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Autore: Nymphna    13/10/2012    6 recensioni
[Disney]1-Jasmine~ “Voglio volare” bisbigliò. Il vecchio Joe scoppiò in una risata strana, sguaiata, che sembrava l’abbaiare di un cane.
2-Cindy~ Lui l’aveva riconosciuta. L’aveva cercata. Ma, soprattutto, l’aveva trovata.
3-Ariel~ Quel ragazzo meraviglioso con la risata contagiosa e il viso impertinente l’aveva appena baciata.
4-Belle~ E lei voleva un’avventura? Lei chiedeva di avere qualcosa in più? Proprio lei, che non aveva mai fatto niente.
5-Esmeralda~ Prese un Tennessee Wisky e ne ingollò due grandi sorsi. Poi ripensò a Febo e la preoccupazione prese il sopravvento.
6-Aurora~ “Perché sorridi?” domandò la mora. “Ora ti racconto” disse Aurora, i capelli sciolti che si muovevano al vento “Anch’io ho trovato l’amore”
7-Jane~ "Io non voglio perdere la libertà. Ma soprattutto non voglio perdere papà. E nemmeno te."
8-Meg~ "Sei veramente … fantastica. Una forza” “No. Sono tremendamente sola”
9-Blanche~ "Ma quella sera il baco si era aperto e ne era uscita una meravigliosa farfalla.
10-A Whole New World~ Fine.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2, Cindy.
(da sabato 12 a sabato 26 giugno)

 

 

La campanella dell’High School più prestigiosa dell’isola di Manhattan stava suonando e un’ondata di studenti stava salendo le scale di marmo diretta alle loro classi, tutti in divisa e perfettamente pettinati. Non c’era traccia di stanchezza nei loro visi, solo occhi luminosi e lucenti sorrisi per l’arrivo delle vacanze estive: era l’ultima settimana di scuola. C’erano quelli preoccupati, quelli paranoici, quelli ansiosi e quelli rilassati. Ma ce n’era solo una che aspettava con gioia quel giorno: quella ragazza era Cindy, che stava salendo le scale due a due sulle sue ballerine, trascinandosi dietro la borsa, leggermente scompigliata ma perfettamente in orario.
Cindy era pronta ai test finali da mesi, e aveva saltato la scuola abbastanza volte perché fosse costretta a presenziare agli ultimi test. Voleva godersi ogni minuto, ogni risposta e ogni sguardo delle persone intorno a sé quando sarebbe uscita dall’aula, perché metteva piede fuori da quella scuola per non tornarvi più, così come a New York. Sapeva che il giorno dei test avrebbe significato la sua libertà, la sua fuga, il suo nuovo mondo aperto a mille nuove aspettative e finalmente se ne sarebbe andata da quella casa tanto odiata quanto amata. E non vedeva l’ora.
Entrò in classe quando l’ultima nota della campanella si spense, si sedette al suo banco esattamente davanti alla cattedra e attese che il professore facesse l’appello. Quando giunse il suo nome alzò la mano con un gran sorriso, prese il suo quaderno e le sue penne e si mise a prendere appunti. Le piaceva studiare. I professori l’avevano sempre descritta come una ragazza attenta e attiva in classe, una che non lasciava spazio a dubbi e lacune, intelligente e pronta nelle risposte. Si erano chiesti molte volte perché la sua matrigna uscisse sempre da scuola col broncio, ogni volta che si sprofondavano in elogi per la figliastra, ma a Cindy tutto ciò non faceva effetto da un sacco di tempo.
Come ogni volta seguì la lezione con attenzione e dedizione, ponendo domande e fornendo risposte, guadagnandosi qualche altro commento dal resto della classe come “la secchiona”. Cindy non si sentiva affatto una secchiona, ma le piaceva molto essere chiamata così. Semplicemente, indicava che lei amava impegnarsi per la scuola e usufruire di quell’intelligenza vivace di cui disponeva da quand’era piccola. Suo padre l’adorava, quando ancora era in vita. E lei sapeva bene che la matrigna la trattava così male e aveva sempre qualcosa da ridire per il semplice fatto che la invidiava profondamente per essere venuta al mondo più bella, intelligente, spiritosa e talentuosa delle sue due figlie. Inizialmente, quando Cindy era piccola, aveva molto sofferto quando le avevano preso tutti i suoi vestiti più belli, i suoi piccoli tesori, la sua stanza e quando in seguito avevano cominciato a costringerla a fare le pulizie domestiche senza alcun aiuto, caricandola sempre più di doveri e trovando in lei la colpa della loro miseria sempre crescente. Quand’era cresciuta aveva capito che non doveva provare rancore nei loro confronti, ma solo pena e riserbo, perché non si accettavano così com’erano, rendendo la vita impossibile a chiunque avesse qualcosa in più.
Erano fatte proprio di un’altra pasta.
Cindy, dal canto suo, non invidiava affatto le persone più ricche o le ragazze normali, che non dovevano muovere un dito per togliere la polvere dal tappeto del salotto o per curare il grande giardino, piuttosto sperava che anche lei, un giorno, si sarebbe trovata con una casa tutta sua da curare quando e come voleva; sperava di avere un posto nel mondo in futuro e di non essere più trascurata come lo era stato per anni. Fortunatamente c’era anche la sua zia madrina canadese, che a volte le veniva a fare visita e le aveva promesso una stanza nella sua residenza di Vancouver. E la ragazza non vedeva l’ora che quella settimana finisse, perché a giorni se ne sarebbe andata via dalla matrigna e dalle sorellastre. Con un pensiero un po’ egoista pensò che finalmente avrebbero dovuto imparare a cavarsela da sole, ma si corresse subito mentalmente e si augurò che ce la facessero.
La campanella di fine ora suonò e, mentre usciva dall’aula di storia diretta in quella di francese, venne affiancata dalla sua unica amica Belle, una ragazza castana con un viso dolce e simpatico. Avevano cominciato a frequentarsi solo qualche mese prima, ma si erano trovate sulla stessa lunghezza d’onda e si erano piaciute. Cindy non aveva molto tempo da passare con lei, ma la ragazza non ne faceva un problema.
“Come va oggi?” le domandò gentilmente.
“Tutto a posto come sempre” le rispose Cindy con un sorriso “Oggi è un’altra giornata impegnata”
“Sta per finire tutto, comunque. E non vedo l’ora di andarmene da qua, non ce la faccio più.” sbuffò “Trovo le persone troppo banali, troppo stereotipate. Vorrei qualcosa di più… nouveau.” La bionda le sorrise e si fecero insieme largo fra la folla dei ragazzi che cambiava classe per andare a seguire la materia successiva oppure che andavano a rilassarsi in giardino o nella Sala Relax. Raggiunsero le scale. “Hai sentito ciò che si dice in giro?” le domandò la castana, e Cindy scosse la testa “Me l’ha detto una ragazza che fa storia con noi, la conosci? Si chiama Jane”
“Si, ce l’ho presente, è quella che sta sempre vicino alla finestra, giusto?”
“Esatto. È simpatica.” Commentò ancora Belle. Jane era un’inglesina arrivata all’inizio dell’anno scolastico, goffa e socievole, con grandi occhi blu simpaticissimi. “Comunque, ha detto che ha sentito dire che delle ragazzine del terzo anno stanno organizzando una festa. Dicono che inviteranno tutta la scuola”
“Seicento persone in una casa?!” esclamò Cindy sorpresa, guardando l’amica con stupore.
“Già, ma non è una casa, è un castello. Si parla di Aurora, la reginetta del ballo, la campionessa di pallavolo, la ricchissima ereditiera del consigliere politico Stefano, quell’italiano approdato in America qualche anno fa” descrisse mentre raggiungevano la classe.
“Sembra che sia proprio qualcosa in grande, allora” disse la bionda. Poi si separarono e si sedettero ognuna al suo posto per la lezione.
A Cindy il francese era sempre piaciuto, e riusciva a parlarlo con facilità. In fondo, sua madre era canadese e probabilmente le era rimasto qualcosa di quel posto, anche se lei non c’era più da moltissimo tempo. Era morta prematuramente, quando ancora lei era troppo piccola per potersela anche solo ricordare, da una terribile malattia che l’aveva strappata alla vita lentamente, con mille sofferenze. Ricordava che spesso il padre guardava le ciocche dorate dei capelli materni, piangendo e disperandosi, ricordando quando li aveva persi per quel terribile male. Ma la ragazza non aveva mai visto la madre nei suoi momenti peggiori, il suo unico ricordo erano le fotografie di una donna giovane ed energica, alta e snella, sempre sorridente, una maestra di scuola elementare con la pelle chiara, i capelli color oro e gli occhi verdi. Era l’unica cosa che Cindy non aveva preso da lei ma da suo padre: due grandi occhi azzurri.
Aveva sofferto molto nella sua vita, ma continuava a essere convinta che prima o poi tutto sarebbe andato al suo posto e lei sarebbe riuscita a trovare una casa, un impiego, magari anche l’amore e una famiglia. Tanti dicevano che non erano grandi pretese, ma a lei sembravano abbastanza ambiziose da avere delle difficoltà. Sapeva di tante ragazze che venivano lasciate dai loro fidanzati che fino al giorno prima confessavano amore eterno, e la ragazza si sentiva di affermare che solo andarsene dalla casa paterna era qualcosa di faticoso e sofferto, obiettivo che in breve avrebbe finalmente raggiunto.
Belle, accanto a lei, le passò un foglio rosa a quadretti, tipico dell’amica, su cui c’era una riga scritta nella sua maniera elegante. Come va con quel ragazzo?, le chiedeva il foglio. Bella domanda. In realtà non lo sapeva nemmeno lei. Erano ormai passate due settimane, ma solo a leggere quella definizione, “ragazzo”, Cindy sentì il cuore gonfiarsi di tenera passione. Sospirò, e senza volerlo cadde nei ricordi di una dolce sera primaverile.


