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Autore: Iryael    15/10/2012    1 recensioni
Ratchet racconta in prima persona l’esperienza della DreadZone: l'arrivo, la finta libertà dei gladiatori, le giornate scandite dai combattimenti, la fuga.
«All'inizio mi rifiutai di capire che quel che pensavo dei gladiatori, in realtà, era l'immagine che i mass-media vendevano agli spettatori. Ma il mio rifiuto non durò a lungo: bastarono pochi giorni a farmi aprire gli occhi.
Non esisteva paragone migliore del circo: noi gladiatori eravamo le fiere; mentre gli Sterminatori, le brillanti stelle dello spettacolo, erano domatori che si alternavano sulla pista dell'Arena.
Poi c'era lui, Gleeman Vox. Lui che aveva l'abito rosso del presentatore e coordinava la baracca, guadagnando sulla nostra pelle.
Fama, soldi e belle ragazze erano la nostra gabbia dorata. Quella vera, esplosiva, ce l'avevamo chiusa al collo.
Aprire gli occhi mi fece incazzare di brutto.
Nessun circo poteva permettersi di tenere un drago in gabbia. E loro - Vox e compagnia - l'avrebbero capito presto.»

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[Galassie Unite | Arco I | Schieramento]
[Personaggi: Big Al, Clank, Gleeman Vox, Nuovo Personaggio (Takami Kinomiya), Ratchet] [Probabile OOC]
Genere: Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ratchet & Clank - Avventure nelle Galassie Unite'
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[ 05 ]
Si chiama Takami e – in teoria – è una Guardiana
(Ripartono le stranezze. Ma almeno metto una coda all'armatura)
 
Sempre 3 ottobre, ore 17:15
Stazione DreadZone, cella 4-723
 
Dopo lo sfogo, Lyra si era addormentata. Così l’avevo lasciata nella mia branda e avevo raggiunto Al e Clank.
Avevo bisogno di un po’ di svago, così come loro avevano bisogno di una mano con le armature.
La mia giaceva a pezzi sul bancone di Al. Visto che era stretta e pesante, avevamo deciso di fresarne l’interno. Fino a quel momento avevamo elaborato tutta la parte inferiore e le piastre addominali.
Mentre lavoravamo avevo vuotato il sacco: ero partito con i fatti del mattino, poi avevo espresso i miei dubbi. Nel discorso ch’era uscito avevamo anche messo in tavola le nostre informazioni, ma erano davvero poche.
«Ma Skìos come l’ha smosso, quindi?»
Al aveva una scorta d’acqua a portata di mano. Senza chiedere, mi lanciò una bottiglietta. Ne bevvi un sorso prima di rispondere.
«Ha lavorato come una calamita. Prima l’ha caricato e poi ha rilasciato un impulso con lo stesso tipo di carica. Skìos ha preso il volo come un uccellino! Cip cip!»
Dopodiché sghignazzammo come due marmocchietti.
«Gente, non c’è niente per cui rallegrarsi.» ci riprese Clank. «Ci siamo appena inimicati i tre team più forti della zona.»
Storsi il naso, irritato dal suo tono.
«Sì, certo, parli bene.» commentai. «Ma dovevate vederli. È stato uno spettacolo da manicomio. Per fortuna me la sono cavata con un paio di graffi.»
«E lei?»
«Tanti lividi, ma niente di rotto. L’ho lasciata che dormiva.»
«Però è strano.» notò Clank. «Perché ha fatto in modo da evitare gli Sterminatori, per poi finire in quella specie di safari?»
«Lei ha detto che sarebbe successo comunque. In effetti, penso che Vox le avrebbe fatto comunque questo “regalo d’addio”, il primo giorno che fossimo andati in palestra.»
«Allora, per i poligoni, aspettate di avere le armature pronte.»
«Sicuro!» replicai, svelto. «Col cavolo che finisco in un fuoco incrociato!»
* * * * * *
Un’ora più tardi avevamo finito.
Giusto un attimo prima di provarla, avevo deciso di andare a chiamare Lyra ed ero tornato alla nostra cella.
La trovai al tavolino, che smanettava sul suo vambrace. Come mi vide, si affrettò a far sparire le varie schermate olografiche.
«Ehilà! Dormito bene?» salutai. La bambina mi squadrò e si torse le mani, agitata.
 
