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Autore: thecarnival    12/10/2012    7 recensioni
MOMENTANEAMENTE SOSPESA CAUSA: ESAMI UNIVERSITARI.
Lei: ventisette anni, francese di nascita ma italiana d'adozione.
Lui: italiano, meglio dire, romano D.O.C.
Lei: vive in un piccolo appartamento in una zona tranquilla di Roma e si mantiene grazie ad un modesto lavoro che tuttavia sta iniziando ad odiare, perché è propria a causa di esso che ha visto infrangere le sue aspettative sul vero amore e sugli uomini: l'organizzatrice di matrimoni.
Lui: condivide casa con due sue amici e colleghi e, a differenza di lei, ama il suo lavoro, perché non solo guadagna soldi ma anche donne: è uno spogliarellista in un noto locale di Roma, il Ladies Night, ed è la principale attrazione del locale.
Entrambi pensano che l'amore sia inutile e passeggero, che la gente si stanchi di stare sempre con la stessa persona e che, prima o poi, si finirà per soffrire.
Le loro vite si intrecceranno per caso e il caso non li lascerà più allontanare.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Undress my heart.'
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A chi shippa tutto insieme a ogni cosa.



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The (he)art of the streap VIDEO.



Sette.



 Il vuoto. Stavo cadendo nel vuoto e urlavo. Urlavo e nessuno mi sentiva. Nell'impatto mi accorgevo di essere sopra qualcosa di morbido e bianco: delle nuvole? Abiti da sposa? 
C'era profumo di camomilla e quella era... Carta igienica.
- Inconscio del cazzo. 
Sbottai, allontanando le coperte il più lontano possibile per poter scendere dal letto. Per quale assurdo motivo avevo fatto quel sogno? E cosa significava? 
Volevo sbattere la testa contro lo spigolo della cucina. Non poteva indicare il mio bisogno di andare in bagno perché non avevo nessuno stimolo. Avevo sentito odore di camomilla: forse il mio inconscio mi stava suggerendo di rilassarmi. 
Prima o poi sarei diventata pazza o forse lo ero già: c'era qualcosa di strano nell'aria, me lo sentivo, qualcosa che avrebbe cambiato...
- Oddio il caffè! 
Ero così stupida da non essermi accorta che quel 
qualcosa altro non era che odore di caffè bruciato. Avevo sporcato il piano cottura e non avevo tempo per pulirlo; quella giornata era iniziata male e stava continuando peggio. 
Prima di uscire di casa controllai la cartina appesa al frigo con il percorso ideale che avevo disegnato e che avrei dovuto intraprendere per evitare di incontrare Gerry; ormai sapevo dov'era casa sua, quindi sfuggirgli sarebbe stato semplice,se solo lui fosse stato così gentile da permettermelo.

Era capitato di vederlo al supermercato o alla fermata della metro e autobus e non volevo che accadesse di nuovo, anche perché odiavo quel sorrisetto insopportabile che metteva su non appena mi notava: gli avrei dato un cazzotto in pieno viso così da fargli cadere quei denti perfetti. Non ero un tipo violento ma quello tirava fuori il peggio di me. 