Era una giornata luminosa, con un cielo azzurro che raramente Cindy aveva visto. Era in quella giornata che la sua matrigna e le sue sorellastre si erano imbucate a un’elegante festa dell’élite di Manhattan, a cui erano state invitate tutte le famiglie più in vista per conoscere lo scapolo dell’anno, il giovane Leroi, colui che avrebbe ereditato, alla morte del padre, un’agenzia petrolifera che gli avrebbe fruttato alcuni miliardi l’anno. A dire la verità, a quella cena era stata invitata Cindy in persona, ma la matrigna, invidiosa del suo invito personalizzato, aveva fatto di tutto per chiuderla nella sua camera per non farla uscire fino al loro ritorno, in modo da far conoscere al ragazzo le sue figlie. Cindy aveva già rinunciato all’idea di partecipare. Non che fosse stato il suo più grande desiderio, sperava solamente di potersi svagare un po’ per una volta, in fondo non era mai andata a una festa, e in quanto diciottenne aveva una gran voglia di conoscere il mondo fuori dalle quattro mura della sua casa. Quando si era trovata perfettamente pronta ma chiusa nella sua camera si era arrabbiata molto, ma aveva deciso di lasciar perdere: la vita le avrebbe dato un’altra occasione di sicuro. In quella aveva chiamato la sua zia madrina, che sapeva dell’evento e che aveva trovato decisamente ingrato, cattivo e disonesto che le sorellastre e la matrigna fossero andate alla festa senza portarla. Così, decisa a non lasciare la sua amata nipotina ai margini degli eventi, era riuscita a contattare un ladruncolo che aveva scovato chissà dove e l’aveva costretto a liberare la fanciulla, per poi scortarla personalmente all’hotel dove si teneva la festa. Per Cindy era stata un’esperienza turbolenta.
La festa si svolgeva in un attico in cima a un palazzo altissimo, dal cui balcone si vedeva tutta la città. Non era mai stata in un posto così alto ed elegante in vita sua. La stanza era stata tramutata in un Lounge Bar, e il bancone tondo era stato creato da un acquario in cui nuotavano pesciolini colorati. Il luogo era semplicemente favoloso, e la ragazza si era sentita goffa e sgraziata in confronto a tutte le ragazze che popolavano il piano. Sembravano tutte uscite da una rivista patinata con abiti di uno stilista famoso, e lei si era sentita un nulla al confronto. Ma poco dopo era scoccata l’ora della magia.
Mentre si aggirava per la zona, con un moscato in una flute in mano, guardando fuori dalle mura di vetro la città al tramonto, le si era avvicinato il ragazzo più bello con cui lei avesse mai avuto a che fare. Era un ragazzo di una quindicina di centimetri più alto di lei, con un perfetto fisico delineato e asciutto, due profondi occhi scuri e i capelli castano scuro. Aveva una voce gentile e si era comportato come il più galante dei principi con lei. Prima della fine della serata erano mano per mano, avevano ballato insieme per ore, si erano mormorati segreti divertenti e scabrose realtà, poi lui l’aveva portata in una stanza da letto adiacente e l’aveva baciata, lontano da tutti quanti. Il contatto con le labbra del ragazzo era stato una sorta di shock per Cindy, che aveva scoperto che esistevano ragazzi galanti e beneducati, che baciavano da dio e con i capelli scuri. Sarebbe voluta restare fra le sue braccia per sempre.
Ma mentre la situazione stava virando al bollente, la ragazza aveva sentito l’orologio digitale a fianco del letto che suonava la mezzanotte e si era resa conto che la sua matrigna e le sue sorellastre non sapevano che lei era uscita di casa, e se non l’avessero trovata avrebbe potuto dire addio a qualsiasi altra uscita per il carico di lavoro eccessivo. Così lasciò il ragazzo sul letto, ansante e con la camicia sbottonata, sbattendosi la porta dietro e correndo verso casa. Si accorse troppo tardi che nella foga della fuga aveva lasciato nella camera una scarpetta col tacco, il paio migliore che aveva, quelle che le aveva regalato sua zia. Mentre apriva la porta di casa per entrare silenziosamente, si era anche resa conto che non sapeva il nome di quel fantastico ragazzo che l’aveva lasciata senza fiato in mille modi, e si diede della stupida per non avergli nemmeno chiesto il numero di telefono, ma poi lasciò correre e pensò che probabilmente sperare di incontrarlo di nuovo sarebbe stato chiedere troppo. Ma non si era più dimenticata di quel ragazzo meraviglioso che le aveva fatto battere il cuore.
Si era ben presto accorta che quel ragazzo le tornava in mente a intervalli regolari ogni quattro o cinque secondi, che cercava il suo sguardo a scuola, passava minuti interi a guardare fuori dai muri a vetro del cafè in cui lavorava e lo sognava persino di notte. Quasi si vergognava, ma qualche volta, mentre era sola, si era sorpresa a intrattenere immaginarie conversazioni con lui sottovoce, bisbigliando parole e toni che avrebbero usato entrambi in quel caso. Ma poi si dava della sciocca e tornava a lavorare. Poi passavano quei due o tre minuti di tranquillità, quando qualcuno le faceva notare che stava canticchiando la canzone che avevano ballato insieme. Certo, non che Everytime we touch fosse una canzone priva di atmosfera, ma addirittura intonarla nel mezzo di una lezione di scienze!
Era così passata una settimana. Esattamente il settimo giorno dalla festa, un sabato, Cindy stava lavorando alla Dream’s House, il fast food – cafè – bar dell’angolo in cui lavorava come cameriera, e stava servendo due cheesburgher e due cole a due ragazzi che parevano maiali, quando aveva sentito il campanellino della porta suonare. Si era girata con un sorriso -era l’unica che serviva ai tavoli e che accoglieva i clienti, quel giorno- cosa che si era tramutata ben presto in un’espressione di sorpresa. Davanti alla porta di quel locale decente ma non certo elegante, in piedi di fronte a lei, c’era quel ragazzo. Le pareva ancora più bello di come lo ricordasse. I capelli si arricciavano delicatamente in fronte, formando un’onda ripiegata su se stessa, gli occhi scuri e ironici guizzavano sui tavoli cercandone uno libero, poi mosse le lunghe gambe muscolose e si avvicinò al tavolo che aveva scorto in un angolo, il più isolato, quello che solitamente sceglievano le coppie clandestine o innamorate, chi aveva affari privati da sbrigare e qualche ragazzo a studiare tranquillamente. Non poteva credere che proprio lui fosse lì in quel momento, che fosse seduto a quel tavolo. Doveva essere sicuramente una coincidenza. Doveva assolutamente essere un caso. Quel ragazzo non poteva essere lì per lei, si disse, cercando di scendere dalle nuvole. La sua mente era volata a una visione decisamente troppo romantica per essere la realtà. Si era vista prendere una pausa, sedersi davanti a lui con fare accattivante, vestita alla moda, con una sigaretta in mano e profumata di Chanel n°5. E lui ovviamente la pregava di dirle come si chiamava, dove abitava, cosa faceva… ma lei resisteva. Fu la visione fugace di qualche millesimo di secondo, perché il proprietario, Garth, un omone grande e grosso che comandava tutti a bacchetta, urlò qualcosa e lei fu costretta a muoversi. Si fece coraggio, sospirò profondamente, chiuse i pugni tenendo il vassoio sottobraccio e si avvicinò a passo di marcia al tavolo, perdendo decisione ogni dieci centimetri. Si rese conto di avere il viso stanco e gli occhi rossi, una semplice camicetta azzurra con le maniche troppo corte per poter arrivare al polso e un paio di pantaloni marroni che era riuscita a ricavare da una vecchia giacca del padre, le ballerine erano rotte e vecchie. Non era pettinata né tantomeno truccata, e proprio in questo modo si stava presentando al ragazzo dei suoi sogni. Decise di non pensarci, lui sicuramente aveva un’altra ragazza del suo rango, della sua eleganza, del suo stesso stile…
“Ciao, e benvenuto alla Dream’s House” lo salutò a macchinetta, senza guardarlo, prendendo dalla tasca del grembiule rosa acceso che faceva a pugni con tutto il suo vestiario una penna e un taccuino “Cosa vuoi ordinare?” il ragazzo soffocò una risata.
“In realtà non sono venuto perché ho fame” le rispose con la sua voce profonda ma non troppo, dolce, ironica, decisa, sensuale… Cindy cercò di frenare le emozioni e lo guardò con aria interrogativa “Sei la ragazza della festa, ti ho riconosciuta” disse ancora lui, mentre la ragazza spalancava gli occhi e deglutiva, ammutolita. Possibile che si ricordasse di lei? “Si, sono giorni che passo da queste parti per cercarti, una settimana intera che chiedo a tutti se ti conoscono. Per fortuna ti ho incontrata” le fece un sorriso quasi timido, mentre gli occhi brillavano. La ragazza boccheggiò.
“Io?” domandò infine. Non riusciva a credere che quel ragazzo stesse cercando proprio lei.
“Si, tu” confermò con gli occhi che scintillavano d’ironia e soddisfazione “Quella sera eri tu alla festa, no? E allora è te che cercavo. Ti riconoscerei fra mille. Non so nemmeno come ti chiami, so solo che desideravo parlarti ancora. E ciò che desidero solitamente ottengo… ricorda, sono io che ho in mano l’azienda petrolifera più potente d’America” la ragazza si schiarì la voce, cercò di trovare contegno e di ignorare le guance bollenti e lo specchio lì accanto, se avesse visto il suo viso paonazzo avrebbe perso qualsiasi freno.
“Allora… ordini qualcosa?” domandò ancora.
“Prendo un caffè macchiato e una ciambella alla crema, per piacere” rispose lui incrociando le braccia e lasciandosi scivolare leggermente sulla panca imbottita, guardandola con un’espressione da bambino a cui è stata negata una caramella, ma gli occhi dicevano ben altro.
“Arrivo subito” disse Cindy, poi corse verso Megan, la ragazza al bancone. “Una ciambella alla… alla…” la mora alzò un sopracciglio “Oh, merda” disse poi, porgendole il foglietto. Fece del suo meglio per non girarsi a guardare con che faccia la stesse guardando il ragazzo. Sentiva il suo sguardo divertito sulla schiena e non voleva assolutamente sapere con che occhi la fissava.
“Cindy!” esclamò la ragazza “Non ti ho mai sentita dire qualcosa di così volgare come ‘merda’. Che ti è successo?”
“Niente, dammi solo le cose e lascia perdere” continuò “Non è niente, mi è solo… sfuggita”. L’altra annuì e le consegnò il maxi bicchiere di carta che conteneva il caffè e un piattino con la ciambella. Cindy afferrò tutto e posò le cose sul vassoio, poi si incammino con un sospiro profondo verso il tavolo in cui il ragazzo aspettava. Senza una parola gli appoggiò la bevanda e il dolce davanti, mentre lui studiava con attenzione ogni suo movimento. “Fanno quattro dollari e trenta” disse poi, porgendogli il foglietto su cui aveva scritto velocemente il prezzo. Il ragazzo prese il portafoglio dalla tasca posteriore dei suoi jeans firmati Dolce&Gabbana, lo aprì e appoggiò sul tavolino una banconota da dieci dollari, senza togliere la mano. Cindy aspettò qualche secondo che lui distogliesse la mano, attenta a non guardarlo, poi si rese conto che la stava prendendo in giro e alzò gli occhi che si incrociarono con quelli di lui. Aveva un sorrisetto furbo che gli incurvava le labbra perfette. Deglutì.
“Pago solo se mi dici il tuo nome” la provocò.
“C – Cindy” balbettò lei. Il ragazzo lasciò i soldi e lei li afferrò stringendoseli al petto.
“Tieniti il resto, Cindy” disse lui garbatamente “In ogni modo, io mi chiamo Christopher, e sono lieto di aver fatto la tua conoscenza” le porse una mano. La bionda si strinse soldi e vassoio al petto come a nascondersi, poi si fece coraggio e gli porse la sua, piccola, fine, bianca. E Christopher la stupì per l’ennesima volta in una sola giornata, perché le prese delicatamente le dita nella sua mano forte e calda, le avvicinò alle labbra e le sfiorò. Non appena Cindy sentì il tocco della bocca di lui sulle sue mani si sentì mancare un colpo al cuore, si ritrasse velocemente e corse verso il bagno. Lasciò cadere a terra il vassoio, chiuse gli occhi e si appoggiò alla fredda parete di mattonelle, cercando di sbollire un po’. Si sentiva decisamente troppo calda. Tenne gli occhi chiusi per qualche minuto, respirando lentamente, cercando di calmarsi. Lasciò fluire i pensieri verso la parte del cervello che teneva chiusa ai suoi sogni almeno al lavoro e cercò di ritrovare una certa calma interiore in quelle sensazioni distruttive che Christopher aveva creato in lei. Christopher… era un nome stupendo, che si scioglieva sulla lingua come una caramella al miele, che le faceva ribollire lo stomaco, andare il cervello in stand – by, tremare gli arti e… si, e le dava quelle leggere vibrazioni al basso ventre che le capitavano sempre quando pensava a quella sera, in cui lui era quasi senza camicia, la cintura slacciata, e il suo vestito era aperto sulla schiena, aveva perso una scarpetta e… no.Non era proprio il momento di peggiorare la situazione. Per tutto il pomeriggio non si scambiarono più una sola parola, anche se la ragazza continuava a guardarlo. E quando tornò a casa, si sentiva più presa che mai. Non riusciva più a pensare ad altro che non fosse le parole di lui. Lui l’aveva riconosciuta. L’aveva cercata. Ma, soprattutto, l’aveva trovata.


