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Autore: Fanny Jumping Sparrow    12/10/2012    8 recensioni
Il malvagio ed affascinante Capitan Vegeta ha un cuore nero come gli abissi, è vittima di una maledizione e con la sua nave Bloody Wench semina morte e terrore per i sette mari; la bella e intrepida Bulma Brief è una coraggiosa avventuriera con l'umore mutevole come la marea che nasconde un singolare segreto. Entrambi attraversano gli oceani alla caccia dello stesso tesoro: le magiche sfere del Drago. Il giovane tenente di vascello Son Goku, fresco di accademia ed amico d'infanzia della ragazza, riceve l'incarico di catturare i due fuorilegge, che nel frattempo hanno stretto una difficile alleanza, e consegnarli al capestro...
Personale rivisitazione in chiave piratesca del celebre anime su suggerimento della navigata axa 22 (alla quale questa storia è dedicata;) e della mia contorta immaginazione. Possibili numerose citazioni e riferimenti ad opere letterarie e cinematografiche esterne. Gli aggiornamenti saranno dettati dalle capricciose onde dell'ispirazione. BUONA LETTURA! Se osate...
Quella tonalità era insolita, appariscente, innaturale. Non umana.
Contenne uno spasmo di eccitazione. “Troppa grazia”, obiettò pessimisticamente.
Aveva dato la caccia ad un colore simile innumerevoli notti, sondando bramoso il blu profondo.
Troppo facile, troppo assurdo che l’avesse proprio lei.

*CAPITOLI FINALI IN LAVORAZIONE*
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Freezer, Goku, Vegeta | Coppie: 18/Crilin, Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Salve mia amatissima ciurma di pirateschi lettori! :D
Anche questa settimana ho lavorato di fantasia per voi scrivendo un nuovo capitolo interamente dedicato alla magnifica coppia di avventurieri maledetti! Oltre a mostarvi come prosegue la loro difficile alleanza ho ripreso a trattare dell'enigma delle Carte del Supremo.
Vi avverto che questo capitolo sarà l'ultimo che posterò prima della prevista pausa forzata dovuta alla ripresa delle lezioni all'università che mi terranno impegnata quasi tutti i giorni :(
Ma non temete! La vostra Capitana non vi abbandonerà! Cercherò di sfruttare le ore di buco per scrivere poco a poco i prossimi capitoli che oltretutto saranno più complessi perché pieni di avvenimenti...

Ringrazio come sempre tutti coloro che stanno sostenendo questa mia storia (siete arrivati in 30 a metterla tra le seguite! *.*), sia i lettori silenti sia coloro che mi lasciano ogni volta un parere.

Ribadendo che sono aperta a critiche, consigli e richieste di chiarimento, vi auguro buona lettura e spero di divertirvi.
Al prossimo approdo!)


XV: PIECES TO JOIN

La Bloody Wench si assestò su un basso fondale friabile, gettando gli ormeggi in un’insenatura arenosa protetta da alte scogliere formatesi nei secoli con l’accumulo di lava vulcanica e detriti marini.
Erano arrivati alla Baia del Teschio Rotto, parte di un’isola selvaggia e disabitata, fuori dalle principali rotte commerciali e dall’interesse di colonizzatori, pertanto prescelta dal Capitano come luogo ideale in cui dedicarsi ai periodici lavori di manutenzione della nave e, in qualche occasione, all’ozio.
La vetta frastagliata di un vulcano con più crateri, momentaneamente silenti ma ancora attivi, troneggiava sullo sfondo, brulla e brumosa rispetto al carattere rigogliosamente verdeggiante del suolo. La terra, infatti, appariva ricoperta da un’intricata vegetazione ma il suo carattere argilloso e instabile la rendeva inadatta a colture e insediamenti.
Mentre alcuni marinai si stavano occupando di predisporre le scialuppe per lo sbarco, caricandole di casse con armi, arnesi e vivande, ce n’erano altri che, con l’aiuto di cime e rampini, stavano portandosi a bordo della Proudy Star.
- Al lavoro, brutti rospi! Ispezionate quell’insulso brigantino, prendete tutto quello che può esserci utile e dopo incendiatelo! – sferzò i sottoposti il quartiermastro Nappa, aggrappandosi ad una rete da carico riempita con gli attrezzi necessari alla spoliazione che venne issata attraverso una carrucola collegata tra i due velieri.
