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Autore: Klavdiya Erzsebet    11/10/2012    1 recensioni
Parte della serie Until Death Do Us Part
(Tornano Greg e Sophia Lestrade protagonisti. È dichiaratamente romantico, anche se l’amore non è il genere principale. E pensare che non credevo di essere capace di trattarlo anche solo minimamente.)
Una strana malattia colpisce Sophia Lestrade, e un caso particolarmente inspiegabile approda nell’ufficio di Greg. Due misteri, collegamenti inaspettati, una corsa contro il tempo e una modesta ipotesi di come l’amore per la vita abbia potuto portare alla morte: tutto è contorto. Talvolta è difficile determinare l’impossibile.
{Attenzione: fanfiction Greg–centrica a livelli vergognosi}
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lestrade , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Until Death Do Us Part'
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In Sickness and in Health

 

Cap.VIII

Ricominciare

 

Greg finì di rileggere i vari referti delle autopsie; evitò accuratamente le foto a cui lanciò solo pochi sguardi di puro orrore. Causa di morte, in parole povere: l’esplosione. Per tutte le vittime. Ricominciare da capo. Accartocciò il bicchiere e lo lanciò sotto la scrivania, mancando di poco il cestino. Sospirò e cercò di prendere un respiro profondo, col solo risultato di un’improvvisa scarica di colpi di tosse.

Si portò le mani alla bocca, tolse immediatamente i piedi dalla scrivania: perse l’equilibrio, mentre si sentiva piegare in due. Posò d’istinto i palmi sul piano del tavolo e così facendo lasciò cadere una piccola goccia di sangue, scura e lucida, fino alle piastrelle. “Merda” borbottò Greg pulendosi la bocca con la manica della giacca, non trovando nient’altro. Un’altra goccia gli scivolò lungo il collo e bagnò la camicia bianca.

Non era quella che Sophia gli aveva regalato; quella l’avrebbe probabilmente messa solo a qualche matrimonio o cose così. Oppure il giorno del loro divorzio, sempre che non fosse stato troppo impegnato a smaltire l’ultima sbornia della loro unione. I vestiti sarebbero stati l’ultimo dei suoi problemi.

Lo pensò freddamente, con un mezzo sarcasmo. Eppure l’idea del divorzio rimase anche quando un piccolo sorriso amaro svanì dal suo volto: gli sembrava un baratro e non sapeva spiegare perchè. Significava cambiare ogni cosa, non solo Alec Martin.

Sentì dei passi in corridoio e riconobbe l’andatura veloce e altera di Sally, insieme a quella pigra e costantemente annoiata di Anderson. A volte gli ricordava un cadavere ambulante.

“Cosa c’è?” chiese con tono neutro quando decise che fossero abbastanza vicini all’ufficio da sentirlo.

In un copione ormai noto e decisamente abusato, Sally Donovan diede una prova eloquente della sua fretta facendo entrare nella stanza niente di più che i suoi capelli ricci. “C’è stato un attentato” disse.

Greg ebbe come una sensazione di déja–vu; si alzò dalla poltrona, si sistemò la camicia e involontariamente scoprì la macchia rossa all’altezza del colletto. “Che hai lì?” domandò il sergente Donovan appena la vide. Lestrade fece finta di niente.

“Dove?” chiese subito.

“Nella metropolitana. Non lontano da qui”

“Merda”

Greg afferrò il cappotto e se lo infilò in fretta, seguendo Sally che indossava già una giacca a vento di un rosa accecante. Lanciò un’occhiata al cielo dalle finestre e vide delle nuvole che non promettevano niente di buono. “Fa che non nevichi” bofonchiò prendendo le chiavi e uscì da Scotland Yard quasi di corsa.

Sally era più svelta di lui, nonostante i tacchi, e l’aria gelida lo paralizzò; salì sull’auto e accese il riscaldamento prima ancora di informarsi sull’indirizzo preciso.

“Un ragazzo, di nuovo” lo informò il sergente. “All’ora di punta. Quindici morti, questa volta”

Greg imprecò sottovoce; superò la vecchissima auto di un anziano e capì di essere vicino alla scena quando scorse giornalisti e camioncini con gli stemmi delle principali televisioni. “Merda” ripetè.

“Di qui” lo guidò Sally indicando una piccola folla, trattenuta da qualche agente; Lestrade parcheggiò alla meglio se saltò giù dalla macchina appena riuscì.

“Polizia” disse facendosi largo tra le gente e mostrando il distintivo all’uomo che se ne stava impettito accanto al cartello della metro. Li fece passare senza dire una parola e Greg vide distintamente una ragazza tentare di aggrapparsi al suo cappotto, per entrare lì dentro; e dai suoi occhi azzurri capì che sperava per qualcuno. Lestrade tentò di ingnorarla e scese le scale, rischiando di inciampare un paio di volte, e sentendosi rimbombare nelle orecchie le sue urla – quelle di una fidanzata, una sorella, un’amica? – mentre veniva bloccata dagli agenti.

