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Autore: Black_Arrow    10/10/2012    0 recensioni
Aprì la porta, non guardava quasi mai per terra mentre camminava ma per fortuna quel giorno, forse perché un po' era destino, abbassò lo sguardo e la vista gli cadde su un tenero fagottino bianco e rosa legato con un filo di organza. Lo sollevò e soppesandolo tra le mani cercò di capire cosa potesse contenere, si arrese dopo poco e con curiosità crescente slacciò il piccolo nastro. Biscotti, freschi, fragranti, biscotti appena sfornati. Ne addentò uno, ottimi.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Aprì la porta, non guardava quasi mai per terra mentre camminava ma per fortuna quel giorno, forse perché un po' era destino, abbassò lo sguardo e la vista gli cadde su un tenero fagottino bianco e rosa legato con un filo di organza. Lo sollevò e soppesandolo tra le mani cercò di capire cosa potesse contenere, si arrese dopo poco e con curiosità crescente slacciò il piccolo nastro. Biscotti, freschi, fragranti, biscotti appena sfornati. Ne addentò uno, ottimi.
Cercò con gli occhi tutt’attorno, sul vialetto e tra i cespugli, ma non potè trovare nessun biglietto o segnale che indicasse l’origine di quel fagotto.
Era impossibile che li avesse fatti Aurora, erano troppo buoni per poter essere usciti dalle sue mani dotate di scarsa capacità culinaria e non ricordava che la mamma ne avesse preparati per il loro intervallo.
Scrollò le spalle e ripose i biscotti all’interno del proprio zaino, non perse troppo tempo a domandarsi quanto fosse saggio raccogliere cibo dalla strada, dopotutto Aurora si era di nuovo dimenticata di fare la spesa e non aveva nient’altro da mangiare nella pausa del mattino.
Gettò un rapido sguardo all’orologio: 7.55.  Il suono della campanella scattava alle otto in punto e convenne ulteriormente che quello non era il momento adeguato per interrogarsi su biscotti misteriosi.
Dovette cominciare a correre e, mentre il vento arrivò a scompigliargli i capelli, maledì la sua sfortuna, aveva perso ore a sistemarli quel mattino.
Arrivò alle porte giusto nell’attimo in cui il bidello le stava per chiudere: “Francesco!Di nuovo?”lo apostrofò quello con sguardo severo.
“Scusa Giovanni!aspetta aspetta!”implorò infilandosi per un pelo dallo spiraglio del portone semichiuso.
“C’è la tua bella che ti aspetta di là, ti dispiacerebbe arrivare un po’ prima ogni tanto?Non fa altro che ossessionarmi tutte le mattine!dall’apertura del portone!”
Le labbra di Francesco si piegarono in un sorriso imbarazzato: “Perdonami Giovanni!Le avevo già detto di non aspettarmi al mattino, non mi vuole ascoltare!”
“Beh risolvetevi i vostri problemi tra di voi!”concluse l’uomo afferrando uno scopettone dal suo carrello delle pulizie prima di allontanarsi borbottando.
Povero Giovanni, aveva le sue ragioni, Melissa sapeva essere insopportabile quando voleva; temeva lui stesso, in quel momento, lo sguardo infuriato che lo avrebbe accolto non appena svoltato l’angolo.
Non capiva la rabbia di Melissa, lui era un ritardatario cronico, mai sarebbe riuscito ad incontrarla alla mattina prima delle lezioni perciò aveva voluto evitare di prometterglielo, non voleva illuderla, aveva scelto di essere chiaro: “Non ho assolutamente intenzione di togliere tempo al mio sonno!”aveva detto.
Ciononostante lei sembrava non aver ascoltato, o meglio, aveva ascoltato chiaramente le sue parole data la rabbia che gli aveva riversato contro subito dopo e il litigio cruento a cui era riuscito a sopravvivere a stento; ma il giorno successivo sembrava averle dimenticate o, probabilmente, era convinta di aver avuto la meglio sul litigio, come se un bacio dato per evitare il fiume inarrestabile delle sue parole fosse un modo per chiedere scusa.
