Quel giorno era stato abbastanza soleggiato e la sera imperversava frizzante
e fresca, mentre qualche passerotto canticchiava allegro.
Lye si infilò il
casco, allacciandoselo sotto al mento, uscì dalla casa e nel vialetto
l'aspettava la sua moto: un Harley- Davidson, XLS Roadster del'83, color bianco;
sul serbatoio erano disegnate una tigre bianca con un lupo nero, che si davano
battaglia in ogni momento, mentre i cerchioni li aveva disegnati personalmente e
fatti installare in un secondo momento.
La moto era di suoi padre, incallito
amante delle Harley, e questa sua passione l'aveva trasmessa alla figlia, che in
ogni buon momento usciva a farsi un giro. E quella sera si era concessa di
andare al lavoro seduta comodamente sulla sua moto.
Essa, alla luce
febbricitante del lampione, sembrava inghiottire il bagliore arancione per
metri, facendola sembrare come un grosso buco bianco, lucido e insidioso.
Salì velocemente, con un movimento languido, e accese altrettanto celermente
la moto, per poi sparire, con il ruggito pieno del motore, lungo le strade.
***
Le luci dei lampioni saettavano veloci ai lati della strada,
simili a grandi lucciole infuocate, e le automobili, che sfrecciavano affianco
all'Harley, sembravano ombre fantasma di antiche carrozze
settecentesche.
Solo allora si accorse del grande ponte sul Tamigi; era così
immersa nei suoi pensieri che non aveva fatto caso alla strada. Il sole stava
iniziando a calare spandendo le lunghe dita nere sulla superficie dell'acqua,
facendo risplendere di mille sfaccettature le piccole onde, nonché dando
splendore all'imponente struttura del Waterloo Bridge.
Una costruzione
magnifica, che aveva sempre affascinato molte menti umane, come i gargoyle e i
pinnacoli della stupefacente Notre Dame de Paris e gli altri sei ponti sul
fiume.
Un'insieme di tiranti arcuati e pezzi di metallo a formare un
passaggio per l'altra sponda, che aveva sostituito gli antichi battelli a
vapore, che si aggiravano, ancora sulle onde del fiume, per trasportare
visitatori lungo quelle acque e per mostrare le meraviglie di Londra. La moto
bianca continuò la sua corsa veloce sul ponte, per poi entrare nei bei quartieri
della città londinese.
Si fermò nello stesso parcheggio, vicino alla scuola,
ove aveva collocato, la mattina prima, la sua jaguar.
Entrò, come di consueto,
nel grigio edificio che era l'obitorio e ripercorse nuovamente il corridoio,
fermandosi davanti alla guardiola.
Questa volta al posto dell'annoiata
guardia, vi era una donna, robustella, sui trenta e con un sorriso rubicondo
sulle rosse guance.
"Salve, dottoressa Lye!" la salutò
cordialmente.
"Buonasera, Dalia, sono, per caso, venuti a reclamare il corpo
123?"
La donna digitò alcune parole sul computer.
"Non lo so, dottoressa…
ma siamo riusciti a identificare il corpo."
Lye annuì e corse nella stanza
delle celle frigorifere, aprì la cella 123 e ne tirò fuori il corpo del
giovane.
Rimosse il lenzuolo e tirò un sospiro di sollievo nel constatare che
l'uomo dai capelli biondi era ancora al suo posto; non sapeva perché ma quello
sconosciuto la incuriosiva.
Era consapevole che era morto, ma qualcosa in lui
le diceva che vi era molto di più sotto quell'apparente calma mortale, e che non
si doveva lasciare ingannare.
Gli accarezzò i capelli, sospirando, lo ricoprì
e chiuse il frigorifero.
Nello studio iniziò a cercare nei vari inventari,
sfogliando fogli su fogli, fino a che estrasse un fascicoletto, ricoperto di
una busta di carta gialla, con su il numero dell'ultimo cadavere
rinvenuto.
"Alexander Lancaster, ventisei anni, celibe, attore…" lesse la
donna, sistemandosi meglio gli occhiali sul naso.
Si sedette alla scrivania e
iniziò a trascrivere, al computer, le sue analisi; rimase, poi, un'oretta
facendo ricerche su Internet, e le capitò un sito in cui parlavano della
scomparsa del giovane uomo.
Non aveva mai sentito parlare di lui nel mondo
del teatro, nonostante ella amasse la recitazione e le opere, e si recasse a
teatro almeno tre volte al mese.
Un rumore di porte sbattute la distolse
dalla sua ricerca ed uscì silenziosamente dall'ufficio; percepì la voce di
Dalia, fremente di rabbia, che stava intimando a qualcuno di non
muoversi.
Uno sparo, veloce e forte come un tuono, squarciò la tranquillità
immota dell'obitorio, subito seguito dal silenzio assoluto, e carico di paura;
il cuore di Lye iniziò a battere all'impazzata, aspettando e sperando che, dalla
doppia porta, sarebbe spuntato fuori il viso della poliziotta, che le assicurava
che non era accaduto nulla… ma ciò non accadde.
Iniziò a tremare
incontrollatamente, spaventata a morte, fin quando la cella 123 non iniziò a
tremare, come sospinta da una forza sovrumana. In pochi secondi la chiusura
della cella venne divelta, finendo contro un muro.
Lye urlò terrorizzata,
accucciandosi in un angolo e premendosi le mani sulle orecchie, mentre si
ripeteva che tutto quello non poteva essere vero.
Leggere lacrime trasparenti
iniziarono a solcarle gli zigomi e le guance, in impetuosi torrenti
salati.
Un tocco leggero su una guancia, le fece alzare gli occhi: davanti a
ella stava il giovane dai capelli biondi, ancora avvolto dal lenzuolo
bianco.
"Grazie!" bisbigliò egli.
Lye rimase pietrificata nel vederlo vivo
e vegeto, senza più quell'orribile taglio, che gli aveva quasi staccato la
testa, ma con ancora l'orbita vuota, distinguibile per la palpebra abbassata e
diritta.
Egli si allontanò e si fece in contro a due uomini, completamente
vestiti di nero, che erano appena entrati; i due si inchinarono rispettosamente
all'uomo e gli porsero un lungo soprabito bordeaux.
Prima che il moro uscisse
dalla stanza si voltò nuovamente e salutò la donna, con un fluido movimento
della mano, molto teatrale.
Lye rimase una decina di minuti ancora
accucciata, nel suo angolo, a fissare, tremante, le porte socchiuse, e, quando
riuscì a riscuotersi, strisciò fino alla guardiola.
Trattenne a stento un
grido: Dalia era stesa a terra, in un lago di sangue, con gli occhi sbarrati; il
suo corpo era stato strappato in due pezzi, all'altezza delle anche, e
sparpagliati attorno a lei giacevano brandelli di carne e interiora.
La cassa
toracica era stata aperta in due, fracassando lo sterno e la maggior parte delle
costole, e mostrava, come in un orrido museo del corpo umano, i polmoni, ancora
in parte integri e un buco, poco più grande di una mano, ove un tempo era stato
presente il cuore.
Cadde in ginocchio piangendo, non riuscendo a reagire
davanti alla morte di una sua amica e di fronte a quel macabro
spettacolo.
***
Mi scuso in anticipo per aver postato in ritardo questi due
capitoletti…
Ringrazio Lady Tsepesh e Cassandra14 che hanno commentato il
primo capitolo.
Black Wolf.