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Autore: Brin    10/10/2012    0 recensioni
Non si può restare a guardare quando una mano sconosciuta porta via ciò che di più caro hai al mondo: questo è quanto Sari Kalabis sperimenta sulla propria pelle nel momento in cui uno dei pilastri della sua vita le viene strappato per sempre.
Non sa, però, che il desiderio di sapere perché la porterà su strade pericolose, lastricate di interessi a cui non dovrebbe avvicinarsi. Verso i sotterranei di un carcere da cui non si può uscire, nella pancia di un incubo folle e delirante che non dovrebbe esistere.
Genere: Fantasy, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non ci sono scuse per questo ritardo, soprattutto considerando il fatto che i restanti capitoli di questa prima parte di trilogia sono belli che pronti. Metteteci i pensieri per gli ultimi esami prima della laurea, l'estate che svuota il sito e i pochi (e per fortuna che ci sono!) riscontri che questa storia sta avendo, e credo che abbiate un'idea del mix che mi ha portata a pubblicare soltanto adesso. Ma come mi ha giustamente fatto notare savy85, è passato tanto tempo dalla mia ultima pubblicazione. Davvero tanto. E non ve lo meritate.
Penultimo capitolo, poi ci sarà l'epilogo.
Buona lettura, se ancora vorrete leggere (ma se direte no grazie vi capisco!)






22.
L'IDENTITÀ DIETRO LA MASCHERA

*


La reazione a quella notizia non fu proprio quella che Volker si aspettava. Aveva immaginato un silenzio pesante, carico di incredulità, stupore e forse addirittura di disagio, ma non avrebbe mai immaginato che i suoi confidenti si sarebbero messi a ridere. Eppure in quel momento Amaya, Silver e Sari si guardavano ridendo.
Volker li osservava contrariato con le braccia conserte, come se fosse offeso.
«Mi fa piacere sapere che la cosa vi diverte.»
Fu come una doccia fredda: la sua espressione grave e il tono di voce severo soffocarono le risate all’improvviso. Sari e Silver si scambiarono sguardi colpevoli, dimenticando gli screzi avuti poco prima, e Amaya sollevò le mani in un gesto di resa.
«Scusa, continua.»
Volker rimase in silenzio per un istante, studiando i volti dei tre per cogliere un accenno di risata. Riprese a parlare soltanto quando vide che il momento d’ilarità sembrava essere davvero terminato.
E il racconto della genesi di ogni cosa cominciò.


*


Volker Kramer aveva un talento straordinario. All’università di Rosya brillava su tutti i suoi compagni e sembrava che tutto gli riuscisse con estrema facilità. Studiare gli risultava decisamente semplice, e riusciva a comprendere anche la materia più ostica senza troppi sforzi. Da piccolo non era certo un bambino prodigio, ma gli piaceva la conoscenza. Fu così che divenne un genetista.
La sua ossessione era comprendere l’origine della personalità. I suoi studi al riguardo erano piuttosto noti tra i suoi colleghi, mentre riscuotevano le antipatie dei pensatori che simpatizzavano per il filone ambientale. La ricerca di un gene che racchiudeva in sé la personalità futura di un piccolo feto lo impegnava molto, ma non ne sentiva il peso.
La sua vita sociale risentiva del tempo che il giovane passava chinato sul bancone da lavoro, circondato da provette e vetrini, ma le soddisfazioni che il lavoro gli dava lo ripagavano dei sacrifici che faceva ogni giorno.
Finché questa sua dedizione non venne notata dalle persone sbagliate.
Soltanto i muri di un vicoletto assistettero alla sua aggressione. Volker non fece neppure in tempo a voltarsi: quando sentì dei passi alle sue spalle, ormai era già tardi. Qualcuno lo colpì con violenza alla nuca, il cielo si capovolse, e infine ci fu il buio.
Quando rinvenne, non aveva idea di quanto tempo fosse rimasto privo di sensi. L’unica cosa che sapeva era che la testa gli faceva male, e che era rinchiuso in una cella umida.
Davanti a lui c’era un corridoio di pietra, che finiva con delle scale che salivano chissà dove. Cominciava ad avere timore. Si alzò in piedi e scrutò il corridoio: non c’era nessuno, neppure un secondino.
Chiamò una, due, tre volte. Nessuno rispose. Stava cominciando ad arrabbiarsi. Voleva delle spiegazioni, e le voleva subito. Aspettò un’ora o forse anche di più, ma alla fine qualcuno arrivò. Sentì dei passi scendere gli scalini, finché non lo vide: un uomo alto, dai capelli lisci e neri, lunghi fino a metà busto. Il suo viso, illuminato dalla luce di una torcia, aveva lineamenti affilati. I suoi occhi sembravano non voler abbandonare la figura di Volker che, nella sua cella, già sentiva che quel tipo non gli ispirava fiducia. Quando guardò la figura che si trascinava dietro di lui, reggendo un vassoio in mano, quasi sobbalzò dal ribrezzo: il suo corpo aveva una forma umanoide, ma era leggermente ricurvo. La sua pelle era rugosa e grigiastra, e quando la creatura oltrepassò l’uomo, alla luce della torcia sembrò anche bagnata. Ma ciò che più impressionava Volker era il volto: la bocca mostruosa lo rendeva inquietante, deturpandone i lineamenti. Infiniti denti uscivano dalle gengive, acuminati come aghi, e le labbra non riuscivano a coprire quella fila di zanne gialle. Sembrava un’immagine onirica, una creatura nata dalla parte più oscura delle proprie paure. Eppure era reale.
La creatura fece scorrere il vassoio sotto le sbarre della cella, e Volker lo guardò con sospetto. L’uomo sembrò trovare la cosa divertente.
«Suppongo che sia la prima volta che vedi un Abixal.»
Volker lo guardò senza capire, e l’uomo indicò con un cenno del capo la creatura accanto a lui, che gorgogliava sputacchiando versi senza senso.
«Siete demoni?»
L’uomo annuì, porgendo la torcia all’Abixal. La creatura la afferrò, stando però ben attento a distogliere lo sguardo dalla fonte della luce.
«I loro occhi non riescono a sopportare fonti luminose troppo intense o vicine, dal momento che
vivono in zone buie e umide. Tuttavia hanno un quoziente intellettivo straordinario, cosa
decisamente rara per un Minor… Sai che cos’è un Minor, vero?»
«Al momento mi interesserebbe di più sapere il motivo per cui sono prigioniero, piuttosto che
sapere cos’è un Minor» sbottò Volker con lo sguardo ben piantato su quell’uomo, che sorrise. Un sorriso meschino, tipico di un demone.
«Ho una proposta da farti. Una proposta che non potrai rifiutare, s’intende.»