Dannò quel bacio i giorni successivi, quando, ad ogni mattina alla quale lui non si presentava a questo presunto appuntamento, lei lo aspettava con saluti ed odio, insulti e baci.
Sbuffò mentre si apprestava a girare l’angolo, la sua mente stava già costruendo il muro invisibile che l’avrebbe protetto dalle parole simili a dardi infuocati che sarebbero fuoriuscite dalla bocca di quella ragazza-mitraglia.
Vide spuntare la sua figura e ringraziò, nonostante tutto, che quel muro mentale fosse invisibile: Melissa, come ogni giorno, era bella. I lunghi capelli ondulati le ricadevano sciolti lungo le spalle, le sue curve sinuose erano corredate da abiti appena usciti da boutique di lusso, gli occhi verdi erano accentuati nella loro forma felina da una scura linea di matita.
Nell’osservare la sua immagine si rabbonì, la sua mente abbatté il muro invisibile e si riempì del bisogno di stringere quel corpo invitante.
“Buongiorno amore mio…”la precedette prima che potesse aprire bocca, la accolse tra le braccia premendo forte le sue labbra contro quelle di lei, il sapore fruttato e dolciastro che ne seguì lo saziò più della sua misera colazione.
“Smettila!Sono arrabbiata e non voglio baci!Sei in ritardo!Di nuovo!”starnazzò lei dopo essersi liberata dalla sua stretta.
La osservò, presa dal suo assillante lamentio quotidiano, ed un unico pensiero attraversò la sua mente: la dolcezza di Melissa risiedeva unicamente nelle sue labbra ricoperte di gloss.
 
L’aveva scampata anche quella mattina, si era fatto strappare la promessa di incontrare Melissa durante l’intervallo, ma perlomeno in quel modo era riuscito a calmarla ed ora poteva rilassare il proprio cervello al ritmo delle parole monotone del professore.
Nascose il capo dietro il muro di studenti che gli assicurava il suo strategico “posto in fondo” e lasciò che la superficie fredda del banco si scontrasse contro la sua guancia.
“Fra1Fra!”la voce del suo compagno di banco proruppe tra le nebbie confuse dei suoi pensieri di poco precedenti al sonno.
“Eh!”borbottò esasperato, quando sarebbe arrivato il momento del riposo?!
“Oh!hai visto la Bea oggi?che davanzale!”
Sollevò il capo e svogliatamente rivolse lo sguardo alla ragazza indicata da Luca, Beatrice indossava un camicia probabilmente sbottonata fino all’ombelico e se ne stava pettoruta e prorompente con la schiena ben inclinata cercando di mettere maggiormente in mostra quello che già si faceva inequivocabilmente notare da solo. Non appena notò il suo sguardo gli lanciò un occhiata provocante e fu chiaro che tutto quella pagliacciata l’aveva messa in scena per lui.
“Te la lascio, lo sai che sono preso…”commentò lasciando la testa tornasse ad adagiarsi tra le braccia contro la solita superficie fredda.
“Cavolo che culo che hai Fra!Fai bene a tenerti la tua, è la più figa!”
“Oh modera i termini!”grugnì contro il banco.
Non era veramente geloso ma gli piaceva farsi passare per tale, aumentava a dismisura il sentimento d’invidia che provavano i suoi amici nei suoi confronti. Gli ricordava vagamente di quando, all’asilo, aveva portato un meraviglio camion giallo che, azionando un interruttore, poteva muoversi da solo. I compagnetti gliel’avevano così invidiato che molti si erano messi a piangere soprattutto dopo il suo rifiuto a condividere il gioco.
Forse era così anche per Melissa, dal primo giorno in cui si erano messi insieme, infatti, non aveva ricevuto altro che commenti simili a quello di Luca, invidiano la sua fortuna e la sua bellezza le quali gli avevano assicurato accanto la ragazza più bella della scuola.
