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Autore: Tinkerbell92    15/10/2012    7 recensioni
DA REVISIONARE (CONTENUTI E FORMA)
Prima fanfiction su Percy Jackson, raccontata, come nei libri, in prima persona.
La storia di una semidea particolare, figlia di una dea impensabile, a partire dal suo arrivo al Campo Mezzosangue. Leila, la ragazza, affronterà varie situazioni, anche sentimentali, accompagnata da una custode molto particolare, venendo, però, continuamente ostacolata dalla madre, che vuole a tutti i costi decidere del suo futuro.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Castellan, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nel segno della Luna'
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 Quando Maggie mi condusse alla mensa, quella sera, ero certa che non avrei toccato cibo.
Avevo lo stomaco rivoltato come un calzino.
Venire attaccata da un mostro, scoprire che la mia migliore amica è un lupo mannaro, venire sbattuta in un campo estivo in Primavera, dover cambiare idea sui miti greci e parlare con mia madre,una dea, che non avevo mai visto prima, il tutto in un solo giorno, era davvero troppo.
Diedi uno sguardo piuttosto distratto al grande padiglione senza tetto in cui i miei compagni semidei si riunivano per mangiare.
Era circondato da colonne greche bianche e si trovava su una collina affacciata sul mare.
Dodici tavolini da pic-nic erano disposti là attorno.
Maggie mi fece sedere ad un tavolino vuoto, mentre lanciavo occhiate perplesse alla distribuzione alquanto strana dei ragazzi alla mensa: il tavolo dov’era seduto Luke, ad esempio, pullulava di semidei, mentre ben tre tavolini erano completamente vuoti.
In un tavolo poco distante dal mio, notai che si erano accomodati una decina di ragazzi, tutti con i capelli biondi e gli occhi grigi, tra i quali individuai la bambina di nome Annabeth, colei che aveva commentato riguardo la verginità di Artemide.
Non so, a otto anni, come facesse a sapere quelle cose.
Non appena mi vide, iniziò a studiarmi con fare sospettoso, come si se aspettasse che, da un momento all’altro, mi mettessi a fare qualcosa di strano, tipo ballare la konga sul tavolo, oppure, semplicemente, che sparissi all’improvviso.
Distolsi lo sguardo, leggermente imbarazzata, gettando un’occhiata distratta al tavolo di Luke.
Maggie si accorse della mia perplessità e mi spiegò: - Ognuno di questi tavolini è riservato ai ragazzi di una casa particolare. Quello dei ragazzi biondi, ad esempio, è il tavolo di Atena, cioè della casa numero Sei.
- Ah – risposi, con scarso entusiasmo – Quindi, immagino che quello sia il tavolo di Ermes…
Non feci in tempo a voltarmi, che lo sguardo di Luke incontrò il mio.
Mi strizzò l’occhio con fare seducente, cosa che mi fece arrossire fino alle orecchie.
Come gli saltava in mente? Mia madre non era forse stata chiara?
Feci finta di niente e commentai: - Una delle cose per cui sono grata a mia madre di avermi riconosciuta, è che non devo cenare con quella marea di cleptomani scatenati… né dormirci insieme…
La mia amica sorrise, mentre ci veniva portato al tavolo un enorme vassoio pieno di roba.
Notai che tutti i ragazzi, dopo essersi riempiti il piatto, si dirigevano verso un focolare al centro del padiglione, gettandoci dentro parte della loro cena.
- Che stanno facendo?- domandai stupita.
Maggie si alzò: - Bruciano le offerte agli dèi. Prendi qualcosa dal vassoio e brucia qualcosa per tua madre. Gli dèi gradiscono l’odore di questo fumo.
Nonostante mi sembrasse una cosa assurda, decisi di non fare domande, così diedi un’occhiata a quello che potevo offrire.
Scelsi un pezzo di braciola e, una volta giunta davanti al fuoco, lo gettai tra le fiamme: - Artemide.
Il fumo mi investì per un attimo, facendomi odorare un inebriante profumo di cibo.
Mi si stava riaprendo un po’ lo stomaco, quando una voce maschile (e piuttosto seducente) alla mie spalle, mi fece voltare: - Col Vostro permesso...
