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Autore: ericapenelope    15/10/2012    1 recensioni
[GDR Trama inventata.]
La storia viene ripresa da un *gioco di ruolo* su Hunger Games. Parla di più personaggi inventati da altri player che si ritrovano nell'Arena, ma non solo. Sono legati da qualcosa o qualcuno. E' un proseguimento diverso da come è andata davvero. E' il *mio* proseguimento di una storia che parla di combattimenti e di sentimenti non detti. E' tutto un gioco, d'altronde, no? Buona lettura.
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Lotta Contro il Tempo




- martedì, ore 3.45 am. Casa Adams.

Ambrosia doveva convincere un paio di persone, prima di raggiungere Capitol City. Il suo piano non sarebbe andato in porto, se non avesse messo prima le mani su una questione che riguardava un certo zio acquisito Bones. Conosceva solo lui, in quel settore. Solo lui e un certo Bartholomeus Watson, ma a quest'ultimo non avrebbe osato chiedere. Non era così in confidenza con lui. Non era niente al suo cospetto, in realtà.
Il loro piano era spoglio, privo di qualsiasi elemento. Prima di partire, avrebbero dovuto lavorarci sopra. Non c'era tempo, Watson continuava a ricordarglielo, ma la Adams sembrava indifferente alle sue lamentele.
«Watson, smettila di frignare. Altrimenti lascio la tua dolce metà morire come un cane», disse. «E non mi dispiacerebbe affatto». Era vero. Ad Ambrosia non dispiaceva la morte di qualcuno. Che fossero conoscenti o estranei, l'unica cosa di cui le importava era seguire attentamente il loro tragico decesso via telematica. Studiava attentamente ogni particolare. Voleva condividere solo con se stessa quella rilevante battaglia all'ultimo sangue, dove sicuramente vi era la possibilità di osservare sangue, omicidio, decapitazione, massacro, violenza, eccidio, ecatombe, sterminio, ossa rotte, cervelli divorati e annientati. Dove era possibile osservare la vittoria di uno e la fine dell'altro.
Allora perché stava aiutando quel bamboccio? Perché voleva raggiungere l'Arena? Perché stava rovistando tra le scartoffie di Bones, nel suo ufficio, segretamente chiuso a chiave, ma non così segretamente come pensava lui? Perché aveva rotto l'osso del collo alle guardie di casa propria, perché aveva insonorizzato l'intera stanza con un dispositivo a raggi infrarossi, di cui non sapeva nemmeno come potesse essere a conoscenza della password? Anzi no, si ricordava bene come era riuscita a fregarla allo zio.
Ambrosia sta sempre zitta. Ambrosia si allena sempre. Ambrosia non parla mai. Di conseguenza Ambrosia non sente, non osserva, non perlustra la casa.
Ambrosia non faceva altro che allenarsi, durante il giorno. E in quelle poche ore notturne, quando seguitavano le lamentele di Gloria per il sonno poco goduto dalla figlia, Ambrosia passeggiava. Amava passeggiare. E amava osservare, guardare, studiare, vedere. Amava toccare, sfiorare, annusare, infischiarsi delle cose private. Ecco com'era riuscita ad ottenere sia chiave che password: sbirciando lo zio, mentre richiudeva la porta dell'ufficio e sistemare la chiave attraverso un pannello nella parete. Sbirciando il codice su una tastiera programmata ad ologramma. Sbirciando e memorizzando quelle nozioni che non se ne sarebbero andate via mai, poiché la testa di Ambrosia era tutto un numero e un codice. Poiché era tutta una questione di memoria fotografica.
Ed ora si trovavano entrambi in piedi, davanti la scrivania dello zio, a studiare mappe e sotterfugi per arrivare al nascondiglio dell'Arena. Era quella la parte più difficile e complessa. Nessuno, prima di loro, era riuscito a scovare l'Arena. Nessuno, prima di loro, ci aveva mai pensato. Nessuno, prima di loro, era arrivato a credere una cosa simile. Il Grande Fratello di Panem aveva messo alle strette tutti i Distretti, probabilmente stavano ascoltando le loro conversazioni, poiché Thomas era un amico – se amico si poteva definire qualcuno che si amava – della dolce Lilian Sole St. James.
Ambrosia si stava macchiando di una colpa che avrebbe fatto volentieri a meno di avere, ma d'altronde lei era nata per combattere e vincere e morire. Era nata per il pericolo, il rischio, il potere e la violenza. Era nata per mettersi alla prova, perché lei era la migliore. Era la più bella, la più brava, la più.
«Dovremmo metterci in contatto con tuo nonno, Watson», proferì Ambrosia, guardando attentamente la mappa più recente di Capitol City.
«Mio nonno non ne vorrà sapere, Adams. Mio nonno mi farà fuori se gli dico quello che vogliamo fare».
«Che vuoi fare. Io ti sto solo dando una mano per entrare. Non m'interessa mettere piede in un'Arena già vuota».
«Cambierai idea», continuò lui.
«Non cambio mai idea», finì lei.
Ma neanche il quel caso, poteva sapere che l'avrebbe cambiata eccome l'idea. Neanche in quel caso, s'immaginava un coinvolgimento che andava ben oltre la sua malattia, il suo disturbo psicotico. Neanche in quel caso, Ambrosia, poteva davvero conoscere l'amore per la caccia e per l'assassinio. Non lo faceva per Thomas. Non lo faceva per Lilian. Lo stava facendo esclusivamente per se stessa. Voleva mettersi al centro dell'attenzione, ma ancora non lo sapeva.
«Adams, sapevi che tuo zio era uno Stratega?»
Ambrosia rimase impassibile. Scaraventò lo sguardo dorato verso il compagno, prima di strappargli dalle mani quello che lui aveva trovato. Lesse attentamente l'intero plico, mettendoci circa una quindicina di minuti, senza interrompere il contatto visivo con le parole scritte. Solo dopo aver riposto i fogli sulla scrivania, alzò lo sguardo verso Thomas.
«Ora lo so», disse lei. «E ho anche un piano».

