle varie classi della
sezione diurna le aule erano praticamente semivuote, tanto che era stato già
deciso di raggruppare tutti gli alunni di tutti gli anni in una sola classe, sì
da fare un primo incontro conoscitivo e fissare i paletti in vista del nuovo
anno scolastico.
Izumi prese posto ad una delle ultime file, e Carmy si sedette accanto a lei; malgrado si conoscessero da
solo un giorno cominciavano già a considerarsi buone amiche, senza contare che
poi le loro camere erano l’una accanto all’altra.
Unica pecca, Izumi era l’unica ragazza ad aver
avuto una stanza singola, cosa che per la verità aveva fatto andare non poco su
di giri la sua nuova, e per certi versi irruente, compagna d’avventura;
sicuramente c’era di mezzo il direttore, anche se il senso di questa scelta non
riusciva a coglierlo del tutto.
Tra i ragazzi c’erano tensione ed attesa.
«Accidenti.» disse Carmy
guardandosi attorno «Vengono proprio da tutto il mondo.»
«Così sembrerebbe. È chiaro che il direttore
ha molto a cuore la buona riuscita di questo progetto.»
«Da come ne parli, sembra quasi che tu lo
conosca.»
«Beh, dire che lo conosco è una parola
grossa.» replicò imbarazzata Izumi sfiorandosi il naso «Però ci siamo già
incontrati in passato.»
«Sei strana. Questo lo sai, vero?».
La prima lezione fu tenuta dal professor Nagumo, il docente di storia nonché il più anziano per anni
di servizio alla Cross, che dopo aver illustrato brevemente, ancora una volta,
ai ragazzi le regole della scuola in merito a orari dei pasti, svolgimento
delle lezioni, etica dei dormitori e altre cose.
Poi, prima di iniziare, il professore informò
i ragazzi che il direttore aveva deciso di sperare entrambi i dormitori, Sole e
Luna, in due gruppi distinti, comprendente uno gli studenti degli anni
precedenti, e in un altro le matricole ed i partecipanti allo scambio
culturale, anche se il motivo di questa scelta non riuscivano a capirlo neppure
gli stessi docenti.
«Per questo motivo.» concluse Nagumo «Dovrà essere nominato un capo-dormitorio della
vostra sezione.»
«Lo dobbiamo eleggere noi?» domandò Carmy
«No, se ne occuperà il direttore. Il candidato
sarà informato personalmente entro questa settimana.
Ora, possiamo iniziare la lezione».
In realtà, la mente di Izumi era ancora
altrove.
Quello che era successo la sera prima era
ancora bene impresso nella sua mente, e non le aveva fatto chiudere occhio.
Una parte di lei si sforzava di pensare che
era scontato che prima o poi sarebbe accaduto qualcosa del genere; conosceva
Eric abbastanza bene da sapere che non sopportava di affrontare situazioni per
lui impossibili da controllare, e saperla in quella scuola di vampiri doveva
rientrare senza dubbio una di queste. D’altro canto però, aveva sempre ritenuto
e riteneva tuttora spropositata, per quanto comprensibile, quella sua naturale
diffidenza per i suoi simili.
Su una cosa però, passato il momento di rabbia
e risentimento iniziali per la reazione esagerata di Eric, sentiva di potergli
dare ragione: di certo c’era che Kaname non era il
genere di persona di cui potersi fidare, e da quel momento in avanti ne sarebbe
stata il più lontano possibile.
Al contrario, il ragazzo con i capelli
d’argento, Zero, che ora non era presente in classe, le aveva fatto
un’impressione diametralmente opposta, anche se, ancora una volta, non era
stata in grado di leggerne le emozioni, il che un po’ la spaventava.
«Signorina Asakura?» sentì dire all’improvviso
«Eh… Sì!?» rispose
lei riavendosi dai suoi pensieri e ributtata a forza nella realtà
«Capisco che i suoi voti siano i più alti tra
quelli di tutte le persone presenti qui, ma le sarei comunque grato se
prestasse un po’ di attenzione.»
«Mi scusi, non accadrà più».
La
lezione durò, almeno per quel giorno, solo fino all’ora di pranzo, e non appena
ebbe fine tutti gli studenti si ritrovarono in refettorio.
Paragonato alle schifezze che propinavano
nella maggior parte delle scuole, la Cross aveva un servizio di cucina degno di
un hotel a 4 stelle, il che giustificava se non altro gli alti costi per la
retta.
