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Autore: AthenaSkorpion    12/10/2012    3 recensioni
E se Teti fosse riuscita a salvare nella sua integrità il corpo del futuro eroe che sarebbe stato Achille?
Se il tallone che lo portò alla morte fosse stato immortale esattamente come tutto il resto?
Gli Dei avrebbero tremato.
P.S. Questa storia è in collegamento fuori trama con "La mela di Eris".
Genere: Avventura, Guerra, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Achille era silenzioso da giorni. L'ultima parola detta era stata nel duello con Ettore. Ogni volta che pensava a quell'uomo, una gran pena sorgeva nel suo cuore bellicoso e le lacrime minacciavano di tergergli il volto afflitto.
Teti non si era più fatta vedere e Achille si rendeva conto che quello era il modo della madre di lasciarlo ai suoi pensieri fino a tempi migliori.
Il Pelide si torceva le mani fino a farsi male, non aveva più guidato i suoi uomini in battaglia dopo l'onta inflitta al figlio di Priamo.
Ettore si trovava nella sua tenda, ferito a morte dalla cruenta corsa dei cavalli inarrestabili, che gli avevano sfregiato ogni parte del corpo e rotto numerose ossa.
Achille si trovava in un vicolo cieco, era contrariato, combattuto, indeciso.
Aveva vendicato Patroclo, eppure non aveva provato gioia alcuna e sentiva quasi che se l'amico si fosse trovato lì lo avrebbe sgridato per la sua ignobile mancanza di rispetto verso il caduto.
Oramai non riusciva più neanche a guardare il cadavere, che aveva deciso di coprire con un velo nero opaco.
Era sera, ormai, quando all'improvviso arrivò un messo.
- Achille, il re teucro è qui per conferire.
Achille spalancò gli occhi spaventato. Poteva affrontarlo? Il servo interpretò la sua espressione per incredula e attese risposta.
- Fallo entrare.
Mentre il messaggero si ritirava, Achille si erse in tutta la sua altezza accanto al morto con la mano poggiata sull'elsa dorata appesa alla cinta.
Un vecchio canuto entrò nella tenda e ad Achille si sciolse il cuore.
Dentro i suoi occhi vide Chirone, vide una saggezza infinita confinata da un unico velo inarrestabile di disperazione pura e disarmante, vide un padre che aveva perso quasi tutto e che era consapevole che le sue sofferenze non sarebbero cessate fino alla morte.
Priamo si fece avanti inchinandosi a testa bassa.
- Pelide Achille, mi inchino ai tuoi piedi, depongo le armi in questa fredda serata per chiederti indietro il corpo di mio figlio Ettore, che affrontasti dieci giorni or sono.
Achille tolse la mano dalla spada e con un fluido gesto, alzò Priamo da terra con gentilezza e gli baciò mani e vesti.
- Vecchio re, tra te e me non c'è inimicizia, questa guerra non è mia e chiedo perdono per ciò che essa mi ha costretto a compiere. Non nego che ci fosse un debito di sangue, ma domani avrei portato il feretro di tuo figlio di fronte alle mura per restituirtelo.
Priamo baciò a sua volta le mani di Achille con un rinnovato sollievo e i suoi occhi stanchi gridarono la loro speranza nelle lacrime cadenti.
- Ti chiedo solo di non scoprirne il volto fino all'ultimo rogo.
Priamo scosse la testa confuso e disse:- Credi forse che cercheremmo vendetta se scoprissimo lo scempio di cui ti sei reso autore? Ciò che è fatto è fatto, lascia che sua madre e la sua sposa possano piangerlo.
Achille abbassò la testa e disse:- Bene, porta con te Ettore.
Avvicinò le labbra all’orecchio del re e sussurrò:- Tu in questo momento mi hai offerto il mio peso in oro per riaverlo indietro e io te l'ho concesso magnanimamente. Il tuo popolo però saprà che cosa è realmente successo. Intesi? Agamennone mi riterrebbe uno stolto, un debole.
Priamo acconsentì.
- Che gli Dei guidino la tua strada, Pelide.
Dopo che fu uscito, egli gli rispose, cupo ma determinato:- Miro esattamente al contrario.


 
 
Achille si sentiva pacificato. Tanto che aveva ripreso a battersi con i suoi fidi Mirmidoni nel perimetro troiano.
- Comandante! Sono accorse le Amazzoni in aiuto dei Dardanidi! Ci batteremo contro delle donne?
Il luogotenente che aveva parlato guardò sgomento Achille, che ingoiò l'inquietudine e abbatté il soldato successivo con un potente fendente orizzontale.
- Invia un messaggero presso la... -cercò una parola adatta, osservando il volto contratto del luogotenente, quasi in vena di ridere per la stranezza della situazione-... regina. Invitala a duello. Al vincitore sarà consegnato l'esercito del perdente.
Il luogotenente spalancò la bocca.
- Comandante... mi perdoni... se queste donne sono state chiamate in aiuto dei Troiani, è ovvio che non sono delle sprovvedute...
Achille lo zittì. Aveva in mente qualcosa, il luogotenente lo sapeva. Quindi obbedì e sparì in cerca di un messaggero.