La campanella frenò le sue fantasie, mentre si rendeva conto che per l’ennesima volta in quelle due settimane non aveva seguito molto della lezione. Accartocciò il foglio che le aveva passato Belle e mise i libri velocemente nella cartella, mentre l’amica la raggiungeva ancora una volta.
“C’è definitivamente qualcosa che non va, ma non è importante anche se non me ne parli. Lo farai quando ti sentirai” la rassicurò. Insieme si diressero fuori, verso il loro albero grande, per l’intervallo. Si sedevano sempre lì insieme, perché era un posto poco frequentato. Era anche lì che si erano conosciute. Quando si furono accomodate, Cindy decise di aprirsi alla sua unica amica.
“Da quando è venuto quella volta alla Dream’s House, in realtà, è venuto tutti i giorni” disse quasi timidamente “Credo abbia chiesto a Garth i miei turni, perché quando arrivo è lì, e quando esco, se non scappassi, mi inseguirebbe. Solo che non so ancora… se mi stesse prendendo in giro?” Belle le lanciò un’occhiata fra il tenero, il comprensivo e il riprovevole.
“Ti ha cercata per mezza New York, spiegami perché dovrebbe prenderti in giro!” esclamò poi, con un sorriso. Poi allungò una mano e mise a posto una ciocca che era scesa dalla fascia rossa che teneva indietro i capelli dell’amica “Non ti preoccupare, andrà tutto bene. Dovresti solamente rischiare un po’. Hai l’opportunità di conquistare il più ricco scapolo d’America, e tu ti fai problemi?” le fece l’occhiolino “Vai e approfittane. Per esempio, parlagli oggi quando viene da te. Ricordati che chi non risica non rosica… e se solo io potessi risicare! Oh, come vorrei vivere almeno un’avventura!”


Quel pomeriggio, Cindy arrivò alla Dream’s House in perfetto orario, e come sempre spaccò il minuto. Il suo orario iniziava alle quattro di pomeriggio e durava fino alle otto di sera, quattro ore di intenso lavoro… e di intense emozioni, almeno ultimamente. Entrò e fece un cenno di saluto a Garth, nella cucina, con le braccia muscolose incrociate sul petto come al solito. Lui le sorrise, e la ragazza si infilò nello sgabuzzino adiacente al bagno che serviva da spogliatoio per le ragazze che lavoravano lì. La sua collega di pelle scura stava uscendo e si scambiarono un saluto gentile. Quando fu entrata, lasciò cadere pesantemente la cartella sulla panca e afferrò dal muro il suo grembiule rosa con ricami azzurri sulla tasca (era veramente ridicolo, ma Garth era stato chiaro: prendere o lasciare) e si affrettò a raggiungere il bancone, legandosi i nastri di stoffa dietro la vita con un fiocco. Lanciò un’occhiata intorno e notò che Christopher non era ancora arrivato. Due emozioni differenti la sopraffecero. Da un lato era sollevata pensando che non l’avrebbe distratta durante il lavoro, ma dall’altra parte provava una cocente delusione. Si rimproverò per non avergli parlato prima, per averlo fatto aspettare. Sicuramente si era stancato di stare lì a guardarla lavorare. Certo, lei non lo aveva nemmeno degnato di uno sguardo! Ma Belle aveva ragione. Doveva farsi coraggio, se veramente pensava di esserne innamorata. E certamente lo era. Oh, quanto lo era.
Decise di non pensarci, scosse la testa e diede un’occhiata agli ultimi ordini ricevuti, poi si avvicinò alla cucina in cui c’era l’apprendista cuoco, un uomo sulla trentina, basso, stempiato e tarchiato che si dava arie da gran chef e che tentava sempre di allungare le mani per una palpatina quando sapeva che Garth non guardava, prese l’hamburger senza cetriolo e il cheeseburger della casa e cominciò a servire ai tavoli, evitando le mani dell’apprendista. Pensò per l’ennesima volta che quel lavoro era pesante e noioso, ma Cindy non era tipo da desiderare molto più di quanto la vita le offrisse e trovava sempre ciò di positivo che poteva esserci in ogni situazione, scacciò il pensiero e si dedicò ai clienti. Mentre usciva dalla cucina, Garth la chiamò indietro per presentarle il nuovo lavapiatti, un ragazzo dalla pelle olivastra e i capelli scuri di nome Ali, che Garth aveva trovato alla polizia per caso, arrabbiato col mondo e deciso a buttarsi in mezzo alla strada sotto un camion. Lo salutò gentilmente, notando gli occhi grandi e sinceri che avevano una nota di malinconia, poi passò al suo lavoro.
Per un buon quarto d’ora lavorò indisturbata, ignorando i clienti che l’apprezzavano per la sua bellezza, dopodiché, quando si girò sentendo il campanello, riconobbe la figura ormai familiare e sentì che non sarebbe più riuscita ad andare avanti a quel ritmo. Christopher era arrivato, attirando su di sé tutti gli sguardi delle ragazze nel fast food, come sempre. Quel giorno indossava pantaloni Prada, scarpe Luis Vuitton e camicia Calvin Klein, profumava di Abercrombie e teneva una giacca Dolce & Gabbana ripiegata ordinatamente su un braccio. Le passò davanti chinando la testa, con gli occhi luccicanti come sempre, sorridendole, per poi sedersi nel suo solito posto isolato. Cindy abbassò gli occhi, pensando che quel giorno era più schianto che mai. Un’idea folle le invase la testa, ma quando si rese conto che lo stava facendo davvero era ormai davanti al tavolino con il taccuino in mano.
“Cosa ordiniamo oggi?” domandò con una vena di ironia. Gli occhi di Christopher fiammeggiarono.
“Il solito” disse poi, lasciandosi scivolare come sempre sulla panca di qualche centimetro “Abbiamo finito con l’indifferenza?”
“Mi chiedevo se ti andrebbe di accompagnarmi fino alla metro, quando esco” disse lentamente, senza nemmeno capire bene ciò che stava facendo. La sua mente era invasa dal profumo e dalla voce di lui, dalla sua immagine, dalla luce di quegli occhi scuri, dalla voce di Belle che le consigliava di osare. Sapeva che ciò che stava facendo stava dando una svolta alla sua vita, ma non riusciva a smettere. Ormai era stregata.
“C’è da chiedere?” rispose lui, per poi fissarla dritta negli occhi. In quel momento Cindy sentì il disagio crescere, mormorò un ‘arrivo subito’ e si allontanò da lui, rendendosi conto che le orecchie le scottavano e che tutti la stavano guardando. Non poteva credere di averlo fatto sul serio. Portò come in trance il foglio dell’ordinazione a Megan e non lo guardò quasi mentre gli consegnava l’ordine, anche se lui stava chiaramente cercando di incrociare i suoi occhi per dirle qualcosa. Ma lei si sentiva di aver già detto troppo.
Si rese presto conto che il tempo non passava mai. Ogni volta che guardava l’orologio erano passati solo una manciata di minuti, e Cindy lavorava come non mai, cercando di non pensarci. Evitava accuratamente l’angolo in cui stava seduto il soggetto del suo nervosismo, cercava di non calpestare le mattonelle al di là della linea immaginaria che si era creata per resistergli e si concentrava sugli altri clienti. Garth le fece qualche battuta che non migliorò la situazione, mentre Megan allargava il suo sorriso ogni volta che Cindy andava a prendere un’ordinazione. E la giornata passò come sempre, fra caffè, hamburger, dolci, palpatine tentate, commenti sgraditi, ketchup e maionese.


