Raiting: Giallo/Arancione
Personaggi: Toris Laurinaitis, Gilbert Beilschmidt, Sorpresa.
8. Spazi
d’attesa.
«
Allora?»
L’uomo, dal suo profilo accigliato, scrutò colui
che gli sedeva davanti: un
braccio sulle gambe accavallate, l’altro
che iniziava col gomito, ben puntellato sul tavolo in legno di
ciliegio, e
finiva con una mano non troppo grande, che copriva la bocca e parte del
naso
con le dita, e su di cui il mento posava.
Gli occhi, quasi improvvisamente, si staccarono dai fogli, una decina,
sulla
quale erano scivolati fino alle ultime righe, e andarono a cercare
quelli del
cinquantenne, rivelando un azzurro brillante come il mare che avvolgeva
quella
striscia di terra.
Il ragazzo dagli occhi marini lasciò cadere il braccio e
rivelò le labbra,
che, in modo
delicato, si allargarono in
un sorriso capace di cancellare in meno di un secondo
l’espressione seria che
fino ad allora quel volto aveva avuto.
Serafico: nessun’altro aggettivo avrebbe potuto meglio
descrivere Toris in quel
momento.
« E’ bellissimo.»
Il cinquantenne alzò entrambe le sopracciglia, fissando
ancor più gli occhi del
lituano, ora intento a stiracchiarsi, svegliando le ossa della schiena
dall’intorpidimento di quasi un’ora passata chino
su quel tavolo.
« Non hai critiche?»
« No.»
« Nemmeno una?»
La voce era un miscuglio di sarcasmo e incredulità; Toris
sorrise ancora di più
e scosse il capo in segno di diniego.
A quel punto uno sbuffo uscì dalle labbra leggermente
grinzose dell’uomo e la
sua mano prima sferzò l’aria e poi scese a battere
sulla coscia.
« Che diavolo.
Se non fosse per la tua faccia, penserei che tu stia facendo un favore
a un
vecchio.»
« Cos’avrebbe la mia faccia…?»
La voce di Toris tradì non stupore, ma sincera
curiosità; ormai aveva imparato
ad aspettarsi certe uscite dal tedesco che ancora lo guardava negli
occhi. Fu
verso di essi che punto il dito, quello ornato dalla fede nuziale.
« Gli occhi, Toris. Basta guardarci per capire se menti o no,
sei peggio di mia
moglie.»
Una risata, leggera, ma soprattutto imbarazzata, echeggiò
nelle mura di
quell’abitazione tanto peculiare, passando il soffitto e
arrivando al piano di
sopra, ove furono udite da qualcuno.
Passi piccoli e veloci come quelli di un gatto,
scivolarono per il corridoio e poi giù per ogni
gradino delle scale, e
si fermarono solo all’apparire della loro fonte nel salotto
in cui i due
sedevano.
« Guten Tag, Vati, Guten Tag, Toris.»
La voce della giovane donna era cortese quanto il suo aspetto: lunghe onde nere di capelli
le cadevano
intorno ad un viso dolce e labbra color ciliegia, vestiti estivi color
pastello.
« Buongiorno, Elizabeth!»
Toris ricambiò il saluto con la medesima cortesia, ma
l’altro si limitò a un
sorriso e un cenno con la testa.
« Hai finito di studiare, Elizabeth?»
«
Quasi, papà. »
« E allora è bene che tu lo faccia,
così dopo
potrai uscire tranquillamente, no? »
« Sì, sono passata a salutare! E’
educazione, oppure no?»
Il padre si arrese di fronte all’ironia della figlia,
riconoscendone le origini
in se stesso. Questa, tronfia di quella breve vittoria, rivolse un
altro
sorriso al moro.
«Papà ti ha offerto qualcosa?»
« Sì, ma ho rifiutato. Sono solo venuto a leggere,
ho già fatto colazione.
Grazie mille del pensiero, Elisabeth.»
« Figurarsi! Oh, ho scritto anch’io qualcosa di
nuovo, la prossima volta ti
farò leggere… penso che tu ora abbia gli occhi
già abbastanza stanchi!»
« Lo farò volentieri!»
La giovane donna sorrise quanto il sole di quella giornata estiva e,
nel vero
senso della parola, girò i tacchi, per poi salutare e
tornare agli studi, così
da far contento il padre.
