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Autore: ArchiviandoSogni_    11/10/2012    6 recensioni
Lui, lei e l'altro.
Roberto e Cristina si conoscono dall'età di tre e cinque anni e diventano, fin da subito, amici per la pelle.
La loro amicizia si fortifica anno dopo anno, ma - per una serie di sfortunati eventi- il destino ha deciso di mandarli in capo al mondo, dividendoli per sempre.
Lei a Milano, Lui a New York: la loro bellissima amicizia sembra affievolirsi ogni giorno di più. Dopo chiamate disperate, videochiamate malinconiche e visite ormai sempre più rade; il destino torna in campo per concendere ai due migliori amici, una seconda possibilità.
E se l'amicizia non fosse più l'unico sentimento che li lega?
E se, nel frattempo, dopo sette anni di distanza, comparisse il simpaticissimo e protettivo Luca al fianco della nostra incasinata protagonista?
Una storia d'amore moderna, frizzante e malinconica al punto giusto; che porta con sé il retrogusto dolceamaro della vita.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Cap 5
 


 

Averti qui è un po’ come morire



 

 
 
Vedevo, riflesso nel finestrino del taxi, un petto che si muoveva convulsamente avanti ed indietro.
Quella persona che riuscivo solamente ad intravedere tra le lacrime, era la perfetta raffigurazione umana dall’ansia e del panico.
“Crì?”
Quella mano, quel calore e quella voce dolcissima fecero ripiombare il peso della realtà di nuovo sulle mie spalle ricurve.
Dov’ero finita?
Perché il cuore mi faceva così male?
Riportai il mio sguardo sul finestrino che mi rivelò che quella perfetta raffigurazione dell’ansia: ero io.
Io stavo piangendo aggrappata al braccio di Luca e non riuscivo a capacitarmi di quello che era successo.
Mi sentivo impotente come mai in vita mia e dopo due ore di attesa, non vedevo l’ora che quel maledetto taxi si fermasse e mi facesse correre verso la fonte di tutto quel disfacimento interiore.
“Amore? Hey, guardami…”
Mi voltai in automatico, immergendomi negli occhi nocciola del mio ragazzo.
“Piccola, andrà tutto bene. La tua mamma è una tigre, proprio come te. Nessuno te la porterà via; te lo prometto.”
Mossi solamente la testa in un accenno indefinito, prima di rituffarmi sulla sua spalla e nascondermi tra i suoi capelli. Il suo profumo mi tranquillizzò, anche se le lacrime continuarono a scendere silenziose.
Dopo un tempo che non riuscii a quantificare, sentii la macchina fermarsi e Luca parlare con il tassista.
Non mi curai nemmeno di salutare lo sconosciuto o di aspettare il mio generoso accompagnatore ed cominciai a correre sotto la pioggia scrosciante, smaniosa di rivedere il volto della mia seconda anima.
Le porte automatiche dell’ingresso si aprirono a fatica e io mi fiondai alla reception chiedendo informazioni.
Mi ci volle più di un minuto per riuscire a parlare e a spiegare all’impiegata cos’era successo.
Per fortuna quella donna in carne e dal viso gentile capì il mio italiano quasi tribale, indicandomi un lungo corridoio senza finestre che mi avrebbe portata al pronto soccorso.
Arrivai nel grande salone d’attesa decisamente trafelata e sconvolta dalla velocità degli eventi.
Solo due ore prima ero felice e abbracciata al mio ragazzo che mi stava coccolando con tenerezza e poi, come nel peggiore degli incubi, mi ero ritrovata a prendere un aereo, a cercare poi un taxi sgangherato per essere trasportata in un posto semi sconosciuto che puzzava di disinfettante e di terrore.
Dopo che l’ansia mi stava pian piano distruggendo, riuscii a risalire delle scale e a raggiungere il reparto di terapia intensiva.
Venni fermata da un giovane infermiere, più impaurito di me dal mio stato emotivo che cercò di calmarmi con scarsissimi risultati.
Così, più afflitto di poco prima, mi fece accomodare su una seggiola bianca in legno plastificato che alimentò il mio evidente nervosismo.
Poco dopo, il ragazzo mi lasciò solo e venni raggiunta da un’altra signora distinta, con gli occhiali enormi e il volto serio.
“Lei è…?”
Mi passai una mano sul volto, cercando di ricompormi. “Cristina Moro. Mia madre dovrebbe essere lì dentro da circa tre ore.”
Solo dirlo, mi fece ricapitolare ed abbandonare il capo contro le mani.