 

- martedì, ore 5.55 am. Stazione, Distretto 2.

Ambrosia poteva sentire la puzza di zolfo che usciva dal vagone bagagli. Lei e Thomas erano incastrati, l'uno contro l'altra, per il poco spazio che vi era. Nessuno dei due era in imbarazzo per il contatto fisico, troppo fisico, forse perché erano abituati a maneggiare il corpo dell'altro come se fosse il proprio. Ambrosia conosceva tutti i muscoli, più forti e più deboli, del ragazzo. Conosceva le nervature delle vene, i tendini. Conosceva il respiro affannoso e quello più mite. Conosceva il suo sguardo. Sapeva tutto di Thomas Watson. E così Thomas sapeva quasi tutto di Ambrosia Julia Adams. L'unica cosa che forse ignorava, era quel fantomatico cervello che qualcuno le aveva donato. Se fosse un dono o una maledizione, questo, non poteva capirlo e non l'avrebbe mai saputo.
Ambrosia era riuscita a truccarsi e a sistemarsi addosso un vestito sgargiante, per evitare di essere confusa per una povera civile di un qualsiasi Distretto. Thomas aveva un'uniforme d'autista addosso. Un comune servo dei più ricchi.
Erano uno contro l'altra, i loro occhi andavano nelle direzioni opposte. Non s'incontravano mai e nessuno osava proferir parola. Sentivano una strana sensazione addosso; probabilmente qualcuno li stava già cercando. Probabilmente qualcuno era già sullo loro tracce.


 

***


 