Luke mi fissava sorridendo, con un piatto di roba in mano.
Mi spostai con fare scocciato, mentre lui offriva una grossa fragola in sacrificio al padre: - Ermes.
Mi guardò, poi, con un’espressione, lo ammetto, davvero ammaliante.
Credo che sarei rimasta a fissarlo inebetita per ore, se Maggie non fosse venuta a chiamarmi, facendomi rinvenire. Appena in tempo: non volevo diventare subito una delusione per mia madre.
Mi sedetti al tavolo intontita, con lo stomaco nuovamente sottosopra.
Non avevo voglia di mangiare, ma Maggie non volle sentire ragioni, costringendomi a buttare giù almeno un po’ di carne ed insalata.
Non osavo mai dire di no al suo sguardo severo.
Notai, solo un istante dopo, il bicchiere vuoto davanti al mio piatto.
Fissai con aria interrogativa la mia amica, che mi spiegò brevemente: - Ordinagli quello che vuoi, purchè sia analcolico. Si riempirà da solo.
Mi sentii parecchio stupida, ma chiesi lo stesso un po’ d’acqua fresca.
Il bicchiere si riempì all’istante e, dopo aver buttato giù un sorso, iniziai a sentirmi meglio.
 
Più tardi, finito di cenare, il “simpaticissimo” Signor D., che aveva mangiato al tavolino numero Dodici insieme ai suoi due figli gemelli, ci spedì tutti quanti all’Anfiteatro, dove ci riunimmo tutti attorno ad un grande falò.
 Un ragazzo poco più grande di me, con i capelli castani e ricci, mi si avvicinò con fare cortese, imitato da un gruppetto di semidei dall’aria sorridente.
Non potei fare a meno di notare che si assomigliavano tutti parecchio, deducendo che dovevano far parte della stessa casa.
Alcuni di loro avevano una coroncina di alloro in testa e la maggior parte aveva in mano una chitarra, o un qualsiasi altro strumento facilmente trasportabile.
Il giovane con i capelli castani mi tese la mano in modo gioviale: - Ciao, è un piacere conoscerti, cugina. Io sono Lee Fletcher e loro sono i miei fratelli della casa di Apollo. Nostro padre e tua madre, come saprai, sono gemelli, e questo fa di te la nostra parente più vicina qui al Campo.
- Ah, bene- borbottai con fare ebete, mentre mi lasciavo stritolare la mano da una stretta poderosa
- Il piacere è mio.-
Lee si sistemò meglio la chitarra sulla spalla e mi sorrise di nuovo: - Ti va di sederti accanto a noi?-
Gettai un rapido sguardo a Maggie, intenta a parlare con altri Custodi, così decisi di accettare l’invito, pensando che se la sarebbe cavata anche senza di me.
Presi posto alla sinistra di Lee, guardandomi attorno un po’ incerta.
Clarisse, la figlia di Ares che mi aveva dato della “pivella”, stava discutendo animatamente con i suoi altrettanto rozzi e volgari fratelli.
Notai Chirone, che aveva preso posto tra i ragazzi di Efesto e quelli di Atena, e, non appena incrociò il mio sguardo, mi sorrise.
Maggie si sedette in mezzo a due satiri, poco distante da me, e mi alzò il pollice in segno di incoraggiamento.
Iniziai a credere di aver fatto la scelta giusta a non starle appiccicata anche in quell’occasione.
Naturalmente, mi sarei ricreduta pochi secondi dopo.
Infatti, mentre i ragazzi di Apollo iniziavano a suonare le canzoni del Campo, sentii qualcuno che mi si sedeva accanto, sussurrandomi all’orecchio con fare erotico: - Posso sedermi vicino a te?-
Non feci in tempo a girarmi per ribattere, che Luke Castellan si piazzò accanto a me con un sorriso decisamente ebete sulla faccia.
La cosa mi infastidì: insomma, non avevo nulla contro di lui, al momento, ma possibile che non capisse che tra noi non poteva esserci nulla? Il mio destino era quello di diventare Cacciatrice di Artemide, e condurre il gruppo di vergini a fianco di Zoe Nightshade e della sua parlata stramba.
Nonostante non mi fossero piaciute molto le rivelazioni di mia madre riguardo al motivo della mia nascita, sentivo che non volevo deluderla.