Nel caso di Izumi, oltre alle tasse ridotte in
quanto membro del progetto di scambio, era riuscita a scalare ulteriormente le
spese grazie a due borse di studio, una risalente all’anno prima per i buoni
voti negli esami finali e un’altra con l’ottimo test d’ingresso sostenuto per
ottenere l’ammissione al collegio.
I suoi genitori e la sua famiglia non se la
passavano male, con un padre caporeparto in una rispettabile azienda di
componenti per aerei e una madre che insieme a due amiche gestiva da anni un
famoso manga-café ad Akihabara,
ma pesare economicamente sulle spalle dei genitori era una cosa che non le era
mai piaciuta; durante i primi anni delle superiori, in aperto contrasto con le
direttive scolastiche, aveva lavorato part-time in vari esercizi commerciali,
soprattutto locali per famiglie.
«Secondo te chi verrà scelto come
capo-dormitorio?» domandò Carmy mentre si sedevano ad
uno dei tavoli
«Non ne ho idea. Però mi pare una decisione un
po’ affrettata. Voglio dire, affidare una simile responsabilità ad uno studente
appena trasferito.»
«Tu hai detto di aver conosciuto il direttore.
Forse sceglierà te.»
«Ne sarei onorata, ma non sono sicura che mi
farebbe piacere. Puoi credermi se ti dico che già amministrare una classe di
trenta studenti può essere un vero incubo, figuriamoci un dormitorio intero».
Ad Izumi poi cadde l’occhio su di un’altra
ragazza, il cui aspetto e modo di apparire sembravano avere, a voler essere
franchi, ben poco a che vedere con una scuola come la Cross.
Piercing e tatuaggi in bella vista, con
l’uniforme mezza sbottonata e gli anfibi al posto delle scarpine scolastiche, se
ne stava spaparanzata su una sedia con le gambe sul tavolo massaggiando al
cellulare, in barba alle regole che vietavano telefonini e affini in qualsiasi
posto all’infuori dei dormitori.
L’aspetto non si poteva certo dire
rassicurante, ma Izumi non riusciva a scorgere niente di minaccioso o comunque
oscuro nei suoi grandi occhi scuri.
Al contrario, Carmy
non sembrava dello stesso avviso.
«Ma si può tenere un comportamento simile a
scuola?».
Come si suole dire, da che pulpito viene la
predica, arrivò quasi a pensare Izumi.
Forse la sua nuova amica non arrivava a quel
punto, ma tra schiamazzi notturni, ceffoni ai ragazzi che ci provavano con lei
e uno strano e morboso attaccamento verso tutto ciò che considerava suo, tra
cui la stessa Izumi, neanche lei era quello che si poteva definire uno stinco
di santo.
Izumi era così presa dal tentare di capire
quella strana, e per certi versi curiosa, ragazza bionda, da non accorgersi di
essere a sua volta oggetto di sguardi continui da parte di Zero, che obbedendo
alle disposizioni del direttore si era accomodato allo stesso tavolone e teneva
perennemente un occhio sulla ragazza, pronto ad intervenire in qualsiasi
momento.
A prima vista sembrava una persona
assolutamente normale, e gli venne da domandarsi per quale assurdo motivo il
direttore ne avesse apparentemente così tanta paura, al punto da ordinargli di
sorvegliarla di continuo.
Avrebbe voluto chiederglielo, ma guarda caso
quando era andato a cercarlo poco dopo essersi alzato Shezka
gli aveva detto che il direttore era partito quella mattina prestissimo per una
convocazione urgente alla sede dell’associazione.
Dieci ore prima
Loira
Il
castello di Chatres, secolare residenza estiva della
famiglia Rohan persa nelle campagne della Loira,
appariva da lontano come un’aggraziata e maestosa montagna di pietra immersa in
un oceano verdeggiante.
Solitamente, la famiglia vi trascorreva il
periodo tra maggio e settembre, sì da sfuggire alla calura umida e opprimente di
Parigi, ma era comunque abitato per buona parte dell’anno da domestici e
servitori che provvedevano a mantenerlo in piena efficienza.
Tenutario e proprietario del castello per otto
mesi l’anno era il dottor Raoul Durand, uno dei
massimi esperti al mondo di genetica, vampirologia e
studi storici sulla Stirpe della Notte.