Rifiutarla agli altri non faceva che peggiorare il loro sentimento di inferiorità, si fingeva offeso ma dentro gioiva di quei momenti.
“Scusi professore, mi servirebbe Francesco…”la voce di Giovanni e il sentire il suo nome lo risvegliarono dai suoi pensieri.
“Sembra che sua sorella si sia fatta male nell’ora di ginnastica…”
Scattò in piedi mentre il professore gli concedeva di uscire, Aurora era particolarmente cagionevole di salute tant’è che alla sua età di sedici anni era ancora tanto minuta da sembrare una ragazzina delle medie. Sforzi che per persone comuni erano normali la potevano stancare enormemente.
Nonostante la sua sbadataggine, Aurora, era però sempre riuscita ad evitare qualche inconveniente mentre era circondata da persone diverse dalla propria famiglia.
Ora, senza la possibilità di chiamare i suoi genitori impegnati con il lavoro fuori città, non sapeva bene come comportarsi e l’ansia cominciava ad infastidirgli lo stomaco mentre percorreva di fretta il corridoio sulla scia di Giovanni.
Si passò una mano tra i capelli, nervoso, Aurora lo aveva implorato di non rivelare a nessuno il suo problema , ma come avrebbe potuto evitarlo in questa situazione?
Arrivò infine nel cortile nel quale si tenevano le lezioni di Educazione Fisica, tutta la classe era raggruppata al centro, un capannello di studenti rumorosi che commentavano quanto era appena accaduto.
Si fece strada tra le teste strettamente unite e giunse infine al centro del gruppo, nel quale stava stesa, poggiata al suolo, la sorella.
“Che è successo?” chiese alla professoressa presente.
“Stavamo facendo degli esercizi e all’improvviso le gambe non l’hanno più retta, è caduta all’improvviso, come un peso morto..”gli toccò un braccio, un’espressione apprensiva sul volto“sarebbe meglio chiamare qualcuno…”
“I miei sono a lavoro!comunque io ho 18 anni quindi posso portarla a casa io, è qui vicino, può riposare lì fino a che non tornano!”si congratulò con se stesso per aver trovato una soluzione che non prevedesse l’aiuto dei genitori.
La professoressa sembrò soppesare la sua idea per diversi minuti per concludere infine:
“Va bene, ho controllato e sembra che non ci sia nulla di rotto e lei sembra essersi ripresa, avrebbe, però, comunque bisogno di una visita medica…”
“Lo dirò ai miei, grazie del suo aiuto!”raccolse Aurora da terra accogliendola tra le braccia, teneva la testa bassa, imbarazzata ed impaurita al tempo stesso, e stringeva la mano di una ragazza che le era sempre stata accanto, dal momento in cui lui era arrivato.
“Tranquilla, Aurora sta bene, deve solo riposarsi…”le disse per far sì che lasciasse la sorella, voleva affrettarsi verso casa.
La ragazza sembrò realizzare in quel momento la sua presenza ed un lieve rossore le si dipinse in viso.
“No!voglio stare con Giuditta!”si agitò Aurora tra le sue braccia, faceva i capricci e improvvisamente gli tornò alla mente quando, durante la loro infanzia, si era sbucciata un ginocchio ed era scoppiata in lacrime, stesa sul cemento bollente di una strada immersa nell’afosa calura estiva. Anche quella volta mancavano i genitori e, per calmare le sue urla fino al loro arrivo, le aveva donato un lecca-lecca. Troppo impegnata a succhiare quello, era stata obbligata a chiudere la bocca e si era fatta docilmente medicare la ferita.
Pensò di comportarsi in maniera simile, donando una piccola promessa alla sorella:
“Dai!Se ora vieni a casa con me Giuditta ti promette che nel pomeriggio ti viene a trovare, vero Giuditta?”la guardò negli occhi, speranzoso.