*


Non aveva afferrato il reale significato di quelle parole. Non immaginava neanche lontanamente fin dove si spingesse la minaccia velata che vi si nascondeva dietro. Quando quel demone –Sarmon il suo nome- gli espose la proposta, Volker rifiutò sdegnato. Avrebbe dovuto costruire un’arma di distruzione di massa. Un’arma letale. Infallibile. Perfetta.
Avrebbe dovuto sfruttare le sue conoscenze nel campo della genetica per generare creature artificiali. Vite nate per donare la morte.
L’idea lo riempiva d’orrore.
Il suo rifiuto non piacque affatto a Sarmon, che dimostrò la sua disapprovazione per quella risposta privando Volker di una parte del corpo. La notte in cui il demone scese nei sotterranei del laboratorio, impugnando un tizzone ardente, le grida del prigioniero rimbombarono nelle viscere della terra per istanti interminabili, spargendo il loro carico di atrocità. Da quel giorno a Volker rimase soltanto l’occhio destro, eppure la tortura subita non fu sufficiente a far desistere l’uomo dalla sua posizione.
Quando Sarmon gli ripropose di collaborare con i demoni, la risposta che ottenne fu nuovamente negativa. E per Volker si spalancarono le porte dell’inferno.
Tutto partì dalla testa: quando la mano gelida del demone si posò sulla fronte ,il suo corpo, tenero e fragile, venne scosso da atroci dolori e spasmi insopportabili. Scariche elettriche si insinuavano nelle fibre più nascoste dei muscoli. Volker cadde a terra contorcendosi su se stesso, gridando come credeva di non poter mai fare in vita sua, e per la prima volta da quand’era stato rapito era davvero terrorizzato.
Una paura folle. E un dolore indicibile.
Tutto terminò con una luce che si irradiava dal suo petto, e all’improvviso la sola cosa che sentì fu un grande indolenzimento: poco sotto la clavicola era comparso uno strano marchio, una specie di cerchio arcano con simboli magici. Guardò Sarmon tremante, e ciò che lesse nei suoi occhi non gli piacque per niente. Aveva lo sguardo del vincitore.
«È un sigillo.»
«Cosa mi hai fatto?» il sussurro di Volker era debole, ma pieno d’ira.
Sarmon sogghignò.
«Ora dentro di te si sta diffondendo un cancro. Sai cos’è l’energia demoniaca?»
«COSA MI HAI FATTO?!» il grido di Volker era disperato. Le mani gli tremavano, come probabilmente tutto il resto del corpo, ma la sola cosa che l’uomo sentiva chiaramente era che, se si fosse sentito un po’ più in forze, gli avrebbe spaccato la faccia.
«L’energia demoniaca è la linfa vitale che scorre in noi demoni. Ovviamente il nostro corpo è compatibile ed è tenuto in vita da questa linfa, ma il corpo umano è del tutto diverso da quello della mia razza. Un essere umano in cui venisse diffusa l’energia demoniaca non riuscirebbe a sopravvivere a lungo, perché essa lo divorerebbe lentamente, donandogli dolori atroci che diventerebbero insopportabili con lo scorrere del tempo. Ora non senti più niente, perché quel sigillo la sta reprimendo, impedendole di intaccare il tuo corpo. Ma non durerà in eterno.»
Volker non smise di tremare. Il suo corpo era scosso da sussulti di rabbia, la stessa che sconvolgeva il suo viso. Avevano trovato il modo di fregarlo. O collaborava, o perdeva la vita tra dolori atroci. E la scelta spettava a lui.
Sarmon guardò Volker compiaciuto, beandosi della rabbia violenta che gli rivolgeva contro.
«È un vero peccato che tu sia così ostinato. Se collaborassi potrei aiutarti, sai. Potrei toglierti quel cancro che ti sta divorando» sorrise, un’espressione che stonava decisamente con ciò che stava dicendo. «… perché lo sai che ti divorerà.»
Volker non rispose. Si limitò a sostenere lo sguardo di Sarmon affrontandolo con la rabbia che ormai gli scaldava il corpo, ma dentro era disperato. Si sentiva un condannato a morte. Per quanto detestasse l’idea di collaborare al loro progetto, quello era l’unico modo per aver salva la vita.
Ma non rispose.
«Tornerò più tardi. Pensaci.»
Quel bastardo rideva. La situazione in cui l’aveva messo lo divertiva, Volker lo poteva sentire chiaramente dal suo tono di voce e dall’espressione. Rideva di lui.
Lo guardò allontanarsi e risalire le scale, e soltanto allora si lasciò cadere in ginocchio, lasciando che il demone che portava dentro lo aggredisse con il suo carico di angoscia. E pianse di rabbia e impotenza. Al buio. Solo.


