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Autore: DamnedLuna    13/10/2012    0 recensioni
Luna,protagonista della storia, è una studentessa universitaria ventenne iscritta al corso di sartoria e moda. E' una tipa ordinaria fuori ma eccentrica dentro, priva di qualsiasi talento particolare, ambizioni, autostima e voglia di competere. Il suo unico sogno è trovare un lavoro piacevole e vivere finalmente da sola, conquistandosi la totale indipendenza. In facoltà, Luna incontra il vampiro Lestat, noto in università come uno studente straniero fuori corso.
Genere: Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Finalmente ho terminato la mia camicietta, mancano solo i ricami sulle cuciture. 
Sistemo il mio tavolo e guardo fuori dalla finestra, il buio sta già scendendo, lento e inesorabile.
Per tutto il giorno c'è stato il classico cielo plumbeo autunnale che promette pioggia, e spero che oggi non diluvi.
Finalmente posso andare, anche se è presto rispetto agli orari normali, ho già finito. Raccolgo tutte le mie cose e mi defilo, raggiungendo in fretta l'ingresso.
Purtroppo, la pioggia era talmente fitta ed io ero così concentrata sul lavoro che non mi sono nemmeno resa conto che già piove. Ed eccolo là, Lestat, in piedi di fronte alla grossa bacheca dell'ingresso intento a leggere qualcuno di quei fogli e volantini sparsi su di essa.
Indossa lo stesso cappotto scuro e pesante di ieri, e porta con s'è (di nuovo) quello strano ombrello. I suoi capelli dorati paiono un pò gonfi, forse per l'umidità.
Mi saluta subito, come se conoscesse i miei passi, non credo mi abbia notata davvero.
Ricambio il suo saluto e mi accoccolo nel mio cappotto viola scuro, camminando verso l'uscita.
Poi di colpo, mi fermo.
"Hai bisogno..." domando.
"Di un passaggio, sì, se non vai di fretta." mi interrompe Lestat, indovinando.
Mi ha letta nel pensiero...
"Va bene,allora andiamo?" incalzo, dal momento che lui è pare stregato dalla bacheca.
Lestat si volta e mi sorride, dopodchè mi raggiunge. "Sì." afferma.
"Ho trovato pargheggio più vicino oggi." dico, non sapendo che altro dire.
"Bene." risponde lui, girandosi verso di me e analizzandomi coi suoi occhi profondi, oggi vitrei, lugubri.
Lestat non ha un bell'aspetto stasera. E' palidissimo in viso, quasi marmoreo, sembra davvero finto, per non dire che pare un morto.
"Stai bene? Non hai una bella cera..." sussurro, guadandolo pensierosa.
"Sì, non temere, forse sarà solo un pò di...febbre." risponde lui, come se non sapesse come o cosa si sente.
"Mi spiace, appena arrivi a casa bevi qualcosa di caldo e cerca di dormire, sei molto pallido." gli consiglio.
"Davvero? Quanto pallido?" mi chiede un pò preoccupato.
"Tanto." rispondo sinceramente.
Lestat si volta, e non fiata finchè non saliamo in auto.
"Ricordi la strada?" domanda ansioso allacciandosi la cintura di sicurezza.
"Sì." rispondo sorridendo.
"Bene.." Sussurra Lestat.
"Non star male in auto, ti preno!" sdrammatizzo mentre faccio manovra per uscire dallo stretto parcheggio.
"Sono duro a crepare." replica lui ghignando, abbastanza convinto delle sue parole.
Finalmente sono in strada, e qualche minuto dopo eccomi nel sinistro cortile inquietante e rumoreggiante davanti casa di Lestat.
"Vuoi salire?" mi domanda mentre accosto.
Non so cosa rispondere. Non ho paura di quello che potrebbe succedere, non sono più una liceale alle prime armi.
Perchè no, per cui?
"D'accordo." gli sorrido.
Scendiamo entrambi dall'auto e Lestat mi fa strada, apre un massiccio portone cigolante in legno e si avvia lungo una rampa di scale stretta e odorosa di umidità.
La palazzina sebra drecrepita e malconcia, ma quando mi trovo davanti  quella che sembra la sua porta, lignea, lucida e scura, mi pare che il suo appartamento sia l'unico ristrutturato di tutto il caseggiato, e quando apre la porta, scopro he è proprio come avevo pensato.
Accende una debole luce e mi invita a togliermi il cappotto. 
Slaccio l'ultimo bottone quando Lestat, che ha già tolto il suo, mi sfila il cappotto con una galanteria tale che non riesco a fare a meno di arrossire.
"Grazie" balbetto
"Dovere." replica.
Attacca il mio capotto a un tremolante appendiabiti e, con un cenno gentile e fluido, mi invita a proseguire nel corridoio semibuio.
Entriamo nel suo salotto, arredato con mobili scuri e di legno, antichi ma ben messi, tutti molto elaborati.
Al centro della stanza c'è un tavolino in vetro verde, dietro di esso un divano beige e una poltroncina arancio scuro, abbinata al colore delle spesse tende.
