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Autore: Moonage Daydreamer    07/10/2012    2 recensioni
Ero l'emarginata più emarginata dell'intera Liverpool: fin da quando era bambina, infatti, le altre persone mi tenevano alla larga, i miei coetanei mi escludevano dai loro giochi e persino i professori sembravano preferire avere a che fare con me il meno possibile, come se potessi, in uno scatto di follia, replicare ciò che aveva fatto mia madre.
(PRECEDENTE VERSIONE DELLA STORIA ERA Lucy in the Sky with Diamonds, ALLA QUALE SONO STATE APPORTATE ALCUNE MODIFICHE.)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Lennon , Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Get Back.


Ci sono delle volte in cui la Vita ti trascina fuori dalla realtà e ti porta in un luogo immobile, buio e accogliente come il ventre materno. In genere capita quando stai per fare qualcosa di tremendamente stupido, come buttarsi sotto un treno, sniffare la dose letale di cocaina, tagliarti le vene.
Quando ciò accade, la Vita saggiamente ferma la tua corsa e ti pone davanti tutte le scelte che hai compiuto, dandoti la possibilità di guardare tutto ciò che hai fatto, dal primo all’ultimo momento che hai vissuto; e mentre tu sei intento a osservare come uno spettatore ciò che hai fatto, si avvicina alle tue spalle e ti urla contro: “ Ma che cavolo stai facendo?!”
Tu non sei in grado di risponderle, perché non sai quello che stai facendo: vai avanti alla cieca sperando di prendere la decisione giusta anche se sai che stai scegliendo a caso.
Ora sei di nuovo sulla Terra e puoi riprendere da dove ti eri interrotto (il treno sta per passare, la striscia di cocaina è già pronta, così come la lametta), tuttavia, quasi inconsciamente cominci a pensare a una risposta da dare a quella domanda.
“Che cavolo stai facendo?”

Che cavolo stavo facendo?

Sentii qualcosa, una fastidiosa sensazione al braccio, e un forte mal di testa, come se mi fossi ubriacata e ora ne stessi pagando le conseguenze. Nonostante ciò, stavo ricominciando pian piano ad avere percezione del mio corpo.
Ed era una gran bella sensazione.
Provai a stiracchiarmi, ma mi accorsi che i muscoli erano pesanti come piombo e facevano ancora fatica a rispondermi.
Aprii lentamente gli occhi e all’inizio, a causa della luce troppo forte, vidi tutto come un’indistinta macchia bianca. Quando misi a fuoco le cose che mi circondavano vidi una camera d’ospedale fredda e spoglia, anonima; Elisabeth era seduta accanto a me , ma si era assopita, mentre James guardava fuori dalla finestra, dandomi le spalle.
Solo in quel momento mi resi conto di quello che avevo fatto. Mi riempii di orrore nei confronti di me stessa.
- James… - lo chiamai con un filo di voce. Non volevo svegliare Elisabeth, ma mentre il mio padre adottivo si girava, lei riaprì gli occhi.
- Anna!- esclamarono all’unisono.
- Ciao. - mormorai. Mi sembrava di aver perduto il diritto di farmi voler bene da loro.
- Come ti senti?- chiese la mia madre adottiva prendendomi la mano.
- Bene.- risposi, senza particolare convinzione, mentre anche James si avvicinava al letto.
Mi morsi le labbra e mi coprii il viso con la mano, non trovando il coraggio di guardarli negli occhi.
- Mi dispiace … - mormorai infine. Stranamente, non sentivo l’impulso di piangere, ma al contrario riuscivo a riflettere lucidamente su ciò che avevo fatto, come se non fossi stata davvero io a praticare i tagli sui polsi. Il che in un certo senso era vero.
Entrambi i miei genitori mi abbracciarono e io ricambiai come meglio potevo.
- Non fa niente, piccola. - disse James. - Ora sei qui con noi.-
Il senso di colpa mi stava schiacciando. Ma riuscivo a sentire qualcos’altro, sotto tutte i sentimenti negativi, qualcosa che non avevo mai provato prima di allora: la felicità di essere ancora al mondo e la voglia di vivere.