 
 
- Che razza di idiota!
Pentesilea rise come una matta quando comprese il contenuto del messaggio.
- Pensa forse che ci caschi? È riconosciuto che è figlio di una dea, è immortale. Crede forse che, venute da lontano, non ne siamo a conoscenza? Puah!
Pentesilea semplicemente era rimasta basita dalla stupidità dell'eroe.
- Ovviamente non sono adirata con te, messaggero. Ma ti prego di dirgli questo-disse lei più dolce e pacata, quasi attraente.
Il messaggero fece un passo avanti e rimase in ascolto.
- Di' che lo sfido a duello ma che le regole saranno le mie: se mi ucciderà, avrà il mio esercito. Se riuscirò a farlo sorridere, avrò il comando dei Mirmidoni e -sorrise maliziosa- ogni suo bottino.
Il messaggero non perse una parola e quasi gli scappò un sorrisetto nel vedere che quella donna, con la sua calma, stava dettando legge su un eroe immortale con un'enorme facilità.
A lei questo non sfuggì e sotto sotto capì che aveva visto giusto.
- Ci vedremo in duello nell'esatto punto medio tra il mio accampamento e il vostro. A ognuno sarà concesso ogni tipo di arma. Ora va' e riferisci.
Il messaggero s’inchinò e lasciò l'Amazzone ai suoi pensieri.


 
Il campo era pronto. Da una parte Mirmidoni in armi a far schioccare le spade sugli scudi, dall'altra arciere aggraziate e quasi divine gridare selvagge con voci acute e melodiose.
Achille, ovviamente, come Pentesilea aveva previsto, aveva portato la sua spada fedele. Non aveva neppure indossato l'armatura.
Pentesilea si trovava al centro esatto del campo, arco in mano, d'ebano, e con una veste celeste dalle ampie maniche bianche.
Ad Achille si strinse il cuore. Non poteva battersi con una donna. E con una donna di tale bellezza, soprattutto.
I ricci castani e lunghi scendevano accompagnati dal vento, accoccolati sulle spalle.
Pentesilea sorrise. Achille la stava fissando rapito e in un piccolo momento di narcisismo si sentì felice di ciò. I suoi profondi occhi neri analizzarono la corda dell’arco, osservando con la coda dell’occhio l’eroe rimasto fermo a guardarla.
Erano entrambi pronti.
Si misero ai posti di combattimento. Achille si rese subito conto della scelta tattica di Pentesilea di mettersi in controluce nel punto in cui il Sole era più luminoso.
- Achille, conosci le condizioni. Ora combattiamo.
Achille voleva mantenersi il più serio possibile, ma il sorrisetto della Regina era quasi un monito contro ogni suo tentativo.
Lui si avvicinò lentamente all’avversaria mentre gli spettatori guardavano silenziosi il duello.
Pentesilea mirò alla testa del nemico, tese la corda e tirò. La freccia finì molto lontano e Pentesilea ebbe un moto di disappunto.
Achille sorrise e Pentesilea fece altrettanto. Era ilare.
- Eroe, ho vinto lealmente! Ora deponi le armi e cedimi il comando dei Mirmidoni!
Achille si fermò e si maledisse per la sua incoerenza. I Mirmidoni guardavano la scena attoniti e le Amazzoni celebravano la vittoria di Pentesilea quasi con svogliatezza, come fossero abituate alle sue bravate sempre ben riuscite.
- Regina! Ammetto la tua agilità di mente.
Era affascinato e totalmente preso da quella donna.
- Ma ti chiedo un’altra possibilità. Ne vada del mio onore. Vuoi disonorarmi o preferisci andartene tronfia della tua vittoria schiacciante, senza aver combattuto?
Pentesilea lo fissò.
- È dunque una sfida quella che mi stai lanciando? Le condizioni saranno le medesime?
Achille annuì e la donna zittì l’uditorio.
- Accetto.
Depose l’arco e la faretra e con un gesto sovrannaturale tirò fuori un pugnale affusolato e brillante.
- Mi affronterai in un corpo a corpo?-chiese sorpreso Achille.
- Non mi ritieni in grado?-chiese a sua volta Pentesilea sfrontata, lasciando Achille sforzarsi per non ridere.
Con un gesto fulmineo tirò il pugnale con una precisione assoluta e solo un’ultima schivata di Achille impedì di vedere il proprio cranio trafitto. Non ne sarebbe morto, ma ne avrebbe guadagnato una certa dose di dolore.
Prima di potersi riprendere, Pentesilea era già partita alla carica con una scimitarra e aveva iniziato a colpire. Achille schivò finché non riuscì a sfoderare la spada e a difendersi. Incrociarono le lame più volte e Pentesilea tentò anche colpi bassi con la mano disarmata. Achille aveva capito che Pentesilea era il più temibile tra i nemici che aveva affrontato e ciò gli metteva un bel po’ di euforia addosso. Battersi con una donna era l’ultima cosa che avrebbe creduto difficile e invece eccolo lì a tentare di difendersi e a ricevere una salva di colpi di una difficoltà incalcolabile. Si stava battendo con una Regina, non con una donna. Pentesilea era il genere di persona che gli avrebbe dato la felicità sposandolo. Sentiva che era l’unica che avrebbe potuto reggere il confronto e rendergli la vita giorno per giorno sempre più interessante.
La giovane si allontanò per riprendere fiato e guardò divertita Achille.
- Sorpreso?
- Effettivamente…
Stavolta fu Achille a prendere in mano l’attacco e alla ragazza non rimase che difendersi. La fatica dell’attacco parve intaccare in parte le sue capacità di battersi perché subì alcune ferite superficiali. Achille stava dando fondo a tutte le sue tecniche e Pentesilea era piuttosto duttile nel pararle.
L’ultimo movimento, l’ultimo affondo, era quello che Achille aveva sempre provato ma non aveva mai messo in pratica, in attesa di un nemico che fosse all’altezza.
Colpì il centro esatto del cuore.
La regina non perse il suo sorriso mentre cadeva esanime a terra. Un coro di grida giunse dalla schiera delle Amazzoni e i Mirmidoni risposero con le armi per tenerle a bada e farle tornare nei ranghi.
Achille si chinò su Pentesilea sorreggendola. In quel momento si rese conto dell’errore che aveva commesso.
Le prese il volto tra le mani e lo strinse a sé, lo stesso fece lei.
- Ti ho messo alle strette…-tossicchiò Pentesilea.
Achille la fissò negli occhi, cacciando indietro le lacrime, e sorrise malinconico.
-…e ho vinto di nuovo.
Achille annuì e la regina, stavolta seria, sussurrò:- Tratta bene le mie ragazze.
Morì prima di ricevere risposta e Achille gridò l’integrità della sua rabbia, della sua frustrazione, dell’amarezza che l’aveva invaso. L’intensità di quei sentimenti faceva barcollare il suo stesso essere.
- Debole, piangi la morte del tuo nemico!
Achille si alzò tremante e prese la spada. Tersite lo sbeffeggiò ancora finché non vide le fiamme uscire dagli occhi iniettati di sangue dell’eroe. In quel momento, mentre la lama si preparava ad affondare nelle sue luride carni, impallidì.