Credevo d'essere salva, un po' come quando giochi a mosca cieca o nascondino durante l'intervallo alle scuole elementari: tu sei l'ultimo giocatore e sei sul punto di liberare tutti, credi di essere invincibile, hai il potere e l'illusione di aver fregato il tizio che ha fatto la conta; sei lì, a un passo dalla libertà, quando lui ti vede, tu lo vedi ed è una corsa a chi arriva primo a gridare: UN DUE TRE LIBERA TUTTI, oppure:
- Pensavi di sfuggirmi, vero?
Lui era arrivato prima di me, perché io nella corsa ero sempre stata una schiappa.
- Ciao “tizio-che-non-vorrei-incontrare-ma-che-non-faccio-altro-che-trovarmi-tra-i-piedi.”
Il mio entusiasmo si tagliava con un grissino, avrei potuto fare concorrenza a quella marca di tonno famosa; lui, dal canto suo, era felice e sorridente come sempre. Evidentemente le cose gli andavano bene o forse la botta in testa che aveva preso da piccolo gli aveva causato più danni del previsto.
- Dove vai di bello?
- A fabbricare bombe di carta; è martedì mattina dove vuoi che vada? Ho un lavoro a cui pensare.
Io lavoravo, io correvo a destra e a manca per evitarlo, io mi spaccavo la schiena – metaforicamente parlando – per far sposare la gente quando neanche credevo nell'amore e lui se ne stava impalato al semaforo, a guardarmi come uno stoccafisso. Lavorava, se quello poteva definirsi lavoro, la notte: perché la mattina era in giro a rompere le scatole a me invece di dormire? 
Mi accorsi che stava parlando troppo tardi, non avevo neanche visto le sue labbra muoversi; ero troppo intenta a offenderlo mentalmente. Qualsiasi cosa mi avesse detto o chiesto non mi interessava, perciò gli risposi con un secco “No”.
- Ma la mia non era una domanda. 
Il suo sguardo confuso mi fece sorridere ma mi trattenni. - Beh. No: non parlare, chiudi la bocca e sparisci.
- Non mi stavi ascoltando!
- Bravo Sherlock, vuoi la pipa e il cappello adesso? 
Averlo dietro mi metteva a disagio, sembrava fosse la mia ombra o il mio mastino napoletano. Uh, avevo un cane e neanche lo sapevo.
- Posso sapere cosa ho fatto di male per meritarmi il tuo disprezzo? 
Mi fermai sentendo la sua domanda e lui mi venne addosso, poteva almeno rispettare la distanza di sicurezza. Respirai lentamente,contando fino a dieci. Non volevo sbranarlo, perché il cane era lui e io non volevo apparire scortese, maleducata e pazza; quando fui abbastanza calma da pensare di riuscire ad avere un dialogo decente con lui mi voltai, trovando le sue labbra carnose appena dischiuse troppo vicine e i suoi occhi azzurri e luminosi puntati nei miei.
Oltre alla pazienza avevo bisogno di molto autocontrollo.
- Da dove comincio? Mi hai umiliata davanti a persone che neanche conoscevo facendomi salire su quel palco e mettendo le mie mani sul tuo culo nudo, per non parlare della panna.
- Ricordi anche tu? Quando mi hai strizzato la chiappa sinistra mentre risucchiavi l'ombelico è stato il momento più eccitante della serata e di solito non ricordo mai ciò che accade nella “sedia bollente”. 
- Lo stai facendo di nuovo: mi stai mettendo in imbarazzo, mi stai prendendo in giro. Lo hai sempre fatto. Io non ti conosco e ti odio; perché mi perseguiti, mi mandi messaggi o mi chiami per la carta igienica? Cosa vuoi, davvero, da me?
Aprì la bocca e la richiuse più volte e mi sembrò un pesce, forse stava pensando alla risposta più giusta da darmi, anche se avrei preferito che andasse via, lasciandomi in pace per sempre. Quando trovò le parole secondo lui adatte, sorrise e parlò: - Voglio conoscerti e poi devo farmi perdonare!
- Tutto qui?
- Se vuoi ti elenco qualche altro verbo che fa rima in 'are'. 
Ogni volta che lo ascoltavo parlare sapevo che un mio neurone tentava il suicidio, quindi perché rischiare di diventare una demente quando potevo scacciarlo come fosse una fastidiosissima mosca? 
- Io non voglio conoscerti, la mia vita era perfetta fino a prima che ti incontrassi quindi, per favore, torna da dove sei venuto. Lasciami in pace. - Aveva riaperto bocca per parlare, ma lo interruppi prima di un altro suicidio – Shhhh, zitto. SHHH! Il tuo blablabla mi fa venire il mal di testa; devi sparire! E se questo verbo non ti è chiaro, cercherò tutti i sinonimi esistenti per farti capire il concetto. Adesso io andrò dritto e tu, ti farai mettere sotto da un autobus.
- Dovrei morire perché non vuoi vedermi? Tu sei pazza e non è colpa mia. Avevi la possibilità di divertirti un po' con il sottoscritto senza preoccupazioni e l'hai sprecata: stammi bene Acidella. 
- VAFFANCULO!
Forse glielo urlai troppo tardi, ma lui mi sentì lo stesso, insieme a una decina di persone che attraversavano l'incrocio in quel momento.
Non potevo credere di essermi liberata di lui: ce l'avevo fatta. Avevo vinto. Arrivai a lavoro sorridente e felice dopo un mese circa di depressione cronica; non vedevo l'ora di dirlo alle mie amiche, sapevo che dopo un primo momento di isteria e parolacce mi avrebbero capita e sarebbero state contente per me. Almeno lo speravo. 

Li guardavo da cinque minuti senza sapere cosa dire e intanto sentivo le loro risatine alle mie spalle; ero indecisa se strappare quei post-it fucsia con i cuori disegnati e quelli azzurri con scritto 'Gerry più Emily = Panna per sempre' oppure strozzare le due streghe traditrici a mani nude e incollargli le dita una per una. 
- Respira Em. Non farti venire un attacco isterico. 
Avevo capito che Giulia, tra le due, era la peggiore: combinava il guaio, ti consolava e poi PEM ti pugnalava di nuovo e ancora più a fondo; era tremenda. 
- Cosa sono questi cosi? Cioè, so cosa sono ma cosa significano?
Con loro era meglio specificare sempre, in qualsiasi circostanza. Mina cercò di rimanere seria mentre mi spiegava che, dopo il mio resoconto sul piacevole incontro mattutino in cui avevo avuto quel dolce scambio di battute con tizio-idiota, avevano iniziato a shipparci insieme; termine che sembrava appartenere al gergo di un delinquente, ma poi capii il vero significato: “tifare” per una coppia.
- Oh dai, siete così carini insieme. Non fare quella faccia Em, pensaci!- Mina si era avvicinata, porgendomi il disegno di un cuore con dentro due iniziali.
- Ci sto pensando e non vedo nessuna nave con stampata la sua faccia pronta a entrare nel mio porto.
- Questa cosa suona molto porno, ma sono d'accordo con Mina; insomma lui ti manda messaggini, ti chiama, si fa trovare nel tuo ufficio...
- Cerca soprannomi carini con cui chiamarti, si auto invita a cena a casa tua, ti prende in giro di continuo.
- E, cosa molto importante, ti ha fatto assaggiare la sua pelle: se non è amore questo.
Stavano giocando a completa la frase e in più stavano rischiando di farmi innervosire. Ero così stanca di ripetere sempre le stesse cose: "non ho tempo da perdere", "non lo voglio vedere" ecc ecc; perciò le lasciai parlare e sognare.
- Pensatela come volete, costruite un modellino del Titanic, se proprio non avete nulla da fare, ma se vedo altri post-it del genere, vi mozzo le dita e ve le incollo alle orecchie.
Alzarono le mani in segno di resa e mi sembrò di sentirle borbottare un 'che c'entra il Titanic?'. Però ero troppo concentrata a strappare in mille pezzi quei fogli e buttarli per prestare attenzione a loro: quell'incubo era finalmente finito. Avevo vinto io, come sempre.