A parte il fatto che i Rohan,
i suoi soli padroni, coloro che ne avevano fatto un vampiro ormai secoli
addietro, gli proibivano in ogni modo di incontrare la sua adorata figlia Elodie, era un uomo tutto sommato felice: aveva fondi a
volontà, un laboratorio tutto suo con un intero squadrone di scienziati al suo
servizio, e fino a quando i suoi padroni se ne restavano a Parigi di fatto era
lui a dettare la legge a Chatres.
Eppure, nonostante tutto ciò, negli ultimi
tempi sembrava essere accaduto qualcosa dentro di lui.
Quel feroce ardore e sete di conoscenza che lo
aveva guidato per buona parte della sua vita, spingendolo anche a scelte e
decisioni che più volte aveva segretamente rimpianto, pareva essere scomparso,
distrutto da un male di vivere che a poco per volta gli stava togliendo ogni
stimolo.
O almeno, questo era quello che pensavano i
suoi collaboratori ed il personale del castello.
Non partecipava più agli esperimenti, a malapena
si informava di come procedessero, e anche i vari convegni e seminari in giro
per il mondo si erano drasticamente ridotti.
Qualcuno diceva che, probabilmente, si era
stufato di fare il galoppino per quei nobili tronfi ed arroganti.
Per salvare la vita di sua figlia aveva
venduto la propria ai Rohan, i quali, mascherando l’ipocrisia
e l’avidità dietro la maschera della benevolenza, ora stavano sfruttando
indegnamente il suo genio e le sue scoperte per accrescere di popolarità e
prestigio.
Forse, fu per questo che il dottore, un uomo
così dimesso e gentile, giunse a prendere una decisione simile.
Era una sera apparentemente come tante altre.
Il dottore, da vampiro ex-umano quale era,
preferiva lavorare di giorno e dormire di notte, e come al solito si fece
portare la cena in camera.
Mangiò poco, giusto il minimo necessario a
sentirsi sazio, nonostante avesse ordinato un pasto molto più esotico e
sfarzoso del solito, con pesce ricercato, verdure di stagione e frutti esotici,
quindi, dopo aver speso alcuni minuti camminando avanti e indietro come un’anima
in pena, gettato il vassoio da una parte si accomodò nuovamente sulla sua
scrivania, recuperò un pezzo di carta ed iniziò a scrivere una lettera alla
propria figlia lontana.
Mia dolcissima Elodie
Forse, un giorno, qualcuno ti
racconterà quello che è successo oggi.
Voglio comunque che tu sappia,
qualsiasi cosa ti dicano, che il mio non è stato il gesto folle di una mente
malata.
Quello che ho fatto, e quello che
farò, è destinato unicamente a noi, e al raggiungimento della nostra felicità.
I giorni in cui eravamo schiavi, prima
o poi, dovranno pur finire. E nel mio piccolo, voglio fare quanto è in mio
potere per fare sì che ciò possa accadere.
Siamo sull’orlo di un cambiamento
radicale.
Il mondo che conoscevamo, o che
credevamo di conoscere, sia degli umani che dei vampiri, sta per crollare
miseramente, sotto il peso di una forza e di un potere che non possono essere
fermati.
Probabilmente questo non è altro che
il naturale processo dell’evoluzione, che seleziona i più forti per la
sopravvivenza a discapito dei deboli e degli ottusi, ma se potrà contribuire a
cambiare almeno un pochino la misera condizione di quelli come noi, allora
forse la sua ineluttabilità non sarà poi questa grande tragedia.
Sei sempre stata la luce dei miei
occhi, anche e soprattutto dal giorno in cui questi nostri occhi hanno perso la
possibilità di poterla vedere, e lo sarai per sempre.
In quanto tuo padre sono fiero di te,
e in cuor mio spero che ciò che farò potrà esserti di aiuto.
Addio, amore mio.
Addio, mia sola gioia.
Con affetto.
Terminate
quelle poche righe, quell’ultimo sfogo che mai sarebbe stato visto da alcuno,
il dottore si alzò, appoggiandosi con le braccia al pesante ripiano di legno
per farsi forza e darsi coraggio.
Ciò che stava per fare avrebbe probabilmente
cambiato il destino di molte persone.
Raoul prese un paio di respiri profondi, volgendo
un ultimo sguardo alla foto di sua figlia appoggiata sul tavolo, quindi, alzati
gli occhi in quella direzione, si avvicinò ad una piccola nicchia nel muro,
proprio accanto al grande letto a baldacchino, scostando con gesto rapido la
tendina che lo ostruiva.