Sono venute le guardie. Ti cercavano.
Volevano indietro le onnichiavi.
 
Le lanciai un’occhiata veloce. C’erano di nuovo dei grumetti di pomata bianca ai bordi del viso, segno che si era medicata di nuovo pensando ad altro. Per il resto, non fui certo di non vedere lividi nuovi.
«Gliele hai ridate?»
Annuì.
 
Hanno detto che se lo rifai ti danno la scossa.
 
«Rifaccio cosa?»
 
Rubare le attrezzature.
 
Obbella, e così le avevo rubate.
Mi piantai i pugni sui fianchi, la coda modello frustino.
«Tch, rubate. Al massimo ne ho fatto buon uso.» borbottai. «Non pensi?»
Annuì di nuovo. Poi chiuse gli occhi, fece un respiro profondo e, arrossendo per l’imbarazzo, proiettò:
 
Ti...ti devo ringraziare che sei venuto di sopra.
Pensavo che finivo di nuovo in infermeria, invece sei arrivato te e...
Prometto che lo trovo il modo di sdebitarmi!
 
E poi mi scuso per...per... prima. Non mi dovevo attaccare così.
Ho sbagliato, di sicuro ti ho dato fastidio e...e poi ti ho anche sporcato la tuta. Non dovevo. Lo so che non dovevo.
Scusa.
E grazie.
 
Al che mi si allargò un sorriso sghembo.
«Prima o poi ti rifarai.» dissi sbrigativamente. «Quanto alle macchie, vai tranquilla. Dovresti vedere la mia tuta da lavoro: quella sì che è lercia! Mica ‘sti quattro sgorbi di pomata!»
Senza contare che quella specie di divisa era già orribile di suo. Quel grigio topo morto non mi piaceva proprio.
Tornai al discorso per cui l’avevo raggiunta. «Abbiamo finito la mia armatura. Vuoi venire a dare le tue impressioni?»
La bambina sgranò gli occhi.
 
Io?
Ma non... non sono utile. Non so combattere, come faccio a sapere se va bene?
 
«Lyra.» la rimproverai. «Dobbiamo fare squadra alla svelta. E fare squadra significa stare insieme anche quando si è inutili.»
“Quindi vieni e non rognare” era sottinteso. Lo capì al volo.
Si alzò in piedi e mosse qualche passo. Quando fu davanti alla porta, poco prima di aprirla, mi mostrò lo schermo olografico.
 
Posso prendere una scorciatoia?
È vuota, però...
 
Non avevo voglia di bissare le scene della palestra, quindi le diedi il via libera.
Fu così che scoprii come facessero, gli addetti alle pulizie, ad essere ovunque in qualunque momento. In pratica, nei ripostigli dove tenevano i loro arnesi, c’era un sistema di piattaforme di teletrasporto. Piccolo, ovviamente, tutto interno alla stazione, però molto efficiente.
Impiegammo una manciata di secondi ad arrivare nella cella di Al e Clank.
«Rieccoci!»
Limatura di ferro e schegge di metallo erano pressoché ovunque. Un po’ per il tornio in mezzo al passo, un po’ per tutti gli attrezzi in disordine, sembrava che fosse passato un tifone.
«E ora che il team è al completo...a me l’armatura!»
Al sbuffò con aria divertita e, mentre Clank faceva sedere Lyra, mi aiutò ad entrare nella ferraglia. Gambe, braccia, poi il torso e, infine, il bacino. L’unica cosa che proprio non mi piaceva era la forma così umanoide della silhouette.
Se non altro, però, dopo averla fresata e levigata, stavo nettamente meglio dentro la corazza.
«Ecco qua, che dite?» e feci un giro su me stesso.
«Devi dircelo tu come ti senti.» fu la risposta di Clank. «Riesci a respirare? Ti muovi bene?»
Smossi un po’ tutte le giunture; saltai, scalciai, aprii e richiusi le braccia, le feci roteare, testai i gomiti, i polsi e le falangi.
«Tutto bene. Sono ufficialmente pronto a fare il culo a questa gente.» confermai.
Al mi affibbiò una pacca sulla spalla e andò a scambiare un cinque con Clank. Era visibilmente soddisfatto.
Mi presi il tempo per ammirare la mia nuova tenuta. Era lucida e rossa, ma non quel bel rosso fiammante. Era più un marrone. Sui vari pezzi erano state incise delle linee, che disegnavano una ragnatela senza senso. Le piastre che coprivano braccia, gambe e ventre erano nere e opache, mentre il resto era lucido. Non male, dovevo ammettere.
Quando alzai lo sguardo vidi che Lyra aveva la mano alzata, come a scuola.
«Sì?»
 
