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Autore: past_zonk    09/10/2012    1 recensioni
{Aurikku! ~ }
Son passati tre anni da quando Auron è scomparso, ma nel cuore della ragazza c'è ancora traccia di lui. Ogni notte uno strano sogno le fa visita, fino a quando uno strano accaduto la catapulterà in un'avventura inaspettata.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rikku, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'As you were Humbert.'
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Image and video hosting by TinyPic...Ehy! Eccomi qui tornata col nuovo capitolo! Adoro scrivere questa storia, mi fa stare così bene. Adoro scriverla sopratutto per i bellissimi e sinceri pareri di Ros the Elphe! La mia elfetta! *spupazza* Questa storia è DEFINITIVAMENTE dedicata a te. Anche perché senza di lei non avrei finito di scrivere proprio niente. AH! Sono una pelandrona! :3
Ho messo delle canzoni come sottofondi musicali (ci sono i link youtube, yoh), ho fatto persino la prova, cercando di leggere cronometrando le canzoni, quindi non dovrebbero esserci problemi (<--- sto diventando scema e paranoica!)
Allora, la domanda del giorno, su questo capitolo è: secondo voi, è fattibile, come coppia, l'Aurikku? Nel senso...non hanno troppe differenze fra di loro, partendo come prima l'età?
Per me no. Per me sono perfetti e basta. NGH. Ma forse è perché io amo sempre uomini più grandi di me e sono senofila, who knows.
OK, vi abbandono per ora *comincia a scrivere il nuovo capitolo*
Grazie di tutto,
eveyzonk.

 

 
 
 
 
Jumpin' in my dream - capitolo quarto.
Incomprensioni.

 

 
 
 





 " Che cosa vuol dire addomesticare?" (..)
" La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio per ciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò il rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi faranno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color d'oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano…"
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
" Per favore …..addomesticami", disse.
" Volentieri", rispose il piccolo principe, " ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici e da conoscere molte cose".
" Non si conoscono che le cose che si addomesticano", disse la volpe."
(..)
Così il piccolo principe addomesticò la volpe.
E quando l'ora della partenza fu vicina:
"Ah!" disse la volpe, "…Piangerò".
" La colpa è tua", disse il piccolo principe, "Io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi…"
" E' vero", disse la volpe.
" Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
" E' certo", disse la volpe.
" Ma allora che ci guadagni?"
" Ci guadagno", disse la volpe, " il colore del grano".

(Il piccolo Principe)
 

 