Al suo interno, riposto con cura, un grosso
cilindro metallico, come una specie di enorme batteria, con sopra una piccola
tastiera numerica ed un display rosso virtuale.
Il dottore lo guardò, togliendogli gli
occhiali e strofinandosi un momento ora gli occhi ora la fronte, poi, rompendo
ogni indugio, digitò un codice sulla tastiera, e sullo schermo a quel punto
comparve un timer da cinque minuti.
«Perdonatemi.» disse spingendo il bottone d’accensione,
ed iniziando così a far scorrere inesorabili i secondi.
Quasi nello stesso momento, la lussuosa e
prestigiosa limousine di rappresentanza della famiglia Rohan
stava percorrendo l’ultimo tratto di strada che dalle pendici della collina
portava fin sul vasto piazzale antistante il castello, dove il patriarca ed i
suoi congiunti avevano deciso di trascorrere una piacevole settimana di
vacanza.
Madame Rohan e suo
marito Gerard videro con i loro stessi occhi il loro stupendo maniero secolare venire
improvvisamente sventrato da una terrificante, gigantesca esplosione, che come un
tuorlo surriscaldato fece letteralmente sbriciolare il guscio che lo ricopriva
sotto la spinta incontenibile di un mare di fuoco, fiamme ed energia. Detriti e
macerie furono scagliati a migliaia di metri di altezza, per poi precipitare in
ogni direzione come una letale pioggia di meteoriti.
«Ma che diavolo…»
esclamò il patriarca.
Un grosso pezzo di mattone, per poco, non
colpì in pieno la macchina, e anche se l’autista per fortuna fu abbastanza
veloce ed attento da riuscire a schivare la vettura finì comunque sull’erba
accanto alla strada, fortunatamente senza provocare nulla ai passeggeri a parte
un grosso spavento.
I coniugi Rohan e la
loro figlioletta più piccola fecero appena in tempo a scendere dalla macchina,
per poi assistere coi loro occhi alla caduta rovinosa di quella piccola parte
di castello rimasta in piedi dopo lo scoppio, mentre il cielo notturno della
Loira si tingeva di inquietanti e bellissime sfumature vermiglie.
Era
già da qualche anno che il direttore non metteva piede alla sede giapponese
dell’Associazione, e una convocazione così improvvisa poteva significare una
cosa sola: guai in vista.
Il timore che qualcosa stesse accadendo si
tramutò in certezza quando, accolto nell’ufficio della direttrice generale dell’Associazione
Hunter, trovò ad attenderlo, oltre alla direttrice stessa, anche il suo vecchio
e caro amico Yagari.
Erano diversi mesi che Yagari
non metteva piede in Giappone.
Quando, un anno prima, il direttore ed Eric
avevano scoperchiato il vaso di pandora svelando gli intrallazzi e gli accordi
segreti che stavano dietro l’Incidente Manovic, come
era stato rinominato, Toga si trovava negli Stati Uniti, ed aveva perciò ricevuto
l’incarico di fare piazza pulita di tutte le mele marce presenti in Nord e
Centro America, un incarico che l’aveva tenuto impegnato per quasi dodici mesi.
«Yagari. Non sapevo
fossi tornato.»
«Avresti preferito ricevere una comunicazione
scritta?»
«Spiritoso».
Il direttore però, a differenza del solito, si
fece serio quasi subito.
«Allora, che è successo?»
«C’è stato un attentato ai danni della
famiglia Rohan.» rispose secca la direttrice
«Che cosa!?» esclamò Kaien
incredulo
«È così.» disse Yagari
«Qualcuno ha piazzato una grossa bomba a scissione nel loro castello di
campagna, dove stavano andando a trascorrere alcuni giorni di vacanza.»
«E loro come stanno!? Voglio dire, se la sono
cavata.»
«Fortunatamente la bomba è esplosa prima che
raggiungessero il castello.» rispose la direttrice, che subito dopo però si
incupì «Però, ci sono stati oltre trenta morti, soprattutto domestici e
inservienti. E inoltre…»
«Cosa?»
«Tra le probabili vittime dell’attentato ci
sarebbe anche il dottor Raoul Durand, il padre della
signorina Elodie».