Frattanto Vegeta, si accinse ad imbarcarsi sulla prima lancia pronta ad essere calata in mare.
- Voi dove andate? – lo richiamò Radish con evidente malanimo. Il comandante si mostrò importunato dai suoi esigenti scrupoli. Si munì di due pistole ben cariche che infilò nella fusciacca, di un moschetto che imbracciò in spalla attraverso una tracolla, e di un arpione che gettò nella barca.
- Vado a caccia. Quella petulante bisbetica mi rende estremamente irritabile e quando sono irritabile divengo estremamente vorace. O vuoi offrirti come cena, per caso? – lo mise a tacere con un ghigno malevolo.
Il secondo si limitò a chinare il capo in segno di scuse, congedandosi con un forzato ed esitante ossequio, poiché quell’intimidazione, conoscendo la sua tempra immorale e selvatica, non gli era parsa tanto lontana da una possibile attuazione.
- Voi due: seguitemi - il Capitano quindi arringò ad un paio di giovani cimarrones che stavano approssimandosi; non erano particolarmente robusti ma durante l’arrembaggio aveva notato che possedevano una discreta mira. Lo avrebbero supportato nella cattura di iguane, cinghiali e volatili del luogo da arrostire sugli spiedi. Gli altri bucanieri già sbarcati, intanto, stavano accendendo i fuochi e scaricando i barili.
Vegeta stava per salire a bordo della barcaccia, quando venne distratto dall’avvistamento di un’inconfondibile capigliatura turchese che si aggirava sulla tolda: - Che fa quella? Fermatela! – latrò esacerbato, raggiungendola a grandi falcate.
Tre dei suoi, nel contempo, l’avevano afferrata per le braccia, non evitando di prendersi qualche pugno e qualche calcio di rimando: - Conosco ogni singolo pezzo di quella nave come fosse parte di me stessa. L’ho costruita e perfezionata giorno dopo giorno. Io sono l’unica a poter sovrintendere ad una tale mansione! Non di certo quella rozza e ignorante zucca pelata! – disapprovò Bulma, riferendosi a Nappa che si risentì a sua volta, sguainandole contro rabbiosamente la sciabola, senza sortirle alcuna resa, poiché lei era intenta esclusivamente a carpire il beneplacito del suo superiore. - So che lo capite anche voi, Capitan Vegeta, giacché siete un uomo di acume elevato, non impuntatevi sulla vostra testardaggine! Lo dico per entrambi! – insistette, osando una velata adulazione rivestita di sincera supplica.
Il filibustiere la squadrò a lungo, indisposto dalla sua furba ruffianeria e meditabondo sulla ponderatezza delle sue parole, convenendo che non avesse del tutto torto circa le capacità intellettive di quella testa di rapa. Dal suo piglio vivace e sfrontato comprese che non si sarebbe piegata se in quel frangente non l’avesse accontentata, e a lui già prudevano le mani tanto voleva poterle arrecare del vero dolore per costringerla ad ubbidire, dannandosi più di quanto non facesse sorbendosi le sue energiche proteste.
Cercò di evitare che quel desiderio micidiale prendesse il sopravvento.
- Portatela con voi – si risolse scabrosamente – Legata – specificò con spregio, spegnendo l’espressione trionfante della ragazza e accendendo l’approvazione degli uomini – Così che non le venga in mente di fare scherzi inopportuni – opinò avvedutamente, assistendo all’esecuzione del suo volere. “Giacché siete l’inganno fatto donna”, assodò non perdendola di vista finché non si separarono.
Si fece condurre dai rematori alla spiaggia dorata e saltò giù prima che toccassero la battigia, bagnandosi fino agli stivali. Volse la testa verso i due vascelli ancorati ad un centinaio di metri, poi, stringendo la mascella, cominciò ad addentrarsi nella giungla ombrosa.

Due ore più tardi un composito gruppetto di marinai osservava da quella stessa costa una carcassa di legno oramai scura e deforme, sprigionante fiamme e fumo, allontanarsi lentamente verso il mare aperto, sospinta dalla fievole corrente. Il calore del fuoco che la divorava giungeva a zaffate fino a lì e le asciugava le piccole lacrime che si stavano condensando tra le ciglia prima che iniziassero a rigarle le guance pallide per la tristezza.
- Addio, amica mia … - bisbigliò al vento Bulma, mentre guardava malinconica e impotente la sua dimora galleggiante che si sbriciolava e si inceneriva, disperdendosi tra i flutti oceanici.