Ecco...mi è venuto in mente prima, ma...si può bucare il bacino per fare posto alla coda? So che quelli con la coda, quando non la possono usare, perdono stabilità...
 
«È vero, senza coda perdo in agilità.» affermai. «Però non posso lasciarla fuori così, senza protezione. È delicata.»
 
Io pensavo che, magari, si può usare una vecchia plasmafrusta. Se si toglie il dentro degli anelli, poi lì ci può andare la coda.
 
Immaginai i vari procedimenti mentre li spiegava. Era fattibile, per la miseria.
La sua era una proposta terribilmente allettante. Guardai Al.
«Si può?» domandai. Cercai di non sembrare un bimbo implorante, ma non ci riuscii benissimo.
«Anche subito, col necessario.» rispose il kerwaniano. «Però non potrò collegare alcun sistema all’armatura. Sarebbe un pezzo a sé stante.»
«Ma chissenefrega se non è elettronica! L’importante è avercela!» sbottai.
«Non abbiamo mai detto che non può essere elettronica.» mi corresse Clank. «Ma solo che sarà un pezzo a sé stante. Ora non ci conviene, ma in seguito potremmo anche caricarla con qualche trucchetto.»
Oh sì, già mi vedevo con una plasma-coda. Il nemico si avvicina da dietro e...zac! Attivo le componenti della frusta e gli faccio mangiare un po’ di plasma. Così impara a giocare con la mia coda.
«...Sarebbe fighissimo...» commentai sognante. Al che Clank si schiaffò una mano in faccia.
«Tutto sta a trovare una frusta.» obiettò Al. Lyra gli tirò la manica del camice, attirando l’attenzione.
 
Io ce l’ho.
L’ho trovata qualche giorno fa nella discarica e pensavo di ripararla, ma forse è meglio usarla così.
 
«Si può fare?» domandò Clank. «Usare armi vecchie prese nella discarica, intendo.»
La piccola annuì.
«Ce l’hai dietro?» domandò invece Al. Quando la vide annuire, si sgranchì le dita e m’indicò, parlando col mio socio. «Clank, segna sull’armatura dove dobbiamo forare. Lyra, vieni. Ti va di aiutarmi?»
Mentre il robottino mi prendeva le misure, Al e l’umana rimisero a posto il tornio e si fecero spazio sul banco. Quando la famosa plasmafrusta vi fu srotolata sopra, cominciai a smagnetizzare i vari pezzi dell’armatura e a pensare, assieme al mio amico robotico, ad un modo per congiungere la coda al bacino. Due semplici punti di saldatura non andavano bene, visto che mi avrebbe irrigidito la base. Conclusi che ci voleva un aggancio incernierato come quello dell’arma sul manico.
La fase successiva fu quella di provare gli anelli. Togliere i cavi all’interno fu semplice, ma provarli fu una rottura. Infilai la coda dentro la biscia metallica un bel po’ di volte prima di trovare la dimensione giusta, giuppersù a metà della frusta.
Di lì in poi Clank si occupò di riprodurre l’attacco, io di intervenire sul bacino dell’armatura e Lyra di aiutare Al a renderla un organo elettronico indipendente dal resto.
 