 
Il fuoco scoppietta sui ceppi secchi. Sono curva su me stessa, in un plaid piluccoso, il cielo è coperto dalle chiome di questi alberi ad alto fusto che costituiscono la foresta del Fluvilunio, l'aria è fredda; proprio come anni fa, sono stanca, sola e sotto le stelle. Ancora una volta, sto combattendo contro gli stessi pregiudizi e le stesse paure; e, pensandoci, anche il fine di questo viaggio è lo stesso. Sconfiggere Sin.
Braska ci crede davvero. L'ho osservato in silenzio, durante questi due giorni, ancora sconvolta da questo sogno, ed ho capito quanto davvero ci tiene. Quanto vuole liberare Spira da questo dolore che era (è) Sin. Quanto soffrirebbe con piacere, morirebbe, per il suo popolo, pur di far crescere la sua bambina in un mondo più sereno.
Mi tira su, sapere che al mondo sono esisitite, e ci sono, persone che darebbero così tanto per il prossimo, senza paura o egoismi.
Mi stringo ancora un po' a me stessa, infreddolita, e guardo il cielo che non posso vedere ma che immagino sia stellato. Chissà se nella mia epoca Yuna le sta guardando, le stelle, sotto il fuoco della piazza centrale di Besaid.
Sorrido.
Quand'è che ho capito che questo non è un sogno? Da quando ci credo? Cosa sta accadendo?
Assurdo. Mi vien da ridere al pensiero, e quasi devo mordermi il labbro per non scoppiare in una risata fragorosa, perché, ecco, essere qui, vedere tutto questo, poter - in qualche modo - star vicino a lui...è proprio un sogno.
Una parte di me spera ardentemente di risvegliarsi, ma l'altra - la Rikku coraggiosa e pronta persino a soffrire - vuole continuare questo viaggio, questa assurda visione che continua a scorrermi davanti.
Voglio guardare e vivere sulla mia pelle la sua vita.
Sospiro.
"Rikku..." una voce mi riporta alla realtà.
Alzo lo sguardo per trovare un volto gentile a torreggiare sulla mia figura.
"Braska...dovresti dormire, se Auron..."
"Auron non decide per me"
Un piccolo ghigno si dipinge sulle mie labbra, mentre affondo un po' di più nel plaid caldo.
"Non sta dormendo..." dico, a bassa voce, con sguardo perso nel fuoco, riferendomi ad Auron "Non si fida di me..." - anche durante il mio primo pellegrinaggio, rimaneva sveglio durante le mie ore di guardia. Come se facesse, silenzioso e grande, la guardia anche a me che facevo la guardia. Mi osservava in silenzio dal suo giaciglio con i suoi occhi cremisi.
"Non è solo una questione di fiducia. Fa così quasi ogni notte, ha il terrore che possa succedermi qualcosa" ridacchia Braska, intenerito.
"Sempre il solito" bofonchio sottovoce, quasi commossa d'aver trovato un punto in comune col mio Auron.
"Scusa?"
"No, nulla"
Nella mia testa si rincorrono mille ricordi. Tutte quelle immagini che cervano di frenare, per non soffrire, e che custodivo gelosamente dentro me, ora stanno esplodendo fuori.
I suoi occhi dolci, le sue mani forti, la piccola risatina che ogni tanto gli fioriva sulle labbra, la stanchezza che lo percuoteva, di sera, accanto al fuoco, un piccolo bacio sulle mie palpebre.
I ricordi volteggiano dentro me insieme al vento della notte. Sprofondo un po' nel plaid.
Braska prende posto accanto a me, e rimane per un po' in silenzio; sembra essere rapito dal fuoco.
