Serie TV > Star Trek
Segui la storia  |       
Autore: eian    09/10/2012    2 recensioni
Un virus che colpisce i telepati, mortale per i vulcaniani, si sta diffondendo sul pianeta Cetacea e rischia di propagarsi per l'intero quadrante, con effetti devastanti. L'Enterprise del capitano Kirk deve indagare sulla possibile origine sintetica del virus e il suo legame con una sperduta località su Vulcano.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: James T. Kirk, Leonard H. Bones McCoy, Nuovo Personaggio, Spock | Coppie: Kirk/Spock
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

T’Mar capì immediatamente cos’era successo.
Iniettò al primo ufficiale una dose di triossina che lo aiutò a respirare, tuttavia non riprese conoscenza come sperava.
- Comandante – disse sollevando lo sguardo verso Sulu – dovrò entrare in contatto mentale con il signor Spock, credo di poterlo aiutare –
- E’ il capitano Kirk, vero? E’ in pericolo e il comandante lo percepisce su di sé? –
Lei annuì.
- Proceda, tenente. E’ pericoloso? –
- No, non si preoccupi –
T’Mar inserì una mano sotto la testa del vulcaniano, posandogli le dita tra i capelli neri e lisci nei punti di contatto mentale che le erano più congeniali.
Immediatamente precipitò nella mente del primo ufficiale.
Durante la licenza su Risa dove si erano conosciuti aveva già avuto modo di entrare in contatto con il vulcaniano, per cui questa volta non rimase così stupefatta dalla meravigliosa struttura cristallina della sua aura.
Alma adamantis.
Quelle auree erano considerate di particolare pregio, su Vulcano, denotando menti eccezionalmente dotate e controllate.
T’Mar ricordava di averla vista scintillare come una pietra preziosa, una vista spettacolare.
In quel momento, tuttavia, pur se splendida nella sua struttura, l’aura era spenta: i Compagni rimasti improvvisamente soli subivano un terribile shock.
La propria aura, azzurrina e informe come una bolla d’acqua, “avvolse” quella del primo ufficiale  come liquido caldo.
Emanò ondate di empatia, per scacciare il gelo annichilente del vuoto dell’altro.
Spock – chiamò, entrando in contatto con la consapevolezza dell’altro, stordita da una solitudine dolorosa e infinita – Spock, separi la sua coscienza da quella del capitano. Deve alzare i suoi schermi mentali protettivi
La condivisione del dolore aiutò il vulcaniano a reagire, contrastando il desiderio di lasciarsi scivolare via nel buio.
Riuscì ad alzare nuovamente i suoi scudi mentali e ad allontanarsi dalla consapevolezza della mancanza del suo compagno.
T’Mar – l’aura cristallina si riscaldò nuovamente, brillando fioca – La ringrazio. Non ero preparato a questa possibilità, o meglio, non sapevo che sarebbe stato così… schiacciante – il dolore della perdita era fortissimo, lo avvertiva chiaramente.
E lei sapeva bene come potesse essere. Per esperienza personale.
Non è detto che il capitano sia… finito. Potrebbe essere solo incosciente. Si concentri: dovrebbe captare la differenza
Sentì la coscienza dell’altro ritrarsi e spingersi verso l’umano attraverso il Legame. Una fune di acciaio e oro.
Ha ragione, non è morto. Però gli è successo qualcosa, credo stesse soffocando e sia svenuto
E’ possibile. Riprenda il controllo, deve gestire la situazione
Scivolarono fuori dalla fusione.
T’Mar aprì gli occhi e dopo qualche istante lo fece anche Spock, ancora tra le sue braccia.
Il Vulcaniano sbatté le palpebre, mettendo a fuoco lo sguardo su di lei.
- Grazie, tenente – disse, formalmente ma con una sfumatura gentile nella voce.
Lei rispose con un piccolo cenno del capo.
Il vulcaniano si rialzò fluidamente, come se non fosse successo nulla, riprendendo completamente il controllo delle proprie funzioni fisiche e psichiche.