Niente cappellino e occhiali per nascondermi, niente tragitto modificato: tutto era tornato alla normalità, avevo riavuto la mia vita. Quando il giorno dopo il litigio lo avevo visto alla fermata della metro, avevo avuto paura che si avvicinasse e riprendesse a parlarmi come era solito fare, ma no, mi aveva ignorata, si era comportato come un perfetto estraneo e io avevo sentito i cori dell'alleluia in lontananza. 
Anche il giorno dopo ancora lo avevo incontrato di sfuggita al supermercato, era fermo al bancone surgelati a leggere le ultime offerte sui prodotti; per un attimo avevo avuto l'istinto di chiedergli perché mangiasse quelle schifezze invece di cucinare qualcosa di buono e sano, ma, quando vidi una moretta tutta tette e plastica avvicinarsi a lui con una bomboletta di panna spray e strizzargli una natica, mi ero allontanata mordendomi la lingua. Ero stata chiara con lui: doveva sparire dalla mia vita, quindi perché avevo pensato di parlargli?
Come una scema lo avevo detto a Giulia durante una delle nostre chiacchierate a telefono e la sua risposta mi aveva lasciata basita, credeva che fossi gelosa e che lui mi mancasse: stronzate. Tornare alla mia vecchia vita era ciò di cui avevo più bisogno.
- Emily, eccoti qui. Ho bisogno del tuo aiuto.
Carla era entrata nel nostro ufficio con il suo solito savor faire, la coda del suo coprispalle lungo arancione scuro svolazzava a destra e manca mentre camminava e i suoi occhiali stile anni '60 penzolavano sul suo collo. La guardai interrogativa e spaventata per quello che avrebbe potuto chiedermi.
- Questo è il nome della mia sposa e queste, – con la penna scorse tutto il foglio che aveva poggiato sulla scrivania, - sono le sue amiche che festeggeranno, insieme a lei, l'addio al nubilato.
Diedi un'occhiata alla lista, erano più o meno una ventina – Vuoi che regali una bottiglia di vino alla sposa? Un pene-cerchietto a ognuna delle invitate... Che devo farci?
Mi piaceva Carla, era un buon capo; rispettava il nostro lavoro e ci pagava bene al ventotto di ogni mese, ma una cosa che proprio non sopportavo era la sua risata: grossa e un po' maligna. 
- No cara, devi portarle in quel locale dove vai spesso. 
Mi sembrava d'essere un enorme punto interrogativo, di che locale stava parlando? - Emh, vuoi che le porti da Kamal a mangiare un kebab? 
Rise di nuovo e immaginai la mia matita tra le sue labbra, come a cucirgliele. - Il locale degli spogliarellisti! - Lo disse con una tale ovvietà e naturalezza da farmi spalancare la bocca: io lo frequentavo spesso? 
IO? 
QUEL LOCALE? 
Forse stavo sognando o magari quello era un brutto scherzo organizzato da Mina e Giulia.
- Puoi... potresti spiegarti. Per favore? 
All'improvviso avevo perso la capacità della parola, la saliva mi si era prosciugata e la lingua era come intorpidita; il mio cervello era andato a farsi friggere come se tutto, in quell'istante, rifiutasse quello che Carla mi stava dicendo: dovevo accompagnare quelle tizie al Ladies Night.
- Il locale è pieno zeppo, devi riuscire a farle entrare.- Quella notizia era fantastica: se non c'erano tavoli disponibili, non avrei avuto nessuna chance di procurarle i biglietti di ingresso e quindi io non avrei messo più piede là dentro, come avevo promesso a me stessa. - Tu conosci la star del locale, me lo hanno detto Mina e Giulia, chiamalo e fatti fare questo favore. 
- Ma io, cioè noi, lui. Non posso.
Il suo sguardo mi incendiò: potevo piangere? Quella era la vendetta del Karma, per un momento di felicità ne avevo ventordici di tristezza; cosa avevo fatto di male nella mia vita precedente? 
Ucciso o offeso qualcuno? Rubato, incendiato qualcosa; la mia vita era una grossa grande palla di sterco puzzolente e io ero intrappolata là dentro, morente per la puzza e per il peso sulle spalle. 
- Vuoi che ti licenzi?- Negai senza aggiungere altro e, afflitta, presi il cellulare per chiamare l'idiota. 




