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Autore: mercutia    13/10/2012    1 recensioni
Nulla nella mia vita era più lo stesso. Per quante esperienze l'avessero attraversata e sconvolta, nulla era più lo stesso da quando vivevo nel palazzo che Mélisande aveva preso a Città di Elua per quella che era la sua nuova famiglia: un trio la cui formazione aveva sollevato parecchi mormorii, un'unione anomala e stravagante persino per la gente di Terre d'Ange. E non tanto, o non solo, perchè questa famiglia era formata da due donne e un bambino, ma perchè eravamo io, Phèdre nó Delaunay de Montrève, la più famosa cortigiana del regno, Mélisande Shahrizai, la famigerata traditrice della corona, e suo figlio, Imriel no Montrève de La Coursel, frutto di uno dei piani diabolici di sua madre. Mélisande era per tutti una pericolosa e spietata traditrice e nessuno avrebbe mai smesso di vederla a quel modo. Nemmeno io. Io che meglio di chiunque altro la conoscevo. Io che meglio di chiunque altro avevo pagato sulla mia pelle e sulla mia coscienza il dolore dei suoi giochi crudeli. E io che, nonostante tutto, l'amavo con ogni fibra del mio essere, come nessun altro avrebbe mai potuto.
Genere: Erotico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Imriel nó Montrève de la Courcel, Mélisande Shahrizai, Phèdre nó Delaunay
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: Bondage, Contenuti forti
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Questa storia fa parte di un insieme di racconti brevi dai toni semiseri liberamente tratti dalla saga di Kushiel ed ispirati da un pensiero di Phèdre sul finale di "La maschera e le tenebre", ovvero quando arriva a definire Imriel figlio suo e di Mélisande. La geniale assurdità di quel dettaglio ha scatenato in me folli fantasie sul quadretto familiare ed è nato il primo episodio quasi per scherzo.
Tecniche di scrittura, personaggi e anche modi di dire sono volutamente tratti nel modo più verosimile possibile all'opera di J.Carey, ma lo scenario è del tutto inventato e parodiato.
Il tono semiserio del racconto non vuole assolutamente deridere quest'opera che amo follemente... anche per la sottile ironia che maliziosamente spesso suggerisce.