Per cena avevamo finito. Dal retro dell’armatura pendeva la copertura della coda: qua e là era annerita dalla saldatura o da bruciature pregresse, ma il solo fatto che ci fosse mi rendeva soddisfatto. Si sarebbe visto solo il batuffolo in fondo, ma non mi dispiaceva. Di sicuro era meglio che avere la coda giù per la gamba!
Ero vicino a Lyra mentre ammiravo il nostro capolavoro custom. Di punto in bianco la agganciai per il collo e la tirai fino ad avere il suo viso vicino. La piccola fremette.
Le piantai l’indice nella guancia. «Visto che non sei inutile?»
E lei, tanto per cambiare, arrossì.
* * * * * *
La cena fu una commedia. Dopo quel ch’era successo al mattino, trascinare Lyra in mensa fu un’impresa. Aveva paura che ci fosse un altro round, questa volta giocato con coltelli e forchette. Oltretutto, al momento in cui ci presentammo nel padiglione della mensa, era l’ora di punta, per cui la piccola era tutt’un fascio di nervi.
Piluccò qualcosa per farci contenti, ma quando la voce di Vox si diffuse dagli altoparlanti per poco non si strozzò.
«Il leader del Team Darkstar venga subito in direzione. E se non sei qui entro...diciamo, cinque minuti, ti faccio saltare la testa!»
Più di una faccia si voltò nella nostra direzione. Tra i tanti c’era anche Kid Nova, che mi fece gesto di sbrigarmi.
Qualsiasi cosa stesse succedendo ai piani alti, Lyra scattò in piedi e mi tirò una manica.
 
Ti faccio vedere la strada.
 
«Veniamo anche noi.» decise Al, alzandosi da tavola. Clank era già in piedi.
Uscimmo dalla mensa senza la più pallida idea del motivo della chiamata. Se fosse stato per una punizione, probabilmente, ci avrebbero fulminato in pubblico e tanti saluti. Invece no.
Lyra ci guidò silenziosamente per i corridoi, attraversando il Padiglione Tre (quello con la mensa) con una calma relativa. Quando entrammo nel Padiglione Due, però, cominciò a muoversi più speditamente, e nell’attraversare l’unico corridoio del padiglione non fece altro che accelerare. Si riscosse solo quando Al chiese perché stessimo correndo, e allora tornammo ad un passo più cadenzato. In fondo al corridoio passammo una pesante porta simile a quella delle celle e, a quel punto, entrammo in uno stanzino minuscolo, dove c’erano solo un’altra porta e un droide di guardia.
«Siamo il Team Darkstar.»
La macchina ci squadrò per un momento, poi rispose: «Solo il capitano può passare. Gli altri devono aspettare qui.»
Aprì la porta al suo fianco, lasciando vedere la piattaforma di un ascensore.
Guardai gli altri e mi forzai di mostrare un sorriso ottimista. «Andiamo, gente! Ci vediamo più tardi!» e saltai sulla piattaforma.
 
Il Padiglione Uno, scoprii, era la sede amministrativa della baracca. Dava direttamente sul Padiglione A (l’arena) ed era fatto come una torre. Ovviamente non passai per uno degli ascensori per gli impiegati, nossignore. Siccome i gladiatori erano una massa di persone pericolose a prescindere, a noi era riservato un ascensore a parte, fatto di vetro antiproiettile, che di dieci piani aveva un’unica destinazione: la direzione.
Visto da fuori, l’ufficio di Vox aveva la forma di un piccolo dirigibile. Visto da dentro, era spartano e foderato di lamiere imbullonate. Visto dal tracciato per gladiatori, invece, era pieno di droidi di guardia: uno nell’ascensore, uno appena fuori (sia al piano terra che al piano della direzione), due fuori dalla porta del suddetto ufficio e uno anche dentro, a fare da scribacchino a quel muso viscido.
 