La casa odora di chiuso ed è fredda. Sembra che Lestat non passi molto tempo qui dentro, e capisco il suo essere fotosensibile, ma le tapparelle serrate e le tente così spesse mi sebrano esagerate.
Lestat mi fa accomodare sul divano e domanda gentile: "Vuoi bere qualcosa?" 
"No, grazie, sono a posto così." rifiuto garbatamente. Voglio solo andarmene, mi sento a diasgio.
Lestat si siede accanto a me, e comincia a parlare da solo riguardo alle sue scortesie o il mio sentirmi a disagio, che deve essere molto evidente, per averlo percepito così.
Non presto attenzione alle sue parole. La testa fa su e giù, anuisco, ma il cervello è distaccato.
E' uno dei miei tanti difetti: sono una buona ascoltatrice, ma quando l'argomento non mi interessa annuisco e basta, eppure pretendo di essere semre ascoltata, qualsiasi banalità io dica.
Penso a cosa siano dovute le premure e la voglia di trattenermi in questo salottino ermetico. Forse si sente solo? Insomma uno studente straniero dall'accento poco marcato in una città sconosciuta può sentirsi solo. O magari è uno di quei bellocci cinici che non fa sesso da mesi e ha certe voglie da sfogare. Oppure è solo un bravo ragazzo che cerca qualcosa in più da me del solito passaggio quando piove e io sono una stupida che adora pensare a situazioni verosimili così nitide quanto improbabili nel loro avverarsi.
"Mi segui?" sento a un certo punto.
Qualche secondo dopo annuisco di nuovo.
"Certo." sussurro tentando di essere convincente.
Credo che debba prestare più attenzione a ciò che sta dicendo. Sono così pensierosa su quello che potrebbe succedere se resto qui ancora.
"Sai sono un uomo che ama l'arte, le cose raffinate, i mobili belli e antichi di legni pregiati, suonare il pianoforte, la musica classica.. Mi sono appassionato alla musica rock sai, è così ribelle e blasfema, eppure è così venerata e adorata.
Blasfema? Mi chiedo quale genere di rock abbia colpito Lestat.
"Non è bello trasferirsi, insomma guarda che razza di appartamento, mezzo vuoto, piccolo, e che brutto arredamento... Sai sono un tipo che non disdegna..."
"Il lusso?" lo interrompo a sproposito. 
Lestat tace e il suo sguardo sempre più irreale e trasparente mi trafigge.
"Sì." sibila.
Credo di avegli appena dato del riccone viziato.
"Non credo sia la parola più appropriata..." tento di corpire l'errore.
"Può darsi... ma in fondo, a chi non piacerebbe vivere negli agi?"
Ancora qualche secondo di silenzio tombale e di intense occhiate.
"A me." Sussurro.
Lo sguardo penetrante di Lestat si trasforma in un'espressione di leggero stupore.
"A te?" mi dice, come per farmi ritirare le parole dette.
"Beh, a vivere nel lusso non c'è gusto, non c'è soddisfazione... A me piace guadagnarmi le cose. Dai vestiti agli apparecchi elettronici, insomma, un oggetto diviene più prezioso se lo si guadagna col proprio lavoro, o no?"
Non so cosa sto dicendo. Sto andando in palla; se Lestat vuole fare qualcosa è meglio che si sbrighi o lo ricoprirò di parole insensate.
Lui abbassa lo sguardo e sogghigna. 
"Può darsi..." ripete, con un tono molto sensuale. "Prima ti ho detto che mi piace ballare." annuncia Lestat, scattando in piedi.
Annuisco in silenzio, credo sia un pezzo del discorso che ho ignorato.
"E tu?" mi provoca, ancora sogghignante, tendendomi la mano bianchissima.
Non rimango seduta e afferro la sua mano per pura buona educazione, e, col suo aiuto delicato e galante, mi alzo in piedi anche io.
La sua mano affusolata è ghiacciata. Guardo le dita, lunghe e sottili; ha le unghie lunghe quanto le mie.
"Sono pessima nel ballo." rispondo decisa.
Lestat aggrotta le bionde sopracciglia.
"Qualsiasi ballo." puntualizzo.
"Oh, peccato. Sembri così aggraziata. Mi piacerebbe danzare con te, un giorno, ma sai, le discoteche mi piacciono solo per un motivo..."
"Quale?" domando curiosa.
Lestat mi cince la vita in una presa saldissima e mi tira verso di lui, fissandomi intensamente negli occhi. Il suo sguardo è iniettato di sangue, eccitato, innaturale, e gli occhi grigi si fanno così vitrei da sembrare veramente finti. Il suo corpo è gelido, le sue mani anche.
Con la mano libera mi sposta il viso in modo che il mio collo sia vicinissimo alla sua bocca modellata, il tutto con uno scatto così fulmineo che non mi rendo conto di quello che sta succedendo, anche se, inconsciamente, non riesco a staccare i miei occhi dal suo sguardo inquietante.
"Questo!" ringhia infine Lestat, e, sotto lo sguardo immobile delle mie pupille dilatate per il terrore, fisse nei suoi occhi bramosi, Lestat apre la sua bella bocca, mostrando i canini vistosi, e, rapidissimo, li affonda nel mio collo.
  
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