Dopotutto, poteva benissimo fregarsene e lasciarmi alla casa Undici per anni, come facevano molti dèi con i loro figli, invece che riconoscermi all’istante.
Mi spostai di più verso Lee Fletcher, con la scusa di fare più spazio al figlio di Ermes.
Tuttavia, Luke non parve capire le mie intenzioni, e si sistemò in modo tale che si ritrovò col fianco premuto contro il mio.
Iniziai a seccarmi: - Luke… ti dispiacerebbe, gentilmente, andare un po’ in là? A meno che tu non voglia incorporarti al mio fianco sinistro…
In tutta risposta, lui si strusciò di proposito contro di me, affondando il viso nei miei capelli: - Non sarebbe male come idea…
- Che?- sobbalzai, cercando di tenere bassa la voce per non rovinare il canto di Lee – Ma sei forse impazzito? Piantala di provarci con me! Nel caso tu non l’abbia notato, sono figlia di Artemide!
- Mhh, eh già…- mugugnò sporgendo il labbro inferiore, con l’aria da bambino capriccioso – Non nascondo che è una bella seccatura.
Mi sentii avvampare.
Insomma, ci conoscevamo da poco e lui si comportava già come se fosse perdutamente innamorato di me? Doveva essere arrapato di brutto, probabilmente, al Campo, i ragazzi venivano sottoposti alla castità forzata…
Cercai di non fargli notare il mio rossore sul viso e borbottai: -Luke, ci conosciamo appena. Sei un ragazzo… simpatico… molto simpatico, davvero. Ma penso che tra noi non potrebbe funzionare.
Lui arricciò una mia ciocca di capelli attorno al suo dito indice: - Non dare sempre tutto per scontato. Certe volte il destino può davvero sorprenderci.-
Dèi! Ma quel ragazzo era davvero ottuso o cosa?
Feci per rispondergli indietro, quando mi indicò le fiamme del falò: - Guarda.
La fiammata era alta parecchi metri, di un colore vivido e brillante. Mai, prima di allora, avevo visto un focolare così bello.
- E’… stupendo…- ammisi, un po’ sorpresa per non averlo notato prima.
Luke mi mise un braccio attorno alle spalle e sussurrò: - Le Fiamme cambiano a seconda dell’umore di chi ci è seduto attorno… oggi i ragazzi del Campo sono allegri.-
Notai, per un breve istante, che la piccola Annabeth, seduta in mezzo ai suoi fratelli della casa di Atena, stava guardando me e Luke con un’aria decisamente imbronciata.
Cercai di spostarmi, ma la mano di Luke iniziò a scendere lungo la mia schiena, facendomi avvertire un brivido.
- Luke…- lo richiamai con tono di rimprovero, facendogli intendere l’inopportunità del suo gesto.
Lui trattenne una risata, fingendosi improvvisamente interessato alle canzoni del Campo.
Annabeth Chase non smise un solo secondo di fulminarmi con lo sguardo.
Infine, quando fu l’ora di andare a letto, tutti i ragazzi si alzarono, dirigendosi verso le rispettive case.
Lee Fletcher, insieme a tutta la casa di Apollo, mi salutò allegramente, augurandomi la buonanotte.
Raggiunsi Maggie, iniziando ad incamminarci insieme verso la casa numero Otto, dove si trovavano già i miei bagagli belli pronti, quando Luke mi si accostò, sussurrandomi in un orecchio:
-Buonanotte.
Lo fissai per un secondo, incerta, poi risposi un po’ impacciata: - Buonanotte.-
Mi sorrise, con quei grandi occhi azzurri, e tornò alla guida della casa di Ermes.
Per un attimo mi sentii leggermente confusa, come se avessi avuto la testa da qualche altra parte.
Fu solo quando Maggie mi diede dei colpetti sul braccio che mi ripresi completamente.
Ci dirigemmo insieme verso la casa di Artemide e, quando entrai, fui piuttosto sollevata nel vedere che le mie cose erano già state sistemate.
E che non mancava nulla.
Mi sedetti sul letto dalle lenzuola color violetto, mentre Maggie iniziava già a cambiarsi.