Ambrosia aveva avuto un colpo di genio. Si era infilata nell'auto lussuosa dello zio e, conoscendo gli ingranaggi e gli aggeggi tecnologici che li avrebbero spediti in stazione, avrebbe saputo proporre a Thomas qualcosa di rischioso, ma troppo eccitante per due ragazzini. L'auto possedeva una mappa virtuale che segnava i chilometri percorsi, la distanza da percorrere e molto altro. Thomas si era messo al posto di guida, mentre la mora ebbe la brutta consapevolezza di dover rimanere nel portabagagli. Una volta addormentato l'autista, Thomas non ebbe difficoltà con l'accensione dell'autovettura. Fu fortunato: era fornita dei confort che molte auto non avevano ancora. Il ragazzo aveva imparato a guidare tempo addietro, un po' grazie a suo nonno, un po' grazie a Keener. Un Tributo che si rispetti doveva saper guidare un'autovettura, un elicottero e un motoscafo. Era una cosa fondamentale, soprattutto per i Favoriti.
Così si erano ritrovati a viaggiare alle sei del mattino, uno al posto di guida e l'altra nascosta tra i bagagli di Mr. Bones. Si erano riforniti di armi, ma in modo intelligente. Nessun'arma pesante, ma coltelli leggeri e affilati. Possibilmente facili da nascondere, ma altrettanto facili da essere trovati.
Lo zio non si era accorto di nulla, almeno, così pensavano i due ragazzi. D'altra parte Bones non aveva dato segno di alcun sospetto, nemmeno quando Thomas posteggiò la vettura dinanzi la stazione. Nemmeno quando aprì prima il portabagagli per far fuoriuscire Ambrosia e le rispettive valigie o quando aprì la portiera al suddetto. Gli diede persino una mancia per la guida veloce, ma pacata.
Come faceva una guida ad essere veloce, ma pacata?
Non si sapeva, ma dopotutto si ritrovarono in incognito alla stazione del Distretto 2. Questo bastava.


 

***

 

Prima di dire qualunque cosa, Thomas sfiorò il volto di Ambrosia con il naso. Erano stretti, troppo vicini. Si sentiva quasi in colpa per Lilian, sebbene i suoi pensieri non erano maliziosi. Non era omosessuale: i suoi viaggi mentali sul corpo che ora gli stava appiccicato, li aveva fatti. Eccome se li aveva fatti. Ma non erano compatibili con la persona che Ambrosia era. Non erano compatibili per una mente malsana come la sua.
La ragazza si accorse dello sguardo troppo insistente per i suoi gusti, alzò un sopracciglio e si mise a sorridere. Anzi no, a ghignare di gusto.
«Mi dispiace Watson. Agli occhi degli altri sarò una pazza squilibrata, una lesbica sadica o una vanesia del cazzo. Tutto quello che dite io lo ascolto, sai? Ma non sono una puttana. Quel bacio che stai pensando di darmi con quelle viscide labbra, risparmiatelo per la tua bella. Non vendicarti senza sapere il vero motivo del suo tradimento», disse.
Thomas rimase di stucco. Non stava affatto pensando a darle un bacio, ma probabilmente Ambrosia aveva pensato diversamente, forse per lo sguardo troppo intenso verso le carnose labbra della fanciulla, o forse per il continuo strusciarsi di pelle e tessuto. In realtà si stava immaginando quelle labbra su un volto diverso, sul volto di Lilian, ma non le disse nulla. Il suo ragionamento, dopo tutto, gli era piaciuto.
«Hai ragione, Adams. Non sei affatto una puttana», enunciò lui. Lo pensava davvero. Fin da quando la conosceva, non aveva mai mostrato segno di esserlo. Non aveva mai mostrato niente di niente, se non una bramosia particolare per il combattimento. Non c'era niente di sexy o di provocante nei suoi atteggiamenti; almeno così lei pensava di muoversi. Era bellissima e lei lo sapeva bene, ma il suo inconscio era particolare, privo di egocentrismo. Non nelle situazioni da lei non volute e fissate. E Ambrosia sapeva bene come studiare il tempo di protagonismo.

 

 

***

 

 

