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Autore: BlueCinnamon15    09/10/2012    6 recensioni
Blaine ha sette anni quando vede Kurt per la prima volta.
Ha sette anni e non può sentire il rumore della pioggia.
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Deaf!Blaine
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ho questa storia in cantiere da un pezzo, e credo che sia la prima cosa seria che porto a termine.

Devo dire che è un po’ come una figlia: una mia cara amica mi ha detto che c’è tanto di me stessa, qui dentro.

E forse è vero.

E’ qualcosa di diverso, ma vi prego di dargli una possibilità, mi farebbe moltissimo piacere.

Un ultima cosa: non conosco persone affette da sordità ed io per prima non lo sono, tutto ciò che ho scritto è frutto di ricerche che possono aver portato a risultati sbagliati, quindi sono bene accette le critiche e le puntualizzazioni di chi è più esperto di me. Sono davvero ignorante in materia. Ho cercato di trattare l’argomento con la maggior delicatezza e neutralità possibile, se ho offeso qualcuno chiedo infinitamente, scusa, non era mia intenzione.

 

 

 

Raindrops and homes.

 

 

 

Era un giorno di pioggia la prima volta che Blaine lo vide.

Il ricciolo era seduto sulla sua poltroncina verde preferita, quella che la mamma gli aveva regalato per il suo ultimo compleanno.

Blaine aveva tanto voluto poter sentire la voce della mamma, come regalo di compleanno, ma quello, la mamma gli aveva spiegato, non era un regalo possibile.

Quindi quel giorno, dall’ altezza dei suoi sette anni, Blaine era seduto sulla sua poltroncina verde che aveva ricevuto al posto della voce dolce - lo sapeva che era dolce, poco importava che, in realtà, non potesse saperlo - di sua madre, con un libro aperto sulle sue piccole gambine e degli occhiali troppo grandi che continuavano a scivolargli giù dal naso.

Dopo un lungo periodo in cui ci aveva pensato, aveva alla fine deciso di posizionare la sua poltroncina nella stanza con le finestre grandi.

In verità il segreto di quella stanza era che non ci fossero finestre, perché tutte le pareti erano fatte di vetro, ma Blaine si ostinava a chiamarla stanza dalle finestre grandi perché così nessuno avrebbe capito che invece era un posto speciale, e nessuno avrebbe quindi rubato il suo nascondiglio segreto.

In effetti, ora che ci pensava bene, non era proprio una stanza, era più un balconcino nascosto dalle sue tendine dei Power Rangers, ma, se quelle tendine erano bene tirate, allora sembrava davvero una stanzina, ed a Blaine andava bene così.

Ma il vero motivo per cui Blaine amava quel posticino era la pioggia.

Blaine poteva quasi  sentire il delicato picchiettare delle piccole gocce sulle pareti della sua stanzina.

Vedeva quei piccoli cerchiolini luminosi che si infrangevano contro  il vetro e poteva quasi gustare il ticchettio, le vibrazioni, il leggero strisciare dell’ acqua.

La verità era che non sapeva cosa fosse un ticchettio, non sapeva neanche cosa che rumore facesse la pioggia sui vetri.

E, se vogliamo essere del tutto sinceri, non sapeva neanche cosa volesse dire la parola dolce riferita alla voce di una persona.

Sapeva solo che il cioccolato che la nonna gli dava sempre era dolce, e, se la voce della sua mamma era dolce come il cioccolato, allora era più che contento che fosse lei la sua mamma.

Comunque, Blaine era conosciuto come una persona che divagava molto.

Forse era perché aveva molto tempo da passare da solo, forse perché nel silenzio della sua camera, della sua vita, di tempo per pensare non ne mancava, a volte era addirittura troppo.

Ed il suo divagare stava portando quella storia su binari che non aveva avuto intenzione di percorrere quando aveva iniziato a raccontarla.

In effetti era abbastanza sicuro che, quando aveva iniziato a raccontare, l’aveva fatto con l’intenzione di non parlare di sé stesso, ma di Kurt.

Kurt era il bambino più bello che avesse mai visto.

Non che ne avesse visto tanti, la sua mamma diceva che per lui era meglio studiare a casa, che gli altri bambini non erano speciali come lui.

Blaine sapeva che non era vero, ma sorrideva sempre e annuiva.

Ma qualcosa in quel bambino semplicemente gli diceva che era bello.

Forse erano i capelli color nocciola, pettinati ordinatamente dietro le orecchie, o forse quel cappottino azzurro mare che lo faceva sembrare morbido come una nuvola- Blaine si chiese cosa avrebbe provato se lo avesse abbracciato mentre indossava quel cappottino- o forse erano i suoi occhi.

Sì, perché dall’ alto della sua stanzina Blaine poteva comunque vedere quegli occhiettini azzurri, profondi e scintillanti che brillavano di allegria mentre il ragazzino cercava di correre sotto la tettoia tra le braccia di suo padre, ridendo.

Blaine non lo avrebbe mai detto a nessuno, forse neanche a Kurt, ma era quasi sicuro che quella risata, non il suo suono, che per Blaine era vuoto, ma il modo in cui il nasino di Kurt si arricciò, il modo in cui i suoi occhi si strizzarono formando delle piccole rughette attorno ad essi, il modo in cui le labbra si distesero e la testa si inclinò di lato, ecco, quella risata fu ciò che lo fece innamorare di Kurt.

Piuttosto precoce, può sembrare.

A sette anni essere già innamorati? Ci sono persone che arrivano alla fine della loro vita e che non sono sicuri di aver mai amato una volta.

Ma Blaine era un bambino speciale, o almeno questo era quello che la sua mamma continuava a dirgli, e, visto che a quanto pare non c’era modo di convincerla del contrario, allora tanto valeva essere speciali a modo proprio.