“Fine, Cindy!” esclamò Garth col suo vocione che ben si adattava alla sua corporatura. Cindy gli sorrise grata e preoccupata. Nell’ultima ora e mezza aveva sentito salire sempre più un formicolio consistente nel basso ventre, sintomo di agitazione. Da un lato non si sentiva pronta. Si sentiva scoperta, vulnerabile, fragile senza il suo grembiule addosso. “Dai, vattene!” esclamò ancora, anche se con una nota di gentilezza nella voce “E se vedi Es per la strada, dille che la prossima volta che fa ritardo ha chiuso con questo posto!” Cindy gli fece cenno con una mano. Esmeralda era la ragazza che faceva il turno dalle otto a mezzanotte, si era diplomata alla sua stessa scuola e lavorava lì solo tre giorni la settimana. Cindy le aveva parlato raramente, e solo per informazioni di servizio, ma era sempre stata gentile, e le ispirava un buon carattere anche se un po’ forte.
“Lo sai che Es ha qualche problema in casa, Garth. Se arriva in ritardo non è solo colpa sua. Resto dieci minuti ancora, se non arriva potrai fare quello che vuoi” contrattò “E le mance, ovviamente, rimangono tue…”
“Va bene, maledetta ragazza, ma solo questa volta! Come si fa a negarti qualcosa?” sbuffò l’uomo sorridendole.
Garth era un uomo grande e grosso, un ex pugile che aveva abbandonato la carriera anni prima, quando era stato poco più che trentacinquenne, e aveva usato i suoi risparmi per aprire la Dream’s House, un’isola di sosta al centro di Manhattan in cui si fermavano quasi tutte le fasce sociali di persone, dai ragazzi che andavano semplicemente a fare casino la notte ai ricchi uomini d’affari che cercavano un boccone per pranzo. Il nome del locale derivava proprio dal fatto che Garth aveva sempre avuto il sogno di aprire un posto come quello, e ora che c’era riuscito considerava realizzato ogni suo desiderio. Sembrava un omone tutto muscoli e niente cervello, ma in realtà aveva un gran cuore e assumeva solo chi sapeva essere in difficoltà. Conosceva la situazione familiare di tutti quanti i suoi dipendenti e non mancava mai di concedere prestiti, favori, aumenti e diminuzioni di ore. La stessa Megan, la sua compagna ormai da molti anni, era una ragazza che cinque anni prima aveva tirato fuori dal tunnel della droga, offrendole un lavoro, una casa, protezione e soprattutto tanto amore. Garth era fatto così: faceva ogni giorno del suo meglio per tirare chi poteva fuori dalla strada. Ecco perché Cindy lo ammirava e gli era attaccata. E con un pizzico di sensibilità in più che aveva naturalmente, la comunicazione fra loro non aveva mai portato a litigi. Con una buona parola, era pronto a dare tutto.
Di Esmeralda, Cindy non sapeva quasi niente. Aveva solo sentito da qualche pettegolezzo di Megan che una sera Garth stava facendo la sua ronda, cercando qualcuno da aiutare, quando si era trovato davanti la diciottenne che si prostituiva, l’aveva riconosciuta come una ragazza della zona, l’aveva caricata in macchina e dopo una lunga chiacchierata lei era andata a lavorare lì tre sere a settimana, il turno di notte. La ragazza aveva lunghi e folti capelli neri, ipnotici occhi verdi e un corpo che avrebbe fatto gola al più casto fra gli uomini, il carattere forte di chi ha il fuoco nelle vene e un atteggiamento sfrontato. Purtroppo era anche una ritardataria, mentre Garth aveva poca pazienza. Proprio per questo il locale era spesso scenario di litigi che Megan scherzosamente definiva ‘da Titani’.
Il campanello tintinnò e una chioma nera fece capolino, seguita dal corpo abbronzato della ragazza. Cindy si girò verso il proprietario e alzò le spalle, lui fece un’espressione bonariamente contrariata e Cindy si affrettò a entrare nel camerino, impaziente e insicura. Si tolse il grembiule mentre Esmeralda prendeva il suo e lo legava dietro la schiena. Garth le stava gridando qualcosa dietro perché non aveva salutato e per il ritardo, ma l’indifferenza della mora era più forte. Prima di uscire, mentre Cindy guardava sconfortata le sue ballerine nuovamente macchiate di ketchup, la ragazza mora si girò e la guardò. La bionda se ne accorse e alzò gli occhi. L’altra le sorrise.
“Grazie. Sei una persona davvero per bene” le disse, per poi sparire dietro la porta. Cindy si strinse nelle spalle e afferrò la borsa, mettendola su una spalla, ma Esmeralda infilò nuovamente la testa nello sgabuzzino. “E, mi raccomando, grinta per sta sera” le fece l’occhiolino, e quando Cindy uscì un po’ imbarazzata dalla sua battuta, l’altra la stava già ignorando. Chissà come, sapeva esattamente ciò che era successo.
Si avvicinò titubante a Christopher che stava sfogliando svogliatamente un giornale, e si vide riflessa nello specchio. Quel giorno indossava una maglietta con le maniche troppo corte per lei, come sempre, a righine bianche e nere, un paio di jeans che aveva ricreato da un paio di una delle due sorellastre che le stavano fino a metà polpaccio (l’altra parte non era proprio riuscita a salvarla) e un paio di ballerine nere nuove, che era riuscita a comprarsi a cinque dollari in un negozietto per strada, contrattando con un nero per almeno un quarto d’ora. Fra i capelli aveva una fascia rossa perché non le dessero troppo fastidio mentre lavorava. Si domandò se fosse meglio toglierla, ma Christopher si girò a guardarla proprio mentre stava per farlo, così fece passare il movimento della mano come un riavviamento ai capelli.
“Sono pronta” annunciò poi. Il ragazzo le fece un gran sorriso, si alzò lasciando la rivista aperta, afferrò la giacca e la seguì fuori dal locale. L’aria serale, fresca, raggiunse la pelle di Cindy come un balsamo e lei la aspirò profondamente, cercando calma. Il sole stava tramontando, e le luci dei lampioni cominciavano a essere più evidenti. I due camminarono fianco a fianco per qualche tempo, senza parlare né guardarsi. Fu Christopher il primo a prendere l’iniziativa, e quando la ragazza meno se l’aspettava, sentì la propria mano venire stretta da un’altra, calda, forte e delicata insieme, che la spinse a girarsi e guardarlo con un groppo in gola. Lo scapolo più in vista d’America la stava guardando con occhi pieni di soddisfazione, desiderio, felicità.
“Sono settimane che desidero questo” bisbigliò piano il ragazzo, e Cindy staccò l’immagine pubblica che avevano di lui da tutto il resto, e vide solamente un ragazzo normale, un po’ impacciato e imbarazzato, con un gran desiderio di mostrarsi al meglio, e quasi le venne da ridere, quando si rese conto che in realtà erano perfettamente uguali. Tutti quei pomeriggi passati a guardarla, senza riuscire a chiederle di fare una passeggiata, quell’ironia ostentata, come un’armatura, servivano a nascondere la timidezza che in realtà lo aggrediva. Sapeva che lui si sentiva esattamente come lei, che quello che provavano era uguale e che i loro cuori battevano all’unisono.
“Anche io” mormorò in risposta. Christopher la guardò stupito, poi le sorrise e incassò per un momento la testa nelle spalle. Ma poi tornò subito dritto con la schiena e con la solita camminata decisa, a celare l’imbarazzo. Camminarono in silenzio, bagnati dal caldo sole che calava e dalla cacofonia di suoni confusi che arrivava dalla strada. Attraversarono grandi strade e scesero sottopassaggi per raggiungere la metropolitana, ma lui non la lasciò nemmeno una volta. E quando il treno arrivò, salì con lei. La tenne stretta nelle curve, si curò che non inciampasse nel gradino di uscita e la aiutò a salire le scale come un vero principe. Quando uscirono dalla metro c’era ancora un pezzo per arrivare a casa di Cindy, e Christopher fu presente, continuando a tenerle la mano. Ma una volta nel quartiere tranquillo si lasciò andare.
“Sai, quella sera, alla festa… io sono stato bene con te. Credo di non essere mai stato meglio con una ragazza” confessò “Sembrava che a te non importasse chi ero, cosa facevo e quanti soldi avrei guadagnato. Negli occhi di ogni ragazza leggevo avidità e desiderio di notorietà. Insomma, chi non vorrebbe essere ricco e famoso, un’icona di stile e magari anche un’ospite in tutte le più importanti trasmissioni americane?” Cindy evitò di dire che a lei non sarebbe piaciuto molto allontanarsi da una vita dignitosa per approdare in una circondata solamente da gossip e paparazzi. Evitò anche di dire che in realtà non sapeva nemmeno com’era fatto prima di sapere chi era, quella sera, non aveva idea che fosse il figlio del proprietario dell’azienda, Leroi, né che in realtà si era immediatamente innamorata del suo sguardo.
“Anche io non avrei mai pensato che esistessero persone come te” disse infine, in completa sincerità, e Christopher sembrò soddisfatto.
“Ma dimmi” disse poco dopo, mentre camminavano lungo un viale alberato “Dimmi della tua famiglia, di dove vivi. Questo non è il quartiere delle prime case ricche di New York?” Cindy annuì stringendosi nelle spalle.
“In realtà vivo nella villa di mio padre, con la mia matrigna e le sue figlie” mormorò “Io non so cosa ti aspettassi da me, ma la verità è che a causa degli sperperamenti della mia matrigna il patrimonio di mio padre è andato perso. Madame non lavora perché non ha nemmeno la licenza scolastica, viene da qualche paese dell’est Europeo. Le sue figlie vanno a scuola e non lavorano. Io vado in una scuola prestigiosa solamente perché mio padre aveva espresso questo desiderio, e la mia zia madrina, la sorella di mia madre morta, si è battuta molto perché venisse esaudito. Finita la scuola, se è rimasto qualcosa del patrimonio andrà a me, altrimenti vivo di mance. Così come la famiglia”. Si girò a guardare Christopher, a osservare che effetto gli avevano fatto le sue parole. Non riusciva a non essere sincera con lui, non poteva rimandare verità scomode, lo sapeva. Non avrebbe potuto tenergli sempre nascosta una cosa così grande, sempre in caso lui avesse continuato a frequentarla… ma nei suoi occhi Cindy lesse solamente ammirazione sincera, non sentì nemmeno per un momento compassione. Le strinse la mano leggermente di più con un sorriso.
“Se avrai mai bisogno di una mano, io ci sarò” le disse. Cindy annuì, perché sapeva che era la verità.
Arrivarono davanti alla sua casa, Cindy tirò fuori le chiavi dalla borsa per aprire il cancello e lasciò la mano del ragazzo, guardandolo con malinconia. Non avrebbe mai voluto staccarsi da lui. Cercò di racimolare qualche parola di congedo, ma quando vide il ragazzo a pochi centimetri dal suo viso e poco dopo sentì le sue labbra contro le proprie capì che con Christopher non c’era bisogno di parole. Lui la capiva, intuiva ciò che stava per dire, i suoi desideri… Cindy si aggrappò con urgenza alle spalle di lui, che strinse le braccia intorno alla vita sottile della ragazza e spinse la lingua fra le labbra in un bacio mozzafiato.
Quando si staccarono alla ragazza bruciavano le orecchie e si sentiva decisamente accaldata e spettinata. Christopher la guardò con gli occhi lucenti carichi di aspettativa, di soddisfazione e di desiderio, anche lui rosso in volto.
“Io…” cominciò Cindy sapendo di dover andare. Lui le afferrò entrambe le mani, facendole cadere le chiavi a terra.
“Io non me ne vado. Ti prego, dimmi dove posso aspettarti. Voglio vederti ancora” le mormorò. Cindy stava per rifiutare quando si rese conto che era esattamente la cosa giusta da fare. Raccolse le chiavi, le fece girare nella serratura e aprì il cancello. Lo guardò un momento, poi fece un cenno della testa e lo accompagnò fino alla stalla del suo vecchio pony e Tobia, il vecchio cane di suo padre.
“Aspettami qui.” Gli disse “Arriverò appena possibile. Avrò alcune cose da fare e non so quando riuscirò a venire.” Lui la attirò a sé “Ma voglio venire, e presto o tardi ci sarò. Aspettami…”
Christopher la baciò con passione, e Cindy seppe che avrebbe aspettato.