- Dove dormi?- le domandai.
Lei tirò fuori, da sotto il mio letto, un materasso abbastanza spesso e ci mise sopra un lenzuolo ed una coperta: - Qui- rispose, prendendo poi un cuscino da dentro un cassetto.
Alzai un sopracciglio: - Sei sicura di voler dormire per terra? Perché qui c’è abbastanza spazio… oppure possiamo fare a turno…-
Si infilò una canotta nera e dei pantaloncini e scosse la testa, mentre si raccoglieva i capelli scuri in una treccia laterale: - No, sto bene qui. Sono abituata a dormire anche all’aperto, se proprio vuoi saperlo… e preferisco avere un letto tutto mio. Anche perché tu, di notte, scalci.-
- E’ vero- arrossii lievemente, ricordandomi dei nostri pigiama-party.
- Non ti cambi?- mi domandò, mentre si sedeva sul proprio materasso.
- Oh, giusto-  borbottai, andando a prendere la mia tenuta da notte.
Presi una canottiera azzurrina e dei pantaloncini blu e andai a sistemarmi sotto le coperte.
Maggie posò un libro sul cuscino ed iniziò a leggere, mentre la mia mente veniva affollata da mille pensieri. Infine, mi sorse spontanea una domanda.
- Maggie?-
Lei alzò gli occhi dal libro: - Mh?-
Mi girai dalla sua parte, appoggiando la testa su un braccio: - Perché odi tanto Zeus? Insomma, non che a me stia simpatico, dopo l’assurda regola che si è inventato riguardo alle relazioni tra dèi e figli mezzosangue… però, mi hai detto che è colpa sua se tu sei un licantropo… che cos’è che ti ha fatto, di preciso?-
Maggie mi fissò con un’espressione strana, tanto che, per un attimo, mi pentii di averle fatto quella domanda. Poi, però, sospirò alzando le spalle: - In realtà, il fatto risale a molti anni prima della mia nascita… diciamo al tempo dell’Antica Grecia.-
Chiuse il libro ed il suo sguardo subì una strana trasformazione, come se stesse viaggiando all’indietro nel tempo di migliaia di anni.
- Molto tempo fa, viveva un uomo chiamato Licaone, re d’Arcadia, noto a tutti per la sua empietà. Non offriva sacrifici agli dèi e preferiva occuparsi del proprio regno, piuttosto che delle questioni religiose. Non aveva mai mancato di rispetto ad una divinità, semplicemente badava ai propri affari terreni. Gli altri re della Grecia lo schernivano spesso, continuando a temere gli dèi in modo esagerato, al punto di offrire loro dei sacrifici umani.
Ora, se pensi che Zeus si sia scomodato una sola volta, per impedire quegli spargimenti di sangue inutili, ti sbagli di grosso.
Al contrario: decise di fare visita a Licaone per esprimere il proprio disappunto riguardo la sua presunta mancanza di rispetto e si autoinvitò a cena.
Diverse versioni sono state tramandate riguardo a questa cena, tuttavia, solo quella trasmessa a noi licantropi è quella giusta, senza censure né tagli.
Come dicevo, Zeus si recò a casa di Licaone per dimostrare la propria superiorità: aveva infatti scommesso con Poseidone ed Ade che lui sarebbe riuscito a sottomettere il re dell’Arcadia.
Tuttavia, Licaone non si fece fregare ed offrì al proprio ospite un banchetto davvero insolito.
Era morto da poco un prigioniero nelle carceri, un criminale, così, Licaone ordinò ai cuochi di farlo a pezzi, cucinarlo e servirlo come cena all’illustre invitato.
Non appena si accorse dell’inganno, Zeus, come puoi bene immaginare, andò su tutte le furie.
Fu schernito dai fratelli per essersi cibato di un essere umano, per di più carcerato, e così maledisse Licaone per il suo inganno, trasformandolo in una creatura mostruosa, metà umana e metà canide.
Lo mandò, poi, a vagare per i boschi, costringendolo a sfamarsi di carne umana per sopravvivere.
Non poteva toccare altro cibo, solo gli esseri umani erano in grado di soddisfare il suo micidiale appetito. Il tutto, naturalmente, mentre era cosciente di ciò che faceva, poiché Zeus,per pura crudeltà, gli aveva lasciato la mente da essere umano.