Quando Vox mi vide, si strofinò le mani.
«Ma bene, eccolo qua...»
«Cosa vuoi?» tagliai corto.
«Mi sono reso conto che, in effetti, ti ho messo in una situazione difficile; quindi voglio appianarti qualche dubbio.» rispose mellifluamente.
Certo, come no. Ce l’aveva scritto in faccia.
Incrociai le braccia. «Ossia?»
Appoggiò i gomiti sul tavolo con aria rilassata, quasi confidenziale.
«Vedi, ragazzo, non sei qui solo per far divertire gli spettatori della galassia.» e fece combaciare le punte delle dita. «Nossignore, così fosse non ti avrei attribuito quell’impiastro, ma una doppietta di robot da combattimento. Per te e i tuoi colleghi ci sono piani leggermente diversi.»
E ti pareva!
Afferrò un telecomando e, ruotata la sedia, accese il megaschermo dietro la scrivania. Apparve il file personale di Lyra.
Guardai la foto, lessi un paio di righe e poi Vox si lasciò andare a una risata raschiante. «Queste che leggi sono tutte informazioni che dovrebbero essere riservate. All’infuori di noi e poche altre persone, nessuno ne conosce l’esistenza. Inoltre, come hai potuto notare, la marmocchia tiene la bocca chiusa.»
Ascoltai con un orecchio solo la sua premessa. I dati sullo schermo mi allettavano molto di più, dal momento che miss tabù ce l’avevo in camera.
«Prima di tutto il nome, perché non presentarsi è maleducazione.» e ridacchiò della sua stessa battuta. «Risponde al nome di Takami Kinomiya. Razza: umana, come hai visto. Nessuna abilità di combattimento; addestramenti ricevuti finora: zero. Ma.» si alzò dalla sedia e indicò una riga in particolare sul megaschermo. «Presenta una dote più unica che rara.»
Portai lo sguardo dove indicava.
«Guardiana del Fulmine.» lessi. «Che cosa significa?»
Azzeccai proprio la domanda che voleva.
Si avvicinò quasi balzellando, compiaciuto a livelli disumani. Mi superò, ma solo per afferrarmi le spalle da dietro. Avere quella chiostra di denti a un soffio dalle orecchie e rimanere immobile mi costò fatica. Era...inquietante. Era come sentire un cubetto di ghiaccio che scendeva lentamente verso lo stomaco.
Ad ogni modo, non fece altro che spazzare l’aria davanti a me con il braccio sinistro.
«Immagina di tornare indietro nel tempo; così tanto indietro che comuni ed esper ancora si rifiutavano di convivere.»
Insomma, stava parlando di qualcosa come cinquanta o sessantamila anni fa; un pezzo di storia che non studiavo da... cos’erano, le elementari?
«Niente federazione, niente comodità moderne, niente circhi come questo.» azzardai. «Andiamo avanti.»
Avevo sentito dire ch’era uno che saltava facilmente, eppure mi sorrise con aria amabile. Sì, beh, un’aria che intendeva anche che non mi avrebbe più fornito spiegazioni; dunque, se non capivo, erano affari miei.
«Come vuoi.»
Hm, un po’ troppo calmo. E un po’ troppo sardonico.