Fu così Blaine che decise che i bambini speciali si innamorano a sette anni.

 

 

Dopo quel giorno Blaine prese sempre più spesso l’abitudine di sedersi sul suo balconcino- stanzina- per osservare Kurt tornare a casa da scuola.

Lo vide cambiare diversi cappotti, accorciarsi i capelli ed alzarsi piano piano.

Ma non ebbe mai il coraggio di avvicinarsi e sventolare la sua manina a mo’ di saluto, e poi magari stringerla con quella di Kurt, pronunciando lentamente le parole “Mi chiamo Blaine” e sorridendo alla fine con orgoglio.

Per lui era abbastanza sedersi lì ogni giorno a guardare quel bambino dagli splendidi occhi blu, ascoltandone la risata, con gli occhi.

 

 

Non si era accorto di quanto fosse dipendente dal suo sorriso fino a che, in uno dei suoi giorni da fiero bambino di otto anni, non lo vide più, rimpiazzato da pesanti lacrime che rigavano le guance di Kurt e da un abitino elegante nero, di quelli che si indossano per i matrimoni o per i funerali.

E Blaine non era stupido, Blaine era un bambino speciale, ed aveva notato che la mamma di Kurt non scendeva più dalla macchina con lui quando tornava a casa da scuola.

Quindi Blaine continuò a sedersi nel suo rifugio, giorno dopo giorno, con la sola speranza di rivedere quel bellissimo sorriso dipinto nuovamente sul volto di Kurt, e con il desiderio fisico di uscire da quella casa ed avvolgere le sue corte braccine attorno a quel corpicino delicato.

 

 

L’ultima volta, o almeno così credeva, che Blaine lo vide fu a dieci anni.

Era sempre rintanato dietro la tendina dei Power Rangers e stava aspettando di vedere Kurt di nuovo.

Ora il ragazzino era tornato a sorridere.

Non era un sorriso pieno, le rughette erano meno marcate, e gli occhi brillavano di meno, ma  era sempre meglio di niente, pensava Blaine.

Vide le sue amate tendine muoversi, ed il viso di sua mamma fare capolino tra i due lembi precedentemente accostati, allora le fece un cenno d’invito, e poi indicò uno sgabellino libero.

Con la sua mamma poteva anche condividerlo, quel suo piccolo posticino segreto.

La donna si sedette quindi accanto a lui e seguì il suo sguardo fuori dalla finestra, e, quando vide dove puntava, le sopracciglia si contrassero in un’ espressione confusa.

Non mi hai mai detto di conoscere Kurt. Segnò velocemente al figlio.

“Non lo conosco “ rispose Blaine, senza distogliere lo sguardo dalla finestra.

Non seppe bene riconoscere il sentimento che balenò negli occhi della sua mamma, ma gli sembrò molto simile a sollievo.

Aveva sperato di poterle confessare il suo piccolo segreto, il suo essere innamorato di quel bellissimo bambino, ma qualcosa nell’ espressione che la sua mamma aveva in quel momento lo trattenne dal farlo.

Bene continuò quindi Girano strane voci su di lui. Ma so che tu sei un bimbo speciale, Blaine, e sei bravo abbastanza per saper scegliere gli amici giusti.

Blaine avrebbe volentieri risposto che, di amici, non ne aveva, visto che doveva sempre stare rinchiuso in quella casa, ma venne interrotto dalla sua mamma prima di riuscire a parlare.

Tanto tra poco si trasferiscono. Scrollò le spalle Mi chiedo chi sarà il nostro prossimo vicino! Magari è una bella bambina, Blaine!

In condizioni normali Blaine sarebbe rabbrividito di disgusto a pensare ad un'altra bambina nel modo in cui la sua mamma voleva che lui pensasse, ma in quel momento Blaine non aveva quasi sentito quell’ ultima parte,  la sua mente ferma alle parole tra poco si trasferiscono.

Il pensiero di non rivedere più Kurt per il resto della sua vita, in quel momento, gli sembrò quasi più doloroso del non saper distinguere il dolce del cioccolato, ed il dolce della voce della sua mamma.

 

 

Quando Blaine rivide Kurt nuovamente, erano passati altri sette anni.

Il Blaine diciassettenne era molto diverso dal Blaine di otto anni che si era innamorato di lui.

Forse, come si divertiva a puntualizzare suo padre, l’altezza era rimasta uguale, ma Blaine era cambiato dentro, ed aveva iniziato a vedere.

A vedere oltre il sorriso gentile di sua madre e come fosse facile da distruggere quando, a quattordici anni, decise di fare coming out ai suoi genitori ed annunciare che fosse gay.

A vedere suo padre smettere lentamente di mantenere anche il più sottile filo di comunicazioni con lui e rientrare sempre più tardi dal lavoro.

A vedere come il cuoricino di un ragazzino di quattordici anni fosse ancora troppo debole per sostenere il peso dell’ essere odiato dai genitori.

Era stato in quel momento  che aveva deciso che sarebbe andato a scuola.

Da una parte sperava di poter passare a casa il minor tempo possibile, dall’ altra sperava di farsi nuovi amici e trovare un posto in cui fosse pienamente accettato.

Quindi passò un numero infinito di sere seduto alla sua scrivania con il pigiama addosso e la lucina da tavolo accesa,  a cercare tutte le informazioni possibili ed immaginabili su come un ragazzino che non potesse sentire potesse andare ad una scuola normale, ed impegnandosi nel perfezionare la comprensione del linguaggio delle labbra.

Quando presentò il malloppo sulla Dalton Academy ai suoi genitori non seppe dire se fu felice o ferito nel non ricevere nessuna opposizione.