I due ragazzi si ritrovarono da soli in una stazione troppo grande.
«Non sapevo che al Distretto ci fosse una stazione così grande», enunciò Thomas.
D'altronde il Distretto Due era grande, ma non immenso come lo era il Distretto Uno. Non poteva immaginare di aver trascurato un dettaglio così essenziale, soprattutto perché a Geografia l'insegnante non aveva mai parlato di una stazione che portava direttamente a Capitol City. In effetti, l'enorme struttura spiegava un sacco di cose. Ecco come i Tributi di ogni Edizione arrivavano a Capitol City. Ecco come gli Strateghi e i Pacificatori arrivavano, quando non usavano i dirigibili. Ecco come i rifornimenti di cibo e di materiale veniva trasportato nei vari Distretti. Ed ecco perché la quantità della merce diminuiva a mano a mano che il treno viaggiava attraverso tutti e Dodici. Il primo Distretto era quello più ricco, più lussuoso, a cui spettava più materiale, più cibo, più denaro. A seguire vi era il Distretto Due, quello di Ambrosia e Thomas, il re delle cave e delle pietre preziose. Il numero Tre e Quarto, padroni della Tecnologia e della Pesca. Il Cinque, il Sei e il Sette, dominatori di Elettricità, Medicina e Legname. L'Ottavo, il Nono, il Decimo e l'Undicesimo, i cui simboli spiccavano per Industrie Tessili, Grano, Bestiame e Agricoltura erano quelli più popolati. Infine vi era il Distretto Dodici, il più piccolo e il più povero, re delle miniere, laddove il pericolo era una questione quotidiana. Un tempo ci fu persino un Distretto Tredici, padrone dell'Energia Nucleare, ricco di produzione di armi nucleari. Fu bombardato e soppresso dalla Capitale in seguito ad un tentativo rivoluzionario.
Ora si capivano tante cose.
Ambrosia prese il braccio di Thomas, trascinandolo dietro ad un cassonetto dell'immondizia. C'era gente che andava e veniva. Persone di Capitol City, con assurdi vestiti, li sorpassavano senza vederli. Li sfioravano senza farci caso. Thomas doveva dire grazie al suo travestimento d'autista, mentre Ambrosia al suo travestimento colorato ed estroso.
«Adesso che siamo qui, ascoltami bene», incominciò Ambrosia. «Non abbiamo il denaro a sufficienza per comprare due biglietti fino a Capitol City e sicuramente ci chiederanno d'identificarci», continuò. «Ma Bones mi raccontava sempre di un vagone particolare, usato esclusivamente per il trasporto di vetture e di bagagli. Dev'essere infondo al treno, oppure al primo piano», perché quei treni ad alta velocità potevano essere di più settori, persino di più piani. «Ad ogni modo dobbiamo arrivarci senza dare nell'occhio. Potrebbero vederci, ma se tutto va secondo i miei piani, non si accorgeranno di niente».
Ambrosia guardava attentamente Thomas, interrompendo il contatto visivo in precisi momenti. In quei brevi periodi, fissava un orologio appeso all'arcata che dava all'entrata della stazione, cercando di rimanere lucida e ricordarsi l'orario di partenza. C'era solo una partenza al giorno per Capitol City, per cui dovevano sbrigarsi.
Ambrosia spiegò il piano a Thomas e quando fu il momento, lo misero in atto.


 

***


 