Solo dopo che quei passi si fermarono nuovamente e una porta, al piano
di
sopra, si chiuse, l’uomo si lasciò sfuggire un
lunghissimo sospiro.
«
Cosa non farebbe pur di vederti per pochi minuti.»
L’imbarazzo che colpì Toris fu mille volte
più grande del precedente e lo fece
boccheggiare su una frase che non seppe iniziare. Il cinquantenne rise
di
gusto.
« Non si è ancora arresa nonostante gli abbia
detto chi è che sei in realtà!
Hai fatto piangere mia figlia, Toris, un altro padre ti avrebbe tenuto
sotto il
mirino di un fucile… e invece io ti tengo come consulente
letterario!»
« Io… mi spiace, davvero. Non
pensavo…»
« Lascia stare, suvvia. Lo so che non le hai torto un
capello. Ne ho la
certezza.»
Si passò sul volto la mano ruvida, rivolgendo
lo sguardo altrove dal
volto rossastro del lituano.
Poi, improvvisamente, sembrò ricordarsi di qualcosa.
« A
proposito. Oggi non c’è?»
« Non c’è chi..?»
« Gilbert, il prussiano.»
«
Oh… no, non c’è. Dovrebbe tornare tra
poco, però. Si è dovuto recare a Berlino
per… »
« Toris, non c’è bisogno che tu mi
racconti quel ce va a fare il tuo
fidanzato.»
Avesse avuto qualcosa in gola, Toris si sarebbe strozzato;
sfortunatamente,
aveva solo la saliva con cui farlo.
Oh, vedere la sua faccia in quelle condizioni non era altro che
ulteriore fonte
di risate!
« Pensavi che non me ne fossi accorto?
State sempre insieme, Toris, sempre dall’inizio
di maggio, quando sono
venuto qui.
Giusto chi si fodera, di sua spontanea intenzione o meno, gli occhi col
prosciutto non se
n’è reso conto. E’ per
questo che ti lascio passare tutto il tempo che vuoi con mia figlia,
che credi?»
Toris si passò la mano tra i capelli: non sapeva che dire,
che fare, era tanto
sorpreso da essere sconvolto.
Davvero lui e Gilbert erano talmente evidenti?
Forse, sì, decisamente sì.
Ma nella Nima di quegli anni non dovevano temere nulla: erano dalla stessa parte, in una
striscia di terra
mezza di Toris e mezza di Gilbert; nessuna traccia
dell’Impero Russo.
Non era la libertà, non ancora, ma le somigliava vagamente e
sapeva d’estate,
di salsedine.
« Io… »
« Non cercare giustificazioni, non ce
n’è il bisogno. Conosci la mia primogenita,
no? Ecco, allora ti basti come risposta e come consapevolezza; con me
non devi
farti i questi problemi.»
« … Grazie. »
Quello di Toris fu un ringraziamento sincero, forse quello
più vero che avesse
mai fatto. L’uomo gli rispose con un cenno di non curanza e
si alzò,
dirigendosi verso la finestra, dove si fermò per osservare
la scorrere della
vita dei passanti di Nima.
Si passò ancora una volta l mano sul volto, sui profili duri
e sul naso grande.
« Avete entrambi fegato. Sai che non potrete rimanere qui per
molto a lungo,
vero?»
Gli occhi azzurri di Toris scivolarono in basso, perdendosi nelle linee
della moquet
e anche gli angoli delle labbra si abbassarono: era un sorriso amaro,
consapevole, il sorriso di chi sa e vive nella precarietà di
una striscia di
terra in anni dove l’aria, per l’ennesima volta,
puzza di polvere da sparo.
« Lo so. Tra un mese andrò in America e quando
tornerò… »
« Hai intenzione di tornare?»
« Il contrario sarebbe impossibile. »
Lo sguardo del cinquantenne oltrepassò i passanti, l’oceano marino
e quello del tempo, osservando
non solo quel posto, ma quel che sarebbe stato il mondo da pochi anni a
quell’estate
del 1930.
« Non c’è bisogno di essere degli esseri
immortali, Toris, per capire che siamo
nuovamente sull’orlo di un qualcosa di spaventoso. E basta
avere un po’ d’idee
su come gira la Germania adesso per capirne ancor di più.