Optò per l’essere felice, visto che di tristezza nella sua vita ne aveva già abbastanza.

 

 

Il primo giorno di scuola fu mortificante.

Si ritrovò a rispiegare daccapo, come con ogni persona nuova che incontrava che, sì, era sordo e che non poteva sentire ma che poteva parlare e che, per ascoltare le lezioni, poteva leggere abbastanza bene le labbra del professore che spiegava oppure si serviva dei libri, ma che comunque la Dalton gli avrebbe fornito almeno un insegnante in grado di parlare il linguaggio dei segni per le situazioni più difficili.

Ma i ragazzi in quella scuola sembravano davvero gentili, e Blaine si ritrovò ben presto dal non avere un amico, ad essere circondato da Wes, David, Nick, Jeff ed altri ragazzi che dicevano di far parte degli Warblers, il Glee Club- Blaine scoprì in seguito che si trattava di un gruppo di persone che si riunivano per cantare- della Dalton.

Blaine scoprì che un sorriso a volte vale più di mille parole, e che esistono delle persone speciali che ti staranno sempre vicine perché quella è la vera amicizia.

Si divertì tante volte a guardare i numerosi tentativi dei suoi amici di imparare il linguaggio dei segni, ed allo stesso tempo gli occhi gli si riempivano di lacrime, perché sotto la goffaggine di quei segni stentati, Blaine poteva, per la prima volta, sentire un affetto sincero.

E si ricorderà per sempre quella volta, il suo secondo anno, quando, riunito nella sala comune dei dormitori con i suoi amici, qualcuno che cantava una melodia della quale Blaine poteva solo percepire le vibrazioni e qualcuno che rideva per uno scherzo che David aveva fatto a Wes, si sentì veramente a casa.

Sentì veramente di appartenere al cuore di qualcuno, nel profondo, e di potersi fidare.

Quindi, prendendo un bel respiro, aveva alzato la voce e detto di essere gay.

Il tempo si era fermato per un momento, e tutti avevano smesso di parlare o cantare.

Blaine aveva iniziato ad aver paura di aver sbagliato, di averlo detto troppo presto, troppo velocemente, ma, improvvisamente, tutti erano scoppiati  in una risata divertita e David gli aveva segnato che non aveva mai visto un’ espressione così spaventata in tutta la sua vita.

Wes annuendo si era avvicinato a lui. Seriamente, amico, se fossi stato etero avresti fatto tutta questa scenata per dircelo?

Blaine aveva scosso la testa confuso.

Allora non vedo perché tu debba farlo perché sei gay. Non cambi tu se cambia chi ami, Blaine, ricordatelo.

Anche questo Blaine non lo ha mai detto a nessuno, ma quel giorno giurò di aver sentito la propria risata risuonare alta e satura di sollievo nell’ aria.

 

 

Ovviamente non fu tutto rose e fiori.

C’erano giorni in cui la frustrazione di non poter sentire i suoi amici cantare si faceva sentire, e Blaine fuggiva nel suo dormitorio e restava chiuso in camera per il resto della giornata, raggomitolato su di sé.

Altri giorni in cui tutti ridevano per qualcosa che aveva detto il professore che Blaine non aveva capito perché per un momento aveva distolto lo sguardo dal suo viso.

E poi c’era stato Sebastian.

Sebastian con quel suo sorriso malizioso.

Con quei suoi modi di fare che avevano fatto sentire Blaine desiderabile, voluto.

Sebastian gli aveva rubato il cuore, lo aveva tenuto per sei lunghi mesi, e poi glielo aveva restituito a pezzi.

Ma Blaine aveva al suo fianco i suoi amici, e, quando il ragazzo lo aveva lasciato e si era trasferito in un’ altra scuola per stare vicino all’ amore della sua vita, che, a quanto pare, non era Blaine, erano restati al suo fianco e lo avevano sorretto e riportato  sorridere.

 

 

Ma, d’altronde l’aveva già detto in precedenza, Blaine tendeva a divagare.

E si era quasi scordato di voler parlare di Kurt, quasi.

Il giorno che lo rivide, dopo sette lunghi anni, non stava piovendo, anzi, c’era un bellissimo sole che splendeva alto nel cielo e nessuna nuvola in vista.

Era un giorno speciale, era il giorno delle Regionali e gli Warblers stavano per esibirsi davanti ai giudici più importanti di tutto l’Ohio, e Blaine non poteva che essere fiero dei suoi amici.

Quando arrivarono all’ auditorium del McKinley, dove si sarebbe tenuta la competizione quell’ anno,  Blaine poteva percepire chiaramente il nervosismo e l’eccitazione dei suoi compagni.

Lo capiva dal modo in cui Wes giocava con il suo orologio da polso, David picchiettava il sedile di fronte a lui e tutti gli altri strizzavano gli occhi più volte del normale.

Entrarono nell’ auditorium di corsa e si posizionarono nei sedili riservati per loro.

In poco meno di un’ ora i suoi amici sarebbero saliti sul palco davanti a lui per cantare, e lui sarebbe rimasto tra il pubblico a guardarli.

Delle volte faceva male il non poter comprendere la musica.

In qualche modo, dentro di sé, sapeva che, in un'altra vita, in un altro corpo, in un altro Blaine, avrebbe potuto vivere solo per quella.

Non la conosceva, ma qualcosa vibrava nel profondo della sua anima quando poggiava le mani sui tasti del pianoforte nella sala degli Warblers, nessuno nei paraggi, qualcosa si muoveva quando accarezzava di nascosto le corde della chitarra di Flint, suo compagno di stanza, e le vibrazioni si propagavano nelle sue dita, nella sua mano, nella sua carne, nelle sue ossa.

Non la sentiva, ma la sentiva.