Riattaccai più volte ancora prima che iniziasse a squillare. Non sapevo che dire e come iniziare il discorso; cosa avrei detto non appena mi avesse risposto. Soppressi un urlo tra le mani e strinsi i capelli quasi fino a tirarmeli: stavo per avere un attacco di nervi. Respirai a fondo e pigiai il tasto verde.
Guarda guarda chi sta chiamando. Che succede, Acidella, hai cambiato idea e ne vuoi approfittare?
Mi serve un favore. È per il lavoro.
E perché dovrei farti un favore dopo il modo in cui mi hai trattato?
Sarei morta di ulcera perforata, ne ero convinta – Senti, non è per me; è per il mio capo. - Volevo essere convincente e nello stesso tempo non volevo che pensasse che avevo bisogno di lui. 
Per il tuo capo?- La sua voce era strana e non riuscivo a capire bene tutte le parole; sembrava stesse mangiando – Io non lo conosco nemmeno, perché dovrei aiutarlo?
- E' una donna e per favore, non voglio essere licenziata.
Lo sentii sospirare –
D'accordo, dimmi.
Gli feci un riassunto breve della situazione: avevo bisogno dei biglietti di ingresso per una mia cliente; lui però non faceva che ridere,rendendo il momento ancora più difficile da digerire. Non capivo perché serviva la prenotazione o un biglietto per entrare; io, quella volta, ero entrata senza problemi.
- Consideralo come il modo per sdebitarti. - Quella era la mia ultima carta, poi sarei dovuta andare da Carla e ammettere la mia sconfitta.
Mi devi dare il numero esatto, ti farò avere un pass e un tavolo con tutti i posti a sedere accanto al palco; ogni invitata, se arriverà in ritardo, dovrò dire ai buttafuori e al botteghino che è lì per l'addio al nubilato. 
Sorrisi soddisfatta – Le ragazze sono venti e grazie: mi hai salvato la vita.
Sospirò di nuovo; forse avevo esagerato a chiamarlo, in fondo non avevamo tutta quella confidenza anzi, non esisteva per niente. - 
Il pagamento sarà effettuato prima dell'ingresso, sempre al botteghino. Il costo del biglietto sarebbe di venti euro più cinque di prenotazione ma, solo perché è un favore e perché sei tu, dì alla tua sposa di portare quattrocento euro. Devo andare, ciao.
Riagganciai sollevata e mi lasciai cadere sulla mia sedia girevole, il primo passo era stato fatto e non era andata poi così tanto male, dovevo avvertire Carla e poi mi sarei rilassata a casa, soddisfatta per quell'estenuante giornata di lavoro.

- Credi che io metterei mai piede in un locale del genere e poi, cara, io non organizzo addii al nubilato.
Sentivo la rabbia invadere il mio sangue, ribollirmi le vene ed ero a un passo dal diventare l'incredibile Hulk: avrei voluto prenderla dai piedi e sbatterla dovunque distruggendo il suo ufficio tanto perfetto quanto pacchiano. 
Lei non voleva entrare in quel locale, per quale motivo avrei dovuto farlo io? Era la sua sposa e neanche io mi occupavo di feste, alcool e roba varia: il mio compito era quello di organizzare il giorno perfetto di una donna e renderlo il più bello della sua vita.
- Carla, io ti voglio bene, ma in questo momento ti odio. Non voglio fare questa stupida festa in quel locale, ci sono entrata una volta e mi è bastata; io mi occupo di matrimoni, non di spogliarelli.
- Per l'amor del cielo Emily, ti ho chiesto di accompagnarle, non di salire su quel palco e ballare nuda intorno a un palo. 
Mi arresi alla sua volontà e come un cucciolo abbandonato con la coda tra le gambe tornai alla scrivania per raccattare le mie cose e tornare a casa; altro che giornata lavorativa soddisfacente, quella poteva aggiungersi alla lista : “ciò che mi spingerà a suicidarmi”



Non rivolsi parola a Carla per tutto il giorno perché ero offesa, arrabbiata e ferita nell'orgoglio. In quei momenti mi sembrava di tornare bambina, quando mia sorella Eléonore andava dai miei genitori a dire che avevo finito il barattolo di marmellata; smettevo di parlare con lei per giorni perché eravamo una squadra e lei non poteva tradirmi in quel modo, perché una squadra lavorava insieme e noi dovevamo sconfiggere i cattivi e salvare il mondo. 
Carla mi aveva tradita e quindi non meritava la mia parola fino a quando non avessi deciso io il contrario.
D'altro canto però mi fece tornare a casa prima del previsto dato che dovevo prepararmi per la festa e dovevo essere al locale prima del tempo per avere il pass e pagare i biglietti.
Decisi di indossare qualcosa di diverso rispetto ai soliti jeans o pantaloni scuri che mettevo a lavoro. Contemplai il mio armadio per ben dieci minuti, avevo ancora l'asciugamano in testa a tamponare i capelli bagnati, e in meno di mezz'ora sarei dovuta essere al Ladies Night: ancora ero in intimo a decidere cosa mettere. Prima che il panico prendesse possesso di me, ebbi l'idea più geniale della storia: andare a controllare il mini armadio che tenevo nel ripostiglio e dove nascondevo gli abiti che Mina e Giulia mi obbligavano a comprare; ne trovai uno rosa con dei disegni neri e un fiocco di seta sotto il seno, lo abbinai con delle scarpe nere con il tacco basso e una borsa rosa. 
In realtà non sapevo cosa stavo facendo: agghindarmi in quel modo, truccarmi con cura e mettere il lucidalabbra non erano cose per me; io andavo in jeans e scarpe da tennis anche agli appuntamenti in banca perché non mi interessava apparire in un certo modo agli occhi degli altri né il loro giudizio. Il fatto che, quella sera, stessi dedicando più tempo del previsto alla cura del mio corpo e ai dettagli insulsi come abbinare scarpe e borsa al vestito, mi faceva pensare al peggio. 