Alcuni di quei disonesti manigoldi si erano avvicinati per dispensare qualche offensiva considerazione sul suo distrutto veliero e sulla sua perduta carica di Capitano. Aveva rinunciato a rispondere loro per le rime, stanca di sopportare quella gratuita e deprecabile meschinità e concentrata sui ricordi e gli obiettivi futuri.
Vegeta, intanto, tornò alla testa di una decina di pirati che portavano il lauto bottino della cacciagione, predisponendolo all’arrostimento. Riconoscendo la siluette della prigioniera, ritta sulla riva, gettò sulla sabbia la grossa iguana trafitta che stava spolpando e cercò con lo sguardo Nappa, al quale aveva affidato la sua sorveglianza. Mentre l’omone calvo lo raggiungeva con coriacea indolenza, pronto ad accogliere la sua sfuriata, notò che la giovane donna si era persino cambiata gli abiti, ma si augurò che si fossero preoccupati almeno di ammanettarla. Invece le braccia dell’azzurra ricaddero liberamente lungo i fianchi, confermandogli che non aveva alcun legaccio attorno ai polsi.
Il moro filibustiere continuò a sondare meticolosamente la mezza sirena che gli dava la schiena, pur senza approssimarsi a lei. Si atteggiava a Capitano mentre la sua nave andava irrimediabilmente a fuoco.
Le sue gambe erano avvolte in comodi pantaloni color creta che ne castigavano un po’ le forme slanciate e si restringevano all’altezza delle ginocchia sfiorate dalla lunga giacca con due punte, scarlatta come il cappello a falde larghe guarnito di tre vezzose piume nere sotto il quale ondeggiavano i chiari capelli color del cielo. Una bandoliera pendeva assieme ad una voluminosa borsa a tracolla su ciascun fianco. Non era tanto quella somma di accessori che lo intrigava. Sostava scalza sulla battigia, corte onde si infrangevano sulle sue caviglie non producendo alcun cambiamento al suo aspetto antropomorfo. L’innegabile circostanza esulava dalle sue supposizioni, contraddiceva le sue congetture sulla cangiante natura di quell’impertinente femmina e lo impensieriva.
I passi di Nappa, affondando pesanti e affrettati sul terreno granelloso, arrivarono fino a lui, preceduti da trafelate e impicciate giustificazioni: - Si è messa a strillare come un’ossessa perché la slegassi. C’è mancato un pelo che la ammazzassi sul serio! Per gli dei del mare! Farebbe tremare le caverne degli abissi con quella voce squillante che si ritrova! – abbarbagliò con la schiuma alla bocca per la collera e la stizza.
Vegeta, ancora assorto, ascoltava distrattamente il suo sfogo, sopportandolo solo perché, tra le irreparabili idiozie che avrebbe potuto commettere, alla fine si era limitato alla meno grave. Alzò brevemente gli occhi su di lui lanciandogli uno sguardo che era un manifesto insulto alla sua deludente incompetenza.
Bulma, scacciando il residuo cordoglio per l’incendio della sua Proudy Star, voltò le spalle alle acque cristalline, passeggiò qualche metro e si chinò in avanti a raccogliere gli stivaletti che aveva poggiato sulla sabbia asciutta.
- Saprei dargliela io una buona ragione per strillare a quella sgualdrina … - soggiunse Nappa con una risata sguaiata che arrivò alle orecchie della ragazza.
Raddrizzandosi quella vide i due delinquenti l’uno accanto all’altro che la fissavano in tralice, ingrugniti e a braccia conserte, affettando un’ostilità che sconfinava in velata lascivia. Finse di non notare quella soggiacente maliziosa attenzione e rimandò loro un’occhiata altrettanto traversa, camminandogli incontro e passandogli in mezzo con andamento sinuosamente altezzoso, fermandosi di colpo dietro di loro: - Quando salpiamo? – domandò con sollecitudine e insofferenza al Capitano.
Lui si girò con lentezza: - Presto – la informò a denti stretti, riafferrando da terra il rettile ucciso e riprendendo a masticarne gli arti, per riaffermare il suo totale disinteresse nei suoi confronti.
Alla turchina, tuttavia, non era sfuggita la sua insistente ispezione e si prese ugualmente una piccola rivincita: - Non mi avevate vista al mio meglio quando mi avete assalito. Ecco, questa è la vera Bulma Brief! – esclamò con suscettibilità, indicandosi teatralmente con un ampio gesto del braccio, passando le dita sulla tesa del cappello e poi allontanandosi.
