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Autore: whitevelyn    16/10/2012    1 recensioni
Perchè la vita, quando stai per morire, non è vero che ti lascia tutta d'un colpo.
La vita, quando stai per morire, si spegne un ricordo per volta.
E hai tutto il tempo di capire quel che stai lasciando.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
Capitoli:
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Yesterday, Beatles.



E' sempre stato strano l'effetto che mi facevano i tuoi occhi, Mathias.
Non riuscivo mai a vederci dentro quello che pensavi, mai fino infondo. Cercavo invano di coglierci scorci del tuo passato, prima che ti trasferissi al numero 305 di Saint Pulaski Road. Cercavo qualche indizio che m'aiutasse a districare quell'ammasso di fili ingarbugliati che erano le strade che ti avevano condotto fino a Chicago, proprio qui, nell'Illinois, con la finestra della tua stanza parallela alla mia, dall'altra parte della strada.
Quelle strade invece restavano per me, solo incroci dispersi nell'ignoto, come shangai sparpagliati su un tavolo, mentre mi perdevo a fissare la cartina geografica appesa affianco alla lavagna.

La signorina Fitzgerald è la mia insegnante preferita. Durante le sue lezioni ci fa spostare i banchi ai lati dell'aula, finchè non si crea al centro uno spazio abbastanza ampio da poterci sistemare tutti quanti a terra, seduti in cerchio. Lei dice che stare in cerchio aiuta le persone a comunicare, perchè ci si sente tutti allo stesso livello, nessuno occupa una posizione di preponderanza rispetto agli altri, e tutti riescono a guardarsi negli occhi.
Tutti, tranne Mathias Evangelista. Lui non guarda mai negli occhi nessuno, neppure la signorina Fitzgerald.
Mathias guarda attraverso, come se le persone fossero tutte fatte col vetro, come se fossimo tutti uguali a quei monili di cristallo che si vendono nelle gioiellerie.
La signorina Fitzgerald e gli altri insegnanti dicono che dobbiamo essere comprensivi e pazienti con lui, che dobbiamo aiutarlo ad inserirsi nel gruppo, perchè non è facile socializzare per lui che è straniero e non conosce ancora bene la lingua. Mathias è nato a Praga e si è trasferito negli Stati Uniti d'America soltanto cinque mesi fa ed anche se tutti pensano che sia questo il motivo del suo evidente isolamento, io sento che c'è qualcos'altro che lo riguarda e che spinge le maestre a trattarlo con tutto quel riguardo. Come per Olivia. E' la stessa cosa.
Nessuna maestra la chiama più interrogata alla lavagna, dopo che le foto dell'arresto del padre son state spiattellate su tutte le prime pagine durante le vacanze estive. Io non riesco più a guardarla in faccia senza che mi si accartoccino le budella nella pancia. Lei continua a sedere sempre nei primi banchi ed ascolta le lezioni con apparente attenzione, mentre fa sbattere il piede sinistro, incrociato al destro, contro la gamba della sedia, seguendo un ritmo frenetico che mi fa impazzire e schizzare il cervello fuori dalle orecchie.
Mathias non è come lei. Mathias si muove lentamente, con calma quasi calcolata, in una gestualità cadenzata che quando mi perdo ad osservarlo mi fa diventare pesanti le palpebre. Mathias sembra agire secondo traiettorie invisibili che vede lui solamente, come quando tira fuori i libri dallo zaino Invicta a righe bianche e rosse e li dispone con perizia geometrica sul piano del banco, come quando si alza in piedi e cammina fino al cestino per temperare i pastelli finchè non hanno tutti quanti la punta della stessa lunghezza, come quando dal porticato di casa lo spio ripulire e riordinare la voliera che la sua famiglia ha sistemato in giardino e lui è così assorto nel suo altrove, alienato da tutto e tutti, a pochissimi metri da me e col pensiero che fugge via, troppo veloce per afferrarlo, troppo veloce per me.