Arrivai all'ora prevista nella mia tabella di marcia di fronte il Ladied Night e, indecisa su come e quando entrare, chiamai Geremia per chiedergli informazioni.
Ho lasciato il pass per te al botteghino, quando arriva la tua sposa ti fai dare il nome del tavolo e qualcuno vi accompagnerà giù.
Il pass è per me? Credevo servisse a tutte per entrare. Che devo farci con il pass? Uh, sono una vip.
Lo sentii ridere e sorrisi anche io, tanto non poteva vedermi - A dopo Emily e goditi lo spettacolo.
Sospirai rassegnata, scuotendo la testa, ritirai il mio pass VIP mettendolo in borsa e poi aspettai che arrivasse la sposa insieme alle sue care amiche.
Dopo un quarto d'ora in cui avevo maledetto me stessa per la mia puntualità, il mio lavoro, il mio non saper dire no e l'enorme idiozia nell'aver messo quelle scarpe che iniziavano a tranciarmi le dita vidi arrivare una limousine rosa shock che si fermò proprio davanti alla porta nera d'ingresso. Sperai non fosse la cliente di Carla perché dal colore di un'auto poteva capirsi la personalità di una persona, ma le mie speranze furono molto vane: dalla limo vennero fuori una quindicina di donne urlanti e troppo colorate per i miei gusti. 
- Tu devi essere – Non mi fece finire di parlare, quella cosa agghindata come un lampadario dell'ottocento.
- Rachele ma puoi chiamarmi Rachi. Tu sei la sostituta di Carla, quella che ci accompagna?
Io ero quella che le avrebbe spaccato il muso troppo rosso e rotto il naso rifatto. Da quale fabbrica fallita della Mattel era uscita quella? Di una cosa ero certa: Carla me l'avrebbe pagata di avermi assegnato il compito di badare a Barbie, Teresa e le sue simpatiche amiche.