“C-Cristina?”
Mi voltai verso la mia sinistra e, in mezzo al lungo corridoio color verde mela, ritrovai un viso più che conosciuto.
“Giovanna?”
La piccola donna in carne con la pelle chiara, i capelli biondo cenere e gli occhi marroni, mi venne in contro quasi correndo.
Accolsi così, tra le mie corte e impacciata braccia, la mamma di Roberto.
“Oh signore santo! Quanto sei cresciuta, Cristì? Mamma mia, sei diventata ancora più bella!”
Mi strizzò le guance, facendomi arrossire all’istante. Nonostante il momento catartico, sentire una presenza così familiare, mi fece stare bene.
Giovanna, nonostante avesse qualche accenno di rughe, era rimasta sempre la solita donna  bella, simpatica, gioviale e dolce come lo zucchero.
“Grazie.. E grazie per avermi chiamata; appena ho riconosciuto il numero di mia madre e ho sentito poi la tua voce, ho sentito subito un tuffo allo stomaco… Dio, cos’è successo?”
Il panico ritornò ad insinuarsi nel mio corpo, costringendomi a sedere di nuovo su quella sedia scomoda, che - d’altronde -  era l’unico punto fermo che possedevo al momento.
Giovanna si sedette al mio fianco, appoggiando una mano sul mio ginocchio.
“Tesoro, è stato orribile! Orribile!” Si portò una mano sotto il collo, con espressione addolorata e sofferente. “Eravamo appena tornate dal supermercato e stavamo spettegolando come al solito. Poi, oddio… Mi è caduta letteralmente tra le braccia mentre stavamo sistemando la spesa nel suo frigo. Io sono andata nel panico più totale, sai come sono imbranata in queste cose e allora ho cominciato a farle aria, ad alzarle i piedi e poi ho chiamato subito l’ambulanza. Da quando è entrata lì dentro, non ho saputo più nulla. Mi duole il cuore solo al pensiero di perderla… E’ la mia migliore amica.”
Le lacrime tornarono a scendere sia sul mio viso che sul suo e l’abbracciai di slancio, cercando di trarre forza da quel semplice gesto.
Se dovevo indicare una persona che stesse soffrendo come me per quel brutto momento, quella era di certo Giovanna.
Da quando aveva ottenuto il divorzio da Mario, si era trasferita nella stessa via di mia madre ed erano diventate inseparabili.
Entrambe con i figli lontani e con i mariti scomparsi – chi per un modo e chi per l’altro – dalle loro vite, erano riuscite a ricucirsi una vita serena e semplice, senza pretese, ma ricca di piccole gioie.
“Eccomi, amore.”
Luca si sedette sull’altra sedia libera al mio fianco e mi staccai da Giovanna per fare le presentazioni.
Si strinsero le mani in modo molto dolce e la donna lo guardò molto a lungo, pensando a chissà che cosa.
“Sei davvero un bel ragazzo, complimenti! Lo sapevo che la mia Crì ha sempre avuto buon gusto.”
Io arrossii di nuovo, ma con quella donna era ormai una prerogativa imprescindibile.
Luca, invece, mi trasse a sé, baciandomi il capo. “Assolutamente d’accordo. E’ una ragazza che sa il fatto suo.”
Una sensazione di apparente calma, sembrò pervadermi, lasciando che il tempo scorresse con meno fatica di qualche tempo prima.
Stare in mezzo a quei due, mi fece davvero bene.
“Signorina Moro?”
Un uomo brizzolato con la maschera calata sul collo, mi si avvicinò con fare deciso.
Le mie gambe si sollevarono involontariamente, portandomi in posizione eretta.
“Sì, sono io. Mi dica dottore, come sta mia madre?”
Dopo qualche secondo di silenzio, il dottore mi sorrise timidamente, facendomi emettere un sonoro respiro di sollievo. “Bene, signorina. Purtroppo tutto questo è successo, perché sua madre non esegue le dovute visite e controlli. Sa, una donna con i suoi problemi di cuore, non può dimenticarsi di prendere le sue medicine per tre giorni di fila. Ecco, sua madre ha subito un infarto del miocardio non indifferente. Per essere il più semplice possibile, un’arteria le si era ostruita e abbiamo cercato di ripulirla. Ora la teniamo in osservazione per almeno una decina di giorni, per controllare e monitorare il suo cuore. Poi dovrà intraprendere una cura mensile di anticoagulazione del sangue, ma questo glielo spiegherò in seguito.”