I rumori della foresta mi rilassano; avevo dimenticato come ci si sentisse, a domire all'aperto. M'è sempre piaciuto, il cielo sulla testa, nient'altro oltre il cielo e gli alberi. Ti fa sentire libera per davvero. Mi piacciono i rumori degli animali notturni, il leggero russare o respirare delle persone che viaggiano con te, le ore di guardia. Quando ero sola (o quasi), di notte, lasciavo fluire via tutte le mie preoccupazioni: osservavo il fuoco scoppiettare e piangevo un po', abbandonando i miei panni felici per un po' e trovando sollievo nelle braccia della tristezza. Ho sempre trovato in qualche modo stancante essere me.
Questa volta no - penso -,questa volta non devo a tutti i costi tirare su l'umore di tutti; posso essere me stessa, nessuno mi conosce qui.
"Assomigli a mia moglie" dice Braska, appena un soffio, riportandomi in questa realtà (se così si può definire), alzando gli occhi espressivi al cielo, ad osservare le mille foglie scure degli alberi rilucere e godere un po' anche loro della luce lunare - "morì", dice poi, mentre un piccolo sorriso triste gli nasce sulle labbra.
"T'ho osservata in questi giorni. Il mondo in cui ridi, in cui strizzi gli occhi oppure fai qualsiasi cosa. Le assomigli davvero tanto"
Arrossisco e abbasso lo sguardo allo sterrato per nascondere delle lacrime meschine che mi stanno riempendo  gli occhi.
"Ed ho pensato che non c'è altra spiegazione, se non che sei una sua parente, Rikku" Braska si volta verso di me, con emozione negli occhi ricordando mia zia, la mia bellissima e adorabile zietta.
Dovevate essere davvero una bella coppia.
Auron ogni tanto mi raccontava di loro due, di quanto s'amassero. Mi diceva che Braska non aveva mai tenuto tanto a una persona quanto a lei; persino Yuna, che lui amava con tutto se stesso. Mi raccontava di quanto Braska si commuovesse a pensarla, e alla sua determinazione nel continuare il pellegrinaggio per lei.
Anche Auron, mi disse, un giorno, che le somigliavo. E poi ridacchiò, sussurrando qualcosa su un problema di famiglia, una battuta che non colsi. Anche se, ripensandoci, ora l'ho capita e ridacchio anche io, roca.
"Perché ridi?" chiede Braska con tono curioso, seppur ancora impregnato dalla commozione precedente.
"Pensavo a vecchi amici" rispondo, nostalgica.
"Rikku..." l'invocatore torna serio "...dimmi la verità, sei una parente di Sinda?"
E forse è il suo tono di voce. Forse il modo gentile in cui lui, come Yuna, sa pregarti. Forse il piccolo sorriso triste, oppure questa sensazione di rispetto che provo nei suoi confronti, forse la sorte che ha scelto, la consapevolezza che sta per sacrificare la propria vita per me, per tutta Spira, ma io proprio non riesco a mentire a Braska. 
"...sì"
Il volto dell'uomo si rilassa in un'espressione di tranquillità ponderata.
"Ed io che non credevo al destino. Trovo una ragazzina svenuta sulla sponda del Fluvilunio, un'albhed sconosciuta, sento questa scossa dentro come se dovessi soccorrerla, e cosa scopro..." ridacchia, lasciando la frase sospesa.
"Destino, eh?" sorrido leggermente "Vai a dormire, Braska. Domani abbiamo l'altra metà del bosco da percorrere, e quel cattivone di Auron non ammette ritardi" dico, storcendo la bocca e alzando gli occhi al cielo teatralmente.
"Hai ragione" Braska s'alza dal posto accanto a me. Mi poggia, per pochi secondi, una mano gentile sulla spalla e poi mormora un "buonanotte, allora" allontanandosi.
Mentre sento i suoi passi allontanarsi, mentre dei grilli friniscono, mentre mi perdo ancora una volta nel fuoco, sorrido piano a me stessa ed una lacrima sola mi riga la guancia.
E non lo so se ci credo, io, al destino.
Chissà domani cosa mi porterà. Chissà dove ritroverò me stessa. Chissà cos'hai pensato per me, Auron.






