Atto
secondo
- La
compagna di Nessuno -
1.45 p.m.
Il tempo è passato in un soffio.
Non ho fatto a tempo neanche a ripassare la metà degli appunti. Ed eccomi qui,
davanti al mio piatto di porridge.
Per un attimo vorrei annegarci
dentro.
La nausea mi assale. Guardo gli
altri: mangiano come se domani non dovesse arrivare. Io quasi non ho toccato
cibo.
Il mio stomaco rifiuta il
nutrimento come il mio cervello rifiuta le informazioni.
Sembra che il mio encefalo
galleggi in una dimensione ovattata, totalmente scollegato. Assolutamente
vuoto. Come se qualcuno vi avesse passato sopra una spugna.
Affondo svogliato il cucchiaio
nel morbido intruglio, senza alcuna intenzione di assaggiarlo.
Vediamo… Cosa aveva fatto Julius
Horn nel 1369? Strizzo gli occhi e corrugo la fronte, sforzandomi di ricordare.
C’entrava qualcosa con i Draghi… o erano gli Avvincini? No, aspetta, era nel
1369 o nel 1693? Oh, porca miseriaccia…!
Non ricordo più niente!
Il respiro mi si fa più
affrettato e i miei occhi cercano disperati un qualcosa che non trovano… Devo
assolutamente tornare nella Sala Comune a ripassare!
Mi alzo, mezzo inciampando
contro la panca, e mi dirigo verso la porta della Sala Grande con l’unico
obiettivo di raggiungere la massa sparpagliata di appunti lasciati in camera e…
sbam! sbatto contro qualcosa, finendo a gambe all’aria.
L’orecchio mi pulsa di un dolore
sordo e faccio fatica a focalizzare cosa ha arrestato così bruscamente la mia
corsa…
“Ehi, dì un po’, Paciock: volevi
passare prima di me? Da quando in qua i Grifondoro pulciosi si arrogano il
diritto di non lasciare il passo a dei Serpeverde Purosangue come me?” E poi
ride, Malfoy, dopo aver sputato con soddisfazione il suo disprezzo per me.
“Ottimo lavoro, Tiger. Bisogna ridimensionare questi stupidi Filobabbani!”
Tiger e Goyle ridono, forse senza aver capito la metà delle parole usate dal
loro “capo”, semplicemente per compiacerlo.
Abbasso gli occhi, tremante.
All’improvviso, piedi che
inciampano sul mio corpo e mi rivoltano, faccia a terra. Il dolore acuto al
naso mi fa venire le lacrime agli occhi. Rialzo la testa e vedo Lavanda che si
sta mettendo di nuovo in piedi, mentre tutti attorno a noi ridono. Anche Calì
ridacchia, nascondendosi dietro una mano.
“Io… ehm…” arrossisce,
imbarazzata dalla brutta figura. “non ti avevo visto… ehm… Nigel…” balbetta
impacciata.
“Neville!” la corregge Calì,
sussurrando un po’ troppo forte per non essere sentita dall’intera Sala.
Lavanda arrossisce ancora di più.
Malfoy sghignazza senza sosta.
“Beh, Paciock, sembra che alla fine il tuo ego non necessiti di un
ridimensionamento! Sei così insignificante che nemmeno i tuoi compagni di
casata conoscono il tuo nome!” Le sue parole mi colpiscono dentro, mi scuotono,
mi rivoltano, mi si riversano contro come onde gelide che prendono a schiaffi
la scogliera…
Le risate aumentano di volume,
echeggiando senza tregua nella mia testa. Attraverso il velo di lacrime, che
non intendo far cadere, vedo masse sfocate di persone che ridono di me e del
mio essere Nessuno.
Affranto, sconfitto dalla nuda
verità mi rialzo a fatica e, senza alzare lo sguardo, esco dalla Sala Grande.
Ma prima di varcare l’agognata soglia, uno sgambetto mi fa incespicare,
regalando alla mia incerta camminata una variazione ridicolmente intonata
all’intera melodia: l’uscita di scena di Nessuno.
E così mi allontano, seguito
dall’affievolirsi dello scherno.
Incredibile come solo cinque
minuti fa il mio unico pensiero fosse una data. Ora nella mia testa c’è
veramente di tutto.
Mille sensazioni mi avviluppano
nel loro soffocante abbraccio, ma la voglia di rompere tutto si erge sopra
tutte le altre. Così entro in una classe vuota.
Rimango immobile, stupendomi di
quella rabbia estranea, che monta così ferocemente dentro al mio petto. Poi
esplodo, prendendomela con tutto quello che mi capita a tiro.
Ormai non c’è più posto per date
o maghi importanti. C’è posto solo per me e il mio dolore.
Rovescio banchi, lancio sedie,
frantumo oggetti desiderando con tutto me stesso che siano le facce di coloro
che mi deridono. Cosa ne sanno loro?