A quel punto, Kaien
capì, e un brivido gli corse lungo la schiena; ecco perché era stato convocato.
«Un momento!» esclamò immaginando cosa Yagari e la direttrice dovevano avere in mente «Non starete
mica pensando che il bersaglio fosse proprio lui!?»
«A prescindere da chi gli attentatori
volessero colpire.» disse la direttrice «Resta comunque un fatto di una gravità
estrema. Una delle più importanti famiglie nobili europee, nonché membro del
Consiglio degli Anziani, ha subito un attentato all’interno dei suoi stessi
domini, salvandosene solo per un vero miracolo.»
«C’è qualche idea su chi possano essere i
responsabili?»
«Ancora no, ed è questo il problema. All’interno
del Consiglio c’è chi fa pericolosa insinuazioni.»
«Non staranno mica pensando che siamo stati
noi!? L’Associazione non fa cose simili!»
«Il fatto è che la considerazione del
Consiglio nei confronti dell’Associazione è molto diminuita dopo quello che tu
e Flyer avete scoperto l’anno scorso.» disse Yagari
«Prima di fare i moralisti, dovrebbero
ricordare che anche tra di loro c’erano parecchi elementi degenerati che appoggiavano
il conte Lorenzi e la sua politica.
E adesso che il Conte è scomparso dalla
circolazione, non mi sorprenderebbe se qualcuna di queste schegge impazzite
avesse iniziato ad agire per conto proprio.»
«Può essere.» rispose la direttrice «Ma
dobbiamo tenere in conto anche un’altra possibilità.»
«E sarebbe?»
«La possibilità che l’obiettivo fosse proprio
il dottor Durand».
Al direttore bastò fare due più due per
capire.
«Ora capisco. Se chi ha colpito voleva
uccidere il dottore, probabilmente vorrà uccidere anche sua figlia.»
«Le ricerche del dottore, condotte anche con
il supporto della famiglia Rohan» disse Yagari «Hanno provocato per decenni diverse perplessità tra
le frange più radicali e conservatrici del Consiglio. Può darsi che qualcuno,
per non voler colpire un suo parigrado come il patriarca dei Rohan, abbia comunque deciso di passare dalle parole ai
fatti togliendo di mezzo la fonte del problema.»
«La figlia del dottor Rohan
ha subito parecchie operazioni e sperimentazioni genetiche, che l’hanno resa un
esemplare di vampiro quasi unico nel suo genere. Se chi ha colpito voleva porre
fine alle sperimentazioni e alle ricerche indiscriminate condotte dal dottor Rohan, è verosimile che cercherà anche di far sparire l’incarnazione
stessa dei risultati del suo lavoro.»
«So dove state cercando di arrivare. E col
dovuto rispetto, direttrice, non mi piace per niente. Il mio progetto di
scambio culturale non ha niente a che vedere con tutto questo.»
«Ma sta coinvolgendo molti giovani eredi di
alcune delle più potenti famiglie del mondo, le quali, appena la notizia
diverrà di dominio pubblico, non faticheranno a giungere alle nostre stesse
conclusioni.»
«Conclusioni ridicole, basate sul niente. I
miei ragazzi sono persone pulite, dalla mentalità aperta e molto promettenti. Non
a caso, sono stato proprio io a sceglierli.»
«Non ci siamo capiti. Il problema non è l’integrità
dei vampiri che studiano alla Cross, ma la loro stessa sicurezza. Se le nostre
considerazioni sul dottor Rohan si rivelassero
fondate, cosa accadrà se chi ha assassinato lui volesse tentare di fare la
stessa cosa anche con sua figlia? La sicurezza stessa di tutti quei nobili vampiri
sarebbe in pericolo.
E questo, caro direttore, è un rischio che l’Associazione
non ha alcun interesse ad assumersi.»
«Se è solo questo il problema, sarà
sufficiente implementare la sicurezza.»
«Ed è per questo motivo che l’abbiamo mandata
a chiamare. I vertici dell’Associazione hanno esaminato a fondo il problema, e
abbiamo convenuto che, almeno per ora, la cosa migliore da fare sia assegnare
il qui presente Hunter Yagari alla salvaguardia degli
studenti della Cross.
Inoltre, a breve arriverà alla scuola anche l’Hunter
incaricato di sorvegliare sulla condotta dell’Hunter Flyer, che ad essere
sincera non capisco ancora che cosa ci sia venuto a fare lì da voi.»