Mentre le parole del dottore via via sfumavano nella mia mente, sentii improvvisamente il pavimento tramare sotto i miei piedi.
Luca per fortuna mi accolse tra le sue braccia, evitando di farmi cadere rovinosamente a terra.
“Ma ora come sta? Posso vederla?”
“Sta bene, anche se è ancora sotto anestesia. Dovrebbe già essere stata trasportata nel reparto; chieda all’infermiera in fondo al corridoio il numero della stanza. Ora devo andare in sala operatoria, signori. Arrivederci.”
Seguendo il consiglio del dottore, mi precipitai dall’infermiera che mi indicò dove dirigermi e con Giovanna al mio fianco e Luca che intrecciò la sua mano con la mia, riuscii a non crollare e a trovare la forza di fare un passo dopo l’altro.
Appena il numero 16 si proiettò davanti a me, entrai senza pensarci.
Lì, rannicchiata sotto le coperte bianche e con il viso del medesimo colore, mia madre dormiva come la bella addormentata in attesa del bacio fatato del principe.
Dio, sembrava così piccola.. La mia mamma, la donna muscolosa abituata a fare lavori maschili e a dover soppesare la mancanza di un marito morto troppo precocemente…
Corsi ad abbracciarla, nonostante la flebo, i macchinari strani e quei tubicini trasparenti.
L’abbracciai forte o forse mi sembrò di essere abbracciata da lei, perché in fondo era sempre stato così.
Era lei quella forte, quella che lottava per tutte due contro le ingiustizie della vita.
Senza di lei, io sarei stata perduta.
“Mamma..”
Le baciai il volto, accarezzandoglielo leggermente.
“E’ bellissima.” Luca era dall’altra parte del letto e la guardava con occhi commossi.
“Sì, è la mia mamma.” Gli feci la linguaccia, stringendo di più quel viso minuto e femminile, nonostante i muscoli lievemente accennati delle braccia.
“Cazzo, deve avere una forza spirituale potente… Mi piace!”
Luca era la prima volta che vedeva dal vivo mia madre e in qualche modo quei suoi complimenti strambi, mi fecero stare bene.
Insomma, ero orgogliosa di entrambi.
“Certo, la mia Paola non è mica una pappamolle! Glielo metterà in quel posto anche al signore!”
Giovanna mi fece scoppiare e ridere tra le lacrime, facendomi sembrare probabilmente buffa e forse pazza.
“Sì, Giò, ne sono certa. Senti, perché non porti Luca a casa e lo fai riposare un po’? Così poi potete cenate insieme e riposare.”
“Per me va bene, capisco perfettamente ciò che mi stai dicendo indirettamente… Ok, sloggio, però domani mattina arrivo appena iniziano gli orari delle visite!”
Le sorrisi, mentre Luca mi guardava socchiudendo gli occhi.
“Cosa?”
Sospirai e lo raggiunsi dall’altra parte del letto, prenendolo per mano e trascinandolo fuori nel corridoio.
“Amore..”
“No, amore un cazzo; Crì! Io non voglio lasciarti qui da sola tutta la notte a dormire su una poltrona scomoda. Non sei la sola a lottare contro questo... Io ci sono e ci sarò sempre. Lasciami stare qui con te; voglio lottare con te.”
Il suo sguardo era risoluto, deciso; lo sguardo di un uomo che sapeva cosa voleva per sé e per la sua compagna… Dio, avrei potuto abbracciarlo e rimanere tra le sue braccia per tutta la vita.
“Luca.” Sospirai, perché mi faceva male il cuore allontanarmi da lui anche se per poche ore. “Ti amo e mi lusingano le tue parole; sei dolce, generoso e mi rispetti come nessun’altro ha mai fatto, però… Però tu lunedì devi tornare a lavorare e non voglio che te ne approfitti chiedendo permesso visto che sei il figlio del capo; no! Tu vai a casa, riposi e domani mattina vieni qui da me e mi porti la mia colazione preferita.”
Gli sorrisi e mi avvicinai al suo viso, accarezzandolo con il dorso della mano libera.
L’altra era ancora intrecciata alla sua che la stringeva con forza e possessione.
“Crì..”
“Shhh.” Gli posai un dito sulle labbra, sostituendole presto con le mie che vennero accolte dalla sua lingua che, con esigenza e leggera disperazione, si insinuò non solo nella mia bocca, ma fino in fondo all’anima.
Quel bacio significava “Ti amo”, “Sei mia”, “Non fare cagate, ma proprio per questa tua impulsività: ti amo.” E tutto riecheggiava nella mia testa all’unisono con il mio petto, ormai unito saldamente al suo.