La prima cosa che feci uscito dall'edificio fu accendermi una sigaretta.
- Se non sbaglio ti avevo detto di andare a casa. - dissi, poiché avevo notato con la coda dell'occhio che Paul era fermo a poca distanza da me.
Il ragazzino si avvicinò: - Ne hai dette di cose...-
Feci un tiro, socchiudendo appena gli occhi.
- Come sta Anna?- mi chiese Paul.
- Ancora con questa storia?!- esclamai sbuffando.
- So che l'hai vista. -
Mi dava sui nervi quando faceva il saccente.
- Puttanate. - negai.
- Non negare la verità. -
Ora mi stava davvero facendo arrabbiare.
- E tu non ti fare gli affari miei!- alzai la voce e contemporaneamente alzai anche un pugno.
Non guardai nemmeno la sua direzione, mi importava solo che andasse a segno, e che facesse male a quello stronzetto.


- Il dottore ci ha chiesto di fargli sapere se fosse successo qualcosa.- mi informò James allontanandosi nuovamente dal letto. - Vado a chiamarlo. -
Annuii e appoggiai la testa al cuscino, socchiudendo gli occhi.
- Anna. - mi chiamò Elisabeth con dolcezza.
Finalmente riuscii a guardarla in faccia. Gli occhi mi si riempirono di lacrime.
Non potevo credere di aver davvero desiderato, anche solo per un secondo, di morire.
Elisabeth intuì con fin troppa facilità i miei pensieri e mi accarezzò la guancia, asciugandomela dal pianto silenzioso:- Riposati, tesoro. -
 Mi portai una mano alle tempie pulsanti e chiusi di nuovo gli occhi, ma la tranquillità durò ben poco, poiché mio padre e un medico entrarono nella stanza. Il dottore salutò velocemente Elisabeth, poi si rivolse direttamente a me.
- Come ti senti? - chiese. Sebbene non fossi una che giudicava alla prima apparenza, il suo tono e il suo modo di porsi suscitarono in me un’antipatia istintiva.
- Bene.- ripetei per la seconda volta nel giro di pochi minuti. L’uomo sembrò scettico, ma lasciò perdere l’argomento.
- Ti ricordi qualcosa dell’altra sera?-
- No, niente. - risposi. Non era del tutto una menzogna, poiché l’unica cosa che avevo bene in mente era l’incubo, cioè l’unica cosa di cui non avrei parlato nemmeno sotto tortura.
- Sei proprio sicura?- insistette. Scrollai le spalle; non avevo altro da aggiungere e il medico recepì il messaggio.
- Molto bene. Signori Allen, per favore, siate così gentili da seguirmi. Intanto - l’uomo si rivolse di nuovo a me. - Cerca di riposare. Se ti dovesse venire in mente qualcosa di rilevante, fammelo sapere.-Elisabeth mi diede un bacio sulla fronte e mi sorrise, poi si apprestò a seguire suo marito e il dottore, sebbene fosse più evidente che era provata sia fisicamente che emotivamente.
Guardandoli uscire dalla stanza, intravidi una figura che cominciò a discutere con il medico.
Possibile che il nuovo arrivato fosse proprio …
- Paul!- lo chiamai con tutto il fiato che avevo.
-  Anna!- ricambiò il ragazzo sbracciandosi.
- Cosa ci fai lì fuori come uno scemo?! - lo presi in giro -Vieni!-
Non pensavo che avrei avuto una reazione così euforica nel vedere il mio amico, ma come l’avevo scorto e riconosciuto avevo perso il controllo: ero così felice che fosse lì!
Paul rivolse un’occhiata impertinente al medico (il quale evidentemente non ispirava molta simpatia alle persone), poi entrò nella stanza e chiuse la porta.
Con un sorriso a trentadue denti si avvicinò, spostò di peso le mie gambe, sollevandole il più possibile, e si sedette al mio fianco, quindi cominciò a tamburellare sulle mie ginocchia.