Sotto, la metro era deserta; le piastrelle sporche erano coperte da qualche rifiuto e da numerosi oggetti che la gente doveva evere perso nella fuga. Era disseminato ogni genere di cose e quella monotonia che faceva assomigliare il pavimento a una discarica era rotta solo da un numero indefinito di teli bianchi e sporchi.

“Dov’è l’attentatore?” chiese Greg a un giovanissimo agente, sentendo i passi di Anderson scendere le scale. Il ragazzo gli indicò un corpo esattamente in centro a tutti gli altri, steso laddove il caos era maggiore e più palpabile: in qualche modo l’esplosione era ancora nell’aria. Era appena successo. A Greg, quel momento era sempre sembrato come ‘proibito’: il tempo che si piegava per poi ritornare dritto, lasciando da parte in una piega quell’attimo che non si vedeva mai alla tv.

Si avvicinò al telo sotto cui giaceva l’assassino, timidamente e senza nessunissima voglia di sollevarne un lembo per trovare solo un altro corpo devastato.

Fu il giovane agente a farlo per lui. Afferrò un angolo del lenzuolo e timidamente lo spostò da quella che Greg riconobbe come la faccia del ragazzo.

Era giovane, anche se un po’ meno di Chris; strizzò gli occhi, cercando di coglierne meglio i lineamenti. Gli occhi sgranati erano verdi e profondi.

Lestrade indietreggiò, fino a urtare col piede una superficie rigida; si girò di scatto e vide che non era che un altro telo bianco e macchiato, troppo vicino all’attentatore perchè la persona che ci giaceva sotto fosse ancora definibile tale. Il volto del ragazzo che si era fatto esplodere all’ora di punta a una fermata tra le più affollate della metropolitana era bruciato ma si poteva ancora intravedere la pelle chiara, il naso piccolo e armonioso. Occhi grandi. Verde scuro.

Greg serrò gli occhi fino a farsi male, e far apparire piccole figurine colorate e danzanti che quando li riaprì saltellarono fastidiosamente alla luce artificiale della fermata della metro. “Ha il portafoglio” fece notare sforzandosi di suonare neutro al giovane agente, sfilando un piccolo oggetto mezzo crbonizzato dalla tsca del morto con tutta l’attenzione che riuscì a metterci. Con attenzione lo aprì e sfilò la carta d’identità.

Notò con disappunto che l’intera parte inferiore era bruciata; si leggeva solo il nome, Luke Taylor, e parte della data di nascita. “Aveva ventisei anni” sentenziò Greg stupendosi di quanto poco quella faccia carbonizzata effettivamente rivelasse; gli era sembrato un poco più giovane. Istintivamente andò a confrontare il cadavere con la piccola fototessera incollata e annerita sulla parte inferiore.

Il cuore gli balzò in gola; sentì come un vuoto d’aria, un profondo bisogno di respirare. Un volto chiaro e una bella pelle sottile, appena l’accenno di occhiaie, capelli castano chiaro e un poco di barba. Si focalizzò sui lineamenti. Non era possibile.

Si alzò di scatto dando il portafoglio di Luke Taylor in mano al ragazzo e prese un respiro profondo, ritrovandosi a tossire un attimo dopo; Sally si voltò a guardarlo, mentre il giovane agente apparve confuso. “Tutto bene, signore?” mormorò incerto e Lestrade dovette prendere ancora più aria quando gli vide il documento ancora aperto tra le mani.

Il sergente Donovan si chinò accanto all’attentatore, lanciando uno sguardo rapido alla fototessera. Sgranò gli occhi e parve capire.

La chiuse di scatto e la identificò come prova, in un sacchettino sigillato; l’agente si alzò e andò a dedicarsi a un altro corpo. Greg sentì arrivare un’altra scarica di colpi di tosse e fu costretto a piegarsi su se stesso, portandosi una mano alla bocca. Rivide il viso di Luke Taylor, le sue labbra piccole e rosee inarcate in un piccolo sorriso rivolto alla fotocamera: una mera coincidenza, forse, o magari solo la sua mente suggestionabile dalla stanchezza. Si stava ammalando, anzi. Era solo un’impressione. La somiglianza non era nemmeno così marcata.

Eppure sapeva che non era vero. Luke Taylor le assomigliava. Terribilmente. Luke Taylor era pressochè identico a Sophia

“Vai a riposare” gli disse Sally a voce bassa, quasi sconfitta. Si vedeva la rassegnazione sul suo volto. Greg si sentì improvvisamente stupido, quasi un peso per tutta Scotland Yard; e tentò di contare quante volte, nelle ultime settimane, aveva visto la stessa preoccupazione del sergente Donovan negli occhi di qualcuno. Erano troppe, inaccettabili, e si rese conto che Sophia e tutti i problemi che ne derivavano si stavano portando via la sua vita. Che sua moglie stava allargando il suo dominio anche al lavoro e che molto probabilmente non era volontario, ma era tutta colpa di Greg.