- Che insopportabile vanesia! – bofonchiò Vegeta, braccandola visivamente nella sua bizzosa andatura tra le combriccole di pirati disseminati intorno ai falò. Ogni fibra del suo corpo la voleva livida e morta.
- Perché non la abbandoniamo qui? – gli propose con un sogghigno Nappa, lasciandosi servire una costata di cinghiale abbrustolita da uno della ciurma.
Il filibustiere strappò con un morso il cuore dell’iguana: - Una volta trovate le restanti sfere, gliela seppellirò qui.
Ritornando sulla Bloody Wench Capitan Vegeta valutò che avrebbe volentieri anticipato quel macabro proposito. L’aria era intiepidita dagli obliqui raggi del sole pomeridiano quando le ultime due scialuppe vennero issate a bordo e anche l’ancora di tribordo fu riavvolta attorno al cabestano. La tolda tracimava di cassoni, barili, reti ricolme di bauli e uomini che si affaccendavano a trasportare e sistemare tutto quel materiale proveniente dalla Proudy Star sottocoperta. Praticamente sembrava esserci stato un vero trasloco o meglio un’invasione. E ciò lo indispose ancora di più: quella donna, poco a poco, stava occupando tutti i suoi spazi. E lui sentiva ormai che il suo odio era arrivato ad un punto di non ritorno, pronto ad esplodere irreversibilmente e rovinosamente.
Radish, rilevando l’incipiente foga distruttiva ardere nelle sue iridi, si affrettò a corrergli incontro:- Per la maggioranza si tratta di armi e munizioni. – gli comunicò per limitare il suo evidente disagio, e sperare di non incorrere in un’esemplare punizione.
Vegeta ignorò le sue discolpe e lo scavalcò urtandolo con una spallata, determinando di persona se dicesse il vero.
A tentare di rabbonire il suo inguaribile umor nero si aggiunse la stessa Brief, che gli si piazzò davanti: - Ho fatto portare l’occorrente per fabbricare le capsule esplosive. E poi ci sono le stelle volanti, e il composto delle bolle incendiarie, oltre ai cannoncini che servono per spararle – argomentò esaltando con visibilio e ben poca modestia il frutto del suo ingegno.
Il filibustiere tacque guardandosi ancora attorno, indagando scrupolosamente le azioni e i movimenti di tutti, con la bocca e gli occhi ridotti a due fessure filtranti un’ostinata contrarietà che non accennava a diminuire neppure con la costatazione dell’utilità finale di tutto quel trambusto.
- Potremmo conferire in privato? – lo richiamò con un colpetto di tosse Bulma, riconquistando prepotentemente il suo campo visivo, restando piuttosto vaga sulle sue ragioni. Vegeta sfiorò appena il suo profilo con una truce occhiataccia portandosi verso la sala nautica.
La piratessa lo seguì, mantenendo istintivamente una distanza di sicurezza, in quanto non aveva avvertito scemare la sua latente aggressività e serbava il timore che gliela riversasse contro da un momento all’altro. Superata la soglia della sua tetra cabina, quella minacciosa sensazione si andava acuendo, ma lei non desistette. Doveva affrontarlo o avrebbe perso quella minima voce in capitolo che stava faticosamente tentando di guadagnare. Mentre lasciava che la mente scorresse in tali pensieri, la porta si serrò con un rapido e violento colpo alle sue spalle facendola trasalire, e subito dopo la ferrea presa di una mano callosa le trattenne la nuca tirandole dolorosamente i capelli, sommandosi alla fredda canna di una sputafuoco calcata sul suo ventre. Incapace anche solo di immaginare le sue imprevedibili pericolose intenzioni, non le uscì neppure il fiato per gridare la sua paura e, non riuscendo ad opporsi, obbedì passivamente al suo sprone di incedere sveltamente così curvata in direzione del tavolo.