La mano di David sulla sua spalla lo riscosse dai suoi pensieri, e lo vide segnargli che sarebbero andati nel backstage a fare le prove della performance, visto che erano i primi a doversi esibire.

Blaine annuì e urlò un buona fortuna che fece sorridere tutti i suoi compagni.

La mezz’ora restante passò velocemente, e Blaine si ritrovò all’ improvviso circondato da persone, un mare di persone, che immaginava stessero parlando, emozionate o nervose.

Ad un certo punto le luci si spensero, e Blaine si ritrovò ad osservare i tre giudici che salivano sul palco e spiegavano le regole della competizione.

Poi il sipario si chiuse e Blaine strinse forte le sue mani.

Perché quello era il momento.

Con un movimento fluido il sipario si aprì nuovamente e le luci conversero al centro del palco, dove un gruppo di una ventina di ragazzi vestiti in giacca e cravatta blu e rosse si muovevano sincronizzati.

Quello che Blaine non si aspettava era che, nel momento in cui iniziarono a cantare, le loro mani si alzassero all’ altezza dei loro stomaci ed iniziassero a fare movimenti strani.

Movimenti strani e probabilmente senza senso per la maggior parte delle persone presenti, ma con un preciso significato per Blaine.

Significavano amicizia, felicità, casa.

Ed in pochi secondi si ritrovò le guance bagnate e gli occhi schiariti dalle lacrime, un sorriso dipinto sul viso.

 

 

Dopo che gli Warblers si furono esibiti, fu il turno di un gruppo canoro formato da signori probabilmente dell’ età di sua nonna a cui Blaine non fece troppo caso.

Infine, gli ultimi ad esibirsi sarebbero stati i ragazzi del McKinley.

Blaine alzò gli occhi con curiosità quando la luce, al posto di illuminare il centro del palco, puntò il retro dell’ auditorium dove una ragazza dai capelli castani ed un naso un po’ troppo grande sembrò intonare una canzone.

Blaine osservò rapito la sicurezza che sembrava emanare da quel corpo minuto, ed alla fine del numero applaudì forte, non vedendo l’ora di assistere al numero successivo delle New  Directions.

Ora, Blaine non si scordò mai di quel sorriso che lo aveva fatto innamorare. Lo avrebbe riconosciuto ovunque, anche dopo sette lunghi anni.

Fu per quello che, quando la luce del palcoscenico si riaccese per il secondo numero, a Blaine si immobilizzò  dalla sorpresa nel vedere che fu proprio quel sorriso ad essere illuminato.

Quello, ed un ragazzo bellissimo con dei famigliari capelli color bronzo e due inconfondibili occhi color del cielo.

Ed il respiro di Blaine gli si fermò in gola, quando i ricordi di un bambino bellissimo avvolto in un cappotto azzurro mare gli inondarono la mente.

Ma niente, neanche i suoi ricordi più felici, era comparabile alla bellezza di quel ragazzo, Kurt, che cantava, gli occhi chiusi, i muscoli del viso rilassati ed il lungo collo esposto, che impercettibilmente vibrava.

Quando arrivò alla fine della canzone Blaine era pallido, senza parole e spaventato a morte.

 

 

Se c’era una cosa di cui Blaine andava fiero, era la sicurezza che aveva acquistato con il tempo.

La gente arrivava addirittura a definirlo carismatico e coinvolgente.

La verità era che Blaine amava stare al centro dell’ attenzione, amava quando le persone lo guardavano pendendo dalle sue labbra ma, più di tutto, Blaine amava essere gentile.

Non sempre era una cosa positiva, lo aveva sperimentato con Sebastian che la sua gentilezza, a volte un po’ ingenua e troppo disinteressata, lo rendeva più vulnerabile, ma Blaine ne aveva il bisogno, di aprirsi alle persone, di fidarsi di loro.

E così, con il tempo, la gente aveva iniziato ad amare il suo carattere, e, di pari passo, anche Blaine aveva iniziato ad accettarsi.

Quindi, quando alla fine delle esibizioni gli Warblers furono dichiarati vincitori e tutti si stavano preparando per andarsene, si chiese come mai quella sua tanto amata sicurezza che aveva lottato per raggiungere fosse scomparsa all’improvviso alla sola idea di avvicinarsi a Kurt, e lo aveva lasciato solo con delle ginocchia tremanti e la voce insicura.

Si alzò dalle poltroncine e poi in punta di piedi per scrutare la folla, e notò la ragazza di colore che aveva cantato il terzo numero delle New Directions uscire dall’ auditorium, circondata dalla maggior parte dei ragazzi.

Fu così che senza pensarci tanto si scusò dai suoi amici e, prima di ripensarci, cercò di raggiungere il gruppo.

Li vide dirigersi verso un pullmino ridotto piuttosto male e, finalmente, riconobbe Kurt, avvolto in un cappotto nero che rideva con la brunetta dal naso strano riguardo a qualche battuta che Blaine non poteva comprendere.

Affrettò il passo e, molto probabilmente, doveva aver calcolato male qualcosa perché arrivò vicino al pullman in meno tempo del previsto e si ritrovò in mezzo a facce quasi sconosciute che lo fissavano e cercavano di parlagli, senza uno straccio di piano.

Intelligente, Blaine, davvero intelligente.

Tentò di concentrarsi per cercare di capire che cosa stessero dicendo, ma le labbra si muovevano troppo veloci e la sua attenzione venne catturata dal ragazzo in piedi di fronte a lui.

Kurt era in piedi di fronte a lui.

Kurt gli stava parlando.

Kurt gli stava toccando la spalla.

Ed all’ improvviso fu tutto troppo tanto da sopportare, e Blaine si ritrovò a girarsi di schiena ed a correre nell’ auditorium, sperando di trovare un angolino abbastanza buio dove potesse raggomitolarsi e piangere tutte le sue lacrime.