Sto per lanciare un ultimo
oggetto al suolo e, invece, mi accascio a terra, improvvisamente sfinito. Il
braccio si abbassa privo di energia e mi scivola dalle dita il calamaio che
avevo afferrato.
A cosa è servito tutto ciò? Mi
sento solo svuotato…
Qualcosa nella tasca posteriore
dei pantaloni mi dà fastidio: il galeone finto che mi aveva dato Hermione per
le riunioni dell’ES.
Me lo rigiro tra le mani. E
pensare che per qualche tempo avevo pensato di poter valere qualcosa.
Finalmente riuscivo a fare qualche incantesimo decente e pensavo, soprattutto,
di aver trovato degli amici.
Invece, no. Tutto è rimasto come
prima.
Stringo tra le mani il galeone,
capro espiatorio di tutta quella rabbia che non riesco a gestire. Con un moto
di stizza, lo lancio con forza e seguo il suo percorso fatto di rimbalzi tra
pareti, banchi e pavimento, finché non scompare dalla mia vista, fuori dalla
porta lasciata aperta.
Guardo le mie mani ed è come se
non fossero più le mie. Raccolgo le ginocchia al petto e piego la testa, senza
sapere cosa fare, senza pensare più a niente, seguendo quasi con sadica
soddisfazione i movimenti di quegli ultimi stralci di rabbia che ancora mi
vorticano in corpo.
Ma questa parvenza di pace è
destinata a durare poco.
“Neville?”
Alzo lo sguardo e la vedo sulla
soglia. Luna Lovegood. Lunatica Lovegood. L’unica che sarebbe potuta essere lì.
L’unica che mi sarebbe venuta a cercare. I suoi occhi grandi mi guardano con
quella solita svagatezza che la contraddistingue. Un moto di rabbia mi scuote,
come se qualcuno avesse soffiato su braci quasi spente per riattizzare il
fuoco. “Cosa vuoi?” esplodo, con una voce ringhiosa che quasi non riconosco.
Lei, Lunatica Lovegood,
sobbalza. Per una volta sembra che qualcosa l’abbia scossa. E io mi sento
ferocemente soddisfatto di essere stato io a cancellare quell’aria di
imperturbabilità dal suo volto. Il suo sguardo vaga confuso nel caos dell’aula
e poi si arresta su di me. Preoccupato. “Ti senti bene?” mi chiede. “Ho trovato
il tuo galeone qui fuori… Dovresti averne più cura, se Hermione Granger dovesse
chiamarci…” comincia, ma la mia risata amara la interrompe.
“E tu credi veramente che
Hermione chiamerebbe noi, Luna? Anzi, Lunatica? Pensi veramente che chiamerebbe
due che non valgono niente come me e te? Dimmelo, un po’ tu, Lunatica! Io sono
niente! Mi passano accanto senza nemmeno accorgersi che ci sono, neanche fossi
trasparente! Non si ricordano il mio nome, se non per prendermi in giro!” le
grido addosso, riversandole contro tutta la mia disperazione. “E tu? Chi credi
di essere tu? Sei solo una ragazza stramba che se ne va in giro facendo cose
strane! Credi che rubare le tue cose sia un segno d’affetto? Beh, svegliati:
loro ti stanno prendendo per i fondelli! E lo sai perché? Perché non vali
niente!” Mi fermo un secondo per ridere sarcasticamente. “Ma guardaci! Guarda
che bella coppia: Nessuno e la sua compagna! Proprio i due che tutti
chiamerebbero per combat…!” mi interrompo e la guardo stupito. La guancia arde
dello schiaffo che mi ha appena dato. Ma quello che più mi colpisce è lei. E i
suoi occhi rabbiosi e umidi.
“È questo che credi?” stavolta è
lei ad aggredirmi, sovrastandomi. Quasi non la riconosco. Guardandola da questa
prospettiva mi sembra Tutto, più che Nessuno. “E allora sei tu che ti devi
svegliare: essere Qualcuno non significa essere popolari. Significa avere il
coraggio di essere se stessi.” Il suo sguardo si ingentilisce, mentre si china
verso di me, ancora ancorato a terra. “Non possiamo essere tutti come Harry.”
La fisso sconvolto: come ha fatto a…? “Però ognuno può dare una mano.
Indipendentemente dal fatto che sia considerato Qualcuno o Nessuno. Perché nel
momento in cui sceglie di percorrere la strada che il suo cuore gli indica,
allora e solo allora diventa Qualcuno.” Mi tende il galeone. “Io sono Qualcuno.
Tu chi scegli di essere?”
Ma non aspetta la mia risposta.
Con tutta la dignità di questo mondo si rialza e se ne va, lasciandomi solo con
il mio finto galeone e il senso di colpa che mi sta mangiando vivo.