Maison Shahrizai - Episodio 2

Miele

Adottare Imriel mi aveva cambiata. Avevo immaginato che sarebbe successo quando presi quella pericolosa decisione, ma non avrei mai potuto immaginare quante novità avrebbe portato in me la sua vicinanza, il suo affetto. Una di queste fu scoprire, se non una vera propensione, almeno una non totale incapacità per la cucina: per quante cose conoscessi, per quante cose sapessi fare, e anche piuttosto bene, ce n'erano alcune per le quali mi ero sempre ritenuta del tutto negata, anche se probabilmente il vero motivo era il fatto che non mi ci fossi mai applicata. Imriel, tra le varie novità che aveva apportato alla mia vita, mi fece anche avvicinare a questo mondo a me quasi sconosciuto fino allora. Facevo piccole cose a dire il vero, dolci più che altro, ma per una che si era sempre considerata del tutto incapace per attività manuali di quel tipo, era fonte d'orgoglio.
In realtà lo facevo solo per stare con lui, che amava quel genere di attività. Forse era per via di ciò che era stato per i primi anni della sua vita, un principe pastorello cresciuto tra le montagne siovalesi, ma il ragazzo pareva conservare una spiccata predisposizione per le mansioni più umili, tanto che spesso aveva affiancato i miei domestici nei loro lavori, trovando la cosa divertente. Per quanto lo ritenessi buffo, lo avevo lasciato fare senza mai palesargli ciò che ne pensavo e anzi mi ero sempre unita al suo entusiasmo quando mi mostrava orgoglioso il suo operato. Ovviamente di ben altro avviso era sua madre, che, quando lo scoprì, rivelò a me tutto il suo disappunto, in modi che non starò ora a raccontare. Alcune rare volte però capitava che lo spirito materno facesse breccia nell'austerità di Mélisande, tanto da farle trascurare la concezione che aveva per l'educazione appropriata ad un principe, per rimanere incantata a guardarlo impegnarsi in umili sforzi che lui sembrava apprezzare tanto. Quel giorno probabilmente fu uno di quei rari momenti.
Imriel mi aveva convinta a preparare dei biscotti insieme a lui e io, come sempre, avevo accettato non certo per il risultato che avremmo ottenuto e nemmeno perchè amassi davvero aggirarmi tra pentole, fuochi e farina, ma per poter stare tutta la mattina con lui senza pensare ad altro. Era piacevole, terribilmente, e mai nella mia vita avrei potuto immaginare di pensare una cosa simile, prima che Imriel entrasse a farne parte.
Era serio e concentrato sulla preparazione dell'impasto, quando si accorse che il mio sorriso divertito era dovuto ad una striscia di burro, zucchero e farina che gli attraversava per intero il bel viso. Si girò verso il bacile con l'acqua pulita per lavarsi e, molto probabilmente, per vendicarsi di me tirandomene una parte, ma la presenza di sua madre, ferma all'ingresso della stanza, zittì bruscamente le minacce che mi stava borbottando contro. Mi bloccai anch'io non appena la vidi, e smisi istantaneamente di ridere chiedendomi da quanto tempo fosse lì alle nostre spalle ad osservarci.
«Continuate pure» disse, sul volto un'espressione indecifrabile «Fate come se io non ci fossi»
Mi sentivo in colpa nei suoi confronti, per averle, anche se involontariamente, sottratto il ruolo materno. Per quanto la cosa non avesse senso, non potevo evitare l'imbarazzo che mi suscitavano situazioni ricorrenti come quella. Ero fatta così. Pertanto lasciai che Imriel finisse di asciugarsi il volto, che intanto si era lavato, quindi gli diedi una lieve gomitata, confidando che ne avrebbe colto il significato.
Non mi deluse. In parte.
«Volete unirvi...»
Gli assestati una seconda gomitata.
«Vuoi unirti a noi?»
Mélisande sorrise.
«Non credo di essere molto avvezza a questo genere di attività, ma ti ringrazio per la spontanea offerta, Imriel» lo canzonò gettandomi una rapida occhiata, che m'imbarazzò più di quanto già non lo fossi.
La reazione di Imriel non fu molto diversa: era ancora molto rigido con sua madre e d'altra parte come non lo si poteva comprendere? Per quanto tra loro ci fosse un legame di sangue, lui non la conosceva, se non attraverso racconti che parlavano di lei in modi assai poco lusinghieri. Mi ero sforzata più che potevo per attenuare in lui la vergogna di essere suo figlio e placare il rancore che provava nei suoi confronti, ero riuscita a fargli accettare di buon grado, o quasi, il suo ritorno in patria e il fatto che saremmo diventati una famiglia insieme a lei, ma c'era ancora molto da fare perchè lui riuscisse ad accettarla davvero. Ma questo stava più che altro a lei ora.
«Scusami Imri» disse in una lieve risata, mentre gli si avvicinava «Ti stavo solo prendendo in giro. Mi perdoni?» continuò carezzandogli una guancia.
Rimasi sconvolta dalla dolcezza di quel gesto, della maternità della sua espressione, ma soprattutto dalla genuinità che il tutto sembrava avere. Non riuscii a fare a meno di invidiare Imriel e vergognarmene, ma era più forte di me. Una sola volta avevo visto qualcosa di simile in lei, per quanto la situazione allora fosse del tutto differente. Provai un brivido violento nel ricordare la sincera preoccupazione che si dipinse sul suo viso quando alla Dolorosa, l'isola carcere della Serenissima in cui lei mi aveva fatta rinchiudere, tentai di spaccarmi il cranio pur di sottrarmi al desiderio che mi spingeva ad assecondarla. Mi sostenni al tavolo e inspirai profondamente con gli occhi chiusi al manto cremisi che mi aveva velato la vista al solo ricordo. Quando li riaprii Imri annuiva, un sorriso quasi rilassato gli illuminava il viso.
«Mi farebbe piacere. Davvero» disse indicando il tavolo, più che altro ricoperto di farina, sul quale stavamo lavorando.
«E sia» rispose lei, dopo averlo fissato per un po'.