Licaone, nauseato da ciò che era costretto a fare, decise di ribellarsi un’ultima volta, iniziando a non nutrirsi più. La sua determinazione gli volse a favore.
Tua madre, infatti, lo notò e, poiché era divenuto una specie di lupo, era passato automaticamente sotto il suo dominio. Si impietosì per l’ingiusta sorte toccata a quel re, anche perché, non avendo mai sacrificato qualcosa agli dèi, non aveva mai ucciso degli animali se non per sfamare il popolo.
Decise di alleviare il suo tormento, facendo in modo che si trasformasse in lupo soltanto durante le notti di luna piena. Da allora, Licaone iniziò ad essere devoto soltanto a lei.
La storia di questo re, è anche quella del primo lupo mannaro della storia.
E i licantropi di oggi sono i discendenti di Licaone.
La specie si mantenne perché Zeus, in uno dei suoi soliti impeti d’immaturità, si offese per il dono fatto da Artemide a colui che l’aveva oltraggiato, così non si limitò solo a maledire Licaone, ma anche tutta la sua stirpe.
Tra l’altro, poiché la trasformazione avveniva solamente durante determinate notti, Zeus fece in modo che, con la trasformazione, perdessimo completamente la nostra umanità, riducendoci allo stato di bestie selvagge assetate di sangue.
Non è raro che un licantropo si risvegli immerso nel sangue delle proprie vittime, senza ricordarsi il perché ne il per come. Tutto perché il “Re degli Dèi” voleva la sua vendetta. Guarda a che prezzo si compiono le sue vendette…-
Si irrigidì un istante, le labbra contratte per il nervoso.
Ora capivo perché ce l’avesse tanto con Zeus e fosse così tanto devota ad Artemide.
- Capisco… però… una cosa non mi è chiara- mormorai – Se è vero che, quando vi trasformate perdete la vostra identità… come mai ieri notte non mi hai uccisa?-
Maggie mi sorrise, mostrandomi il ciondolo che portava sempre al collo: - Questo è un dono di tua madre. Dovevo proteggerti, quindi sarebbe stato assurdo se, durante una delle mie trasformazioni, avessi ucciso te o tuo padre. Il ciondolo tiene sotto controllo la trasformazione, così da non farmi perdere il controllo.-
- Ah, ecco perché lo tieni sempre- osservai con fare da Capitan Ovvio.
La mia amica annuì, poi riprese il proprio libro e ricominciò a leggere: - Io sono una discendente di Licaone. E Zeus è mio nemico. Insieme a tutto ciò che produce… non credere che “quell’eroina” di sua figlia fosse uno stinco di santa… - alzò un attimo gli occhi dal testo, restando assorta nei propri pensieri, con un’espressione di disgusto sulla faccia. 
Poi, però, mi guardò con fare quasi materno: - Sarà meglio per te dormire, adesso. Ne hai passate tante in questi giorni e sei sicuramente stanca. Fatti una dormita, che domani sarà una giornata lunga. Ti spiace se tengo un po’ la luce accesa per leggere?-
- No, fai pure- risposi, girandomi dall’altra parte – Notte.
- Notte- mi rispose, già immersa nella lettura.
Non ci volle molto prima che mi addormentassi, tuttavia, quel poco che restai sveglia, vari pensieri mi balenarono nella mente. Il primo fra tutti riguardava Zeus.
Il fatto che fosse padre di Artemide lo rendeva mio nonno, tuttavia, questo legame non lo sentivo affatto: come potevo essere, anche lontanamente, imparentata con un uomo egoista e capriccioso che aveva rovinato un’intera stirpe perché si era offeso con un solo uomo?
Per colpa della sua superbia, tra l’altro!
In più, con la maledizione lanciata a Licaone, aveva causato chissà quante stragi di gente innocente, per aver reso i licantropi incapaci di controllarsi durante la loro trasformazione!
Strinsi un pugno, giurando a me stessa che mai e poi mai avrei mostrato un po’ di cortesia nei confronti di Zeus, qualunque fossero state le conseguenze.
Infine, dopo questo silenzioso giuramento, mi addormentai profondamente.
  
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