«Ci metteremo circa metà giornata a raggiungere la stazione di Capitol City, dopodiché dobbiamo stare attenti a non perdere di vista Bones. E' lui la nostra chiave d'accesso», spiegò Ambrosia.
«Tuo zio ci farà arrestare se scopre quello che abbiamo fatto», proferì demoralizzato Thomas.
«Lo so», rispose lei. «Ma dobbiamo rischiare. Bones mi ha allenata duramente per uno scopo e, sebbene sia un Favorito Vincitore, è vecchio e non si allena tutti i giorni. Almeno non più di quanto mi alleno io. Se avrà da ridire, non avrò problemi a sistemarlo».
Thomas seguiva attentamente il discorso di Ambrosia e dovette ammettere che non faceva una piega con la morale del suo carattere. Ambrosia si era sempre fidata ciecamente del proprio istinto, non aveva mai permesso a nessuno di interferire con le sue scelte. Erano lì grazie a lei, non per qualcun altro. Ancora stentava a credere che potesse essere frutto della sua testa e, Thomas dal canto suo, cercava di non farla innervosire troppo. Il ragazzo era a conoscenza, ormai, dell'indole aggressiva e permalosa di Ambrosia, per questo cercava di non scatenare il suo lato assassino. Avrebbe potuto risentirne più lui di chiunque altro a quella breve distanza.
«Senti Adams...»
«Mh?», domandò di rimando lei.
«Semmai usciremo vivi da qui, ricordami di ringraziarti».
Thomas sorrise, quasi imbarazzato. Sapeva bene che le probabilità della riuscita del piano erano più uniche che rare, ma non riuscì a trattenersi. Infondo era buono, Thomas. Un po' come quei lecca-lecca alla fragola, duri fuori e morbidi dentro.
«Odio i ringraziamenti. E non lo faccio né per te né per la tua bella. Volevo solo un po' di movimento. Mi annoiavo». Invece per Ambrosia non c'era nessun lecca-lecca alla fragola, nessun succo al suo interno, buono, morbido e saporito. Era tutto un misto di ghiaccio e acciaio. Era tutto un misto di peccato e di reale isolamento.
Thomas rimase in silenzio, prima di constatare la puzza di zolfo che stava aumentando a mano a mano che il treno prendeva velocità. Ambrosia, invece, se ne stava con lo sguardo fisso verso un qualcosa di ignoto, respirando senza quasi sollevare il petto e digrignando i denti. Thomas poteva notarlo dalla mandibola che si muoveva a ritmi irregolari. Lei era nervosa, ma probabilmente non l'avrebbe mai ammesso.
Ambrosia si voltò di scatto, beccando Thomas a fissarla con quegli occhi azzurri e buoni. Sogghignò, prima di sollevarsi da quella posizione.
«Watson, Watson...», dovette strisciare quasi addosso al ragazzo, cercando di rimanere in equilibrio in quel piccolo e basso spazio. «I tuoi occhietti non ti porteranno da nessuna parte. Devi cercare di essere più cattivo».
«Io sono cattivo».
«Tu sei un ragazzo innamorato che sta cercando di salvare la sua bella», disse Ambrosia. «Più che cattivo, sembri un'idiota pazzo d'amore».
Thomas si sentì preso in giro. D'un tratto il sangue gli ribollì dentro, il cuore incominciò a battere selvaggiamente contro il petto e la fronte si corrugò.
«Cosa ne sai tu dell'amore, Adams? Non fai altro che ammirare la tua figura davanti a qualsiasi specchio. Tu non conosci l'amore. Non sai cosa si prova. Non sai quanto potresti essere cattivo, quando ami».
Thomas fece il suo stesso movimento: si sollevò, strusciandosi contro di lei. Naso contro naso. Occhi contro occhi. Oro contro ghiaccio. Petto contro petto. Cuore contro cuore.
Ambrosia rimase in silenzio, immobile e grave in volto. Si passò la lingua sul labbro superiore, prima di sfiorare il petto di lui con l'indice destro. Poi inclinò la bocca in un ghigno meschino. Quel genere di ghigni che si sognano la notte, lasciando l'amaro in bocca una volta svegli.
«E' di questo che parlavo».
Dopodiché il treno si fermò all'improvviso. Entrambi i ragazzi si domandarono perché. Entrambi i ragazzi si guardarono scettici, negli occhi, per poi constatare una cosa sola. Erano stati scoperti.

 

 

***

 