 
 
Achille ripulì la spada dell’ultimo sangue, andò dalla vicecomandante Amazzone, ancora scossa, e disse a bassa voce:- Abbiamo vinto entrambi. Andate libere e raccogliete il cadavere. Vi raggiungerò all’ultimo viaggio della regina, come un amico. Spegnerò il rogo con le mie lacrime.

 
 
- Odisseo, so che non siamo mai stati fratelli.
Il figlio di Laerte lo fissò serio e comprensivo.
- Tuttavia ti considero l’unico degno del mio rispetto tra i comandanti senza cuore delle terre elleniche. Io non intendo più battermi. Ti cedo i Mirmidoni, saranno tuoi uomini in battaglia e ti obbediranno fedelmente.
Odisseo lo fissò e gli mise una mano sulla spalla.
- Ovunque tu andrai, fai un buon viaggio, amico.
Achille abbassò lo sguardo e uscì dalla tenda dell’Itacese.


Fissò con occhi lucidi le braci quasi spente del rogo di Pentesilea. Gli Dei, a causa loro in quella tiepida mattina stava guardando il corpo della regina scendere nell’Ade. Patroclo gli era sfuggito, Iolao gli era sfuggito, Pentesilea anche. Ogni caro stava andando via in quella futile guerra. A causa di uno stupido ragazzetto  senza cervello le divinità stavano litigando e gli uomini morendo. Ma non lo riteneva colpevole. Gli Dei, volubili e tirannici esseri demoniaci. Cos’avevano di buono? Zeus, quell’ignavo bastardo… L’Olimpo era ormai un covo di delinquenti smaniosi di uccidersi a vicenda nonostante il suo “pugno di ferro”. E gli uomini pagavano le conseguenze.
E che dire poi di sua madre? Era stata costretta ad un matrimonio coatto per pura lussuria del Padre degli Dei. Padre degli Dei? No, non era neppure giusto definirlo tale, Crono esisteva ancora a testimonianza.
Lui stesso, Achille, era frutto di una costrizione.
Ma avrebbe fatto vendetta.
 
 
Eccoci arrivati al momento clou! Non ho rispettato la catena di eventi veritiera, mi interessava solamente la figura di Pentesilea e non ho voluto farle fare... la fine che intendeva Artemide... Dal prossimo capitolo, la sua morte sarà l'iniziatrice del vero destino "antidestino" di Achille! Ho deciso che in quest’opera, come già si è potuto vedere, Achille sia decisamente OOC. 
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