Questa volta dobbiamo
aspettarci dieci volte il peggio di quel che pensiamo.»
E mentre la previsione dell’apocalisse sibilava nel salotto
dai colori caldi,
fuori i turisti parlavano del più e del meno.
Toris immerse la mano sinistra nei suoi capelli e socchiuse gli occhi;
non
vedeva la moquet, i piedi dell’uomo q qualunque cosa fosse
nel salotto, c’era
solo il ricordo del momento in cui lui e Gilbert avevano discusso di
tutto
quello.
« Non è facile, tutt’altro: è
tremendamente difficile e ne sono fin troppo
consapevole. E so anche che ormai è inutile illudersi,
fantasticare su pieghe
diverse…
Non possiamo permetterci di fare una valigia e scappare in America, di
riprendere lì una nuova vita e scordare la passata: siamo iniziati con
l’inizio di queste terre e
con esse finiremo.
Io e Gilbert siamo…
manifestazioni incarnate di Nazioni.
E, in quanto tali, siamo sudditi di chi ci governa. Re, imperatori,
duchi,
presidenti e governatori… tiranni… »
Una pausa, usata per umettarsi le labbra e rivolgere a quel ricordo un
ennesimo
sorriso: si trattava ora di quello dei saggi e dei forti, del sorriso
dei
pazienti.
« Ma le mie mani, gli organi del mio corpo… quello
che provo e quello che penso…
Tutto questo ci rende anche uomini, umani.
E le mie decisioni
come umano sono mie e
basta.
Così… abbiamo deciso che aspetteremo; aspetteremo
finché tutto non sarà
passato, aspetteremo e lasceremo che gli eventi ci scorrano addosso,
fin quando
non si placheranno.
Aspetteremo fin quando tutti saranno così stanchi da poter
fare solo la pace… e
allora inizieremo davvero.
Potremo permetterci di vivere come Gilbert e Toris e per questo sono
disposto a
tutto ciò.
Davanti a me ho l’immortalità, per Gilbert posso
aspettare cinquant’anni o più.»
La riconoscenza che l’uomo diede a Toris in quel momento mai
fu smentita nel
resto degli anni della sua vita: il lituano che gli sedeva davanti era la persona
più coraggiosa che avesse
avuto la fortuna di udire.
Gli posò una mano sulla spalla e, dopo che il moro ebbe
alzato lo sguardo verso
di lui, gli rivolse un sorriso e
una
parola:
« Drąsa.»
Toris gli sorrise; “volontà”,
sì, gli si addiceva.
Due colpi secchi alla porta lo fecero sussultare e si
ritrovò a sbuffare in
modo affettuoso e paziente quando una voce gracchiante e alta
trapassò il
legno.
« Oh, Thomas! Toris
è qui?»
« Sì, sì, arrivo.»
Il cinquantenne si sbrigò ad andare ad aprire e Toris si
diresse con lui alla
porta: parlare di certi argomenti gli aveva fatto venire voglia di
vederlo e
incontrare i suoi occhi rossi fu come una specie di medicina.
« Ah, eccoti!»
« Gilbert, sei tornato in anticipo.»
Il prussiano sorrise in quel modo che gli era tipico e
annuì; aveva il viso
stanco per il viaggio e, molto probabilmente, per le notizie apprese,
ma agli
occhi di Toris continuava ad apparire raggiante.
« Sì, ero stanco. Motivo per cui adesso ce ne
andiamo subito in albergo!»
E, come se il concetto non fosse di per sé abbastanza
chiaro, afferrò Toris
per la manica e lo tirò fuori casa,
voltandosi giusto per sventolare la mano verso l’altro.
« Mi spiace, Thomas, ma per oggi hai smesso di
sfruttarlo!»
« Io non sfrutto proprio nessuno, è lui che
diventa troppo accondiscendente tra
quattro mura.»
Il sorriso di Gilbert salì, sghembo, e un guizzo di furbizia
scoppiettò negli
occhi.