- Oddio, sono emozionata: mi hanno detto che lo spettacolo di SpicyCock è quello più entusiasmante.
- Assolutamente no! Sono già venuta una volta qui – Risero come tante galline starnazzanti e desiderai essere sorda – Che scemotte! Stavo dicendo che mi ha subito colpita Electric Fire, la star del locale.
- ODDIO Sì. Ho saputo che molto spesso...
Mi allontanai da loro con la scusa di bere – Un midori sour per favore. - Poggiai i gomiti sul bancone in attesa che il barista mi desse il mio cocktail e feci una rapida panoramica del locale: era quasi pieno, le donne ai tavoli ordinavano champagne o spumante e scalpitavano in attesa dell'inizio dello spettacolo; io invece speravo finisse presto o che le ragazze si stancassero così da andare a casa prima del previsto, ma loro non sembravano propense a esaudire il mio desiderio nascosto.
Al primo sorso del mio drink le luci si spensero e dovetti aspettare i fari gialli che illuminavano il palco, per farmi strada e sedermi al tavolo. Non ero psicologicamente pronta per sentire le urla di quelle donne per minimo quattro ore, perciò decisi di bere per attutire l'udito, dato che diventavo un po' sorda da brilla. 
Finii il mio midori e sette ragazzi circa, erano sul palco, vestiti in modo elegante e aspettavano la base per iniziare a ballare e, ovviamente, a spogliarsi. 
Feci cenno al barista di portarmi un altro drink e mi rilassai sulla sedia per godermi lo spettacolo; alla prima nota di “Call me maybe” rischiai di soffocare: si sarebbero esibiti su quella canzone? 
Era un po' modificata rispetto all'originale, più veloce e recitava più volte il ritornello mischiandosi alle strofe; il risultato era abbastanza carino e azzeccato con il momento, ma non avrei più cantato quella canzone sotto la doccia o avrei pensato a quella roba lì che stavo vedendo. A metà esibizione, quando indossavano solo i pantaloni, scesero dal palco e ognuno di loro si avvicinò a un tavolo a caso. Geremia mi sorrise malizioso e venne verso il nostro tavolo: smisi di respirare per qualche attimo per timore di cosa avrebbe fatto, ma si mise a cavalcioni sulle gambe della sposa e ballò il ritornello in quel modo, lasciandosi toccare da quella. 
Salì sul tavolo e sulle note finali della canzone, mentre ballava come un idiota sexy e mimava “call me, maybe?” con la mano destra si tolse i pantaloni neri, restando in mutande: un paio molto corte e molto attillate con una cornetta del telefono stampata sul davanti. Scoppiai a ridere mentre lui accettava, senza complimenti, i soldi che le ragazze gli infilavano negli slip. 
Quando scese, prima di andare nelle quinte e cambiarsi, mi venne vicino tanto che mi immobilizzai. 
- Quanto mi farai aspettare per un tuo apprezzamento?
Me lo sussurrò, portando una ciocca dei miei capelli dietro l'orecchio; tremai per un attimo ma gli risposi, almeno per mantenere una certa facciata. 
- Vuoi che ti metta anche io una banconota nelle mutande?
Lo provocai anche se sapevo di non essere capace di farlo, mi voltai appena per vedere la sua espressione e mi ritrovai le sue labbra non lontano dalle mie; erano così carnose e non riuscivo a smettere di guardarle, dovevano essere morbide e belle da baciare. Sgranai gli occhi per il pensiero appena fatto. Almeno non l'avevo concretizzato. Il suo solito sorriso malizioso comparve sul volto e tornai con i piedi per terra, guardandolo negli occhi. 
- Divertiti. 
Mi fece l'occhiolino e scomparve, mentre tutto nella sala tornava normale e quelle arpie urlavano il bis a gran voce. Dovevo riprendermi prima di continuare a guardare o sarei morta per overdose ormonale. 
Ero accaldata per i due drink che avevo bevuto, in più la vicinanza di Geremia mi aveva destabilizzato e se non mi fossi calmata, oltre che raffreddata, avrei combinato qualche mio solito guaio. Lasciai scorrere dell'acqua fredda sui polsi e, guardandomi allo specchio, feci dei lunghi e grandi respiri, mentre una nuova canzone si sentiva in lontananza e io avevo paura a uscire.
- Emily non fare la cagasotto e torna di là. Adesso. 
Annuii alla mia parte più coraggiosa e tornai al tavolo: le ragazze erano in piedi a urlare e lanciare soldi sul palco a un ragazzo biondo mezzo nudo. Lo guardai meglio perché mi sembrava di averlo visto da qualche parte, oltre che in quel locale; aveva qualcosa di familiare. Avrei chiesto il suo nome a Geremia.
Il biondo ci diede le spalle e con un colpo secco tolse i pantaloni restando nudo: il suo sedere, sodo e bello da guardare, era in bella vista e ciò non fece che aumentare le urla di tutte in quella sala; quando si voltò verso noi, teneva le mani davanti ben attente a coprire i suoi gioielli di famiglia ma, per mia sorpresa e piacere, tolse prima una e poi l'altra. Chiusi gli occhi istintivamente: non volevo vederlo tutto, tutto nudo. Sentendo gli applausi e le urla, mischiate alle risate, delle altre li riaprii e sorrisi anche io: il biondo aveva una coppa, come quella che usavano i ballerini, con disegnato uno smile: molto divertente. 
Raccolse tutti i soldi, mostrando il suo sedere dappertutto e poi scomparve dietro le quinte.
- SC è il mio preferito, ve l'avevo detto. 
Uno dei loro commenti attirò la mia attenzione: dove avevo sentito quel nome? Mi sforzai di ricordare rischiando di farmi venire il mal di testa e finalmente ebbi l'illuminazione: cercai nel portafogli quel biglietto da visita e trovandolo, esultai.
L'idraulico! Ecco dove avevo visto quel ragazzo biondo ed ecco come aveva fatto Geremia a sapere dove abitassi; che stronzo e che bugiardo. 
Non ebbi il tempo di pensare ad altro, perché le luci si abbassarono e una musica sensuale si sostituì a quella da sottofondo, del fumo coprì tutta la visuale del palco e per qualche secondo smisi di respirare per evitare di soffocare.
Geremia era al centro del palco: il capo basso, le gambe incrociate, un braccio in alto e l'altro in basso teneva in mano qualcosa; era vestito in modo strano e non riuscivo a distinguere il colore perché quel maledetto fumo mi annebbiava ancora la vista.
La musica si fece più veloce e lui iniziò a ballare, non l'avevo mai visto così concentrato e infervorato nel fare qualcosa o forse ero io a guardarlo sotto una prospettiva diversa, non sapevo quale però. 
Delle luci blu e gialle lo illuminarono meglio e solo allora mi accorsi com'era vestito: indossava un completo da medico verde e sopra un camice bianco, al collo aveva uno stetoscopio: quello che fino a poco tempo prima aveva tenuto in mano. Si mosse verso i tavoli posizionandosi al centro della passerella e tolse il camice bianco, le ragazze del mio tavolo urlarono e si alzarono, intimai alla sposa di sedersi prima che le rompessi la bottiglia di champagne in testa e quella obbedì, abbastanza brilla da fare tutto quello che volevo. 
Geremia continuava a ballare e la musica mi fece impazzire, era un mix troppo eccitante da gestire; si tolse il pezzo di sopra del completo verde e lo fece così lentamente da farmi desiderare di strapparlo con le mie stesse mani. Era a petto nudo sulla passerella e tutte le donne in sala erano in estasi, me compresa anche se cercavo di mantenere una certa compostezza; fu quando le luci puntarono su di noi che entrai nel panico.
- Signore, credo che qualcuna di voi abbia bisogno di una visita.
Prima che tutte lo assalissero si voltò verso il nostro tavolo ed ebbi paura che mi chiamasse lassù un'altra volta. Per quanto per un attimo avessi desiderato toccare i suoi pettorali e tracciare il profilo di quei tatuaggi, non volevo essere al centro dell'attenzione un'altra volta; con mia sorpresa fece cenno alla sposa di raggiungerlo e quella quasi inciampò dalla fretta.