 
Caracollai verso l'ennesimo mostro, tendendo la mia piccola mano dentro il suo inconscio per pescare qualcosa. Trovai una granata e del senso di colpa per aver profanato i pensieri di un morto. Rubare era così, scavavi per un po' nella psiche del mostro stesso; alcuni di loro erano pesantemente coscienti della loro situazione, ricordavano ancora la loro vita: da loro si rubavano le rarità più preziose.
Il vento d'oltremondo, per esempio. Oppure - ricordo - del tetraelementale, dai quei piccoli e teneramente orribili esseri verdognoli, nella grotta dell'intercessore rubato, nella Piana della Bonaccia, oppure nei sotterranei di Bevelle, più recentemente. Come si chiamavano? Ah, giusto, i Tonberry; gran bella scocciatura. Attaccavano in base a quello che avevi dentro. Più avevi ucciso, più alto era il danno.
Ricordo...ricordo che per Auron erano davvero una dannazione, quei mostri; dopo ogni lotta si ritrovava, non solo ansimante e stanco, ma persino fiaccato nello spirito. Non so veramente cosa si provi, a ricordare ogni vita che hai rubato. Quei mostriciattoli erano davvero fastidiosi. Mi ci voleva una dose super-rinforzata di battute oscene per tirare su il vecchio. Pf.
Mi lancio contro il budino di neve che m'è davanti, un po' nervosa, lascio affondare le mie piccole daghe nella sua consistenza inconsistente; il danno è minimo.
Al mio fianco Auron (quello giovane, sconosciuto e sopratutto presente) volteggia - i suoi capelli corvini assieme a lui - e colpisce il mostro elementale con un potente Antiscutum. La strategia è quella di abbassare la sua difesa agli attacchi fisici e poi attaccarlo di continuo.
La sua tecnica di combattimento è un tantino più grezza, rispetto all'Auron che conoscevo io, ma è comunque ipnotico. Rimarrei immobile ad osservarlo per ore, mentre - vestito di rosso - si allena poco prima di pranzo, nella foresta viva.
In realtà in questi due giorni m'ha rivolto bene o male la parola un paio di volte, e vi assicuro che non è mai stato niente di illuminante, apparte un: puoi avere tu la tenda, e: basta che non fai la guardia, albhed. Insomma, andiamo alla grande!
Brontolone come al solito.
Mi ferisce ancora il pensiero che abbia dei pregiudizi contro la mia gente, ma in realtà, vedete, non è davvero una cosa di cui dovrei meravigliarmi. Me ne aveva parlato, bene o male; aveva raccontato d'essere stato un monaco yevonita, e, SINCERAMENTE, cosa ti aspetti da un monaco yevonita? Che balli la salsa bestemmiando Yevon e Stronzalesc...ehm...Yunalesca? Dai.
Sospiro, mentre mi muovo un po' sul posto, pronta ad attaccare. Il fisico contratto, pronto allo scatto, ma la mente persa in chissà quali pensieri.
Guardo le sue spalle muscolose e mi sento strana. Niente è più com'era un tempo col mio Auron. Non c'è più, naturalmente, quella piccola bolla di intimità che s'era creata, e neanche quella calamita che pareva spingermi verso di lui. Questa volta è come ripartire da zero; io non lo conosco, non so neanche chi sia questo Auron che m'è davanti.
Ieri notte pensavo che in effetti potrei anche non essere innamorata, di lui; non qui almeno, non in questo tempo. Io ero innamorata di quello che era l'Auron che conoscevo: di tutti i suoi dolori e tutto il suo passato. Ero innamorata di quello che era diventato vivendo, ed ora non so più niente.
Sono bloccata in questa realtà, e non riesco a pensare a nient'altro che a lui. Non è come riaverlo; è più doloroso: guarda, questo è l'uomo che amavi, eccolo, prima di conoscerti: guarda, ora è scomparso, è via, ma tu non puoi avvicinarti a questo sconosciuto e chiedergli di abbracciarti come lui stesso faceva - o è meglio dire avrebbe fatto? - in futuro.
La mente mi sta per scoppiare. Affondo le mie daghe nella consistenza gelatinosa del budino e, questa volta, il danno è alto. Abbastanza alto che basta solo un colpo leggero della lama di Jecht, per farlo esplodere in una pioggia di lunioli.