- Com’è?- mi chiese. Mi rifiutai di rispondere “bene” una terza volta, soprattutto a lui.
- Mi fanno male le cuciture e mi sta scoppiando la testa, e un essere dalla dubbia intelligenza mi ha appena distrutto le gambe. -
Paul ridacchiò:- Addirittura! E poi, amica mia, poteva andarti molto peggio. -
- Lo so. - risposi schietta guardandolo negli occhi.
Il ragazzo aprì la bocca, sorpreso e mortificato, quando si rese conto del significato più profondo delle sue parole. Fece per dire una serie interminabile di scuse per rimediare, ma lo fermai prima tappandogli la bocca con la mano. Gli sorrisi , facendogli capire che di sicuro non mi aveva offesa.
In quel momento, però, mi accorsi che c’era qualcosa che non andava.
Presi il volto di Paul tra le mani e glielo feci ruotare. L’inconfondibile segno rosso di un pugno gli gonfiava la guancia.
- Chi è stato? - domandai, anche se intuivo facilmente quale fosse la risposta. Lo sguardo che Paul mi rivolse confermò i miei sospetti.
- Quale grandissimo … - incominciai, ma Paul mi fermò con la stessa velocità con la quale io avevo bloccato lui poco prima.
- Non essere così dura con lui - mi rimproverò - E’ merito di John se ora sei qui. E’ stato lui a trovarti e a cercare di fermare l’emorragia mentre arrivava l’ambulanza. Lui ti ha salvata, Anna.  -
Dischiusi le labbra e sgranai gli occhi. Non riuscivo a capire, o meglio, non volevo capire; il solo pensiero di dovere qualcosa a Lennon, e ancor più la vita, mi irritava.
- Lui mi ha salvata … - ripetei - Perché?-
- Tu al posto suo cosa avresti fatto?-
- Io non sono come lui. - sbottai.
- Be’, lasciamo perdere l’argomento. - propose Paul e io fui più che felice di acconsentire.
Chissà come mai, ogni volta che si parlava di Lennon diventavo di malumore.
- Ho una questione più importante da porre alla tua attenzione. -  continuò il mio amico, assumendo un tono grave. - C’è un tale che tu conosci che è accampato momentaneamente nel salotto di casa mia che mi ha affidato un messaggio per te: Bau, bau. Bau-bau, bau, bau. Bau wrof. Worf, worf. Tradotto in linguaggio corrente risulta: “ torna a casa presto perché mi manchi da morire. Ti voglio bene, Frency. P. S, il tuo amico mi sta facendo fare la fame”. -
Scoppiai a ridere a crepapelle, non solo per l’assurdità della cosa, ma anche perché mentre parlava, Paul si era sforzato di rimanere serio e aveva assunto un tono stranissimo ed esilarante.
Ridemmo come dei matti fino a non aver più fiato.
Quando riuscii a darmi una calmata, imitai l’aria seria che Paul aveva simulato poco primo:- Bene, signor ambasciatore; abbia la cortesia di tradurre e riferire questa risposta al mio piccolo tesoro:” Mi manchi anche tu, amore, e sta’ tranquillo che sarò lì tra poco. Ti voglio bene anche io. P.S. Se torno e ti trovo deperito faccio il pelo e il contropelo al mio amico.”-
Paul mi tirò una gomitata, ridendo:- E io che pensavo che tu mi fossi grata perché mi sono offerto di badare al tuo cucciolo adorato! -
Incrociò le braccia e mi diede le spalle, fingendosi offeso a morte. Gli gettai le braccia al collo.
- Ma certo che ti sono grata!- dissi reggendogli il gioco. - Dai, non essere arrabbiato con me!-
Paul si girò e ricambiò il mio abbraccio. L’allegria esplosiva di poco prima si addolcì in un momento di pura tenerezza, velata appena da un po’ di tristezza.
Lui (lo percepivo) era felice di poter abbracciarmi e io ero ancor più felice di esser lì per poter farmi abbracciare da lui.