Mathias non ha fatto passi in avanti da quando è iniziato l'anno scolastico, il terzo per me qui al Sant'Anna Junior Institute.
Siamo a marzo ormai e i nostri compagni di classe non tentano neppure più di coinvolgerlo nei loro giochi irruenti durante la ricreazione.
Quel deficiente di Levi Navarro ha cominciato a chiamarlo Ritardato. A Mathias è come se non importasse, come se non lo sentisse, o forse è solo che non ha ancora imparato che cosa significa Ritardato nella nostra lingua. Ed io vorrei arrabbiarmi al posto suo, prendere quel deficiente di Navarro per il colletto del grembiule e infilargli la testa sotto lo sciaquone della tazza del water, però non lo faccio per non tornare a casa con una nota di demerito.
Oggi la signorina Fitzgerarld ci ha fatto tirare fuori dall'armadio le tavolozze di legno e i tubetti di colore. Mi piace sentire il suono dei pennelli contro il bordo dei bicchieri pieni d'acqua, mi piacciono tutti quei rumori sottili ed acuti che pizzicano il silenzio come la domenica mattina a casa, quando non devo venire a scuola e mi sveglio più tardi e sento la mamma sciacquare le setole prima d'iniziare un nuovo dipinto. Mi piace fare lezione con la signorina Fitzgerald perchè il suo modo d'insegnarci le cose è intimo ed anticonvenzionale, l'aula si trasforma in una stanza dove possiamo ascoltare musica con flauti e violini di sottofondo, muovendoci spesso liberamente da una parte all'altra, come la melodia suggerisce, e mi piace il modo in cui Mathias si lascia rotolare, come per inerzia, contro le pareti, con le braccia morte lungo il suo corpo magro ed allungato. Vorrei prenderlo per mano e rotolare insieme a lui.
"Bambini oggi vi ho fatto prendere i colori perchè voglio che li utilizziate per esprimere ai vostri compagni l'idea che avete di loro."
"Facile signorina Fitzgerald, io penso che Evangelista sia un ritardato." Sento le vene che corrono lungo i tendini dei polsi, tendersi. Stringo le dita finchè le nocche non si sbiancano. La signorina Fitzgerald fulmina Levi con lo sguardo, mentre le risatine dei suoi due stupidi amichetti evaporano nel nulla.
Levi Navarro, Morgan di Lorenzo e Francisco Rodriguez, i bulletti del Sant'anna che rubano le merendine dalle cartelle dei compagni distratti e alzano le sottane delle femmine. Ma ciucciatemi il calzino.
"Levi, qualsiasi pensiero tu abbia su Mathias puoi tenerlo per te oggi, o finirai dal preside.
Lavorerete a coppie. Sceglierete un colore e lo userete per scrivere sul vostro compagno, o compagna, una parola, quella che preferite, quella che secondo voi meglio lo rappresenta. Poi potrete invertire le parti. Alla fine spiegherete al resto della classe il perchè della vostra parola.
Tutto chiaro bambini? Ci sono domande?"
Nel brusio generale osservo tutti i miei compagni scegliersi e ritagliarsi uno spazio nell'aula per cominciare a svolgere il compito che ci è appena stato assegnato e senza rendermene conto davvero mi trascino in ginocchio fino a Mathias, sentendo gli interstizi tra una mattonella e l'altra sotto il palmo delle mani.
La signorina Fitzgerald si sposta con disinvoltura in mezzo a noi alunni per accertarsi che tutto proceda senza intoppi e a malapena mi accorgo della sua mano che mi accarezza distrattamente la testa, mentre mi passa accanto approvando la mia scelta. Anche se non la guardo so che somiglia ad un elfo, con i capelli lunghi e rossi che le incorniciano il viso lentigginoso ed uno di quei vestiti lunghi fino al pavimento che mi fanno pensare alla zingara che ho visto questa estate al luna park di Halsted Street e che stava dentro ad un tendone giallo e viola a leggere il futuro delle persone nelle carte dei tarocchi.