Tre giorni dopo.




Quando arriviamo alle porte di Guadosalam siamo tutti stanchi.
La foresta è scura, ma ci è alle spalle.
Caccio un sospiro di sollievo mentre butto le spalle in avanti, ciondolando stancamente le braccia.
"Rikku, sei stata molto d'aiuto! Guarda questa borsa piena di granpozioni che non ci saremmo mai potuti permettere!" mi dice Braska con un sorriso sincero e sopresa nella sua voce controllata.
Sorrido stanca e ridacchio un po', prima di sentire mormorare, dalla mia sinistra, un piccolo 'ladruncola'.
Jecht mi alza un sopracciglio, come a voler dire 'cos'è, non accogli la sfida?', ed è allora che i nervi mi si tendono e mi giro infuriata verso Auron.
"Scusami, non ho sentito bene"
Il ragazzo si ferma a metà del bosco, aggiustandosi intimidatorio la katana sulla spalla, e guardandomi con quei due pozzi scuri.
"Ho detto, miss, che sei una ladruncola"
Le mie mani si fissano direttamente sui fianchi. Sento le mie sopracciglia alzarsi con nervosismo e sbalordimento.
"Ma se vi sto aiutando!"
"Auron..." inizia Braska.
"No, stanne fuori Braska!" rispondo.
"Come osi..." Auron fa due passi e m'è vicino. Torreggia, più in alto, con il suo volto minaccioso illuminato dai raggi lunari.
Jecht prende per un gomito Braska e s'allontana un po' insieme all'evocatore; è la prima azione logica e razionale che gli vedo fare, penso, innervosita un po' con tutti.
"Sono stanca, stanchissima, distrutta, mi sono fatta in due per combattere e aiutarvi, e tu cosa bofonchi? LADRUNCOLA?!"
"Abbassa la voce" sibila l'uomo, ovviamente non abituato a sentirsi capeggiare così. Lo odio. E' così...insopportabilmente saccente e ironico. Arghhhhhhhhhhh.
"Perché? Hai paura che il bosco ci senta? O che gli uccellini si rendano conto che grande e grosso come sei non riesci a tenere testa a una ragazza albhed?" mi alzo sulle punte, mentre gli sputo contro quelle parole, armata del mio dito inquisitore.
Sono a pochi centimetri dal suo volto, e posso vedere il fuoco ardergli negli occhi. Quella rabbia sempre controllata che in lui sembra poter esplodere da un momento all'altro. Un vulcano in quiescienza.
Poi, svanisce, lasciando il posto solo ad un'asettica razionalità.
"Non ho paura di niente, figuriamoci di te" posa i suoi occhi su di me, altero e calmo "Ti reputo esattamente niente, per me potresti anche non esserci, malgrado il presunto aiuto di cui ci stai fornendo. Non ho niente a che vedere con te, non mi piaci, non mi piace il modo in cui scherzi con Lord Braska, né tantomeno quanto assecondi quell'ubriacone di Jecht. Spero d'arrivare presto alla Piana dei Lampi per lasciarti lì e poter continuare il pellegrinaggio"
Auron pronuncia queste parole con estrema tranquillità, nel silenzio della sera, tra i fruscii del bosco. Sentire la sua voce dire queste cose, sentirmi dire da lui, che io sono niente, è davvero...orribile.
Non so cosa rispondere. Guardo il suo volto dai bei lineamenti e non riconosco l'uomo che tanto ho amato.
Un singhiozzo mi scappa dalla bocca mentre mi sento annichilire e, piano, gli volto le spalle. La mia mano mi copre la bocca. Le sopracciglia si curvano, gli occhi si spalancano. Il respiro si velocizza, sento le mie spalle voler cadere verso il basso, facendo schiantare il mio intero corpo, ma resisto. Resisto.
"Allora...allora..." bofonchio, acuta; non so cosa vorrei dire, so solo che la voce mi si spezza e non sono in grado di pronunciare nessuna parola. 
Poi non resisto più.
Scappo. Con occhi sgranati, scappo.
Vedo, correndo, Jecht e Braska osservarmi interrogativi.
Scappo via. Mi ritrovo nella grotta prima della città. I miei passi rimbombano, una fioca luce verde rende tutto più sfocato.
Lacrime calde mi rigano il volto mentre qualcosa dentro di me si scuote, mentre il dolore è troppo.
Entro nello stretto corridoio di terra, scappando, sentendo i passi del gruppo alle mie spalle, Jecht che cerca di correre, Braska ponderato, che dice qualcosa, ma non riesco capire; non odo i suoi passi. Pensandoci, sarà rimasto nella foresta.
O forse no.
Forse non so più cosa farebbe Auron.
Forse non so più niente.
Niente...