La fece stendere su un lettino, uno di quelli ospedalieri e le salì addosso, sedendosi a cavallo; mise lo stetoscopio alle orecchie e poggiò l'altro capo sul cuore della sposa, non smettendo di muoversi in modo compromettente: era una scena imbarazzante e avrei voluto prendere per i capelli la tizia e ricordarle che tra qualche giorno si sarebbe sposata e che quello non era un comportamento consono a una futura moglie. La sala scoppiò quando lui si alzò da quella posizione tornando in passerella e si tolse i pantaloni, restando con un mini perizoma a coprirgli il migliore amico in basso. Il suo sedere era bello come ricordavo e la donna, intanto, non era più distesa ma si era seduta su un trono; le ballò intorno e poi le si posizionò davanti. La nostra visuale era migliore o almeno così pensavo fin quando la finta Barbie gli poggiò le mani sui fianchi e con due colpi secchi gli slacciò il perizoma lasciandolo completamente nudo. 
Credevo che avesse anche lui uno smile come il biondo di prima, ma quando lei tornò da noi aveva una faccia sconvolta, non faceva altro che ripetere quanto fosse stato eccitante spogliarlo e quanto fosse lungo il cobra di Eletric Fire. 
- Ecco perché lo chiamano così. 
Non riuscii a sopportare le loro risatine e i loro urletti isterici, perciò mi alzai di nuovo. Volevo andare a casa: mi facevano male i piedi, il vestito prudeva, mi bruciavano gli occhi e avevo sonno. 
Potevo far scattare l'allarme antincendio o dire a Barbie, Teresa e company che erano ricercate oppure che non erano più desiderate nel locale. Potevo urlare che c'era un topo, qualsiasi altra scusa pur di andarmene a casa e dormire.
Ordinai una coca cola, poiché dopo lo spettacolino appena visto non volevo ingerire alcol o avrei ceduto a ogni tentazione, e mi sedetti su uno sgabello. Per fortuna ero lontana dai tavoli e dal palco e grazie alla mia mezza cecità non vedevo cosa succedeva là sopra. 
- Allora? - La sua voce mi fece sobbalzare, mi voltai a guardarlo: era vestito in maniera normale, jeans e camicia azzurra che risaltava i suoi occhi. - Non hai niente da dirmi?
- Sai che vestito così sembri quasi un bravo ragazzo? 
Si sedette accanto a me, ordinando qualcosa di imbevibile – Lo so che avresti voluto essere al posto della sposa di plastica. 
- Oh sì, mi hai proprio letto nel pensiero e questa notte non dormirò perché l'invidia mi divorerà l'animo.
Poggiai il bicchiere vuoto, convinta d'aver vinto l'incontro, ma si avvicinò ancora, la sua mano si posò su un mio fianco e sussurrò al mio orecchio – Non dormirai perché mi penserai nudo per tutta la notte e non basterà neanche una doccia fredda per calmarti.
Lo allontanai, scuotendo il capo con fare rassegnato, e feci finta di nulla, non rispondendo alla sua provocazione perché non volevo che si montasse la testa e perché non sapevo che dirgli. Bevve d'un sorso il suo drink e in quel momento arrivò l'altro componente del famoso trio: il biondino, nonché l'idraulico. La mia serata procedeva di bene in meglio.
- Ehi Spicy, ti presento Emily.
Quello mi guardò, mi sembrò fosse scocciato; si sedette accanto a me e fece un segno al barista – Allora, per lo spettacolo privato sono cinquanta, se vuoi toccare saliamo a cento se vuoi il servizio completo devi sborsare...
- Ehi, non sono qui per niente del genere, razza di maiale pervertito. 
Geremia rise di gusto, si piegò addirittura in due ma lui non ci fece caso e bevve un sorso di birra dalla bottiglia di Guinnes che il barista gli aveva passato – Menomale, perché non mi attizzi per nulla anzi questo coso rosa che hai addosso è noioso. 
Se avevo pensato, per un secondo, che Mr Panna fosse il peggior maleducato che avessi incontrato, quel tizio, Spicy, lo batteva in tutto e per tutto. Era insolente, insopportabile, egocentrico e i suoi capelli erano inguardabili. 
- Noioso è l'aggettivo che userei per il tuo spettacolino di prima. Lo smile poi era fuori luogo, oltre che piccolo.
La risata dell'idiota alla mia destra mi rimbombò nelle orecchie: era bella, melodica e affascinante; non l'avevo mai visto e sentito ridere, perché era sempre così serio o impegnato a torturarmi e prendermi in giro da non avere il tempo di scherzare. - Oddio, non posso farcela: Emily potrei farti una statua.
- Quando ho aggiustato le tubature di casa tua però hai apprezzato tutto.
La sua frase mi sorprese, ma io ero abituata a rispondere al suo amico, perciò non ebbi paura – Perché era tutto coperto, vuoi davvero continuare a stuzzicarmi? Non hai capito che perderesti comunque?
La buttai lì perché speravo che quel battibecco finisse: ero davvero stanca e non volevo passare per la zitella acida di turno. L'idiota alla mia destra si intromise, salvando il salvabile.
- Ha ragione, è divertente litigare con lei ma non hai nessuna speranza di vincere. - Lo ringraziai con lo sguardo e il suo sorriso mi abbagliò. - Quindi, Emily ti presento Giovanni: mio collega, mio coinquilino e mio amico. E' un bravo ragazzo, un po' coglione, ma dopo averlo conosciuto bene lo si apprezza. 
- Ciao Giovanni: suo collega, suo coinquilino e suo amico. Il fatto che tu abbia messo l'amicizia all'ultimo posto dovrebbe suggerirmi qualcosa? - Mi rivolsi direttamente a lui che scrollò le spalle. 
- Solo che è un coglione. - Sorrisi a quello scambio di effusioni e guardai verso il palco: lo spettacolo era finito e sospirai sollevata perché finalmente potevo andare a casa. - Vuoi qualcosa da bere Emma?
- Mi chiamo Emily e no grazie, ho già bevuto abbastanza. - Provai a sorridergli ma quel tipo non mi stava molto simpatico, soprattutto se sbagliava il mio nome e mi stuzzicava in quel modo. 
I miei pensieri furono interrotti dall'arrivo di Riccardo, quel ragazzo era così bello da farmi morire per autocombustione; mi riconobbe subito tanto che mi salutò con un abbraccio. Credevo che gli spogliarellisti avessero una memoria breve per le ragazze, che queste frequentassero in troppe il loro letto e che non avessero il tempo di memorizzare i loro volti; Riccardo invece mi stupì ricordando anche il mio nome. 
- E tu come la conosci? - Fu Giovanni a chiederglielo: lo sguardo fisso davanti a sé, le mani strette alla bottiglia di birra e le labbra tirate in una smorfia. 
Lo sguardo che gli rivolse l'altro fu agghiacciante, tanto che mi allontanai da entrambi avvicinandomi a Geremia – E perché dovrei dirtelo?
Non sentii la risposta perché alla mia destra, Gerry, richiamava la mia attenzione – Devi andare a casa? 
- Io? Sì, solo quando quelle... - Guardai il tavolo della sposa e mi accorsi che era vuoto: le avevo perse. 
- Sono andate via qualche minuto fa – Mi spiegò, guardandomi fisso negli occhi: erano così azzurri da far concorrenza al cielo d'agosto. - Devi andare a casa? - Ripeté ancora e io annuì incapace di proferir parola; lui sorrise di nuovo. Perché quella sera sembrava diverso dal solito? – Vuoi un passaggio? 
- Hai un mezzo di trasporto? 
Ero sinceramente stupita da quella scoperta; lui rise e quella risata era meravigliosa e io dovevo essere drogata per trovarlo nei modi in cui l'avevo descritto fino a quel momento – Ovvio, non posso certo muovermi a piedi, la notte, quando i mezzi di trasporto sono fuori servizio.- Aspettò che gli rispondessi, ma non vedendo una mia reazione mi stuzzicò – Allora, lo vuoi o no?
- Sì, grazie. 