- Come sta Cyn? - chiesi all’improvviso, senza sciogliere la stretta.
- E’ a casa sua con Stu. Lui l’ha portata a casa dopo che ha passato la notte qui insieme a John. -
- Le ho rovinato il compleanno. - mormorai. Mi sentivo un mostro nei confronti della mia amica.
Paul si scostò e mi prese il volto tra le mani, costringendomi a guardarlo negli occhi.
- Non devi dirlo neanche per scherzo!- mi rimproverò, poi si addolcì di nuovo e mi riabbracciò. - Siamo tutti così contenti di sapere che stai bene sul serio. -
Rimanemmo stretti l'uno all'altra ancora per qualche minuto, poi lo sguardo del mio amico si posò sul piccolo orologio appoggiato sul davanzale della finestra.
Si alzò dandomi un buffetto sulla fronte.
- Devo andare adesso. Oggi pomeriggio le prove sono a casa mia e temo che non mi sarà proprio possibile bigiare. - mi informò.
- Saluta Lennon da parte mia. - dissi con più che evidente sarcasmo.
Paul alzò gli occhi al cielo e afferrò la giacca, ma improvvisamente si gettò in ginocchio ai piedi del letto, esasperando dei gesti melodrammatici.
- Addio, mia dolce signora. Il mio cuore già si strugge al pensiero di avervi lontana. - mi prese la mano e me la baciò, mentre io scoppiavo a ridere di nuovo, cercando di mascherare la tristezza. Non volevo che se ne andasse dopo un tempo che mi era parso così breve.
- Torni presto vero, Paul?- lo implorai con un tono simile a quello di una bambina.
Mentre stava già per uscire, il ragazzo si voltò, mi sorrise e strizzò l'occhio:- Non ti libererai di me così facilmente. -
Rimasi da sola.
Appoggiai la testa sul cuscino e guardai distrattamente fuori dalla finestra, quando i miei occhi si abbassarono sui polsi, deturpati dai punti di sutura.
Non essendo per me un tabù, non usavo strane metafore o giri di parole per dare una definizione a quello che era successo (mi ero tagliata le vene e stop), tuttavia ora che vedevo intorno a me le persone che avevo rischiato di perdere per sempre, le lacrime che all'inizio non sentivo il bisogno di piangere cominciarono a bagnarmi le guancie.
Mi coprii gli occhi, ma non emisi alcun suono; semplicemente, lasciai che ciò che avevo provato e che stavo ancora provando si sfogasse.
Non sentii nemmeno quando Elisabeth entrò nella stanza, appoggiò qualcosa sul comodino e si sedette accanto a me, sul letto. Mi strinse contro il suo petto, senza chiedermi niente.
- Mi dispiace. - le dissi di nuovo.
- Andrà tutto bene, amore. - replicò lei. Mi sollevò il mento e con una carezza asciugò le lacrime. - Sorridi: tutto si sistemerà. -
Mi sforzai di tirare fuori un sorriso un po' stentato, poi la mia madre adottiva fece un cenno con la testa, indicandomi ciò che aveva appoggiato sul comodino. Sgranai gli occhi.
- Mentre tu eri con Paul e io aspettavo fuori, James ha approfittato per andare a casa a prenderti le cose fondamentali; gli ho detto che le uniche cose che veramente erano di prima necessità sono i... -
-... libri. - completai io per lei. Allungai una mano e sfiorai le copertine; ero emozionata come se vedessi appena scoperto che i volumi della biblioteca d'Alessandria si erano salvati e li avessi davanti ai miei occhi.
James mi aveva portato tutti i miei libri preferiti: Oscar Wilde, Jane Austen,  una vecchissima copia dell'Iliade e parecchi volumi  di poesia.
- Grazie. - mormorai stringendomeli al petto.
- Non so esattamente quando potremo tornare a casa. Ti terranno compagnia. -   