Quando entrò in casa e si vide allo specchio accanto alla porta d’entrata, Cindy trattenne un urlo strozzato a stento. Era completamente spettinata, rossa e sudata. Lasciò cadere la cartella nel salone e controllò l’ora, cercando di ricomporsi. Aprì poi la porta a sinistra dell’entrata e si trovò nel salottino della grande casa.
Era un bell’ambiente ampio, con un grande divano basso davanti alla televisione, grandi finestre si affacciavano sul giardino. Su un lato della stanza c’era una piccola scrivania apribile con una seggiolina. Al momento lì era poggiato un computer, ma Cindy ricordava che una volta quella scrivania era chiusa, e nei suoi cassetti c’erano tutte le carte del padre. Quasi poteva vederlo, intento a scrivere una lettera alla sua madrina, o mentre faceva i conti, una calcolatrice antiquata accanto ai fogli delle bollette, agli scontrini. Scosse la testa e decise di non perdersi in ricordi del passato, le avrebbero fatto troppo male.
Sul divano c’erano le sue sorellastre. Chiunque le incontrasse non storceva il naso per educazione, ma nessuno le aveva mai definite belle a parte Madame. La prima impressione che davano era di bruttezza e artificiosa educazione. La seconda era di terribile ignoranza e sgarbatezza. La terza impressione faceva scappare la maggior parte dei ragazzi che Madame invitava a intervalli regolari a casa loro, sperando di trovare un ricco fidanzato alle figlie. Nessuno era mai riuscito a esserne conquistato. Anastasia, con i lunghi capelli arricciati in boccoli rossicci, era sul divano, con le gambe stese davanti a sé, in braccio teneva il grasso gatto domestico che aveva preso i possedimenti di Tobia, carezzandolo. Genoveffa, la mora con i capelli mossi sulle spalle, mangiava a bocca aperta da un pacchetto di patatine alla cipolla, fissando la televisione come se fosse ipnotizzata. Cindy accennò un saluto gentile, ripetendosi ancora una volta che tutti avevano un lato buono, perciò anche le sue sorellastre, ma quando ricevette da parte loro qualche insulto e un urlaccio strinse le labbra e decise che non era il caso di rimuginare troppo. Passò alla seconda stanza, adiacente al salottino: la sala da pranzo. Corse in cucina e diede un’occhiata al foglio attaccato al muro lì vicino su cui era stampata la rigida dieta delle ragazze. Dieta che era costata a Madame almeno centocinquanta dollari ottenuti dal lavoro di Cindy e che le figlie non seguivano per niente. Accese il fuoco sotto l’acqua per la minestra e cominciò a pelare le carote e le patate con energia. Voleva riuscire a finire tutto il prima possibile e andare subito da Christopher, già sentiva la sua mancanza…
Venne distratta dai suoi pensieri quando sentì la porta della cucina che si chiudeva e si girò di scatto. Era solamente Anastasia. Si rilassò e continuò il suo lavoro.
“Dov’è vostra madre?” domandò gentilmente. La rossa si girò e la guardò, tirando fuori dalla dispensa burro d’arachidi e fette di pane da toast.
“Era uscita a fare compere” rispose con la sua voce da soprano totalmente nasale. “Comunque, tu devi fare una cosa per me, Cin.” Certo vossignoria. Ovvio vossignoria. Cosa vuoi, ancora?!, pensò Cindy prima di ricordarsi che non era educato.
“Cosa dovrei fare?” domandò, sperando almeno che la sorellastra non avesse una richiesta assurda come quella di Genoveffa di un mese prima. Le aveva chiesto di rubarle un abito in un negozio. Cindy si era rifiutata categoricamente, ma non aveva avuto scelta ed era andata lo stesso. Appena uscita dal negozio, però, era rientrata e aveva speso quasi tutti i suoi risparmi per pagare l’abito, pensando che c’era gente che lavorava duramente da mattina a sera per poterlo creare e per poter avere quel guadagno. Le era dispiaciuto, ma sapeva di aver fatto la cosa giusta.
“E’ una cosa seria” Cindy si voltò a guardarla. Già. Non si poteva proprio dire che fosse bella. Quando ci pensava, ogni tanto, le veniva in mente che il primo marito di Madame doveva essere stato veramente brutto per fare sì che nessuna delle figlie uscisse perlomeno carina. Erano totalmente diverse dalla madre, elegante, curata, con lineamenti un po’ spigolosi ma lo stesso armoniosi, il collo sottile e i capelli ormai grigi acconciati come una vera signora. La sorellastra che le stava davanti era spettinata come sempre, un garbuglio di boccoli era raccolto dietro la testa in una coda, gli occhi grandi e tondi da rana la guardavano, scrutandola con quel colore verdastro. Le guance gonfie erano arrossate e lentigginose, incorniciavano il naso a patata fin troppo evidente e la bocca sottile così vicina al mento da sembrare che fosse cascata giù dalla sua posizione. Le spalle erano mingherline, così come le gambe, ma la pancia rotonda era accentuata dalla sua posizione ricurva, quasi ingobbita, e si notava al di sotto della maglia rosa aderente. Si strinse nelle spalle e aspettò che parlasse.
“In realtà, devi trovare un modo per coprire la mia uscita. Soprattutto da quella stronza di mia sorella” annunciò poi. Cindy sbattè le palpebre una dozzina di volte, prima di riuscire a capire cosa le stesse dicendo. Coprirla a sua sorella? Non capiva. Le due erano sempre state unite, sempre vicine l’una all’altra anche se goffamente, ed era fermamente convinta che si volessero davvero bene. Ecco perché non riusciva a intendere il significato di ‘stronza’ e ‘coprirla’.
“Come?” balbettò. Anastasia sospirò, poi incrociò le braccia appoggiandosi al muro, guardandola con gli occhi castani.
“Te lo dico solo perché mi devi aiutare” disse minacciosa “Ma se osi dirlo a qualcuno, giuro che ti faccio fuori. Ho i mezzi per ricattarti” Cindy alzò le sopracciglia e si girò a continuare a pelare patate. Non le interessava sentire cosa dicesse contro di lei, aveva già ascoltato troppo durante tutta la sua vita. “Un ragazzo mi ha chiesto di uscire, e quella vipera vuole rubarmelo” la patata cadde di botto nella pentola ormai bollente ancora con la buccia, schizzando la bionda d’acqua calda.
“Un… cosa?!” ripetè stupita, correndo a prendere un cucchiaio per recuperare la patata. Quando vide l’espressione della sorellastra però tossicchiò e si corresse “Meraviglioso!”
“Per niente” biascicò l’altra “Quella maledetta di Genoveffa è sempre in mezzo alle palle. Non mi molla mai, ho sempre il suo maledetto sguardo addosso e non riuscirò mai a non farmi notare da lei quando esco di casa. Una volta che ci ho provato, l’ho vista sulla sua porta che mi chiedeva dove andavo, e cosa dovevo risponderle? Le ho detto che andavo a fumare. E così è venuta con me. Tu devi togliermela dalle palle, il prima possibile”. Cindy sospirò.
“Anastasia, io lavoro” cercò di dirle con calma “Lavoro, studio e faccio i lavori di casa. Non ho proprio tempo di passare una serata con tua sorella, e…”
“Allora dirò alla mamma che è colpa tua” sibilò minacciosa “Le dirò che è colpa tua se non siamo riuscite a trovare Christopher Leroi per tutta la serata. È stata colpa tua. Vi ho visti quando entravate in camera, puttanella da quattro soldi. Vi ho visti.”
Un brivido si fece strada nella schiena di Cindy. Se Madame avesse saputo che era lei che aveva rubato il cuore del ricco ereditiero, se avesse scoperto che aveva passato la serata con lui, che se ne era innamorata, che era scappata di casa per andare a quella festa… quando ancora non era capace a controllarsi e urlava alle provocazioni, veniva picchiata. Si ricordava dei calci delle sorellastre, del sorriso di Madame, dei graffi del gatto. Se ne ricordava ancora fin troppo bene. E non poteva permettere che finisse così. Guardò Anastasia negli occhi celando la sua ira. E l’idea le passò davanti come in uno schermo. La festa. Come diavolo aveva fatto a non pensarci prima? La festa che davano le ragazzine. Aurora, la ricca figlia del consigliere italiano e della sua segretaria. Non c’era una sola persona in tutta New York che non sapesse chi fosse Aurora. E quella sedicenne era la sua ultima speranza. Sospirò un momento per calmarsi.
“C’è una festa questo sabato.” Disse quindi “Digli di andare lì. Ci andremo insieme. Sarà affollato. E tu potrai stare con lui tranquillamente, senza Genoveffa che ti segue. Potrai sparire indisturbata.”
“Una festa?” domandò l’altra sospettosa.
“Si, una festa che organizza Aurora Reale, la figlia del consigliere italiano. È una della mia scuola” Anastasia sorrise maleficamente, mettendo in mostra i denti giallastri.
“La mamma ha ragione quando dice che ne sai una più del diavolo” commentò la rossa “Hai delle idee diaboliche e sei cattiva al punto giusto. Però è un’ottima idea. Il Diavolo risponde sempre alle richieste” concluse uscendo dalla stanza. Cindy era offesa e oltraggiata, sentendosi paragonare al Maligno in persona, ma cercò di non pensarci affatto. Sarebbe andata anche lei alla festa, altrimenti non avrebbero avuto il lascia passare. Non erano della scuola. Questo la rendeva libera, almeno per una sera. Continuò a pelare patate, pensando a farsi coraggio.