“Sai sempre come prendermi, brutta stronza.”
Nonostante fossimo in un ospedale silenzioso e con pazienti in condizioni più o meno gravi a pochi passi di distanza, mi ritrovai a dover soffocare una risata contro la sua camicia. Luca era… Luca, punto.
Era speciale, assolutamente.
“Lo so che, a dir si voglia,  ami questa brutta stronza con tutto te stesso.”
Lui semplicemente mi sorrise radioso, prima di darmi un buffetto sul capo e allontanarsi verso Giò che salutò velocemente mia madre e mi abbracciò poi con forza.
Li guardai sparire nel lungo corridoio, finché non entrarono nel primo ascensore libero disponibile.
Prima di ritornare dentro la stanza, da mia madre, mi abbandonai contro la parete, volgendo il viso verso il finestrone al mio fianco.
Il cielo era grigio, senza il minimo sprazzo di luce aranciata tipica del tramonto.
Era come se quella giornata non si meritasse una fine così dolce e lenta, come se necessitasse la forza prepotente e annientatrice della notte.
Anche le nuvole sembravano intimorite da quella folle previsione, o forse era solamente il mio inconscio che proiettava la sua angoscia su tutto ciò che mi circondava.
Sbuffando, mi sistemai i capelli dietro le orecchie e mi diressi dentro la stanza asettica.
Il letto di fianco al muro era vuoto, mentre quello vicino alla finestra accoglieva il silenzioso corpo della mia genitrice.
Vederla così inerme, mi faceva male; ma come ogni figlia che si rispetti, tendevo ad idealizzare mia madre al pari di una dea indistruttibile e capace di ogni cosa.
Che sciocca… Nonostante non fossi più da tempo una bambina, non avevo smesso di esserlo ai suoi occhi e forse anche dentro al mio cuore.
In fondo, mi trattava ancora come se fossi la sua piccola principessa e a me piaceva essere coccolata ancora come una bambina.
“Sai, mamma; mi spiace immensamente per tutto questo. Ti ho lasciata sola, proprio come ha fatto il papà e mi sembra di sentirti sempre più triste al telefono, perché non sei riuscita a fermare queste due partenze che ti hanno ferita nel profondo. Papà non poteva tornare indietro, ma io posso ancora farlo…”
Mi sedetti sulla sedia di plastica per poterle stare più vicino, visto che la poltrona in pelle consunta era addossata alla parete in fondo alla stanza. “Perché non me lo hai detto? Perché non mi hai avvertito che il tuo cuore adesso comincia a farti degli scherzi? Tu prima mi hai sempre rimproverato di averti tenuto fuori dalla mia vita, ma è lo stesso che stai facendo tu. Non sapevo che dovevi prendere delle pastiglie; non sapevo che in realtà la tua forza si sta affievolendo.. Dio, vederti così mi ferisce… Non ti ho mai vista stare ferma in vent’anni di vita. Tu che non stavi mai a casa nemmeno se avevi la febbra altissima o un virus intestinale fin troppo ostico. No, tu ti imbottivi di medicinali e correvi a lavorare, perché era l’unico modo per sopravvivere alle follie della nostra vita.”
Mi asciugai le lacrime, mentre con la mano libera le accarezzavo il viso pallido.
Nonostante il tuo pallore, mi sembrava di vederti sorridere della mia stupida fragilità.
“Sei la mamma migliore del mondo, te lo voglio dire appena ti svegli. Non sono mai riuscita a dirti un vero ti voglio bene, perché sono una frana in queste cose… Cielo, devi riprenderti, ok? Mi devi insegnare tutte le tue ricette, i tuoi rimedi contro ogni imprevisto e voglio assimilare un po’ di quella forza che ti ho sempre invidiato. Mamma, voglio diventare una donna forte come te: una madre impeccabile e una lavoratrice inarrestabile. Sei tu il mio eroe, da sempre.”
Mi sentivo leggera come non mai, inseguendo le parole che avevano affollato la mente per tutta la vita, ma che non ero mai riuscita a dare voce.
Non è mai facile rivelare ciò che si prova per una persona, soprattutto per un genitore.
A volte si da il loro amore per scontato e ci dimentichiamo come invece un semplice Ti voglio bene possa fare la differenza e risollevare l’animo ferito in continuazione dai sacrifici, i problemi e le controindicazioni della vita.
“Hey! Non puoi andare da quella parte: fermati!”