Vegeta ve la inclinò con un ringhio, trattenendo a stento la forza con cui avrebbe potuto facilmente spezzarle la schiena, premendole la faccia sulla superficie lignea e piegandosi su di lei: - Basta indugi e smancerie. Rendetevi utile o vi darò in pasto alla ciurma, e state pur certa che quegli assatanati sapranno come tenervi occupata la bocca e quant’altro – sillabò licenzioso, vellicandole la pelle del viso col suo respiro caldo e irregolare. Scostò la pistola, facendola strisciare dalla cintura della ragazza alla propria, poi si risollevò dalla sua schiena e le rilasciò bruscamente la chioma, restandole accanto per potersi compiacere di scorgere l’impressione che le avrebbe alterato quelle detestate iridi brillanti come zaffiri. Inaspettatamente, al di là del disgusto, non c’era un reale terrore in esse, erano trasparenti e al contempo infervorate da un’incrollabile determinazione che quasi lo lasciò di stucco.
- Cosa c’è? State riconsiderando la mia proposta? – la provocò denigrante con un sorriso sottile.
Bulma scosse la testa, era ancora scombussolata da quell’improvvisa seppure contenuta manifestazione di violenza, ma parimenti intenzionata a portare avanti le sue richieste, dato che era stata molto generosa a cedere loro le sue migliori invenzioni belliche: - È per Yamcha – fiatò a mezza voce, ricomponendosi e massaggiandosi la cervice che sentiva livida dove le dita di quel farabutto si erano avvolte con brutalità.
L’uomo parlò con una smorfia supponente: - Chi sarebbe? L’impiastro con le cicatrici? Lo sfregiato?
- Il mio primo ufficiale – rivendicò accanita la piratessa – Lo avete lasciato vivo e ve ne sono grata. Ma necessita di essere medicato più adeguatamente, o si aggraverà – sostenne preoccupata; aveva infatti appurato che l’amico, testardo come la maggior parte dei malviventi che conosceva, trascurava di riguardarsi e si era perfino prestato ad aiutarla trasportando pure parte dei suoi bagagli durante lo sgombero della sua nave.
Vegeta la studiò accentuando il riso beffardo nei suoi riguardi. Sembrava aver trovato il suo punto debole, visto che con le minacce dirette stranamente non si scalfiva quanto avrebbe dovuto: - Non siete più voi a decidere per lui. – controbatté alacre e incontestabile, deliziandosi della delusione che adombrò la pretenziosa azzurra. – Sono sicuro che adesso vi prodigherete per trovare le altre sfere immantinente, stupida donna – la snobbò, voltandosi per uscire.
Bulma lo fulminò ed annuì nervosa, gonfiando le guance: - È Capitan Brief, comunque! – gli urlò dietro traboccando il suo risentimento; quello si fermò un istante a guardarla e lei si sfilò con grazia il cappello piumato posandolo sul tavolo, si tolse la borsa a tracolla, poi trafficò brevemente coi bottoni della giacca e buttò lì anche quella, rivelando al di sotto una blusa rosata appena più scura dell’incarnato con uno scollo che scopriva le spalle, rivestendole il decolleté strizzato in un altro corsetto ramato.
Battendo rumorosamente i tacchi andò a sistemarsi sulla poltrona, acciuffando con furia le carte e la bussola e affogando il persistente astio nella risoluzione di quell’enigma, auspicando di non essere disturbata da nessun altro intoppo ora che lui se n’era andato, anche perché doveva riuscire a cavare qualcosa prima del tramonto.
Il Capitano, invece, rientrò dopo appena un quarto d’ora e, senza dire nulla, andò a bivaccarsi nel suo letto, celato dalla tenda. Almeno non era uno loquace e impiccione che le volgeva troppe domande, al contrario, diventava totalmente simile ad una scultura di pietra in certi momenti. Dopo i primi minuti finì per dimenticarsi della sua presenza e restò applicata sui quei blocchi incisi da un artigiano ignoto in tempi remoti. Più li esaminava e li maneggiava più si convinceva che non sarebbe mai venuta a capo di tutta quella situazione in cui si era cacciata.
Loro due erano esattamente come i pezzi di quella mappa: non si sarebbero mai incastrati, non avrebbero mai trovato punti di contatto, troppo simili e troppo diversi, troppo fieri e gelosi della propria indipendenza. In fondo funzionavano benissimo da soli.
Era ad un briciolo dall’arrendersi a quella triste verità, quando d’un tratto ebbe una folgorante illuminazione: - Un quadrato, un parallelogrammo, cinque triangoli … - esaminò a bassa voce, scartando uno per uno i pezzi in cui aveva suddiviso le Carte del Supremo – Per mille granchi! Ma certo! Come ho fatto a non notarlo prima? È un tangram! – urlò entusiasta, picchiando un palmo sul tavolo.