Avvertì su di sé lo sguardo preoccupato del personale del ponte: anche se trovava sempre piuttosto illogiche tali emozioni in ufficiali altamente qualificati come quelli dell’Enterprise, aveva imparato da tempo e a proprie spese a non ignorarle.
Per cui dedicò due-punto-tre secondi del suo tempo a rassicurarli.
- Signori, sto bene, vi prego di non preoccuparvi ulteriormente per la mia salute  - disse, volgendo lo sguardo su tutto il ponte – signor Chekov, tenente  Uhura, come procedono i tentativi di individuare il capitano? –


Nella caverna, in fondo al mare del pianeta sottostante, Kirk aveva intanto ripreso conoscenza.
In qualche modo doveva essere uscito dall’acqua, perché si ritrovò su una specie di spiaggetta sabbiosa, la luce verdolina di emergenza ancora accesa.
Il tricorder in modalità immersione doveva aver registrato aria respirabile, scollegando il casco ad energia.
L’aria aveva un odore di muffa salmastra, stantio e sgradevole.
Aumentò la luminosità della torcia a led al massimo, ma la caverna si estendeva molto oltre la portata della luce: era semplicemente gigantesca.
Stava tremando in maniera incontrollabile per il freddo; con difficoltà a causa del tremito delle mani tirò fuori il phaser dallo zaino e scaldò dei sassi tutto attorno, poi si spogliò, cercando di respirare normalmente e recuperare calore dalle rocce arroventate.
Ci mise quasi mezz’ora prima di recuperare piena sensibilità alle estremità, dopo una lunga serie di fitte dolorosissime.
Controllò l’ora e stabilì che doveva essere rimasto svenuto quasi venti minuti; questo, sommato al tempo impiegato a scaldarsi, significava che probabilmente suoi inseguitori avevano perso le sue tracce e avevano rinunciato alla ricerca nel dedalo di gallerie.
Per il momento.
Non si illuse: probabilmente sarebbero tornati con strumenti adeguati per stanarlo; per allora sarebbe dovuto già essere fuori da quella trappola di cunicoli.
Si sentiva esausto.
Pensò con rimpianto a quando riusciva a esplorare un nuovo pianeta, respingere alieni poco amichevoli, essere atterrato da una presa vulcaniana, teletrasportato in piena caduta libera dall’atmosfera di un pianeta direttamente sul ponte dell’Enterprise,  tutto nella stessa giornata, avendo poi ancora voglia di flirtare con qualche bella aliena cercando di impedire che uccidesse tutti loro.
Improvvisamente si sentì vecchio, troppo vecchio per queste cose.
Si concesse ancora qualche minuto, poi mangiò due barrette ipercaloriche dalle razioni di emergenza e si infilò la tuta da immersione.
Il bello dei nuovi snorkel in dotazione era che potevano essere ricaricati in qualunque momento con atmosfera esterna, garantendo però un’autonomia di soli diciotto minuti.
Ricontrollò le mappe e vide che avrebbe potuto raggiungere nuovamente il complesso di ricerca. A malapena. Se ci fosse stato anche solo un intoppo…
Indugiò ancora per un attimo presso il calore delle rocce arroventate, poi si infilò lo snorkel, attivò il casco e abbandonò la tetra caverna per il nero gelido e profondo del cunicolo sommerso.
Rotta: abissi di Cetacea.
Nonostante questa volta indossasse la muta, l’impatto con l’acqua gelata fu comunque traumatico.
Sospirò nello snorkel: era davvero troppo vecchio per queste cose.

Nel suo alloggio McCoy si strofinò gli occhi di fronte al monitor dove stava revisionando i risultati di quella prima, lunghissima giornata di lavoro.
Il virus si stava dimostrando molto contagioso ed estremamente resistente ai tentativi di cura.
Di una cosa si era convinto: era di origine sintetica, nessun organismo vivente poteva creare autonomamente quel tipo di struttura molecolare. La domanda era: chi poteva aver pensato una cosa così mostruosa, e perché?