Una voce squillante – proveniente dal corridoio -  mi ridestò dai miei pensieri, facendomi rizzare sulla sedia.
Un po’ preoccupata e allarmata, mi alzai stancamente per raggiungere la fonte di quel macello.
“Guarda, non mi interessa! Non è permesso fare visite a quest’ora, mi dispiace.”
Varcata la soglia della stanza, mi guardai intorno, finché il mio sguardo si fossilizzò sul fondo del corridoio alla mia destra.
Rimasi stupefatta, turbata e letteralmente shockata da ciò che i miei occhi mi mostrarono impunemente.
“Oddio…”
La coppia si voltò verso di me, attirati dalla mia voce.
Non poteva essere vero!
“Miss Piggy!”
Sbattei le palpebre più volte, finché quel viso famigliare fu sostituito dalle sue braccia intorno al mio corpo.
Come aveva fatto ad arrivare vicino a me così velocemente?
Dio… il suo profumo: quel profumo!
Le mie sinapsi lo riconobbero prima del mio cervello.
“Signore, la prego, è un parente stretto della paziente?”
L’infermiera, nonostante fosse visibilmente molto scocciata, si affacciò dentro la stanza, per controllare mia madre.
“È mio fratello.”
Sentii Roberto sobbalzare, ma non ero abbastanza lucida dall’esserne sicura.
D’altronde ero spiccicata contro la sua felpa grigia.
“Va bene, va bene. Mezz’ora e se il signorino non sparisce, chiamo la sicurezza. Intesi, ragazzi?”
L’arroganza della donna non sembrò minimamente sfiorarci visto che eravamo persi in quell’abbraccio che sapeva di troppe cose dimenticate.
Quando sentimmo i passi della donna affievolirsi, Roberto incominciò a tremare tra le mie braccia prima di scoppiare a ridere di giusto.
Quella risata roca e famigliare…
“Fratello, eh?”
Si staccò da me, permettendomi di osservare il suo bel viso stanco, ma incredibilmente luminoso.
Ancora sorrideva.
“Era l’unico grado di parentela vagamente accettabile per l’incredibile Hulk in gonnella.”
Il mio guardo fu eloquente e lui ritornò a ridere, riprendendomi tra le braccia.
“Mamma mia, ma allora la scemenza non diminuisce con il passare del tempo! E io che speravo di trovare una donna adulta, seria e che profumava di Chanel n°5!”
“Stai dicendo per caso che, oltre ad essere scema, ora puzzo anche?”
Lui mi infilò una mano tra i capelli, iniziando a grattare leggermente la cute.
“Ma no, sai di balsamo e bagnoschiuma; sai di Cris, no?”
Io mugugnai un uhm uhm poco convinto, perché quella sua dannata mano mi aveva messa K.O.
“Allora funziona ancora il grattino tra i capelli, eh? Passano gli anni, ma tu sei sempre la mia tigrotta.”
Mi allontanai da lui, iniziandolo a spingere.
“We, Mr Presunzione, hai finito di sparare cazzate? Non ci vediamo da tre anni e tu parli della mia igiene personale?”
Lui sorrise, di cuore. Aprì le sue labbra mostrandomi i suoi denti bianchi e perfetti.
Cavolo, era decisamente cresciuto.
Lui che non aveva mai avuto che due peli in croce, ora era fornito di una leggera barbetta biondo scuro che stranamente gli donava.
I capelli erano alla base castano chiari – mentre una volta erano color caramello -  e aveva tante piccole ciocche di un biondo più chiaro, come avevo visto solo poco tempo prima grazie alla webcam.
Fisicamente mi sembrava più alto, sempre magro, ma più tonico. Mi fece strano vederlo così in forma, forse perché fino a poco tempo prima era stato allergico a qualunque tipo di sport.
Era Roberto; un Roberto più uomo, cresciuto, ma forse fondamentalmente lo stesso bambinone di sempre.
“Mi osservi come se guardassi un estraneo.”
Sorrisi, scuotendo la testa. “ E che sei cambiato fisicamente. Mi fa strano.”
Lui fece spallucce, guardandomi negli occhi. “Cioè? Sono ingrassato?”
Roteai gli occhi, decisamente in disaccordo.
“Ma sei scemo? Sei sempre il solito mingherlino, però sembri più muscoloso di una volta. Hai la barba! Tu che passavi settimane a guardarti allo specchio, sperando di usare il rasoio di tuo padre, ma non ti cresceva che qualche pelo; se ti andava bene. E poi, beh, non mi ricordavo che il tuo 1.85  fosse così distante dal mio metro e una banana.”