******

Se volete vedere l'abito rosa/noioso di Emily : (Aprite in un'altra finestra)
QUI.

Oddio, se siete arrivate fino a qui meritate un regalo, aprite la porta di casa, sarà sul tappetino. Cosa posso dire di questo lungo capitolo? Mi piace tanto la prima parte perché Emily è divertente e perché la sua amica sfiga è tornata a farsi viva.
Per il resto è tutto un BLABLABLABLA BLAAAAAAA BLAAAAAAAAAA che palle BLAAAA. Lo so, avete ragione.
Ok, sono seria.
Due piccoli flashback dal primo capitolo, quando Emily è sul palco con Gerry.
Emiluccia torna al locale e, per la prima volta, vediamo da vicino qualche spogliarello: avete visto come è intraprendete Electric Fire? Ma che bravo, anche io vorrei essere al posto di Barbie sposa e farmi visitare da lui. (Per la cronaca, non guarderò mai più un medico allo stesso modo!)
Le musiche a cui mi sono ispirata sono :
CALL ME MAYBE e OMG
L'idraulico: è stato scoperto il mistero? Era uno del locale ed era Giovannuzzo, l'avevamo quindi già incontrato anche se per qualche istante. E' anche un coinquilino di Gerrimio (nuovo soprannome) insieme a Riccardo.
Oddio, oddio... Emily cosa pensa su Geremia? E accetta un suo passaggio? Cosa succederà adesso?

E' stato un piacere leggere le vostre recensioni e grazie enorme a chi inserisce la storia tra le varie categorie.
Un grazie enorme a
ELLE perché è una santa e non solo legge e corregge tutto in anteprima ma si sorbe le mie pippe mentali!


Per chi volesse mettersi in contatto con me, lo può fare tramite il mio gruppo facebook.
Che la panna sia con voi.
Alla prossima.





   
 
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