Poi, pigiando i tasti sul telecomando, fece apparire sullo schermo la foto di alcune iscrizioni scolpite sulla roccia. Lasciò le mie spalle e tornò a sedersi, rivolto allo schermo. Nel momento in cui mi tolse gli artigli di dosso, il cubetto di ghiaccio smise di scendere.
«Questo testo viene dalle rovine di Igghar, eppure è stato ritrovato anche in rovine di altre culture diverse. Il testo, che più o meno è sempre lo stesso, dice: “Il terzo dio, con l’ultima stilla d’energia, si scisse. Perduta l’immortalità, generò cinque creature mortali. I cinque avevano fattezze diverse, ma tutti avevano ereditato il potere di dominare gli elementi. Allora se li spartirono cedendoseli a vicenda, finché ciascuno ne poté controllare soltanto uno. Su quell’unico elemento che dominavano, nessuno all’infuori degli dèi poteva eguagliarli”. In altre rovine si fa riferimento al nome “Guardiani”, ed è così che si chiamano ancora oggi, quando si narrano quelle storie.»
«Quindi, stando alle tue parole e una vecchia scritta scrostata, sono in squadra con una specie di dio dei fulmini.»
Annuì. «Bravo.»
Ma per favore! Non può parlare sul serio!
Puntò nuovamente il telecomando allo schermo e fece tornare la schermata con i dati di Lyra (cioè, di Takami).
«Lei è parte di questo meraviglioso pool, che tu ci creda o no.» dopodiché partì per la tangente: «Oh, che idillio per il pubblico sarebbe mostrare un combattimento tra questi titani degli elementi!» disse con aria sognante, subito prima di sbottare: «E invece ho una marmocchia che non ne vuole sapere! Quattro anni che è qui e le saette che ha lanciato si contano sulle dita!» strillò istericamente. «Ho pagato per una macchina da guerra e mi ritrovo con uno scricciolo piagnone!»
Francamente, pensai, quelli erano affari suoi.
Poi, forse perché si rese conto di essere ridicolo, si ricompose. Rassettò il completo di sartoria e tornò a fissarmi.
«Ho tentato in tutti i modi di indurla a usare i suoi poteri. In tutti. Il gioco dei punti bonus è stata l’ultima delle strategie, ma non ha funzionato nemmeno quello.» e tornò a guardarmi. «Quindi è ora di giocare pesante. Se non si schioda neanche così, allora sarà una bocca in meno da sfamare.»
«Questo non mi risolve nessuna domanda, Vox.» gli feci presente. «E poi, non potevi trovarti qualcuno di più adatto a questa risma di scimmie ciclopi?»
«Questo risolve tutto, invece.» rimbeccò. «Ti ho detto con chi hai a che fare e qual è il tuo ruolo. Conosco lei e conosco te: dimostrerai che la mia scelta è giusta.»
O-ho-ho, non ci mettere la mano sul fuoco...
«Adesso togliti dai piedi.» ordinò ancora. «Non sei il solo a cui piace calcare la mano, qui. Ti ho graziato due volte; non farmi cambiare idea.»
* * * * * *
Mentre l’ascensore mi riportava all’ingresso del padiglione, mi domandai se fosse il caso di vuotare subito il sacco.
In mezzo al corridoio però no, è da stupidi. Se non mi becco la scossa per le informazioni riservate, come minimo quell’altra scappa.
Mi dissi che la cosa migliore sarebbe stato parlarne subito, sì, ma in cella.
 