I suoni uscivano dalla chitarra senza che vi prestassi particolare attenzione. Anche se in realtà avrei dovuto cominciare a provare una nuova canzone prima delle prove, non ne avevo nessuna voglia.
Mimi aveva dato in escandescenze quando ero tornato a casa; non che avessi prestato particolare attenzione alla sua sfuriata, ma essa non aveva di certo aiutato a concentrarmi.
Non sapevo con precisione nemmeno quale accordo stessi suonando.
Sol maggiore, re minore, fa diesis; o era si settima? Non aveva importanza.
Abbandonai ogni tentativo di capire quello che stavo suonando e lasciai le dita libere di muoversi a piacimento sulla tastiera.
Il mio sguardo era continuamente catturato dalla quella dannata copertina nera e lucida e non riuscivo a pensare che ad esso e alla sua proprietaria.
Tirai un pugno contro la parete e imprecai. 
                           

Nei giorni seguenti ricevetti numerose visite di Cyn e di Paul, ma anche di alcuni miei compagni di scuola, sebbene non avessi parlato con loro che un paio di volte, solamente perché nella loro visione del mondo credevano che il mio gesto fosse stato volto alla ribellione contro il sistema.
Non avevano la minima idea di quello che potevo provare mentre li vedevo sfilarmi davanti per posare quantità industriali di fiori sul davanzale o sul comodino di fianco al letto.
Non ci doveva più essere, in tutta Liverpool, un solo fiorista che non fosse stato svaligiato.
Avevo un disperato bisogno di pensare e non ne potevo più di quel continuo andirivieni di gente.
Fu per questo che sospirai di sollievo quando Cyn uscì dalla stanza; lasciai cadere pesantemente la testa sul cuscino e socchiusi gli occhi.
 Per fortuna non ero allergica al polline, altrimenti, con tutti quei fiori, avrei avuto uno shock anafilattico.
- Se avessi saputo della tua intenzione di aprire un negozio di fiori, avrei dato il mio contributo!- disse sarcastico Stuart entrando nella stanza.
Mi misi a sedere di colpo, sorpresa dalla sua improvvisa apparizione.
- Stu!- esclamai, allungando le braccia mentre lui si chinava per cingermi a sua volta. Ci stringemmo talmente forte che alla fine Stu perse l'equilibrio ed entrambi, ancora abbracciati rotolammo sul letto.
- Attento alle flebo!- lo pregai ridendo. Quando entrambi riuscimmo a ricomporci, Stuart mi guardò sorridendo dolcemente.
- Scusa se non sono riuscito a venire prima. - disse.
- Ora sei qui; questo è l'importante, no?- replicai.
Mi alzai dal letto e gli feci cenno di imitarmi.
- Sono stufa di stare qua dentro. - spiegai - Andiamo a fare un giro. -
Stu acconsentì e mi prese sottobraccio mentre afferravo il diabolico trabiccolo cui erano appese le flebo.                                                                                                                                                            Tuttavia, una volta che fummo nel corridoio cominciai a pentirmi dell'idea.
Non che non fosse un sollievo camminare un po', ma quegli anonimi corridoi appestati dall'odore di medicine mi opprimevano.
Non vedevo l'ora di uscire di lì e andare a passeggiare nel parco di Woolton!
Io e Stu sprofondammo nel silenzio, poiché io ero troppo concentrata a mantenere il respiro regolare per poter intrattenere anche una conversazione.
- Vuoi che andiamo un po' in cortile?- chiuse Stu intuendo il mio disagio.
Gli sorrisi, grata, e appoggiai la testa contro la sua spalla.
Prima di uscire, tuttavia, passammo dalla stanza per recuperare la giacca.
Ci dirigemmo fino alla fine del reparto pediatria, dove c'era una porta finestra che dava sul giardino.
Sempre che quel prato semi-incolto con qualche cespuglio rachitico, due alberi in croce e uno sconnesso vialetto lastricato con un paio di panchine qua e là potesse essere definito giardino.
Per lo meno, quello squallore era illuminato dal sole.
Stu mi condusse sul vialetto fino a raggiungere una panchina vicino a uno degli alberelli che cominciavano già a perdere le foglie.                                                                                                                            Ci sedemmo e i raggi tiepidi mi riscaldarono le ossa e contribuirono a migliorare sensibilmente il mio umore: tutto sembrava più bello quando c'era il sole.
Ero perfettamente conscia di avere lo sguardo di Stu su di me, ma la mia attenzione fu richiamata da qualcosa di duro che sentii premere contro la mia coscia; solo in quel momento ricordai che l'ultima volta che ero uscita avevo lasciato nella tasca della giacca uno dei volumi che Elisabeth mi aveva portati.
Lo tirai fuori e lo guardai per un attimo, assorta.
- Che cos'è?- chiese Stu.
- Un libro, vedi?- risposi con sarcasmo sventolandoglielo davanti agli occhi.
Stu mi lanciò un'occhiata esasperata dalla mia pessima battuta e me lo strappò dalle mani.
Mentre io protestavo, lo osservò, accarezzandone distrattamente il dorso.
- John Keats...- disse mentre cominciava a sfogliare le pagine.
Annuii, piacevolmente sorpresa dal fatto che potesse essere un oggetto di interesse per il mio amico:- E' il mio preferito. -
Stu si fermò più o meno a metà del libro, mi guardò per un attimo, sorrise, si schiarì la voce e cominciò a leggere.
-Resta, pettirosso, resta,
e lasciami vedere il tuo occhio splendente;
Oh, la boscaglia non è ancora lo spruzzo d'un filo di perle,
né la tua testa è abbastanza chinata da volare.
Resta mentre ti dico, cose agitate,
che tu dell'amore sei un emblema dell'arte;
Sì! Piuma paziente della tua piccola ala,
calma mentre i miei pensieri t'impartisco.