«Ohhh, tranquillo, lo so bene! ♥»
Toris non seppe se dare o no una gomitata nello stomaco a Gilbert,
chiedendosi
se ciò non avrebbe reso tutta quella situazione ancor
più evidente, ma quando
decise già era troppo tardi, perché il padrone di
casa era scoppiato nella
grassa risata della consapevolezza.
Oh, ora voleva andarsene anche Toris, eccome! Ma
quello che si chiamava Thomas lo chiamò a
gran voce, quando già i due avevano chiuso il cancello,
facendolo voltare.
« Goditi questo spazio d’attesa!»
Gli disse e Toris ricambiò col silenzio e un sorriso che
sapeva di
ringraziamento. Poi la porta di casa si chiuse e rimasero solo loro
due, il
braccio di Gilbert che, veloce, gli scivolava attorno alla vita e le
labbra che
premevano sull’angolo delle sue.
« Di che avete parlato?»
« Mi ha fatto leggere i primi capitoli del suo nuovo
libro.»
« Figurarsi se si riposava un po’!»
Gilbert scosse la testa e, con impeto affettuoso, strinse ancor
più Toris a sé.
«Il vecchio Mann non si smentisce mai.»
Toris fece spallucce e, silenziosamente, passò anche lui il
braccio intorno al
corpo dell’altro.
« Di che avete parlato a Berlino?»
« Puoi immaginartelo.»
Toris annuì e il silenzio calò nei secondi
necessari a Gilbert per scrutarsi
intorno.
« Lascerò la nostra stanza sempre prenotata.
Potremo fuggire qui, nei prossimi
anni.»
Toris lo guardò dritto negli occhi e quei suoi due laghi
azzurri tradirono
forse troppa speranza.
« Credi… pensi che ci riusciremo?»
Gilbert, in tutta risposta, prima gli sorrise tanto da mostrare i
canini e poi
gli regalò un sonoro pizzicotto laddove c’erano le
natiche, facendolo
sussultare.
« Sì, se muovi il culo e corri veloce!»
« Gilbert!»
Il prussiano scoppiò in una risata rumorosa che fece voltare
più passanti e,
nonostante tutti i tentativi di trattenersi, non ci volle molto
perché anche
Toris, contagiato, iniziasse a ridere, coprendosi il volto con la mano.
Avrebbero aspettando tutti gli anni che gli altri avrebbero deciso per
poter
tornare a ridere insieme.
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No, gente,
mi spiace ma non sono ancora morta. ;w;"
Bene, ecco un capitolo di quella che è la storyline che mi
sono fatta di loro due.
Diamo informazioni storiche per meglio comprendere: a seguire della
Prima Guerra, la Lituania diventa territorio tedesco; gli
verrà concessa l'indipendenza, ma dopo poco
tornerà a far parte sempre die possedimenti tedeschi.
Sale al potere Adolf Hitler, la Lituania torna all'Impero
Russo in cambio di gran parte della Polonia, la Seconda
Guerra scoppia e poi lo sapete---
Però c'è un però.
Come ho fatto spiegare da Toris, nella mia visione sono i capi di stato
a prendere le decisioni e i rappresentanti, in quanto paese di cui il
potere è tenuto propri da tiranni, re, imperatori
e chi più ne ha più ne metta, non possono far
altro che accettare le decisioni -tralasciando colpi di stato e
rivoluzioni, ovviamente.
Indi per cui, Gilbert e Toris altro non hanno potuto fare che piegarsi,
come Nazioni, all'inevitabilità dei fatti e decidere
però di aspettarsi e continuare ad amarsi come uomini.
Altre postille per la comprensione piena: Thomas Mann passa le estati
dal 30 al 33 a Nima, prima di fuggire in Svizzera a causa di
una critica riguardo all'uso di Wagner come emblema del
nazionalsocialismo che viene, com'era da aspettarsi, poco apprezzata da
Hitler.
La primogenita, Monika -se non erro mi pare che si chiami
così, chiedo perdono ma quest'uomo di figlie ne aveva ;v;" -
fu un'omosessuale dichiarata, per questo Mann dice a Toris di non
preoccuparsi del suo giudizio.
E' risaputo che Thomas Mann avesse un ottimo rapporto con tutti i
suoi figli.
Detto tutto ciò, spero vi sia piaciuta e spero di
leggere qualche commento, magari positivo! x°
Baci!
_Valkyrie.