 

 

Dopo quell’ episodio a Blaine ci volle qualche tempo per ritornare ad essere il ragazzo confidente di prima.

Ma, sempre aiutato dai suoi amici, riuscì ad andare oltre la sua delusione in sé stesso e continuare la sua vita.

Ovviamente gli equilibri sono fatti per essere distrutti, perché, non appena era passato un mese e Blaine sembrava essersi dimenticato dell’ accaduto, un forte vento costrinse Blaine, che, tornato a casa dai suoi genitori per il week end – non che ne fosse tanto contento- stava camminando per le strade di Lima, a ripararsi nell’ edificio più vicino.

Che capitò essere il Lima Bean.

Che era anche la caffetteria preferita di Kurt.

Cosa che Blaine, ovviamente, neanche immaginava.

Fu quindi in un giorno ventoso che Blaine rivide Kurt dopo le Regionali.

Aveva appena ordinato il suo caffè, ed era sollevato che fosse andato tutto liscio e che la cassiera non avesse fatto domande che Blaine non avrebbe potuto sentire, quando, girandosi per cercare un posto a sedere, notò che tutti i tavoli erano occupati.

Stava già progettando di uscire per vedere se il tempo fosse migliorato, ma la visione di un cartellone pubblicitario che volava in giro per la strada gli fece capire che forse non era un buona idea.

Decise quindi di farsi coraggio e trovare un posto a sedere vicino a qualche altro cliente.

Avvistò un tavolino per due occupato solo da un ragazzo che gli dava di schiena e che indossava uno strano cappello grigio e, notando che era anche vicino alla finestra e che in quel modo avrebbe potuto controllare il tempo, si incamminò in quella direzione.

“E’ libero?” chiese, sperando che il ragazzo rispondesse con un cenno del capo ed evitasse situazioni imbarazzanti.

Per sua sfortuna il ragazzo non sembrò neanche notarlo, mantenendo la sua testa inclinata sul libro che stava leggendo.

Per un attimo fu preso dal panico che qualcosa non andasse bene con la sua voce, ma poi notò che il ragazzo aveva le cuffie nelle orecchie, e optò per un leggero tocco sulla sua spalla, che lo fece sussultare.

Alzò quindi la testa e, quando i suoi occhi incontrarono quelli di Blaine, un lampo di ricognizione balenò in entrambi.

Kurt.

“E’-è l-libero?” tentò di nuovo Blaine cercando di suonare sicuro ed obbligandosi a non correre via di nuovo, ignorando le scariche di nervosismo che gli correvano sottopelle.

Il ragazzo annuì.

Lo vide dire qualcosa ed allungare la mano, e Blaine si affrettò a stringerla pronunciando il suo nome ad alta voce.

Probabilmente un po’ troppo ad alta voce perché vide il ragazzo ridere e dire qualcosa indicando le sue orecchie.

Blaine si chiedeva perché non riuscisse a capire cosa stesse dicendo, aveva anni d’esperienza a leggere le labbra dei professori, ma con Kurt qualcosa lo bloccava, lo distraeva.

E Blaine sapeva bene che erano le sue labbra, rosee e piene, che si stiravano ogni volta che pronunciava qualcosa.

Non si era accorto di essere rimasto incantato a guardarle fino a che non vide la mano del ragazzo sventolare davanti al suo viso, e si riscosse dal suo stato di trance.

“Non posso sentirti” disse quindi, cercando di sembrare non tanto inutile quanto in verità si sentiva.

Vide Kurt inclinare leggermente la testa di lato, evidentemente non capendo a cosa si riferisse, poi, all’ improvviso, iniziò a boccheggiare e gli occhi gli si illuminarono di consapevolezza.

Ora, Blaine se lo sentiva, ora arrivava quello sguardo.

Quello sguardo che non sopportava ma che, puntualmente, quando le persone realizzavano che fosse sordo, compariva sui loro volti.

Lo sguardo mi dispiace davvero tanto, dev’essere dura.

Lo sguardo di chi prova pena per te.

Era successo con tutti, anche con i suoi amici.

Quindi Blaine aspettò, sperando di non sentirsi tanto fenomeno da baraccone come succedeva sempre.

Ma, stranamente, tutto quello che Kurt fece fu sorridergli e fargli segno con le mani di aspettare, per poi rovistare nella tracolla poggiata a lato della seggiola e mostrare a Blaine un taccuino marrone ed una matita.

Così va meglio? Si affrettò a scrivere su un foglio che poi mostrò a Blaine.

Il ricciolo rimase a fissare la calligrafia minuta e leggermente inclinata verso destra per forse un po’ troppo tempo.

“M-molto, grazie” rispose Blaine stupito, e, per un istante, venne travolto dalla frustrazione di non poter sentire la voce di quel ragazzo.

Mi chiamo Kurt scrisse nuovamente.

“Blaine” sorrise il ricciolo, trattenendosi all’ ultimo dal dire lo so, e sentendosi lentamente rilassare.

Dove abiti, Blaine?

Blaine alzò il viso dal foglio e vide il sorriso del ragazzo invitarlo a parlare.

“Come mai?”

Sei tu, vero? Vide scribacchiato sul foglio.

Ma, prima che potesse rispondere vide Kurt fargli cenno di aspettare e riprendere in mano la matita.

Avevo un vicino prima di trasferirmi che aveva il tuo stesso nome. Non l’ho mai visto uscire e ma tutti sapevano che i genitori lo facevano rimanere a casa a studiare. Eri tu, non è vero? Aveva il tuo nome, ed i tuoi stessi occhi.