In realtà le armi di una donna sono molteplici. Una di queste è quella di ancheggiare animatamente. Questo genere di armi le possiedono anche a Capitol City. Soprattutto, a Capitol City.
Ambrosia non aveva mai dimostrato di essere seducente in quel senso, ma Thomas constatò che la ragazza non se la cavava affatto male. Anzi, sembrava addirittura perfetta per quell'ambito. E gli uomini, decisamente, le stavano dietro. All'inizio non pensava che Ambrosia sarebbe ricorsa a un piano così infimo e normale, ma dopotutto non si stupì affatto quando si mise a rifletterci meglio.
Ambrosia Julia Adams non era famosa solo per la sua malattia. Certo, si parlava di lei soprattutto per quel carattere affine alla violenza, di quella famiglia animata solo dal successo e dal potere, ma non erano poche le volte che molti ragazzi, uomini e compagni di banco facevano battutine sulla figura femminea che ora ancheggiava animatamente nell'amplesso della Stazione.
«Per rimanere invisibili, dobbiamo fare la cosa opposta», aveva detto Ambrosia.
«E cioè renderci visibili?»
«Il più possibile».
Per questo la Adams aveva scelto di sfruttare quel corpo scolpito da duri allenamenti e creato da madre natura. Aveva deciso di sacrificarsi e rendersi visibile a chiunque. Nessuno l'avrebbe riconosciuta con la parrucca multicolor e i tacchi vertiginosi. Non sapeva come, ma ancheggiare facilitava il passo troppo elevato e veloce.
«Salve signorina», pronunciò l'addetto alla rivendita di biglietti. «Come posso esserle utile?»
Ambrosia cercò di pensare a come presentare quell'immagine fasulla e provvisoria che aveva creato. Non era mai stata brava ad improvvisare, non al di fuori della lotta. Come si comportavano le altre donne nella vita comune? Come si esprimevano, come guardavano?
Pensò a sua madre, quella donna intrattabile ma frivola. Soprattutto frivola. Gloria l'aveva sempre cresciuta tra palestre e banchi di scuola. Tra tattiche di combattimento e carabine pronte all'uso. Tuttavia Ambrosia non conosceva sua madre solo per la sua minuziosa volontà di renderla una macchina da guerra. Gloria era soprattutto una donna e in quanto tale amava esibire i suoi abiti firmati, le sue sfarzose acconciature e i gioielli che suo padre gli portava direttamente dall'orefice. In un nano secondo riuscì a ricordare l'atteggiamento civettuolo delle conversazioni con le amiche del tè delle cinque, quando Ambrosia passava da un corridoio all'altro. In un nano secondo riuscì a ricordare il portamento delle mani, della schiena e delle gambe, quando arrivava a portarle gli asciugamani puliti. In un nano secondo riuscì a carpire quel timbro di voce che risultava quasi fastidioso, tra urli e intonazioni strettamente acute.
In un nano secondo, Ambrosia divenne Gloria.
«Salve», disse Ambrosia sorridendo beata. «Sto cercando il binario per Capitol City. Me lo potrebbe indicare?» Le persone a lei vicino potevano sentire i suoi piccoli sussulti ogni sillaba pronunciata.
«Certo» rispose alquanto scettico il funzionario addetto, controllando su un monitor davanti a sé. «E' il terzo. Comunque se solleva la testa, c'è un tabellone telematico che suggerisce tutte le informazioni che le servono», spiegò il funzionario indicando con la mancina lo schermo troppo gigante per non essere visto dietro la ragazza.
«Oh», disse Ambrosia. «Che sbadata!»
Di rimando sollevò la nuca, senza voltarsi, mostrando il seno prosperoso schiacciato dal vestito troppo attillato. Casuale o causale.
Il funzionario di nome Henry fece cadere l'occhio su quel ben di Dio, prima di far passare la lingua sul labbro inferiore.
Stava andando tutto secondo i piani. Ed ora sarebbe dovuto toccare a Thomas.
Dieci secondi dopo, il ragazzo arrivò. Stava camminando velocemente, come se avesse fretta. Come se stesse per perdere il treno.
«Charlotte, insomma!», sbottò Thomas verso Ambrosia.
«Oh, no. Cosa ci fai qui Viktor?», replicò Ambrosia guardandolo da sotto gli occhiali scuri.
«Cosa ci faccio qui?! Sono venuto a riportarti a casa, ecco cosa ci faccio qui!».
Ambrosia sollevò il sopracciglio sinistro, indispettita e per niente appariscente al vecchio funzionario Henry. Un segno morsi. Thomas capì il segnale e fece per afferrare il polso di Ambrosia con una stretta decisa, tanto da farle male sul serio.
«Lasciami Viktor! Lasciami! Lei, faccia qualcosa avanti. Me lo levi di dosso!», supplicò Ambrosia verso Henry, il quale stava guardando la scena allibito. Riteneva tutto quello spettacolo senza senso, ma il povero vecchio non avrebbe potuto mai lasciare una donna succube del marito, amante o chicchesia. Così Henry scese dalla sua postazione, spalancò la porta della cabina e si protese verso Thomas, cercando prima gentilmente e solo più tardi animatamente, di staccarlo da Ambrosia – o Charlotte.
«La smetta, signore o dovrò chiamare i rinforzi!»
Henry cercò di afferrare i polsi di Thomas, evitando la presa ferma verso Ambrosia. Quest'ultima, onde evitare sguardi indiscreti, si diresse più vicino alla cabina. Sbirciò all'interno, cercando il macchinario giusto. Vi erano due grossi scatoloni in metallo: uno era composto da uno schermo scuro, l'altro da una fuoriuscita con alcuni fogli di carta. Probabilmente era quello che si occupava della stampa. Sbirciò ancora una volta Thomas e il funzionario litigare. Sperò con tutta se stessa che il ragazzo riuscisse a trattenerlo ancora per un po', inventandosi qualsiasi cosa. Con lo sguardo intravide finalmente quello che stava cercando, infilò la mano destra coperta da un guanto di velluto all'interno della cabina e premette più forte che poté.
Ad un tratto il segnale di intrusione e di emergenza, incominciò a rimbombare dagli auto-parlanti della stazione. Thomas guardò Ambrosia e in un nano secondo, il caos s'impadronì del luogo.