Quando Madame arrivò la cena era pronta come desiderava e si sedettero tutte e quattro intorno al lungo tavolo della cucina. Ovviamente, Cindy doveva stare vicino alla porta della cucina e portare in tavola il cibo non appena le altre avevano finito. Sperò di fare in fretta, perché non vedeva l’ora di uscire e trovare fuori Christopher, anche se cominciava a sospettare che fosse stato tutto un sogno, un’allucinazione dovuta all’essere troppo innamorata. Madame non le rivolse la parola per gran parte del tempo, mentre Anastasia parlava della festa della figlia del consigliere, dei ragazzi ricchi che ci sarebbero stati, che Cindy glielo voleva tenere nascosto e che l’aveva costretta a parlare. Genoveffa sembrava euforica quanto la sorella, Madame era più scettica, ma alla fine accettò di farle andare, cominciando la lunga serie di minacce alla figliastra nel caso in cui fosse successo qualcosa alle pargole. Cindy non rispose nemmeno, poi si alzò e pulì i piatti con una velocità da record, si congedò e uscì dalla porta secondaria per non farsi vedere. Attraversò quasi in corsa il suo amato giardino e raggiunse la stalla del pony in un baleno. Quando entrò quasi non poteva credere ai suoi occhi: Christopher era lì, appoggiato al muro, una gamba piegata e l’altra stesa, che alzò gli occhi che baluginarono nel buio. Cindy gli corse incontro, mentre il ragazzo si alzava in piedi.
“Hai fatto presto” disse con un sorriso, per poi abbracciarla stretta a sé.
“Volevo vederti” ammise lei quasi con tono di scusa, mentre lui si sedeva di nuovo, e lei accanto. “Non so quanto potrò rimanere senza farmi scoprire che torno in casa” disse poi.
“So trovare la strada maestra” scherzò lui, per poi baciarla con crescente passione. Cindy si lasciò andare, perché era esattamente ciò che voleva. Per giorni, per due settimane aveva fatto finta di niente, aveva ignorato tutto il bisogno che aveva di Christopher, dei suoi occhi luccicanti, della sua voce sensuale e del suo corpo perfetto. Il ragazzo la fece stendere sulla paglia delicatamente, posizionandosi fra le sue gambe ancora fasciate dai jeans. La ragazza lo sentiva contro di sé, sentiva la sua voglia di lei, sentiva che non era cambiato niente da quella sera alla festa e che l’urgenza l’uno dell’altro non si era estinta. Voleva ricominciare dal punto che aveva lasciato in sospeso, e gli sbottonò la camicia con foga, facendo saltare un bottone. Christopher rise di soddisfazione, poi le sfilò la maglia, le sganciò il reggiseno e avvicinò la bocca al petto di lei, leccandola delicatamente. E Cindy si sentì in paradiso.


Era passato qualche giorno da quando Cindy e Christopher si erano messi insieme, e sembrava ancora tutto solo un sogno. La routine continuava ma tutto sembrava completamente diverso. La scuola era più semplice e la ragazza si impegnava come mai per avere i voti abbastanza alti da non rischiare nemmeno un millesimo. I test si avvicinavano e in una settimana quasi tutti gli alunni dell’High School sarebbero stati riuniti in una grande stanza, forse in palestra, per compilare i fogli che occorrevano per uscire da scuola. Alla Dream’s House non aveva mai messo così passione nel servire ai tavoli, Garth scherzava sostenendo che fosse il suo futuro, ma in realtà sapeva benissimo che entro poco tempo non avrebbe mai più rivisto Cindy con il grembiule del fast food. Christopher andava lì tutti i pomeriggi a guardarla servire ai tavoli e ad accompagnarla fino a casa. E il giorno della festa era sempre più vicino.
Anastasia e Genoveffa non facevano che agitarsi. Avevano svuotato tutti e due i loro armadi alla ricerca dell’abito perfetto per quella sera, senza trovarlo, e Cindy aveva dovuto mettere tutto a posto. Erano corse in centro per fare acquisti ed erano tornate cariche di pacchetti e pacchettini contenenti gioielli, accessori, mollette, trucchi, abiti e scarpe abbinati fra loro, comprati vendendo un preziosissimo ciondolo d’oro e di pietre preziose della madre, che aveva urlato dietro a tutti finché Genoveffa non aveva avuto l’ottima idea di ricordarle che a quella festa ci sarebbero stati tutti gli scapoli più ricchi di Manhattan, cosicchè la donna abbandonò la guerra e la diede vinta per l’ennesima volta alle figlie, aiutandole a trovare l’abito adatto e forzando ancora di più la dieta. Studiavano tutti i pomeriggi l’acconciatura e il trucco giusti, che Cindy si sentiva troppo buona per giudicare. Alla fine avevano scelto internet come principale musa e avevano trovato ciò che faceva al caso loro, anche se non volevano mostrare le loro scelte alla madre arrabbiata e a Cindy a cui non importava.
La zia madrina aveva chiamato la nipote quando quest’ultima le aveva mandato un sms confidandole che si era fidanzata con Christopher Leroi, e aveva promesso di andare a far loro visita, anche se era chiaro che Madame non l’avrebbe mai accettata volentieri in casa sua. Alla fine, la zia arrivò lo stesso, vestita d’azzurro e con una grande valigia e quando scoprì che Madame faceva sgobbare la nipote come una sguattera si era infuriata e aveva chiamato a sue spese una donna delle pulizie perché facesse il suo mestiere. Cindy riuscì a trovare persino tempo di mettersi lo smalto.
Christopher arrivò a casa sua per conoscere la zia, e quando la vide non potè fare a meno di trovarla la persona più simpatica sulla faccia della terra, parlò con lei a lungo nella biblioteca quasi inutilizzata della casa e quando ne uscì con la zia aveva un sorriso da un orecchio all’altro: Cindy venne a sapere che aveva deciso di andare in Canada con loro per starle accanto, avrebbe amministrato l’azienda petrolifera da Vancouver e avrebbe contribuito al bilancio familiare. La ragazza non poteva essere più felice.