Che era lui quello sbagliato, alla fine: nella sua testa ci doveva essere un qualcosa che si era inceppato e che si era fissato su Sophia in maniera quasi ossessiva, e che questo lo stava in ogni senso rovinando.

“No” disse a voce alta, a Sally. “Sono solo stanco. Chiamo Sherlock”

Prese il cellulare nuovo di tasca e si fermò a riflettere un attimo dopo avere premuto il tre, a lungo, per chiamare l’unico consulente investigativo reduce dell’unico errore della propria carriera; valutò se fidarsi, se stesse facendo la cosa giusta o meno. Eppure improvvisamente ricordò che era lo stesso Sherlock che aveva risolto anche i casi più intricati. “Pronto, Lestrade, è per l’attentato alla metropolitana?”

Merda, imprecò mentalmente Greg. Era ormai di dominio pubblico. “Sì”

“Arriviamo subito”

Sherlock mise giù senza neanche salutare e Lestrade sospirò. Rimise il telefono nel cappotto. Si accertò che il portafoglio nuovo ci fosse ancora.

Vide Sally intenta a guidare il medico legale fino al corpo dell’attentatore e desiderò immensamente possedere un tasto di stand–by; eppure come ogni volta si ritrovò a chiudere e riaprire gli occhi cercando di trattenere uno sbadiglio. “Vado a dire qualcosa ai giornalisti” disse a nessuno il particolare. Forse ad Anderson che casualmente si ritrovava a un paio di metri da lui. Risalì le scale lentamente e vide dei microfoni affacciarsi oltre le poche persone scioccate rimaste.

“È vero che la scena  particolarmente cruda?”

“Potrebbe essere collegato con l’attentato del British Museum?”

“L’ipotesi terroristica è da considerarsi scontata?”

Greg sospirò e tossì; scorse gli occhi sgranati della gente finchè non incontrò quelli azzurri della ragazza. Pensò che probabilmente le sue domande, per ora, erano le uniche a meritare una risposta. “Non posso ancor rilasciare dichiarazioni” disse a voce alta ai giornalisti. “Qualcuno conosceva Luke Taylor?” aggiunse poi sottovoce, col tono più serio che gli riuscì.

“È il mio fidanzato!” rispose infatti la ragazza con gli occhi azzurri che improvvisamente si riempirono di lacrime; e vedere quel colore diventare ancora più chiaro gli ricordò l’orribile immagine di Sophia che piangeva.

“Mi dispiace, signora” le disse eloquente, con un tono basso, profondo, dispiaciuto e anche piuttosto sincero. La signora Taylor scoppiò a piangere mentre i giornalisti spingevano la calca sempre di più.

Qualcuno si stava avvicinando a lunghe falcate e Lestrade lo riconobbe come Sherlock, che superò i giornalisti con nonchalanche e mostrò qualcosa all’agente, che come prima non fiatò. Greg lanciò un’occhiata all’oggetto che il consulente teneva in mano e capì come quei maledetti distintivi gli sparissero ogni volta.

“Come mai ce l’hai tu?” chiese senza la minima intenzione di dargli vinta anche quella battaglia.

“Se volete la mia collaborazione dovete fornirmi i mezzi” ripose pacato Sherlock Holmes. Si diresse senza esitazione al corpo dell’attentatore e levò il lenzuolo con un colpo secco e senza pietà, rivelando le membra carbonizzate.

“Luke Taylor, ventisei anni, è lui che si è fatto esplodere” annunciò Greg a voce alta. Solo John l’ascoltò.

Sherlock lanciò un’occhiata in giro e cominciò a studiare le ustioni, chiamando il dottore con un semplice gesto della mano. Entrambi cominciarono a maneggiare il cadavere per qualche minuto.

“È sicuramente morto per l’esplosione” dichiarò John alla fine. “Per l’impatto o per le ustioni. La rigidità è coerente con l’ora dell’attentato. È morto da poco”

“Si è fatto esplodere alle sette e trenta” confermò il giovane agente, sbucando fuori da dietro di Greg. “Si chiamava Luke Taylor e probabilmente voleva emulare il nostro...”

“Non credo proprio” lo interruppe Sherlock, interrompendolo. “Ovviamente è collegato con l’attentato del British Museum".



A/N:

Il prossimo capitolo sarà importante... così, giusto per informarvi XD doveva essere l'inizio della conclusione, ma poi ci ho preso la mano e siamo solo a metà. Grazie a tutti quelli che stanno leggendo ;)

  
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