«Ero sicuro che saremo giunti ad un
compromesso.»
«Ma si ricordi, direttore. Anche l’Associazione
ha il suo limite di tolleranza. Un passo falso di troppo, e potrà dire addio
sia al suo progetto di Scambio che alla sua scuola».
Al
termine della giornata, Izumi decise di andarsene a letto più presto del
solito.
Avrebbe voluto cercare immediatamente un
chiarimento con Eric, ma sentiva che dopo quanto successo bisognava lasciar
passare almeno un po’ di tempo, se non altro per permettere a quella testa
matta di sbollire un po’ della sua rabbia e del suo orgoglio.
Così, dopo qualche ora spesa a studiare, sul
fare delle undici la ragazza si infilò sotto la doccia, approfittando anche del
fatto, più unico che raro nel Dormitorio Sole, di avere a propria disposizione
un bagno tutto suo, un lusso che tutti i suoi compagni, sfortunati loro, invece
non possedevano.
Fattasi una salutare e piacevole doccia
ristoratrice, Izumi si sistemò i lunghi capelli neri, sciogliendo la coda di
delfino in cui solitamente terminavano, si infilò la camicia da notte e si
preparò per andare a dormire.
Mentre finiva di pettinarsi, osservando la
propria immagine riflessa nel grande specchio ovale, per la prima volta da tre
giorni a quella parte si ritrovò a pensare seriamente a quello che stava
facendo, a dove si trovasse e a tutto il resto.
E allora, l’assalì una strana malinconia.
A ben pensarci, forse non era poi così da
biasimare l’atteggiamento di Eric nei suoi confronti.
Che si volessero un bene dell’anima l’un l’altro
era un fatto che ormai avevano capito da tempo, e anche se in passato aveva
spesso criticato quel suo essere troppo protettivo ora Izumi, alla luce di
tutta una serie di considerazioni prima trascurate, cominciava a comprendere
quante e quali preoccupazioni dovessero starsi agitando nell’anima di quel
ragazzo apparentemente così freddo, ma nella realtà così affezionato a ciò che,
come lei, gli era caro.
Di colpo non seppe cosa fare; non voleva
creare ad Eric più preoccupazioni di quante già non ne avesse, ma non voleva
neanche lasciarlo da solo in un posto che sicuramente odiava, così come odiava
ancora, nonostante tutto, i suoi compagni vampiri.
Decise di prendersi un po’ di tempo per
decidere; sarebbe rimasta vicina ad Eric, almeno per il momento, e se per un
motivo o per l’altro le cose fossero andate male avrebbe eventualmente
riconsiderato le sue posizioni.
Ma il destino, troppo spesso, è beffardo, e
nel modo più crudele possibile volle subito metterci del suo.
Izumi era talmente presa dai suoi pensieri e
dai suoi dubbi da dimenticare di prestare attenzione a ciò che le stava
intorno, e allungando la mano verso il bordo del lavandino per riporre la
spazzola nel suo contenitore sfiorò senza volerlo il bordo spigoloso della
cornice dello specchio, intagliata a formare pregevoli ma pericolosi arabeschi
art nouveau.
«Ahi.» mugugnò lasciando cadere la spazzola.
Dapprincipio pensò di essersela cavata con un
semplice graffietto, ma come si guardò la mano vide una piccola goccia di
sangue sgorgare da un altrettanto minuscola ferita sulla sommità dell’indice
destro e colorare di un rosso vivo e brillante prima il dito, poi il resto
della mano, disegnando un solco come la lava nella roccia.
«Mio Dio!» esclamò con gli occhi spalancati
per il terrore.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Allora, che ve ne pare
di questo nuovo capitolo?
Adesso cosa succederà?
Scintille di sicuro,
ma condite da parecchie sorprese, e spero anche qualche inatteso (per voi)
colpo di scena.
Mi dispiace solo per
Emma: avevo promesso a Flea botte da orbi tra lei ed
Eric, ma purtroppo, come al solito, ho dovuto fermarmi anzitempo per non
scrivere l’ennesimo capitolo chilometrico.
Mi rifarò con il
prossimo, lo prometto.
Avviso subito che la
settimana prossima sarò fuori casa da mercoledì mattina a giovedì sera, quindi
non sono sicuro di riuscire ad aggiornare prima di sette giorni, anche se
prometto di fare il possibile.
A presto!^_^
Carlos Olivera