La sera della festa, Cindy era in camera sua e si stava pettinando i capelli quando entrò la zia con un sorriso, nascondendo qualcosa dietro la schiena.
“Ti ho preso un regalo, tesoro” disse piena di aspettativa “E’ importante che tu vada a questa festa, ti divertirai un po’ e starai bene. Ma ho notato che nel tuo guardaroba c’è più riciclaggio che abiti veri e propri… mi sono presa la libertà di comprarti questo” disse infine, porgendole un pacchetto. Cindy la abbracciò e la baciò sulle guance paffute, si sedette sul letto e scoprì il regalo. Era un abito che la lasciò senza fiato. Era di due diverse tonalità di azzurro, uno molto chiaro e uno più intenso, il corpetto stretto, esattamente della sua taglia, era senza maniche e decorato delicatamente da ricami floreali di filo argenteo sulla sinistra. Sulla destra era drappeggiata la stoffa leggera più scura. Scendeva sulla vita, stringendole delicatamente i fianchi, per poi scendere fino al ginocchio. La stoffa azzurro chiaro era coperta da un altro strato più scuro su un fianco, sempre decorata d’argento. Cindy lo guardò estasiata. Non aveva mai avuto un abito così bello in tutta la sua vita. Aprì anche la seconda scatola quasi timorosa, e scoprì un paio di scarpe con il tacco decisamente meraviglioso. Erano di pizzo bianco ricamato d’argento con gli stessi motivi floreali del vestito. Il tacco era coperto di piccoli diamantini che lo ricoprivano del tutto. Avevano inoltre davanti e su un lato delle deliziose farfalle sempre tempestate di diamantini. Se le provò, e le calzavano perfettamente. Guardò la zia con le lacrime agli occhi, vedendo che anche quest’ultima era commossa. La abbracciò forte, poi si tolse i vestiti che aveva utilizzato tutto il giorno per indossare quel vestito meraviglioso. La zia glielo chiuse sulla schiena, e quando si guardò allo specchio pettinata, truccata e con l’abito regalatole dalla zia addosso, per la prima volta in prima sua, si sentì veramente una principessa.
“Grazie, zia” disse con voce rotta “E’ il regalo più bello che tu potessi farmi”
“Non è finita, bambina” sospirò la donna, guardandola con le lacrime che le facevano rilucere gli occhi azzurri “Ho pensato a tutto… appena dopo la tua festa di laurea, la settimana prossima, verrai a Vancouver con me, saremo portate dal tuo Christopher e vivremo nel mio nuovo appartamento, tutti e tre… ho conosciuto suo padre di recente, e so che sarà un ottimo acquisto nella nostra famiglia… che ne dici? Potremmo portare Tobia con noi” Cindy quasi scoppiò in lacrime abbracciandola.
“E lo chiedi? Assolutamente… non avrei mai potuto immaginare un regalo di diploma migliore…” si asciugò le lacrime che rischiavano di rovinarle il trucco e sospirò, senza riuscire a smettere di sorridere. “Dopo tutto questo tempo in cui ho sofferto… dopo la perdita della mamma, poi del papà, tu eri lontana e non sapevo quando saresti arrivata, non pensavo di trovare un ragazzo come Chris, dopo essere stata picchiata, umiliata, insultata, trattata peggio di uno zerbino per diciotto anni… non ho mai smesso di sperare, e ora… ora i miei sogni diventano realtà!” la zia la abbracciò e la baciò sulla guancia, ma lo sguardo le cadde sulla sveglia della nipote.
“Forza, vai! E’ tardi, bambina! Le tue sorellastre ti aspettano giù dalle scale! Il tuo principe è davanti al cancello! Vai, tesoro, e divertiti!” esclamò accompagnandola di fretta giù dalla torretta in cui era la sua stanza. Cindy si sentiva felice. Felice come non era mai stata.