Quando le notti d'estate elargiscono la rugiada,
e d'estate i soli arricchiscono il giorno
,
tue le note e il fascino dei fiori da soffiare,
ciascuna lieta speranza a tua disposizione.
Così quando in gioventù lo sguardo scuro negli occhi 
parla con piacere dal suo cerchio luminoso,
i toni dell'amore aumentano le nostre gioie,
e rendono superiore ogni delizia
.-
Stetti a guardarlo, estasiata mentre recitava quei versi che amavo così tanto, ma poi mi persi nella poesia.
Chiusi gli occhi e mi appoggiai alla panchina, rilassandomi completamente, tanto che ero a malapena coscia dell'espressione di beatitudine che si dipinse sul mio viso.
- E quando desolate tempeste vagano incontenibili,
e distruggono ogni beatitudine,
non vi è nessun conforto per il bosco senza foglie
l'unica gioia è nelle tue note delicate.
Queste le parole d'amore irripetibili,
quando l'albero del piacere non sopporta più,
e disegna un morbido sorriso accattivante,
in mezzo ad un buio di dolore e lacrime.
(1)  -
Stuart smise di leggere, ma non me ne accorsi.
Mi accarezzò la guancia con la punta delle dita.
- Sei stanca?- chiese a bassa voce.
- Abbastanza. - ammisi. Stu sorrise dolcemente e mi porse una mano per aiutarmi ad alzarmi; nel tragitto verso la stanza mi appoggiai quasi completamente al suo petto, lasciando che il ragazzo mi guidasse e mi sostenesse.
Non capivo perché ero così stravolta, anche se fino ad un momento prima ero stata bene; forse era perché avevo raggiunto il limite di sopportazione della stanchezza, o forse era perché mi sentivo al sicuro.
Stu non disse una parola mentre apriva la porta e mi faceva entrare nella stanza, né mentre io mi gettavo sul letto con un movimento ben poco aggraziato.
Si sedette sul letto e mi guardò intensamente, ma ero troppo stanca per avere una qualche reazione.
Socchiusi gli occhi e tirai la coperta fino al mento.
- Grazie per essere venuto. - biascicai già mezza addormentata.
Stu si chinò e mi baciò la guancia:- Grazie a te per non essertene andata.-
Prima ancora che Stuart si alzasse dal letto ero già sprofondata nel sonno.

Quando mi svegliai era mattina: avevo fatto una tirata unica dal pomeriggio precedente; o forse mi ero svegliata nel frattempo e non me lo ricordavo.
Ultimamente mi capitava di perdermi per strada alcuni momenti della mia vita.
In genere non mi perdevo niente di particolarmente interessante, tuttavia questa volta  c'era qualcosa che doveva essere andato storto.
Perlomeno, non mi ricordavo di aver invitato Lennon a farmi visita.
Rimasi a guardarlo, esterrefatta, per qualche secondo. Era appoggiato al davanzale e guardava fuori, assorto nei suoi pensieri.
Quasi mi dispiaceva disturbarlo; quasi.
- E tu che cazzo ci fai qui?!- esclamai lasciandomi sfuggire un'espressione davvero poco fine.
Lennon sussultò e si girò immediatamente verso di me.
- Ascolta...- incominciò, mai io lo interruppi prima che aggiungesse altro: - No, no: tu ascolti me e rispondi anche alla mia domanda! Che cosa ci fai qui? E chi ti ha dato il permesso di entrare?-
Il ragazzo fece per aprire la bocca , ma la verità era che non avevo alcuna voglia di starlo ad ascoltare.
- Esci, Lennon. -
Il mio continuo interromperlo cominciò ad irritarlo.
- Lasciami parlare. - sbottò.
- Vattene. - gli intimai. - Vattene!-
- Mi lasci parlare?! Ce la puoi fare ad ascoltare una persona che una volta tanto non ti commiseri o non dica quanto sei bella di lì, quanto sei brava là, o è troppo difficile per te?- mi rispose invece.
Non potevo tollerare la sua intrusione un momento di più. Ne avevo a basta di lui e di tutto ciò che lo riguardava.
- Vattene via, Lennon! - gridai -  Esci da questa stanza, esci dalla mia vita! Vattene: io non ti voglio qui. -
Un'infermiera entrò facendo sbattere la porta, mentre Mitchell continuava a urlarmi contro.
- Per favore, esci. - mi disse l'infermiera precipitandosi verso il letto.
Mi diressi con calma verso la porta, ma indugiai proprio sulla soglia.
Lanciai alla ragazza uno sguardo di superiorità, mentre lei cominciava a implorare l'infermiera con un tono piagnucolante.
- No, la prego. Non voglio dormire anco... -
Non fece in tempo a finire la frase che la dose di morfina fece il suo effetto e lei ricadde sul cuscino.
Quello sì che era uno spettacolo patetico.
Uscii dalla stanza e tornai verso l'uscita dell'ospedale, dove trovai (tanto per cambiare) Paul.
- Immagino che non sia andata molto bene. - osservò lui.
Scrollai le spalle.
- Sembri reduce da uno scontro con una tigre. - continuò il ragazzo.
Più che una tigre, quando si arrabbiava Mitchell sembrava un visone cui avevano spezzato un'unghia.  Tirai fuori il quaderno dalla tasca della giacca e lo passai a Paul.
- Restituisciglielo. - ordinai.
Paul lo guardò per qualche secondo, soppesandolo, ma poi me lo restituì.
- Fallo tu. -
Lo incenerii con lo sguardo: era quello che avevo appena tentato di fare e non aveva riscosso molto successo!
Alla fine, però, mi ritrovai a infilarmi di nuovo il taccuino in tasca e uscire insieme a Paul dall'ospedale.