 

 

***

 

- martedì, 09.54 am, Capitol City.

«Credi che ci abbiano scoperto?» chiese Thomas respirando a fatica.
«Non lo so. Stai zitto». Quello di Ambrosia era un ordine e avrebbe fatto in modo di farlo rispettare. Il treno si era fermato, ma non avevano idea del perché. Erano già arrivati? Li avevano scoperti?
Certo, d'altronde era stato troppo strano ed avvincente il fatto di non essere stati scoperti alla stazione del Distretto 2. Dopo che avevano inscenato quella ridicola storiella, si erano dileguati al binario tre. Erano saliti sul vagone più vicino e si erano nascosti nella carrozza bagagli. Fino ad allora, erano passate solo tre ore e mezza. Avevano aspettato con calma che il caos si dileguasse. Le guardie ci misero poco e niente a scoprire che era tutto un falso allarme, punendo Herny per la sua ardua negligenza. Dopodiché il treno era partito, lasciando Thomas ed Ambrosia appiccicati l'uno contro l'altra per due ore e poco più. Avevano un bisogno di fare pipì e una fame da lupi, ma l'adrenalina tratteneva tutto questo.
Ambrosia cercò disperatamente di arrivare allo spioncino della porta. Dovette muoversi come un serpente per raggiungerlo, fino a quando non incontrò una luce accecante. Digrignò i denti e aggrottò le sopracciglia.
«Cosa vedi?» chiese Thomas.
«Non ne sono sicura», rispose Ambrosia. «C'è un bagliore fastidioso». Ambrosia si sollevò di nuovo, strofinandosi le palpebre come a scacciare l'enorme fastidio.
Una volta ripresa la vista guardò Thomas. Ormai non poteva più nascondere la preoccupazione. Gliela si leggeva in viso. Thomas le posò la mancina sul braccio opposto, come a rincuorarla di qualcosa. Probabilmente era il minimo che potesse fare, sebbene Ambrosia non fosse la persona più incline ad accettare affetto da qualcun altro.
Lui decise di fare il primo passo. Abbassò il maniglione della porta e la spalancò, mostrando ai loro occhi la grande e maestosa stazione di Capitol City.
Vi era fumo ovunque. La puzza di zolfo era mescolata a qualsiasi aroma esistente della Terra. Non vi era nient'altro che la stazione. La gente. I colori. Tutti erano di fretta, tutti stavano scendendo dai rispettivi vagoni e chiunque si stava chiedendo che ora fosse.
Ambrosia e Thomas scesero dal vagone bagagli, uno dopo l'altro e non fecero in tempo a sgranchirsi i muscoli che presero a correre il più veloce possibile.
Forse gli abitanti di Capitol City fecero caso a due individui che presero a correre all'impazzata. Forse fecero caso alle parrucche che venivano strappate dalle loro nuche con fervore e alle scarpe lasciate distrutte a pochi passi, ma quello che non seppero mai è che si trattava di due persone disposte a tutto pur di raggiungere il loro scopo.

 

- martedì, ore 12.45 pm. Arena.