Vegeta staccò le spalle dal cuscino e si alzò con passo ovattato dal giaciglio, incedendo fino a dove si trovava la sgradita ospite. La trovò intenta a realizzare delle composizioni di figure geometriche con i sette blocchi appartenenti alla tavoletta e la scatoletta ettagonale.
Bulma incrociò il suo sguardo interrogativo e si fermò a chiarire quanto evidentemente lo scontroso alleato non aveva appreso: - È un antico rompicapo orientale, noto anche come “Le sette pietre di saggezza” poiché si dice che conferisca saggezza e talento a chi ne possieda la padronanza. Bisogna formare figure di senso compiuto usando tutti e sette i pezzi, ma senza sovrapporli – concluse, rovistando frettolosamente all’interno della bisaccia e rovesciandone il contenuto. Ne uscirono forbicine, tenaglie, pinzette, cacciaviti, e altri indefiniti aggeggi di metallo appuntiti o con forme arzigogolate.
- Non mi pare il caso di mettersi a giocare – fu il sardonico commento del bucaniere che sbirciava con curiosità tutta quell’attrezzatura degna di un mastro ferraio.
La donna svitò una per una le viticelle dalla cassettina della sua bussola, estraendone l’anima interna più solida e iniziò a studiare la maniera di combinarla con gli altri frammenti del puzzle.
Abbozzò una falce, riconducendo tale forma sia alla luna sia alla morte, entrambe elementi caratterizzanti il luogo verso cui stavano veleggiando, Le Terre del Sole Morente.
- Quanto siete noioso! Anche i giochi hanno un valore educativo … E questo ne possiede uno molto valido, direi – sostenne inforcando una lente di ingrandimento e passandola sopra le scanalature delle figure geometriche. Doveva solo modificare un poco le smussature dei contorni della bussola e vi si sarebbe inserita perfettamente. Era un lavoro che richiedeva precisione estrema, però lei si accorse che non riusciva proprio più a concentrarsi. La assillava l’impenetrabile silenzio dei suoi occhi abissali e il senso di superiorità conferitogli dalla sua altera e cupa prestanza, incombente a poco più di due spanne. Le si rimescolarono le viscere.
Languore. Formicolio. Pulsazioni. Il corpo le inviava chiari segnali ogni volta che la distanza fra loro si assottigliava. Percepiva qualcosa di tremendamente ostile che andava oltre la pura antipatia, intorbidandosi con una scriteriata attrazione. Ad ogni modo il suo sesto senso le suggeriva la fuga. Oltretutto il calar del sole si appressava inesorabile.
Strisciò la sedia e rizzò in piedi cominciando a raccattare tutti i suoi effetti personali, affastellando rapidamente attenuanti e giustificazioni: - Se me lo accordate, continuerei congedandomi nel mio alloggio. Di sera ragiono assai meglio, sarà che la mente è più leggera, o che fa meno caldo. Ma non ho intenzione di costringervi a restare sveglio … - lo ubriacò di parole con accento urgente e carezzevole, tenendo fra le mani in equilibrio precario giacca, cappello, bussola e i pezzi delle carte.
Vegeta titubò, stranito da quella fulminea fretta, ma intimamente rinfrancato dall’aver appurato che forse finalmente la detestabile turchina stava imbroccando la via giusta per permettere la continuazione di quella pruriginosa convivenza forzata. Che includeva anche la riduzione al minimo dei contatti. La squadrò leggermente divertito dal suo affanno, raccolse la pesante borsa che stava dimenticando, e gliela mise al collo vedendola vacillare: - Toglietevi dai piedi – la schernì acido e neutrale allontanandosi verso la vetrata.
Bulma tirò un sospiro, e, sebbene non ricevette da lui alcun aiuto per districarsi ad aprire la porta, fu contenta di aver ottenuto quella indispensabile concessione.
Già sognava di immergersi nella sua vasca riempita di acqua di mare …



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* I cimarrones erano gli schiavi neri ribelli, quelli che riuscivano a fuggire dalle navi negriere e spesso divenivano pirati molto abili e ricercati perché erano tra i più feroci con i soldati occidentali.
Il tangram mi è saltato agli occhi come soluzione sfogliando un vecchio quaderno delle scuole medie ^.^  Comunque sia esiste davvero, ed è tutto spiegato nelle parole di Bulma.
   
 
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