Fissai le mani intrecciate sul ventre. Finalmente mi avevano tolto quei dannati fili neri.
Non che adesso la situazione dei polsi fosse migliore, ma almeno facevano meno impressione.
Presto sarei tornata a casa, ma erano altri i miei pensieri.
La mia mente continuava a tornare al litigio con Lennon, o meglio, la mia sfuriata priva di una giustificazione contro Lennon.
Avevo esagerato, quello lo riconoscevo, ma nel momento stesso in cui avevo aperto bocca mi ero sentita attaccata e avevo avuto l'istinto di difendermi.
Succedeva sempre così quando c'era lui in giro: il mio inconscio lo vedeva come una minaccia.
Tuttavia, avrei potuto almeno ascoltare quello che aveva da dirmi.
Sbuffai.
Ero un po' preoccupata riguardo al mio futuro più immediato: insomma, nell'ultimo periodo la mia vita era crollata e ormai ero sicura che, una volta che avessi messo piede fuori di lì, sarebbe potuto succedere ancora di tutto.                                                                                           
 
(1)
John Keats, Resta, pettirosso, resta.
 
_____________________________________________

Salve, popolo!!!!! (?)
Come state? Scommetto che non si nota nemmeno che sono esaltata per essere riuscita a rispettare la mia tabella di marcia! 
Ma quanto sono teneri Anna e Stu????!
In questo periodo ho un bisogno disperato di coccole e da qui il capitolo è venuto leggermente fluff.

Tuttavia, voglio che il commento di questa settimana non sia occupato da me o dalla mia storia: tra un paio di giorni, infatti, è il compleanno di John e desidero fargli (anche se in anticipo) gli auguri insieme a tutti voi.  
Quindi: happy brithday, Nowhere Man.


AlexaZoso_Lennon : Se ti può consolare, anche io ho fatto quella faccia quando ho scritto il capitolo; infatti non avevo programmato che Anna si tagliasse le vene, ma questa storia sta prendendo pieghe davvero inaspettate. Sono contenta che la frase ti abbia fatta ridere, perché l'ho messa apposta per alleggerire l'atmosfera. (ed effettivamente anche io mi sono messa a ridere da sola quando l'ho scritta, e c'erano i miei fratelli che mi guardavano malissimo!)

weasleywalrus93: Be', allora non posso fare altro che chinare il capo e ringraziare dal più profondo del mio cuore.
Jane across the universe: Confesso che anche a me Anna fa un po' pena: gliene ho fatte passare troppe! Non so però quanto riuscirò a farla stare tranquilla, almeno un po': troppe idee mi stanno venendo sui possibili sviluppi della vicenda!

Melpomene Black : Anche io all'inizio mi immaginavo la storia diversamente, tuttavia la versione che sta venendo fuori, con tutti i suoi alti e bassi, mi piace molto di più. In quanto ai complessi di inferiorità, purtroppo essi fanno parte integrante del mio carattere (insieme all'ansia e ai sensi di colpa), tuttavia prometto che d'ora in poi mi giudicherò un po' meglio.


Peace n Love

P.S ( Scusate se non mi sono soffermata molto, ma sono davvero di corsa)       
  
                                                                 
 
  
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