Blaine fissò il foglietto di carta e qualcosa sentì qualcosa di caldo all’ altezza dello stomaco.

Kurt lo conosceva.

Kurt sapeva di lui.

“Sì” sussurrò quasi più a sé stesso che al soprano. “Sì, sono io”

Vide l’espressione di Kurt aprirsi in un sorriso sincero.

Beh, allora è un piacere conoscerla Signor Anderson, oserei dire che ce n’è voluto di tempo!

Blaine sorrise ed annuì.

Non immagini quanto, pensò.

Ma non lo disse.

 

 

Parlare con Kurt era facile.

Era una di quelle persone che sorridono sempre, anche senza motivo, che ti fanno sentire a tuo agio anche se a te sembra di essere solo un peso sulle spalle.

Parlare con Kurt era anche meglio di osservarlo sorridere dalla sua stanzina fatta di vetro, tendine di Power Rangers, e pioggia.

 

 

Il pomeriggio passò troppo velocemente, e, quando Blaine guardò fuori dalla finestra e notò che era ormai buio e che il vento era cessato, sentì il cuore farsi pesante al pensiero fosse il tempo di tornare a casa.

Alleviò la malinconia il fatto che, quando lo disse a Kurt, la sua espressione fece sembrare che anche lui ne fosse dispiaciuto.

Decisero di scambiarsi in numeri di telefono e, dopo un silenzio che Blaine sentì più pesante del solito, Kurt avvolse le spalle di Blaine in un veloce abbraccio.

Quella sera Blaine non cambiò la maglietta prima di andare a dormire, convinto di sentire ancora le braccia di Kurt attraverso la stoffa fredda.

 

 

La loro amicizia crebbe velocemente tra incontri al Lima Bean, confessioni di essere gay sussurrate per paura della reazione dell’ altro, risate di sollievo nel capire che erano uguali, che potevano capirsi, serate passate sul divano di Blaine, quando era a casa dalla Dalton ed i suoi genitori erano troppo impegnati nel mantenere la loro vita sociale uscendo la sera e lasciandolo da solo, a guardare vecchi musical che, Kurt diceva, avevano le canzoni più belle, e discorsi seduti a gambe incrociate sul suo letto armati di foglio e matite su quale fosse la copertina migliore di Vogue.

Discorsi su come Kurt fosse tormentato dai bulli.

Discorsi su come Blaine odiasse tonare a casa dalla Dalton.

Discorsi su come, da quando c’era Kurt, i suoi giorni fuori da scuola non erano più spaventosi.

Discorsi su cosa volessero fare da grandi.

Kurt voleva entrare alla NYADA, e Blaine voleva laurearsi in letteratura inglese e diventare insegnante.

Quando lo disse entrambi rimasero in silenzio, Kurt sapendo quanto poco probabile fosse che Blaine ottenesse il lavoro, e Blaine semplicemente volendo cullarsi ancora un poco in quel suo piccolo sogno.

 

 

C’erano delle volte, nel profondo della notte, in cui Blaine si svegliava, nella mente lo spettro di una voce bellissima che lo cullava nel sonno.

 

 

Blaine avrà sempre un posto nel suo cuore per Burt Hummel.

La prima volta che Kurt portò Blaine a casa sua, che scoprì non essere tanto più lontana, Burt era seduto sotto il portico.

Lo vide muovere le labbra con espressione seria e carpì le parole ragazzo, amici, e le porte stanno aperte, e vide Kurt arrossire e si affrettarsi a e dire qualcosa al padre prima di entrare in casa e trascinare Blaine con sé, senza dagli la possibilità di presentarsi per bene.

Allora Blaine si era lamentato, ed aveva chiesto a Kurt di tornare indietro.

Kurt lo aveva guardato con espressione stranita ma, vedendo l’espressione supplichevole del ricciolo, aveva annuito e lo aveva riportato da suo padre.

Quindi Blaine si era posizionato davanti a lui, gli aveva teso la mano e, prima che potesse parlare gli aveva detto: “Buongiorno signore, mi chiamo Blaine, sono un amico di Kurt. Mi piace guardare vecchi film, ho una passione malsana per i papillon e per Vogue, sono gay e probabilmente non potrò sentire niente di quello che mi dirà in risposta. Piacere di conoscerla”

Al che Burt aveva sorriso, gli aveva stretto la mano e, parlando piano, in modo che Blaine potesse leggergli le labbra, aveva detto: “Benvenuto in famiglia, figliolo. E chiamami Burt.”

 

 

Il conoscere Burt lo portò a scoprire un nuovo significato della parola casa.

Il giorno in cui se ne accorse Blaine aveva appena litigato con i suoi genitori.

Erano rientrati da una delle loro solite uscite ed avevano trovato Kurt e Blaine seduti vicini sul divano che condividevano una coperta, le teste accostate ed i visi rilassati dal sonno.

Quindi avevano spento la televisione che ancora stava funzionando, avevano tolto la coperta e li avevano svegliati bruscamente.

Avevano detto a Kurt che avevano degli impegni e che doveva andarsene subito.

Blaine si era opposto e aveva detto a Kurt di restare, allora suo padre si era arrabbiato talmente tanto che aveva colpito la sua guancia a palmo aperto, lasciando l’impronta delle cinque dita sulla pelle, il rumore dello schiaffo nell’ aria e quello del cuore di Blaine che si spezzava racchiuso dentro se stesso.

A quel punto era stato Kurt che lo aveva preso per mano, lo aveva condotto nella sua macchina, ignorando le urla isteriche della madre e l’espressione distante del padre, e lo aveva portato a casa sua.

Qualche ora dopo, seduto sul divano di casa Hummel con una tazza di camomilla in mano ed una coperta di lana a coprirlo, Blaine si era ritrovato ad osservare Kurt gesticolare al padre indicando a volte lui, a volte la sua guancia ed a volte semplicemente il cielo.