Quando tornai all’ingresso del padiglione, trovai gli altri che ancora mi aspettavano. Vedere le loro facce ansiose mi mise a disagio.
Il morale alto è un successo sicuro! ricordai per riflesso. Però, anche con tutto l’impegno, non riuscii a montare in tempo un’espressione diversa da quella cupa che avevo. Feci semplicemente segno di andare e mi incamminai dritto verso la 6-538.
 
Grazie al cielo non trovammo seccatori per la strada. Chi non era a cena era già in camera, quindi non trovammo gente. Anche il braccio della nostra cella era quasi vuoto. C’erano quelli della 6-541 che parlavano fuori dalla porta, ma non ci riservarono più di un’occhiata.
Meglio così.
Prima di entrare mi assicurai di essere l’ultimo della fila, ed anche quando fummo dentro rimasi vicino alla porta.
Stranamente, non avevo ricevuto domande durante il tragitto. Ma magari Al e Clank avevano pensato che avrei spiegato tutto poi.
Se era così, allora era il momento di accontentarli.
«Okay gente, qui si può parlare.» dissi, poggiando le spalle allo stipite.
«Lo immaginavo.» rispose il robottino. «Cosa voleva Vox?»
«Voleva chiarirmi le idee sui suoi progetti. Sapete, il classico monologo da supercattivo svalvolato.» nel profondo mi venne da ridacchiare, ma non riuscii nemmeno a incurvare le labbra. «Ovviamente per noi ha altri piani. Per me, più che per voi, e questa è la parte buona della notizia.»
«E quella cattiva?» volle sapere Al.
«Ho calcato un po’ con le osservazioni. Credo che adesso siamo osservati speciali.»
«Siamo alle solite.» sbuffò Clank. «Hai dimenticato che Vox avrebbe potuto ritorcere la tua linguaccia contro di noi. Sei incorreggibile!»
«Comunque.» e ripresi la scena. «Ha parlato anche di battaglie grandiose e gente fuori dal comune. È convinto che esistano delle specie di dèi in terra, molto al di fuori della portata degli esper. Ha cercato di convincermi facendo riferimento a una scritta trovata nelle rovine di Igghar. Qualcosa su un dio che si spacca in cinque e che i sottoprodotti poi fanno in modo di controllare un Elemento a testa.»
La bambina fece gli occhi da gufo. Era ora di confrontare i dati di Vox.
«Ne sai qualcosa, Takami?»
Sgranò gli occhi, impaurita.
Mi aspettai che cercasse di scappare, in qualche modo; invece sembrò crollare su sé stessa.
«Takami?» domandò Al. «Ti chiami davvero così?»
La bambina strofinò la manica sugli occhi e rimase inerte per qualche secondo.
A sorpresa, mostrò il vambrace.
 
Posso toccarti la fronte?
 
Uh? Che richiesta era?
«Perché?»
 
Il mio nome è un segreto. Chi lo conosce, alla fine rimane intrappolato in un casino che lo uccide.
Non voglio che succede di nuovo.
Quindi vorrei sapere una cosa, però ti devo toccare la fronte.
Se ti piace di più, puoi chiamarla macchina della verità.
 
«E dopo non ci saranno più tabù?»
Fece segno “sì e no” con la mano.
 
Però posso promettere che saranno tanti di meno.
 
Diedi il permesso. Tanto cos’avevo da perdere?
Fu questione davvero di trenta secondi: mi mise la mano sulla fronte, chiuse gli occhi e si concentrò. Quando li riaprì, la sua unica reazione fu un sospiro rassegnato.
«Che c’è?»
 
Hai davvero il suo permesso.
 
«Te l’avevo detto, no?»
A quel punto mostrò un inchino a me e uno ai miei soci. Ingrandì l’oloschermo proiettato, in modo che tutti leggessimo bene, e scrisse:
 
Il mio nome, quello vero, è Takami Kinomiya. Sono la Guardiana del Fulmine.
Mi dispiace di avervi nascosto la verità, ma i Guardiani sono un segreto per cui tanta gente è morta.
 
Fui io a sgranare gli occhi, a quelle parole.
Vox aveva...detto la verità?
Sul serio?!
Mi rifiutai di crederlo. Doveva essere andata in un altro modo, per forza. Non era ammissibile ciò che diceva.
 
Per favore, promettete che rimarrete in vita!
 
La guardai con un sopracciglio piatto e l’altro ad archetto, così come Clank e Al.
«Credo che ti abbiano preso in giro, Takami...» tentai di farla ragionare.
 
Non mi hanno preso in giro! È tutto...tutto così schifosamente vero!
È che non voglio usare i miei poteri per uccidere! Ci si sta tanto male, e io non voglio stare ancora male!
 
...povera cucciola.
Era tutto quel che riuscivo a pensare vedendola così disperatamente convinta.
Insomma: era chiaro a tutti che non potessero esistere esper in grado di criccare qualcuno senza l’ausilio di un oggetto o una condizione. Nel suo caso, visto che era un’elettrocinetica, magari le serviva un conduttore...che ne sapevo, un po’ d’acqua ai piedi del poveraccio da spedire negli inferi.
E invece Vox e la sua banda si aspettavano davvero di avere a che fare con una specie di semidio.
Un semidio a cui io dovevo tirare fuori i poteri; che mi guardava con la faccia impomatata e le lacrime già pronte agli angoli degli occhi.
 
È sicuro: il dio delle situazioni di merda mi ama. Altrimenti come potrei, io, comune mortale, trovarmi in questi casini senza manco muovere un dito?

 

   
 
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