Questa calma è salvifica e strana.
Sono seduta sul bordo di una piattaforma, ai miei piedi fiori e lunioli e mille luci in questo tramonto eterno.
Il mio sguardo è vacuo, lo sento, non riesco a focalizzarmi su nulla. Le labbra mi bruciano un po', tiro ancora su col naso e gli occhi sono arrossati, ma lo spirito è quieto. Quieto e...vuoto, forse.
L'altro giorno, mentre combattevo al suo fianco e volteggiavo colpendo nemici, lo osservavo con la coda dell'occhio e vedevo che mi guardava. Speravo fosse ammirazione.
Mi stava studiando.
Di sera, seguiva i miei movimenti mentre cucinavo. Di mattina, era sveglio da prima di me e mi osservava con discrezione, sempre in tralice, mai apertamente.
Ed è...inquietante, vedere quanto poco si fida di me (dopotutto sei una sconosciuta, Rikku) (Ma sono con loro da giorni, ormai) (sei tu che li reputi già conoscenti, perché in effetti li conoscevi da prima, dalle parole ascoltate e i racconti...).
Questi pensieri mi stanno annichilendo. Sono stanca, sola. Voglio tornare a casa.
Tiro le ginocchia al petto, ed odoro l'aria.
Profuma di lui.
Poi, sento dei passi. Lenti, ritmici, degli stivali.
Una lacrima mi solca il volto mentre sento la sua solita mano sulla mia spalla ed un abbraccio caldo attorno alle spalle.
Ma questo è il mio Auron. Il mio guardiano. Il mio lontano, rosso, orbo amante.
E questi, qui in terra, sono i pezzi del mio cuore.
"Perché mi stai facendo questo?" gli chiedo, senza parlare.
E lui mi stringe; la durezza della sua postura svanita del tutto.
Vengo, piano, girata verso il suo petto (ma non posso vederlo, ho gli occhi chiusi), e sento le sue labbra sulla mia bocca tremula...
E' allora che mi sveglio; sola, fra il tramonto eterno dell'Oltremondo, Braska inginocchiato vicino a me e niente se non un buco nel mio petto...
"Rikku...sono mortificato"
Mi metto a sedere "...mi sono addormentata"
Braska rimane in silenzio, per poi alzarsi con un sorriso e mimando con la mano di restare lì dove sono. Sono un po' confusa. Sono confusa da quando sono giunta qui; tutto questo dovrebbe avere i bordi di un sogno, ma è così reale da sembrarmi, appunto, surreale.
Mi stropiccio gli occhi e deglutisco, ferendomi un po' la bocca impastata dal pianto e dal sonno.
Poi sento ancora dei passi venire verso di me. Il mio sguardo è perso nei giardini eterni e nei lunioli.
"Rikku"
Sorrido un po' mesta alla sua voce, e so che ora non è un sogno.
Il giovane guerriero si siede accanto a me, volto girato dall'altro lato e postura imbarazzata. Si sta mordicchiando l'unghia del pollice - non ho mai visto Auron tanto imbarazzato e nervoso - e sembra stia cercando le parole, oppure che stia combattendo una sua battaglia interna.
Lo osservo. Mi fa tenerezza.
Sembra dispiaciuto, e dopotutto chi sono io per giudicarlo? Non è colpa sua se è stato praticamente cresciuto nel grembo di Yevon, se non riesce ancora a distaccarsene. Io so che avrà la forza di farlo, e questo mi rende fiera abbastanza. Come una madre.
"Rikku, mi dispiace" dice piano, orgoglioso e fiero.
"No, dispiace a me, Auron. Vi ho causato dei problemi, e vi starò rallentando, probabilmente"
Vedo un solco di preoccupazione incavarsi fra le sue sopracciglia.
"Rikku" sospira e abbassa le spalle, come se quello che sta per dire fosse qualcosa di ostico e difficile da pronunciare "...no...hm...ci sei stata...d'aiuto"
Spalanco gli occhi e lo vedo, mentre mi sbircia per un secondo da sotto le sopracciglia, orgoglioso.
Non posso fare a meno di sorridere forte, e sentire tutta la forza tornarmi.
Sospiro pesantemente, soddisfatta, al che lui si irrigidisce ancora e aggiunge, alla sentenza di poco prima: "ci sei stata un po' d'aiuto"
 "AURON!"
E rido, mentre impacciato s'alza e si dirige irritato come al solito verso l'uscita, bofonchiando qualcosa che non comprendo, ma che so essere suoni indistinti e innervositi.