Lei lo osservava, gli occhi spalancati, lo sguardo un poco perso, pensò che fosse preoccupata per l’amica e non sapesse bene come comportarsi.
“Verrai Giuditta?”chiese Aurora, piagnucolando un poco.
Nel sentirla si scosse e annuì sorridendo: “Certo!Sarei passata anche se non me l’avessi chiesto!Ora vai a casa e riposati, va bene?Quando verrò oggi pomeriggio voglio vederti già in forze!”
Aurora annuì e agitando la mano salutò l’amica mentre Francesco, ricevuto il permesso, si affrettò verso l’uscita. Doveva arrivare velocemente a casa e telefonare ai genitori.
 
“Drin!”
Il campanello di casa cominciò a suonare fastidiosamente.
“Arrivo!”urlò Francesco contro voglia, era di umore nero, i suoi genitori si erano grandemente scusati ma purtroppo non potevano assolutamente abbandonare il lavoro, dopotutto c’era lui che poteva prendersene cura e, in ogni caso, la sorella doveva solo riposare, sarebbe bastato controllarla ogni tanto.
Semplicissimo certo, se non fosse stato che, per stare con la sorella, era stato obbligato a dare buca a Melissa, la quale lo aveva tenuto al telefono per un’ora, lamentandosi di quanto fossero irresponsabili i suoi genitori.
“Ti ho detto che assolutamente non possono lasciare il lavoro!”le aveva detto.
“Si va beh!e scaricano le responsabilità su di te? Ce! Non sei mica suo padre!”
“Melissa, senti, non la posso lasciare sola!Volente o nolente devo stare qui!”si era infine alterato lui, stanco di dover continuamente dare spiegazioni.
“Allora stai lì!”aveva risposto lei prima di riattaccargli il telefono in faccia.
Aveva lanciato un grugno esasperato prima di gettare il telefono lontano da sé per non cedere alla tentazione di telefonarle di nuovo e insultarla con un fiume unico di parole indecenti.
Aprì la porta soprappensiero, dimenticandosi pure di chiedere di chi si trattasse ed una ragazza anonima gli apparve davanti.
Aggrottò le sopracciglia: “Tu sei?”domandò senza riconoscerla.
“Giu…Giuditta, l’amica di Aurora, mi hai chiesto di passare oggi pomeriggio…”
L’aveva fatto? Sì, mentre cercava di convincere la sorella a tornare a casa, ora ricordava.
“Ehm… Sì, solo che Aurora adesso sta riposando quindi è meglio lasciarla stare…le dirò che sei passata…” disse già accingendosi a chiudere la porta.
“Non credo!” rispose lei alzando un poco la voce per farsi sentire da lui che era già dietro la porta. “Non credo che Aurora si aspetti questo, le avevo promesso che le sarei stata accanto, lo posso fare anche mentre lei dorme!”continuò risoluta varcando la soglia dallo stretto spiraglio che Francesco aveva ancora lasciato aperto.
Lui la guardò sbalordito, non sembrava il tipo da comportarsi in maniera così scortese tanto da entrare in una casa anche quando non invitata.
Alzò un sopracciglio ma non cercò di allontanarla oltremodo: “Beh fa un po’ come vuoi, se ti diverte starla a guardare mentre ronfa, sta solo attenta a fare piano e non svegliarla.”disse piatto mentre la ragazza lo sorpassava diretta alla scala che portava al piano superiore e alle camere da letto.
Si apprestò a richiudere la porta ma fu fermato da un oggetto svolazzante che attirò la sua attenzione. Incastrato attorno alla maniglia esterna vi era un nastro rosa d’organza, lo districò delicatamente mentre si domandava da dove potesse essere arrivato.
Probabilmente l’amica di Aurora lo portava legato allo zaino e il suo strisciare precedente tra lo stipite e la porta l’aveva strappato.
Lo strinse in una mano, non capiva per quale motivo ma quel nastro gli era vagamente famigliare.
 
 
 
  
   
 

  
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