Aveva visto l’espressione di Burt cambiare,  e lo sguardo farsi più protettivo.

Nel giro di pochi secondi due braccia forti lo circondarono ed il profumo di olio di macchina e hot dog gli riempì e narici.

Da quel giorno in poi quelle braccia e quel profumo furono la cura per i suoi momenti più bui.

 

 

Blaine non disse a Kurt quello che pensava della sua risata.

Non gli disse della stanzina segreta dalla quale lo aveva guardato sempre.

Non gli disse di essere innamorato di lui.

 

 

Kurt imparò lentamente il linguaggio dei segni, non era bravissimo, d’altronde doveva destreggiarsi tra i compiti la scuola ed il glee club e non aveva tanto tempo, ma Blaine era importante, e Kurt voleva farlo, per lui.

 

 

Un giorno Blaine visitò Kurt di sorpresa, senza nessun preavviso, e lo trovò nella sua stanza a cantare.

Kurt non cantava mai di fronte a Blaine, sapeva che al ragazzo non importava, ma non gli sembrava giusto farlo.

E, quando Blaine vide Kurt, nella sua stanza, in piedi nel centro con gli occhi pieni di quella che doveva essere l’espressione di dolore che esprimeva la canzone, Blaine non potè fare altro che avvicinarsi senza curarsi di essere visto ed implorarlo di continuare.

Poi aveva allungato tentativamente una mano, quasi a chiedere il permesso a Kurt, ed il soprano aveva annuito, e l’aveva afferrata ed avvicinata delicatamente alla sua gola.

Quando Blaine aveva sentito le vibrazioni della voce di Kurt propagarsi dalla sua mano dentro di sé, il suo cuore si era fatto più grande, le gambe avevano iniziato a tremare, gli occhi gli si erano riempiti di lacrime e Blaine si era aggrappato a Kurt come se fosse ciò da cui dipendesse la sua vita, le spalle scosse dai singhiozzi accarezzate dalle mani morbide le soprano.

Kurt non lo saprà mai, ma Blaine, goffamente, dietro le spalle gli segnò le parole ti amo.

 

 

Da quel giorno Kurt cantò più spesso.

 

 

I mesi passarono, e, senza neanche rendersene conto, entrambi i ragazzi si erano diplomati ed erano in procinto di andare a studiare a New York, Kurt alla NYADA e Blaine alla NYU, con come indirizzo letteratura inglese.

 

 

Blaine ancora non gli aveva detto che lo amava.

 

 

Alla fine decisero di affittare un appartamento insieme.

Non era nella parte più esclusiva di New York, ed era costituito da due camere, la cucina-salotto ed il bagno, ma per loro era perfetto.

 

 

Altri mesi passarono, le loro vite si divisero, ma loro no.

Avevano amici diversi, certo, avevano diverse compagnie, ma quando la sera tornavano a casa l’uno era sempre lì per l’altro.

Kurt era sempre presente quando, alle volte, Blaine scoppiava in lacrime per rilasciare la tensione di non capire il mondo fino in fondo.

Blaine era sempre presente quando Kurt gli confessava che delle volte, la notte, sognava ancora di armadietti di metallo duri contro la sua schiena e di forti spinte che lo facevano cadere a terra.

 

 

Kurt ebbe dei fidanzati.

Blaine neanche uno.

Delle volte Kurt aveva provato a parlagliene, ma Blaine rispondeva sempre con una scrollata di spalle dicendo che forse non aveva trovato quello giusto.

 

 

Era un giorno di pioggia l’ultimo giorno di cui Blaine parlerà in questa storia.

Il ragazzo era seduto vicino alla finestra, un libro aperto in grembo e gli occhi fissi sulle goccioline di pioggia che colpivano forti il vetro.

Ricordava tanto sé stesso quando aveva sette anni, sulla sua poltroncina verde ad osservare il bellissimo bambino nel cappotto azzurro mare.

Solo che non c’erano più bambini, né cappotti azzurro mare.

Solo grattacieli.

Non era un giorno speciale, Blaine non vestiva uno dei suoi maglioni preferiti e quei pantaloni che Kurt diceva lo facessero sembrare fantastico.

No, Blaine indossava un paio di pantaloni della tuta ed una felpa dell’ università, rovinata.

I suoi capelli non erano fissati dal gel, ed aveva, appoggiati sul naso, i suoi occhiali da vista.

Probabilmente aveva anche un principio di barba sul mento visto che non se la faceva da qualche giorno.

Kurt era fuori con un ragazzo di cui Blaine non sapeva il nome, e neanche voleva saperlo, e non sarebbe rientrato prima di mezzanotte.

O, almeno, quello era ciò che aveva detto.

Quindi Blaine fu piuttosto spaventato quando, alle dieci di sera, vide Kurt aprire la porta d’ingresso bruscamente e mandarla a sbattere contro il muro prima di richiuderla con la stessa forza.

Blaine saltò in piedi, preso alla sprovvista, e fece per avvicinarsi a Kurt, quando vide le sue guance rigate da lacrime e gli occhi gonfi per il pianto.

“Kurt?” chiese posandogli un braccio sulla spalla per confortarlo.

In tutta risposta il ragazzo se lo scrollò di dosso e si diresse verso la cucina per versarsi dell’ acqua, rinunciandoci quando si accorse che i singhiozzi gli impedivano di centrare il bicchiere.

“Kurt?” riprovò Blaine mantenendosi distante “L-lo sai che con me p-p-uoi parlare di tutto, vero?”

Perfetto, aveva iniziato a balbettare.