Come erano riusciti a raggiungere l'Arena, ancora non lo sapevano. Avevano fatto scattare diversi allarmi e si erano imbattuti in diversi Pacificatori. Non sapevano nemmeno come erano riusciti ad ucciderli, uno dopo l'altro, senza provare rimorso o pentimento, senza fermarsi un secondo a riflettere. Erano stati degli assassini senza cuore, dimostrando quello per cui avevano lavorato tanto. Erano dei Favoriti e le loro uccisioni erano state il frutto di tanti sacrifici. Ambrosia si sentiva riempita e soddisfatta, Thomas stupefatto e incredulo.
Avevano raggiunto la stazione degli Strateghi sorpassando le guardie e l'intera Capitol City. Due ragazzini contro il governo. Avevano fatto scattare la bomba più grande che vi era mai stata. La guerra contro due ragazzini era iniziata. Avevano le ore contate e presto sarebbero morti. Morti e distrutti come il resto dei Tributi di quell'edizione, di quelle passate e di quelle future. Sarebbero morti, questo era poco ma sicuro.
Thomas ed Ambrosia avevano percorso la base operativa degli Strateghi, uccidendo o mettendo fuori gioco quelli che ne governavano l'Arena. Ambrosia si era messa a studiare in meno di due minuti l'accesso a quell'area proibita. Thomas aveva preso i caricatori delle armi che avevano rubato ai Pacificatori morti.
Avevano corso fino ai tubi che li avrebbero condotti all'interno dell'Arena. Avevano schiacciato il pulsante e si erano ritrovati catapultati in un'area deserta e colma di vegetazione. Avevano avuto due minuti per capire in che parte dell'Arena si trovassero, avevano contato i secondi con la paura che ogni minuto passato fosse l'ultimo delle loro vite. Avevano incominciato a correre verso Est, ricordandosi della mappa tracciata sullo schermo e dei volti di Lilian e Axel e Ophelia e Leon ancora in vita. Thomas non aveva reagito nel guardare Lilian. Non aveva mostrato debolezze o cedimenti ed Ambrosia sperava non crollasse da un momento all'altro. Avevano corso per non si sa quante miglia, fino a riconoscere le figure di Leon e Ophelia, una più aggressiva dell'altra. Una più spietata dell'altra. Li avevano seguiti in modo silenzioso fino alla grotta di Lilian ed Axel.
I minuti passavano, presto avrebbero inviato l'allarme di intrusione e avrebbero mandato qualcuno ad uccidere gli estranei. Era questione di momenti.
Avevano guardato Leon morire, ucciso da Ophelia e Thomas spianò la fronte in modo confuso quando intravide il corpo di Axel steso in terra.
«Siamo rimaste in due».
Era Ophelia a parlare, Thomas la sentiva.
«Sei morta St. James»
Ad ogni frase Thomas lo sapeva eccome. Ambrosia si mosse, lui la seguì.
«Mia».
Non fece in tempo a dirlo che Ambrosia scaraventò un pugnale in sua direzione. La mancò, ma forse era proprio questo il suo intento. Faccia a faccia. La stava avvertendo.
E poi Thomas entrò in scena, avanzò di qualche passo e cercò di mostrarsi calmo, quando invece dentro stava scoppiando.
«Veramente, puttana, lei non è di nessuno. Figuriamoci. Tua», disse Thomas.
Ascoltò la bionda biascicare qualcosa. Ascoltò la voce di Lilian pronunciare il suo cognome. Il suo nome.

 

 

- presente: martedì, ore 14.37 pm. Arena.


Incontra il suo sguardo e, finalmente, riesce a guardarla negli occhi e solo negli occhi dirle quanto amore prova per lei.
«Sono venuto a riprenderti, St. James», proferisce. Poi si corregge: «Lilian».
In un istante un suono acuto ed assordante invade l'intera grotta. Il terreno incomincia a tremare sotto i piedi.
Thomas guarda Lilian. Lilian guarda Thomas. Ma è Ophelia quella che si scaraventa sul ragazzo afferrando il coltello lanciato da Ambrosia. Colpisce carne e tessuto. Carne e tessuto appartenente ad Ambrosia Julia Adams.

   
 
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