Quando arrivò all’ultimo scalone prima della porta, vide che le sorellastre avevano appena alzato gli occhi in un’espressione di invidia e stupore. Si, anche lei aveva lo stesso sguardo mentre guardava la sua figura sottile scendere le scale, riflessa nello specchio che per tante volte era stato testimone di insulti e di maltrattamenti.
Anastasia si era finalmente coperta il viso rosso con uno strato di fondotinta, i nodi erano stati districati e folti boccoli le scendevano sul petto e sulla schiena, ordinatamente divisi e tirati dietro la testa da una molletta brillante. Indossava un abito fucsia che scendeva morbidamente da sotto la vita, in modo da nasconderle la pancia sporgente e da valorizzare le gambe magre. Sulle spalle portava un golfino con le maniche che arrivavano fino ai gomiti dello stesso colore, con chiusure morbide e ai piedi portava delle scarpe con un tacco vertiginoso en pandant, con due laccetti che si chiudevano sulla caviglia. Genoveffa aveva preferito il verde: il suo abito era di un colore squillante, accollato, con le maniche corte. Fra i capelli pettinati accuratamente aveva un cerchietto con un grande fiocco blu, dello stesso colore delle zeppe fasciate di raso. Anche lei indossava un golfino in tinta, con ghirigori blu. Ma nessuna delle due, per quanto potesse stare bene nell’abito nuovo, poteva nemmeno avvicinarsi alla bellezza di Cindy, che si complimentò con loro per il nuovo look e le seguì fuori dalla porta di casa, salutando con affetto la zia e la matrigna, priva di qualunque rancore in quella serata così limpida, felice e illuminata dalle stelle. Quando uscì dalla porta d’ingresso vide che Christopher la stava aspettando fuori dal cancello che le sorellastre stavano aprendo. Il suo vecchio cane Tobia le si avvicinò con la lingua di fuori, scodinzolando. Cindy si piegò a fargli una grattatina alle orecchie e strofinò il naso contro il suo, poi si alzò e uscì dal cancello. Il suo ragazzo la stava guardando folgorato, i suoi occhi bruciavano. Le aprì la portiera della Alfa Romeo che li avrebbe portati sotto il castello di Aurora, lei salì e lui le si accomodò di fianco. La baciò con passione mentre Anastasia e Genoveffa litigavano su chi doveva stare dietro come passeggero, finchè non arrivò un urlaccio di Madame, innervosita dai loro capricci. Infine Anastasia si sedette accanto a Cindy e Genoveffa era davanti, imbronciata. L’auto partì.
“Mi raccomando” le sibilò Anastasia prendendole un braccio. Cindy annuì senza una parola.
Presto arrivarono davanti al castello della figlia del consigliere. Chiamarla ‘festa in casa’ era un perfetto eufemismo. Il giardino subito dopo il cancello era grande quanto il castello messo in piano, due file parallele di cipressi si susseguivano per tutto il vialetto fino alla reggia. Il portone era spalancato e musica moderna arrivava dal suo interno. I quattro ragazzi scesero dall’auto e videro che una ragazzina dai capelli rossi stava guardando alcune persone con aria sospettosa, dopodiché li fece entrare. Quando vide Cindy e Christopher rimase un momento a bocca aperta.
“Oh, mio Dio” mormorò “Entrate… entrate pure!” Chris scoppiò a ridere e le diede una pacca leggera su una spalla, poi tutti insieme si inoltrarono nel giardino. Cindy vide che tutt’intorno c’era una foresta in miniatura, un cane abbaiava da un grande recinto e un altro vialetto si snodava in mezzo agli alberi. La reggia di Aurora era gigantesca e divisa in due diversi blocchi: il primo era quello d’entrata, un edificio a tre piani visibili e uno sotterraneo in architettura moderna con spunti neoclassici: alte colonne di marmo circondavano i balconcini dietro cui blocchi ottagonali illuminati da finestre si sorreggevano l’un l’altro. L’ultimo balcone, il più alto, era di collegamento con la seconda costruzione, questa completamente moderna. Era un grande appalco con muri di vetro, completamente illuminato, retto da grandi colonne che sprofondavano in un’enorme piscina mosaicata d’azzurro, illuminata ai lati, in cui si stavano tuffando un centinaio di persone. La musica rimbombava tutt’intorno e un ragazzo stava urlando che il buffet era in una stanza gigantesca mezzo sotterranea.
Salirono i pochi gradini di marmo fino al portone, lo superarono e furono immersi nella festa.
La casa era più sfarzosa di quanto Cindy si fosse immaginata per tutto quel tempo. Quando fu nell’entrata si sentì totalmente insignificante, e cominciò a sospettare che suo padre in realtà non fosse così ricco come era sempre stata convinta. Il pavimento era tutto di marmo con decorazioni d’oro, sulla sinistra c’era un salotto illuminato soffusamente, con dei gran finestroni che si aprivano sul giardino, il camino in tinta col pavimento era decorato di legno scuro e le poltroncine sembravano d’epoca, così come i tavolini d’ebano. Davanti a lei saliva una scala che girava su se stessa che portava al piano di sopra, affollata da ragazzi ridenti, con una ringhiera di ferro e oro. Sotto alla scala stava un candelabro e due porte aperte, una mostrava un’immensa sala da pranzo con un tavolo decorato d’oro, l’altra una cucina in marmo bianco e pietra. Cindy si girò, rendendosi conto che il portone d’ingresso stesso era decorato finemente con oro vero.
In quella, una ragazzina con lunghi capelli biondi mossi, un dolce sorriso e aperti occhi azzurri afferrò Christopher per un braccio, Cindy si girò e riconobbe Aurora, la figlia del consigliere e la proprietaria di quella reggia.
“Christopher!” esclamò con voce simpatica “Sei venuto anche tu! Hai ricevuto il mio invito?”
“Certo!” esclamò lui “Ma in realtà sono stato invitato dalla mia fidanzata” Cindy si sentì fuori posto e molto in soggezione a essere presentata in quel modo a una delle persone più ricche d’America, ma Aurora scoppiò in una risata cristallina.
“Si, so chi è! Purtroppo non ci siamo mai conosciute direttamente… mi chiamo Aurora Reale” disse per poi porgerle la mano. Cindy la strinse.
“Io sono Cindy Tremaine” Aurora rise di nuovo.
“So chi sei, ovviamente, sono una tua grande fan!” Cindy sbattè le palpebre qualche volta. Una sua… fan? “Si, certo, sei la ragazza che a tutti i balli della scuola doveva vincere il primo premio… credimi non era mia intenzione prenderti il posto, ma quando ti hanno eletta Reginetta e tu non hai accettato, sono dovuta salire sul palco…” disse quasi sentendosi in colpa. Cindy le sorrise.
“Non è importante, io non volevo quel titolo. Tu sei molto più adatta” la incoraggiò. Aurora si dimostrò molto felice, dopodiché si volse verso le sorellastre di Cindy che si stavano guardando intorno sbigottite. “Loro sono le mie sorellastre” si affrettò a dire Cindy “Anastasia e Genoveffa”
“Oh, sono talmente incantata a fare la vostra conoscenza” si presentò Aurora senza traccia di ironia nella voce e negli occhi “Sono convinta che siete due persone splendide quanto la vostra sorellastra. Volete che vi mostri la casa?” domandò poi a tutti, ma Christopher declinò l’offerta.
“La conosco già… posso mostrargliela io. Sono sicuro che tu abbia tanto da fare, con tutta questa gente” disse affabile.
“Non potete nemmeno immaginare… Ariel ha contato quasi cinquecento persone! L’avrete vista, immagino” si affrettò poi a dire “E’ la ragazza rossa al cancello… in realtà la festa l’ho fatta per lei, le ho chiesto di smistare gli invitati per farsi conoscere un po’… sapete, lei non è di famiglia ricca…” mormorò poi con rimpianto. A Cindy rimase subito simpatica. Sembrava una ragazzina sì ricca, ma che non si rendeva conto minimamente delle differenze sociali, sembrava che le notasse solo come dettagli imperfetti nella società. E non solo la ricchezza, ma anche la bellezza: Cindy non aveva mai incontrato anima viva che riuscisse a trattare le sorellastre con tanta gentilezza. La osservò mentre parlava a Genoveffa e faceva una battuta per cui scoppiarono entrambe a ridere.
“Vieni, ti porto nel salotto principale” le mormorò Christopher, prendendola per mano e salutando Aurora.
“Dopo devi darmi il tuo numero di telefono, Cindy!” esclamò la ragazzina mentre Chris si faceva largo fra la folla “Non accetto un no, sappilo!” la ragazza le sorrise e salutò con una mano le sorellastre che erano rimaste incollate alle labbra della figlia del consigliere. Salirono le scale con fatica, senza parlare e senza sentire gli altri che stavano parlando e urlando sopra la musica assordante. La trascinò fino al salotto, ma era pieno. Era una stanza gigantesca, una delle più grandi che Cindy avesse mai visto, con un divano immenso da nove posti, color caffelatte. Davanti e dietro al divano si aprivano finestroni che mostravano il giardino ricco di piante. Anche lì c’era tantissima gente. Christopher sbuffò, poi aprì una finestra e Cindy si trovò sul balcone, su cui una trentina di ragazzi e ragazze fumavano parlando fra loro. Chris aggirò il blocco tondo che nascondeva una stanza dal balcone, aprì la finestra velocemente e Cindy si trovò in una camera da letto con le mura tonde e i mobili costruiti apposta per la stanza. Un armadio grande stava appoggiato a una parete e un letto matrimoniale con baldacchino che copriva il materasso tondo come la stanza era di fronte. Christopher tirò le tende per nascondere la stanza, poi scostò il tappeto e aprì una botola che mostrò una scala. Cindy era stupita.
“Cosa… cosa sarebbe questo?” domandò preoccupata. Christopher scoppiò a ridere.
“Non ti preoccupare, conosco questa casa quasi quanto la mia, anche se è molto diversa. Io e Aurora siamo amici d’infanzia. I nostri genitori si conoscono, e quando eravamo bambini ero spesso qua. Inizialmente volevano prometterci, ma poi si è intromesso un altro ricco e ha preso il posto. È il migliore amico del consigliere” disse “Questo non toglie che le famiglie sono rimaste molto unite. Ho vissuto qua, quando mia madre è morta” tirò su col naso e Cindy capì che la storia lo faceva ancora soffrire dopo molto tempo. “Da qua si scende in una stanza accanto alla cucina, e si può passare alla sala relax senza dover passare tra la folla, se vuoi divertirti…” Cindy scosse la testa.
“C’è un sacco di gente. Cinquecento persone sono tante.”
“Non vuoi ballare un po’?” domandò Chris “Poi mangiamo qualcosa e torniamo qua. Sai che mi piace ballare” Cindy lo sapeva, gliel’aveva rivelato la sera in cui si erano conosciuti. Non lo diceva mai a nessuno, ma per anni Christopher aveva frequentato un’accademia di danza. Solo i suoi familiari e pochi amici lo sapevano, ma lui aspirava a diventare un ballerino e la passione non si era mai spenta. Cindy, dal canto suo, quand’era piccola e suo padre era ancora in vita, aveva partecipato per anni alle lezioni di danza in una scuola, ma con la morte di Mr.Tremaine aveva dovuto dire addio anche alla danza. Ma le continuava a piacere, perciò aver trovato un fidanzato ballerino la rendeva più felice di quando sembrasse. Christopher le aveva promesso di insegnarle qualche balletto e che l’avrebbe iscritta a una scuola a Vancouver, e lei non vedeva l’ora.
“Andiamo” accettò infine. Scesero la scaletta fino alla stanza di cui aveva parlato Christopher, entrarono in cucina e superarono l’orda di ragazzi che stava ballando nella sala d’ingresso. Uscirono all’aria aperta e scesero sotto la piscina, dove una grande stanza con una porta con scritto ‘sauna’ e vari lettini per massaggi era stata trasformata in una discoteca. Luci colorate erano state attaccate ai muri e una palla stroboscopica al soffitto riflettendo i colori delle luci. Un ragazzo con un cappello a visiera degli Yankees stava sopra una cabina da dj, con un braccio in alto e una cuffia attaccata all’orecchio, mentre due ragazze gli si strusciavano contro e altri ballavano davanti a lui.
Sorridendo, Christopher portò Cindy nel bel mezzo della pista, e lei si perse nella musica, ridendo.


Quando Christopher le urlò che erano già le undici e mezzo Cindy non ci poteva credere: il tempo era passato fin troppo velocemente, ed erano stati in pista per almeno due ore piene se aveva fatto bene i calcoli. Si diressero verso un lato della stanza, al buffet, e mentre Cindy mangiava qualche pezzo di pizza Chris andò a prendere da bere. Quando tornò le porse un alcolico alla frutta, insieme brindarono alla serata, per poi mangiare insieme ancora qualcosa scherzando fra loro.
Finito di mangiare, Christopher prese per mano Cindy e la portò fuori da lì. Passarono vicino alla piscina e quando qualcuno si tuffò li spruzzò con l’acqua che odorava di cloro. Tornarono in casa, ripresero la scaletta e si ritrovarono nella stanza rotonda che il ragazzo le aveva mostrato. Aprì il baldacchino e si lasciò cadere pesantemente sul materasso. Cindy lo seguì più delicatamente e risero insieme.
“E’ davvero una bella festa” commentò la ragazza.
“Si, è vero. Spero solo che non abbia fatto entrare qualche brutta persona” rispose lui “Ma non mi sembra il tipo, non Aurora. Lei è una pulita. Al massimo ci sarà in giro qualche canna” Cindy scoppiò a ridere.
“Non ne ho mai provata una” ammise.
“No?” domandò lui stupito “Prima o poi ti farò provare, allora. A volte sembra quasi che abbia un potere terapeutico. Quando stavo male per la morte di mia madre, le uniche cose che mi tiravano su di morale erano le canne e la danza. Ma sarà un’altra volta”
“Si, ne avremo molte, di altre volte…” mormorò Cindy mentre lui la baciava con dolcezza “Chissà se Anastasia ha trovato il suo innamorato” si domandò poi. Christopher scoppiò a ridere.
“L’ho vista prima con un ragazzo sul bordo della piscina. Lei rideva e lui… beh… sembrava completamente preso” le disse “Non aveva gli occhiali, però… magari non l’ha vista bene in viso” Cindy ridacchiò e lo colpì leggermente.
“Dai, non essere così cattivo… nessuno merita di essere preso in giro”
“No, ma nemmeno di essere trattato come una serva” disse poi serio “Non dovrai più subire niente, te lo prometto”
“Lo so.” Mormorò lei, sincera, guardandolo. Gli occhi di Christopher baluginarono nella penombra, si avvicinò e si baciarono con passione. Cindy sapeva che d’ora in poi sarebbe stata bene, sarebbe stata al sicuro grazie alla zia e a Christopher Leroi. Si guardarono un momento breve, poi si lasciò andare alla passione del bacio del suo ragazzo. E si sentì felicissima, realizzata. I suoi sogni erano diventati realtà.










NdA: Eccomi di nuovo qua ^^ So che ci ho messo tanto, perdonatemi ma questo capitolo è stato particolarmente complicato da scrivere :) Ci vediamo appena possibile con il prossimo capitolo, che parla di Ariel (yeah, un'anticipazione!) A presto, e continuate con i commenti ;) Intanto ringrazio con tutto il cuore _BriciolaElisa_, Elelovett e petitecherie per aver commentato la mia storia e Elelovett, MoonLove, ninfa_marina94, petitecherie, Sissyl e _BriciolaElisa_ per averla messa nelle seguite! Continuate così ;)
Nymphna <3

   
 
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