La locanda è gestita da un vecchio signore non molto simpatico.
Mi rendo conto di quanto la cultura guado sia arretrata, in questi anni: gli occhi sono tutti puntati su di noi, Braska è additato come uno sciocco invocatore, ed io sono qui, ad occhi bassi, per non farmi riconoscere come albhed.
L'odore di spezie e stoffe mi sta annebbiando i pensieri. Al bar della locanda Auron ha ordinato una strana bevanda che puzza, e quando gli ho chiesto cos'è, mi ha risposto che non voglio davvero saperlo. Beh, perlomeno è una risposta più sensata e composta del solito mutismo.
Braska sembra contento; del fatto che Auron si sia scusato, intendo, anche se pensandoci gliel'avrà suggerito proprio lui stesso. O forse l'ha addirittura obbligato. Non so. Non voglio pensarci.
Ci sediamo ad un tavolo per la cena, ed io tengo fissi gli occhi sulle carni speziate che ordiamo, pagando con i vari gil rubati dai nemici.
"Rikku", mi chiama ad un tratto Braska, sorridendomi gentile "Non dovresti tenere il volto così in basso, non ce n'è motivo"
Auron si irrigidisce un po', guardando di sottecchi Braska.
So cosa vuol dire; lo so, che Auron non vuole problemi a causa mia, né tantomeno vuole che Braska sia additato come l'invocatore con la blasfema albhed nel gruppo. Lo capisco benissimo.
"Braska, ti ringrazio, ma credo sia meglio così"
"No, è una vergogna, nessuno dovrebbe nascondere le proprie radici"
"Non le sto nascondendo, le sto ignorando"
"Lord Braska, forse è meglio..." inizia Auron, silenzioso e quasi...rispettoso?
Lo guardo, alzando piano gli occhi, per poi riabbassarli. Era preoccupato.
Jecht osserva la scena in silenzio, stanco dalla lunga giornata di viaggio. Oggi ha utilizzato al massimo la sua forza magica, infondendo all'intera squadra continui     haste, quindi è ragionevole che sia stanco.
"Braska, davvero, grazie, non voglio causarti problemi"
Auron mi guarda per un secondo, confuso, e sembra addirittura - ancora - dispiaciuto. Chissà.
"Questa carne è buonissima, mi ricorda i barbeque di domenica, nella vecchia Zanarkand"
Al nome della città, Auron e Braska si induriscono e si guardano, turbati.
"Ahem..." continua Jecht, accortosi dell'errore - cosa di cui, però, non mi sono accorta io - e grattandosi la nuca con la mano destra (altro piccolo particolare che mi ricorda totalmente Tidus).
"Rikku?" mi chiede Braska.
"Cosa?"
"Hai sentito per caso quello che ha detto Jecth?"
"Oh, certo, i barbeque di Zanarkand" dico sovrappensiero.
"E non ti stupisce?" chiede, piano, l'invocatore, occhi sgranati.
"Oooooooh!" ora capisco. Metto su la mia migliore faccia sopresa ed esclamo con finto, esagerato interesse "Zanarkand? Come può essere?! Permettono di fare barbeque lì?"
Auron alza gli occhi al cielo "Jecht è stato troppo vicino a Sin"
"Oh, capisco" dico, riempiendomi la bocca di un pezzo di carne, per evitare di dire qualcosa di stupido. La mia demenza è sempre in agguato.
Jecht mi alza un sopracciglio, ma faccio finta di non vederlo. Ha capito, che io so qualcosa, nel momento in cui non mi sono stupita della sua affermazione.
Dannazione.
Dannato Jecht! Dannato pellegrinaggio!
Dannati tutti.
Arrossisco mentre mastico, irata; un pezzo di carne mi va di traverso, e tossisco, attirando le attenzioni di tutta la sala. Poi butto giù un bicchiere d'acqua, battendomi il petto con un pugnò.
"Fiù, c'è mancato poco" sospiro forte e sento Jecht ridere.
"Ehy, biondina, cos'è, pensare a me ti fa arrossire?" dice l'uomo, arrogante.
Sfoggio la mia miogliore espressione ironica "Oh, sì, non sai quanto. Sei un tarlo da una settimana, ecco. Un tarlo insostenibile"
"Beh ci credo...povera creatura, devi essere provata da questo immenso sentimento! Perché non lo sfoghi un po'?" Jecht alza un sopracciglio, sarcastico "...io purtroppo sono impegnato, ma...ecco, c'è un mio amico disponibile" ridacchia con quella sua risata roca e sgraziata mentre con un cenno della testa indica Auron, alla sua sinistra.
Sento la mia faccia andare in fiamme. Non voglio vedere il volto di Auron. Oddio. Abbasso gli occhi verso il mio piatto e sussurro, lenta "Jecht. Ti ammazzo"
Braska, per fortuna, interrompe il momentoimbarazziamo-la-piccola-Rikku, e si alza dal tavolo, lasciando i soldi del conto sotto il piatto, e dicendo d'aver sonno.
"Abbiamo ordinato due camere," aggiunge "Una va a me e Jecht, l'altra a te e Rikku", dice poi ad Auron, provocando il mio sgomento.
IO. AURON. STESSA STANZA. NOTTE.
L'ultima volta che è successo le conseguenze sono state...tangibili (?) - PIU' CHE ALTRO UDIBILI, ecco.
Oh mio Dio, oh mio Dio.
E' una congiura, una congiura contro il mio apparato respiratorio. Tachicardia. Iperventilazione. Defungo, qui, ora.
"Cosa...perché?" chiede Auron, alzandosi dal tavolo.
"Beh, strategicamente, dovresti spiegarlo tu a me" risponde l'invocatore.
Intreccio le braccia dietro la schiena, sono in piedi nella sala, gli occhi ancora verso il basso, e sto praticamente odiando Braska. Ed io che pensavo mi avesse salvato dalle battutine di Jecht...Mphf. Di male in peggio.
Jecht - in tutto questo - diciamolo, che sta ridendo in due, dentro di sè, e che si trattiene solo perché spaventato dalla futura possibile reazione di Auron.
VI ODIO.
"Auron, uhm" continua Braska, alzando di un poco gli occhi al cielo "Da quanto abbiamo potuto sperimentare, Jecht e Rikku sono due ritardatari, se li mettiamo in stanza assieme rischiamo di doverli svegliare domani a rastrellate, non ti sembra?"
"Hm"
"Qundi...buonanotte!" dice Braska, dirigendosi verso la sua stanza.
"Divertiteviiiih!" urla Jecht prima di sparire alle spalle dell'invocatore.
Quindi.
Eccoci qui. 
Vorrei che una voragine si aprisse appositamente per ingoiarmi.
 