Fantastico Blaine, come puoi confortare una persona se neanche riesci a formulare una frase dal nervosismo?

Non si aspettava però, la reazione che ebbe il soprano alle sue parole.

Infatti la sua espressione si trasformò da distrutta ad arrabbiata, e vide i suoi lineamenti contrarsi e le sue labbra aprirsi come per urlare.

Ma Blaine era perso, Blaine non capiva.

Blaine era in panico.

Non aveva mai visto un Kurt così fuori di controllo, non aveva mai visto un Kurt così arrabbiato, così spaventato.

E non riusciva neanche a capire cosa stesse dicendo, perché Kurt non stava traducendo con i segni, e le sue labbra si muovevano troppo veloci perché Blaine potesse comprendere.

O forse era Blaine che era troppo spaventato.

E si ritrovò a guardare Kurt con occhi supplichevoli, con espressione persa, perché non capiva, non capiva ma voleva disperatamente farlo.

Perché Blaine Anderson voleva sempre essere utile.

Cercò di chiamare Kurt, ma il suo nome non riuscì neanche ad uscire dalla sua bocca, morendogli in gola.

Poi, improvvisamente Kurt si fermò e sembrò rendersi conto del fatto che Blaine non avesse capito niente.

Blaine si aspettava che a quel punto prendesse un bel respiro e gli spiegasse cosa stesse succedendo, gli traducesse quello che aveva detto.

Ma quello non successe mai, perché tutto quello che Kurt fece fu pronunciare quello che sembrò tanto un oh, vaffanculo, prima di avvicinarsi a Blaine e coprirne le labbra con le proprie.

E Blaine continuava a non capire, non sapeva che cosa stesse succedendo ed il motivo per cui Kurt lo stesse baciando.

Ma se quello era il prezzo da pagare per poter baciare le labbra di Kurt, allora sarebbe rimasto ignorante per sempre.

Sentì il soprano spostare le mani dietro il suo collo, e giocherellare con i riccioli corti che cadevano liberi sulla sua pelle, e sospirò nel bacio quando posizionò le sue sui fianchi del ragazzo.

Le sue labbra non erano morbide come aveva sempre immaginato, erano di più.

E Blaine si perse in quel bacio, non era più Blaine il ragazzo che non sente e che mai capirà il mondo fino in fondo, era KurteBlaine, BlaineeKurt.

Kurt” sospirò “Kurt, ho aspettato così tanto.”

Kurt si allontanò di poco, appoggiando la sua fronte contro quella dell’ altro.

“Anch’io Blaine, anch’io” Blaine riuscì a leggere sulle labbra dell’ altro,  prima di coprirle con le sue per un bacio più lento, più disperato.

Quando si divisero di nuovo, Kurt aveva il fiato corto e le guance arrossare, e Blaine poteva giurare che non esistesse al mondo niente di più bello.

Poi Kurt lo guardò negli occhi e sorrise, ed in poco tempo il suo sorriso divenne una risata piena.

E fu a quel punto che Blaine si perse.

Perché la prima volta che si era innamorato di Kurt Hummel era stato per la sua risata, ed ora lui era lì, tra le sue braccia, con quel suo nasino che si arricciava, le sue guance arrossate, le sue bellissime rughette intorno agli occhi e le sue labbra distese.

E Blaine non ce la fece più, aveva aspetta tredici anni eppure in quel momento sentiva di non poter aspettare neanche un secondo di più.

Ti amo” gli sussurrò, e, Dio, quanto erano dolci quelle parole sulla sua lingua “Tiamotiamotiamo” ripeté come un mantra.  “Ti amo”

Vide gli occhi di Kurt farsi più grandi e riempirsi di lacrime, e per un attimo fu preso dal panico di aver fatto qualcosa di sbagliato, di esser stato troppo veloce.

Ma poi Kurt incatenò gli occhi ai suoi, e con le sue mani e tracciò sul suo petto delle linee che presto diventarono parole, mimandone i suoni con le labbra.

Ti amo anch’io.

Ed in quel momento a Blaine non importava che ancora non sapesse che cosa fosse successo a Kurt quella sera, a Blaine non importava che il suo primo ti amo non lo avesse potuto sentire, perché Blaine aveva di meglio.

Aveva un ti amo scritto sulla sua pelle, impresso nella sua carne ed aveva Kurt.

Quel giorno Blaine imparò il terzo significato della parola casa.

Il primo era l’amicizia.

Il secondo la famiglia.

Il terzo era Kurt.

 

 

La storia di Kurt e Blaine iniziò così in un giorno di pioggia, ed iniziò di nuovo in un giorno di pioggia, la prima volta in una stanzina speciale fatta da tendine di Power Rangers, vetro, e pioggia, la seconda volta a casa.

 

 

-fine-

 

BlueCinnamon15

Umore attuale: spaventatissina.

Allora, non ho davvero tanto da dire, la maggior parte delle cose le ho dette all’ inizio.

Ne approfitto per parlare a chi segue “Old McDonald had a farm” e altre mie FF: non ho abbandonato niente, ma sono rimasta senza PC per tre settimane ed avevo tutti i capitolo iniziati lì sopra.

Tra poco dovrei aggiornare “Old McDonald”!

Nel frattempo vi chiedo solo di fermarvi qualche minuto e farmi sapere cosa ne pensate di questa storia, ci tengo tanto e mi farebbe infinitamente piacere.

Per quanto riguarda aggiornamenti e tutto, è con piacere che vi annuncio di aver creato la mia pagina Facebook, e vi terrò aggiornate su quello che mi passa per la testa.

L’indirizzo è : http://www.facebook.com/#!/pages/BlueCinnamon-EFP/371105222959959?fref=ts

Un abbraccione a tutti, grazie per il vostro instancabile supporto

   
 
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