*


Volker capitolò, come Sarmon già sapeva. Furono mesi di ricerche frenetiche, in cui l’uomo dovette lavorare fianco a fianco con i demoni. Era l’unione della genetica e della magia demoniaca. Fu la nascita della genetica nera.
Non si fermò un solo istante. Lavorava giorno e notte, e nei pochi momenti in cui gli era consentito riposare crollava addormentato nella sua cella senza neppure avere il tempo di perdersi nei suoi pensieri. Forse fu questo che lo salvò dalla pazzia.
I ritmi di lavoro non gli pesavano affatto. Non perché gli piacesse ciò che stava facendo, ma per il semplice motivo che prima portava a termine il suo compito e prima gli avrebbero tolto l’energia demoniaca.
Volker non sapeva quanto quel sigillo avrebbe retto e, stando a quanto diceva Sarmon, poteva durare anni, come giorni. Un incentivo in più per mantenere attivo lo spirito di collaborazione del giovane.
Effettivamente gli anni passavano, e il sigillo non dava segni di cedimento. La cosa bizzarra era che fisicamente Volker non cambiava di una virgola: era esattamente uguale a quando l’avevano rapito.
Sarmon gli spiegò che era a causa dell’energia demoniaca. Era come una bomba a orologeria, disse. Minacciava di cominciare a mangiarlo da un momento all’altro, non appena il sigillo avesse ceduto di fronte ai suoi assalti. Eppure, la sua presenza contribuiva a mantenere statiche le cellule: non morivano, né si rigeneravano. Le teneva a bada, aspettando di cominciare a cibarsi della sua vita.
Quando avesse notato qualche cambiamento nel suo corpo, allora avrebbe significato che l’energia demoniaca aveva indebolito il sigillo, e stava cominciando a diffondersi nel corpo.
La notizia rese Volker ancora più smanioso di terminare in fretta il suo lavoro.
E finalmente, un giorno il primo morfista aprì gli occhi.


*


Furono di parola, in un certo senso. A Volker venne ridata la libertà, come avevano promesso, ma lui era ancora un morto che camminava.
Sul suo petto c’era ancora il sigillo a far la guardia alla sua vita, e dentro Volker l’energia demoniaca serpeggiava, ricordandogli in ogni istante che presto avrebbe preso il sopravvento.
Era solo, completamente. E doveva combattere in qualche modo ciò che minacciava di ucciderlo. Doveva trovare un modo per salvarsi, ma non sapeva come.
Poi, all’improvviso ebbe un’idea, che lo portò a frequentare ambienti poco raccomandabili. Punti d’incontro tra maghi, demoni, elfi e umani. Un paradiso per il mercato nero, un posto dove chi era interessato ad acquistare oggetti illegali e molto rari poteva fare ottimi affari.
L’idea era quella di accostarsi a questi ambienti nel tentativo di trovare qualcuno, o qualcosa, che potesse aiutarlo, e nel frattempo cominciò a condurre ricerche. Allevò draghi, le creature che per eccellenza erano figlie della magia nera, con la speranza che potessero svelargli i loro arcani misteri e potessero fornirgli un modo per neutralizzare l’energia demoniaca.
Quando imboccò questa strada non immaginò di certo che l’avrebbe condotto verso un’altra prigionia, come non avrebbe mai potuto pensare che proprio quella strada l’avrebbe portato di fronte a uno dei suoi figli.
E, ironia della sorte, lui, che aveva ricevuto una condanna a morte per poter dare vita ai morfisti, aveva l’occasione di salvare uno di loro.


   
 
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