La presenza di Mélisande fece sì che l'imbarazzo diventasse l'ingrediente principale di quei biscotti, com'era prevedibile, ma in suo onore va detto che si impegnò al massimo nel dedicarsi a quell'attività per cui davvero, come lei stessa aveva ammesso, non era avvezza. La cucina però, e questo avrei dovuto immaginarlo, era piena di oggetti che avrebbero potuto farle venire in mente cose per le quali invece era decisamente portata. Fu un errore fatale non pensarci.
Me ne resi conto soltanto quando, diversi minuti dopo, incrociai il suo sguardo e colsi il suo sorriso malizioso mentre passava un dito sulla lama di un coltello. Bastava così poco. La mia volontà era del tutto inutile, il mio pudore per la presenza di Imriel come cancellato. Seguii quel gesto incapace di distogliere gli occhi, avvertii il mio corpo fibrillare in risposta al potere che il dardo di Kushiel esercitava impietoso su di me. Il dito di Mélisande indugiò sulla punta del coltello, poi vi fece pressione. La goccia di sangue che cadde, cristallizzandosi sul bianco della farina, mi fece gemere.
«Imriel, tesoro, andresti al mercato a comprare del miele?»
Sentii la voce di Mélisande come qualcosa che proveniva da lontano, mentre combattevo ad armi impari contro la pulsione che mi stava già inondando.
«Ma non ci serve» era Imriel che parlava. Non avevo il coraggio di girarmi a guardarlo, conscia del fatto che, se ancora non aveva capito quello che stava succedendo, presto lo avrebbe fatto.
Mi sforzavo intanto di tornare in me. Disperatamente.
«Serve, Imriel. E serve adesso. Vai, per favore» continuò ad insistere Mélisande.
Presi aria come se fossi appena emersa da una lunga apnea. Non oso nemmeno immaginare con che voce dissi «Non ha importanza Imri, rimani qui. Tua madre deve imparare a fare a meno del miele in certi momenti»
Mélisande si allungò sul tavolo, fino a mettere una mano su quella di Imriel.
«Fallo per me, te lo chiedo per favore»
Non riuscii a fermarlo mentre usciva, lasciandomi sola con sua madre e la mia insaziabile maledizione. Guardai Mélisande, il sorriso vittorioso rendeva le sue labbra ancora più invitanti di quanto mi apparissero ogni volta che la guardavo.
«Phèdre»
Il mio nome. Soltanto il mio nome. Sulla sua bocca era più che un richiamo per me. Era un'invocazione, una preghiera e un comando che trascendeva la mia coscienza. Detestavo l'effetto che mi faceva, rendendomi conto, seppur nei recessi della mia mente in quei momenti, che fosse totale follia farsi obnubilare a tal punto da quel semplice suono. Ma era così e non avevo armi per difendermi.
Caddi sulle ginocchia mentre lei sfilava il coltello e lo faceva stridere strisciando la punta sul marmo del tavolo nel raggiungermi. Mi posò una mano sulla testa e la fece scorrere indietro, inducendomi a seguire il gesto alzando il volto in alto.
«E' estremamente eccitante vedere l'impegno con cui cerchi di resistere ogni volta, di opporti a me. Di opporti a te stessa. La mia piccola anguissette. Se non ti conoscessi così bene, penserei quasi che tu lo faccia apposta.»
Non replicai. Non riuscivo a parlare. A malapena riuscivo a pensare abbagliata dal suo sorriso, infuocata dal tocco della sua mano. La guardavo estasiata, ormai succube di me stessa. Pregavo solo che mi facesse qualcosa, qualsiasi cosa, e smaniavo nell'attesa e nella curiosità. Poi sentii la lama del coltello accarezzarmi il collo, la sentii premere contro di me mentre deglutivo, la sentii scendere. Ricordai le flechettes, ricordai la nostra prima volta, l'unica in cui fui costretta a gridare il signale. Ricordai, e il volto bronzeo di Kushiel si sovrappose a quello di Mélisande, immerso in una foschia rossa come il sangue che mi sentivo pulsare nelle orecchie.
Mi sorprese il contatto violento delle sue labbra sulle mie, avide, fameliche. Liberò all'improvviso la stretta con la quale mi aveva tenuto la testa per i capelli e usò la mano e il coltello per spogliarmi. La lasciai fare, in balia del suo profumo, delle sue labbra, della sua lingua e le diedi tutto quello che volle, tutta me stessa.
Non saprei dire quanto tempo fosse trascorso quando uno strano rumore di qualcosa che cadeva e si frantumava a terra riuscì a distrarci. Dovetti sbattere gli occhi più volte per liberarmi della foschia cremisi e mettere a fuoco la figura che ora era nella stanza insieme a noi. Riuscii a fatica a trovare la capacità di sollevarmi sui gomiti, ma non la lucidità per capire di coprire le mie sudate e sanguinanti nudità di fronte ad uno sbigottito Imriel. Mélisande invece si alzò sopra di me, si mise in piedi, splendidamente nuda, il coltello ancora impugnato nella mano destra. Si avvicinò al ragazzo, paralizzato in mezzo ad una pozza di miele e pezzi di vetro. Mélisande posò il coltello e prese dalla mano di Imri un trancio di pane al pomodoro mangiato per metà.
«Imriel, tesoro, così ti rovinerai il pranzo»



Questa storia fa parte di un insieme di racconti brevi dai toni semiseri liberamente tratti dalla saga di Kushiel ed ispirati da un pensiero di Phèdre sul finale di "La maschera e le tenebre", ovvero quando arriva a definire Imriel figlio suo e di Mélisande. La geniale assurdità di quel dettaglio ha scatenato in me folli fantasie sul quadretto familiare ed è nato il primo episodio quasi per scherzo.
Tecniche di scrittura, personaggi e anche modi di dire sono volutamente tratti nel modo più verosimile possibile all'opera di J.Carey, ma lo scenario è del tutto inventato e parodiato.
Il tono semiserio del racconto non vuole assolutamente deridere quest'opera che amo follemente... anche per la sottile ironia che maliziosamente spesso suggerisce.

   
 
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