Si chiese per l’ennesima volta dacchè lo aveva contattato Spock in che pasticcio fosse finito Jim; sapeva che il suo capitano era pieno di risorse, ma non poteva fare a meno di preoccuparsi: se nemmeno Spock sapeva dove fosse…
Sentiva la stanchezza pesargli addosso.
Si stiracchiò contro lo schienale della scomoda sedia, fatta evidentemente per natiche meno ossute delle sue, anche se nelle ultime settimane era riuscito a metter su qualche chilo.
Si alzò, dirigendosi verso la parete che dava verso l’esterno, ammirando il paesaggio sottomarino; il movimento dei pesci attratti dalla luce era rilassante.
Sentiva la mancanza di T’Mar, in quel momento in modo particolare; se non fosse stato così tardi l’avrebbe chiamata con la scusa di avere un aggiornamento sui risultati dei suoi studi sull’Enterprise.
Anzi, probabilmente l‘avrebbe chiamata comunque, anche senza scusa; solo il timore di svegliarla lo trattenne.
Dopo il loro ultimo incontro sentiva ancora vagamente la sua presenza nella sua mente, una bella sensazione di calore che gli teneva compagnia contrastando efficacemente il senso di solitudine che da sempre lo accompagnava.
Lui non era tagliato per lo spazio, non come Jim o Spock, che sembravano nati per le stelle e sull’Enterprise prosperavano come germogli arturiani esposti a raggi UV.
No, lui era nato per la solida terra sotto i piedi, il sole sulla testa, l’alternarsi del giorno e della notte e delle stagioni, buon cibo, pazienti amichevoli, ricerca scientifica in comodi laboratori, una donna al suo fianco.
Invece, per qualche oscura ragione, il destino lo aveva condotto alle stelle, lontano da ogni cosa a lui gradita, regalandogli in cambio una specie di famiglia e un senso di utilità, di appartenenza che gli avevano scaldato il cuore e fatto delle stelle la sua vita e dello spazio la sua casa.
Tuttavia, non si era mai abituato alla solitudine, che si era fatta strada nella sua anima negli anni, scavando come un tarlo, inacidendogli ulteriormente il difficile carattere.
C’erano state tante donne, molte amate, tutte lasciate indietro o perdute per sempre.
Dopo ognuna di esse era tornato triste e ancora più solo dai suoi compagni di vita, che con gioioso affetto o rilassante pacatezza (ma questo non lo avrebbe confessato al vulcaniano nemmeno sotto tortura) lo avevano accolto con amorevole amicizia.
Negli ultimi mesi, però, le cose erano in qualche modo degenerate.
Aveva perso la voglia di mangiare e di sorridere, bevendo più del solito; aveva iniziato a fare degli imbarazzantissimi sogni erotici con i suoi due amici, era finito persino dentro il loro Legame senza nessuna volontà di farlo.
Almeno non consapevolmente.
Evidentemente nella sua tristezza doveva aver inconsciamente cercato conforto nei suoi amici, ma quell’extra di attrazione fisica, anche se solo onirica… beh, non faceva proprio per lui.
Ora c’era T’Mar, una donna fuori dal comune che per qualche oscuro motivo aveva voluto lui, e non i suoi irresistibili amici come succedeva quasi sempre.
Era bella, intelligente, ma soprattutto emanava affetto e amore come un fuoco caldo in un salotto d’inverno, un calore di cui sentiva disperatamente il bisogno.
Con lei sentiva di non essere più solo; aveva preso peso e smesso quasi completamente di bere e sognare cose assurdamente erotiche con Jim o Spock o entrambi.
Arrossì solo al ricordo.
Come evocato dai suoi pensieri il portello di duraplast che copriva il suo boccaporto verso il mare – oggetto che aveva trovato altamente inquietante – si aprì con uno scroscio d’acqua, facendolo sobbalzare di spavento e rivelando un’apparizione dalla pelle scura e viscida.
- Bones, avresti un bicchiere di brandy per un amico infreddolito?- chiese un Kirk ansimante e livido in volto, accasciandosi a terra in una pozza d’acqua salata.

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Star Trek / Vai alla pagina dell'autore: eian