Sono seduta a gambe incrociate sul letto matrimoniale. Non ci posso credere, non è neanche una stanza con i letti divisi! Jecht e Braska la pagheranno. Eccome se la pagheranno.
Auron è bellissimo; è appena uscito dal bagno, scusandosi con me per la nostra sistemazione (da quand'è che è così gentile? - forse è perché oggi era triste), con indosso i suoi pantaloni neri ed una maglietta accollata, dello stesso colore. Il particolare veramente stupefacente sono i suoi capelli neri, nerissimi, bagnati e lucidi, dopo un bagno caldo (c'è ancora vapore dal bagno), sciolti sulle spalle. Sono davvero lunghi...e sinuosi. Una pioggia di inchiostro.
La luce è fioca nella camera, e penso di sembrare proprio un'idiota, a gambe incrociate sul letto, con la faccia bassa.
"Non devi continuare a nasconderti" dice l'uomo, con un tono che sa quasi di predica.
Alzo lo sguardo, ed una voragine di apre nel mio petto alla vista dei suoi occhi...
è ancora il mio Auron, è ancora lui!
"Ahem..." non so cosa rispondergli.
Auron sembra irritato "Perché sei sempre così incazzato?" gli chiedo.
Si volta verso di me, osservandomi in silenzio. Si corruccia un po' "Mh" non risponde.
"Perché non ti fidi per niente di me?"
"Non ti conosco. Sei una ladra."
"...e?"
"...e sei un'albhed"
Sorriso, un po' rattristata.
Auron sbuffa forte, rabbioso con se stesso "Mhn, non è perché sei albhed. Lo era, ma..."
"Ma?"
"Ho capito che non un buon grado di giudizio, ok?" alza un sopracciglio verso di me, voce irritatissima.
"E quindi?"
"Quindi non mi fido di te perché sei una ladra, e perché non ti conosco" conclude.
"Rubo solo ai mostri, sai" dico, contorcendomi le dita, un po' rossa.
"Umpf. Cosa farai?"
"Cosa farò quando?"
"Alla Piana dei Lampi, cosa farai?"
"Resterò lì" - mento.
"Non sei stata ripudiata dagli albhed?" chiede, saccente.
Mi corruccio.
"Scusa" aggiunge, profondo. Ma è bipolare? No, perché...boh.
"No, è vero. Resterò lì comunque..."
"Umpf"
Auron si siede di spalle all'altro lato del letto.
"Ti prende un accidente se dormi con i capelli tutti bagnati" mormoro.
"Prendi tu il letto" mi dice.
"Posso asciugarti i capelli, sai?" dico, mettendomi con le ginocchia in piedi sul letto e camminando verso la sua schiena. Lo vedo irrigidirsi al rumore delle molle del materasso cigolanti.
"Hm?" risponde, deglutendo.
"Sì, lo usiamo noi ragazze per asciugarli; è magia nera, un combinato di aero e fire, ma leggero. Una folata di vento"
"Hm" - è imbarazzato.
Sono alle sue spalle. Posiziono piano le mie mani poco distanti dai suoi capelli, e mi concentro. In poco tempo, una calda folata di vento gli fa svolazzare i capelli setosi, asciugandoli.
Dalla finestra aperta i rumori della notte rimbombano nella stanza. I grilli, i gufi, il vento.
I capelli di Auron si posano leggeri sulle sue spalle, mentre una ciocca - una sola - di una morbidezza commovente e indescrivibile, rimane sulla mia mano, su una nocca infreddolita dalle notti all'agghiaccio.
Non so da dove pesco il coraggio per farlo, ma gliela riposiziono dietro l'orecchio con una cura ed una devozione tale da spaventarmi da sola.
Ed è allora che Auron quasi salta dal letto, ed è in piedi, e si irrigidisce, e distrugge ogni contatto: è allora che il muro fra noi ritorna.


Quella notte, anche se dormii sola, sentii Auron accanto a me, sul pavimento. Ascoltavo il suo respiro ponderato, e sapevo che era sveglio.
Lo sapevo dai lenti movimenti circolari del suo pollice sul suo stomaco, lo sapevo dai suoi occhi semiaperti che osservavano fuori la finestra le luci terrene di Guadosalam notturna.
Lo sapevo perché, per un po', m'ha guardata dritto negli occhi, senza dire una parola, e la tristezza era nelle sue iridi.

 
 
 
   
 
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