Lui scosse la testa, passandosi una mano fra i capelli.
“Anche tu sei diversa, fisicamente intendo.”
Feci una giravolta su me stessa, facendolo sorridere di nuovo.
“Non sono una figa da paura?”
Lui alzò un sopracciglio, prendendomi in giro. “Ma anche no! Dai, scherzo; stai davvero benissimo. I capelli corti ti stanno da Dio, sembri più grande. I boccoli sono sempre gli stessi e il tuo fisico mi sembra meno formoso di un tempo. Credo che Luca ti faccia faticare troppo.”
Mi diede una leggera gomitata, prima di riprendermi per la terza volta tra le braccia.
Quanta tenerezza! Sentivo il suo respiro contro i miei capelli, le mani sulla schiena e il suo profumo che mi circondava dolcemente.
“Mi sei mancato da morire, te ne rendi conto?”
Dopo qualche minuto di silenzio, lui si staccò leggermente, giocando con una mia ciocca di capelli.
“Se solo tu sapessi quanto tu sia mancata a me. Ho convissuto per un po’ tra la rassegnazione di non averti più vicino e il dolore che ti ho inflitto rimanendo così lontano.”
Era serissimo in quel momento e i suoi occhi azzurro-verdi erano quasi perforanti.
“Dopo la rabbia, mi sono resa conto che lasciando me, hai potuto ritrovare la tua libertà. Rob, io sono felice per te e per la tua nuova vita. Non mi importa se vederti poco è il prezzo da pagare, voglio solo vederti sempre così sorridente.”
I suoi occhi mi sembravano leggermente più lucidi, o forse erano le lacrime che cercavo di trattenere a farmi apparire tutto più sfuocato.
“Questi sorrisi sono merito tuo, scema. E non ho lasciato te per la liberta; ho dovuto lasciare te per ritrovare me stesso. Ora che sto bene, mi rendo sempre più conto di quanto tu mi manchi da morire. Mi spiace poi per quella volta…”
Gli tappai la bocca con una mano. “Non qui, non ora. Non ti preoccupare, ok?”
Lui sembrò contrariato, ma riprese la mia mano e la tenne stretta tra le sue.
“Invece conta, però non è il momento giusto per parlarne. Senti, Paola come sta? Mia mamma mi ha chiamato e ho preso il primo volo disponibile. Non volevo piombare qui a mezzanotte, però-“
Lo bloccai, stupefatta. “Che ore sono?”
“Mezzanotte.”
“Oddio.. E’ passato già tutto questo tempo? Non me ne sono proprio resa conto.”
Lui scosse la testa. “Sei sempre la solita rimbambita. Hai cenato?”
Storsi la bocca. “No, ma non ho molta fame.”
Lui cominciò a camminare, trascinandomi dietro.
“E no, non va proprio bene! Non voglio che mi svieni dopo che non ti vedo da tre anni. Ora andiamo giù a mangiare; al posto del bar di Nino hanno messo una pizzeria/kebab che è aperta fino alle due.”
“Rob, davvero non voglio mangiare.”
Cercai di fermarlo, ma il suo sguardo era eloquente.
“Non me ne frega niente, piuttosto ti imbocco come i bambini. Prendi la borsa, una giacca che fa fresco e ti fai offrire un bel kebab dal tuo vecchio amico di giochi. Ti aspetto giù ed è un ordine.”
Fece un gesto intimidatorio, tagliandosi fintamente la gola – prendendomi chiaramente in giro - e lo vidi uscire sorridendo dalla mia visuale.
Non mi ero accorta che durante quell’ultimo quarto d’ora, il mio cuore batteva all’impazzata.
Il dolore di quella sera sembrò quasi attutirsi tra gli abbracci del mio unico sconclusionato migliore amico.
 
 
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Non dico altro, non vi ho fatto capire nulla sulla comparsa improvvisa di Rob.
Sono felice, perché amo scrivere di lui, come di Cris e Luca.
Non ho altro da dire, se non grazie a tutte voi che siete sempre di più e sempre più gentili.
Un grazie speciale a Chiara, perché mi ha resa felicissima :)
Ora voglio leggere le vostre impressioni, sono importantissime per i prossimi capitoli!
 
A presto, bellezze <3
 
Ps: non sono un medico, non studio medicina e non so se quello che è successo a Paola sia verosimile. Se qualcuno se ne intende, può benissimo farmi presente se ho sparato una marea di cavolate :)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

   
 
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