Papà dice che sono sciocchezze, che il futuro non si può sapere. Quando dice così vorrei chiedergli se mi porta dal dottore, perchè invece qualche volta a me capita di saperlo, ma se lui dice che è impossibile, allora di sicuro ho qualche malattia rara, anche se spero di no e allora resto zitta perchè non voglio dover prendere lo sciroppo amarissimo alle mandorle.

Gli occhi di Mathias da così vicino sono di un colore indescrivibile, di un azzurro metallico che si scurisce intorno alla pupilla, quasi fondendosi col nero.
Totalmente inespressivi. Riflettono solo ciò che gli si para davanti, senza lasciar trapelare neppure uno spiraglio di ciò che si trova all'interno.
Rimango stupefatta difronte alla sconcertante simmetria dei tratti del suo volto così bianco che sembra la mattina si lavi con la candeggina.
C'è qualcosa in lui che mi infastidisce, qualcosa che mi fa venire voglia di guardarlo da ancor più vicino, che mi fa venire voglia di toccarlo, di toccare i suoi vestiti, il suo maglioncino a trecce verde scuro, ed i suoi pantaloni di velluto a costine, i suoi capelli ordinatissimi color miele.
Non eravamo mai stati tanto vicini prima di oggi. Forse solo il giorno della gita alla fattoria dei Campbell, quando mi era caduta la mela sulle assi sporche ed insabbiate della stalla, e lui me l'aveva raccolta, lucidata con la sua solita precisione sfregandola contro un lembo del suo grembiule e riconsegnata più pulita di com'era prima di cadere. Tutto senza dirmi una parola.
Galleggio nel colore dei suoi occhi come una paperella di gomma.
Il rumore dei pennelli che tintinnano come campanelli tutto intorno a noi perde poco a poco sostanza, si fa distante come un eco.
Ed io continuo a galleggiare nell'oceano dei suoi occhi, l'oceano che separa gli Stati Uniti d'America dall'Europa.
Nelle riviste scientifiche su cui scrive papà ci sono un sacco di foto dell'oceano che è talmente profondo che non si può vedere il fondo, ed anche il fondo degli occhi di Mathias è irraggiungibile, sommerso sotto litri d'acqua scura che non lo fa respirare e non mi fa respirare, ora che sto annegando.
Mathias non mi sorride, non sembra pensare a nulla, ma ha capito abbastanza di ciò che ha spiegato la signorina Fitzgerald ed intinge il pennello in una chiazza di colore blu che ha appena spremuto con delicatezza sulla tavolozza. Non perde tempo per riflettere, sembra già sapere perfettamente cosa fare, cosa scrivere su di me.
Sento la vernice fresca sulla fronte, la punta dei suoi polpastrelli che con garbo mi scostano qualche ciocca di capelli dalle guance.
La sua assenza, la sua distanza, non gli impediscono di trasmettermi un senso di sicurezza e pace che mi attanaglia lo stomaco, come se gli appartenessi, o come se lui appartenesse a me. Fissa la parola che ha appena tracciato con la punta del pennello sulla mia fronte come se ne fosse rapito, come se fosse totalmente assorbito nella contemplazione della sua idea di me.
Resta in silenzio mentre la vernice si secca rapidamente sulla mia fronte e la pelle tira leggermente.
Mentre la vernice quasi mi brucia.


Vedo la mamma distinguersi in mezzo alle altre mamme oltre i cancelli magenta del Sant'Anna. In testa porta un cappello esageratamente largo e vistoso che mi fa pensare a quelle attrici bellissime di una volta che recitavano solo nei film in bianco e nero ed infatti non si riesce mai a capire i loro cappelli di che colore siano realmente, ma forse a volte bianchi, a volte neri. Invece quello della mamma è bordeaux come le scarpe col tacco altissimo che porta.
Sorride appena mi vede e come sempre col suo sorriso da principessa delle fiabe mi fa scordare il resto del mondo.
Le corro incontro staccandomi dal fiume di bambini in piena che sta oltrepassando le cancellate, ed affondo il naso nella sua camicetta di raso bianco sbottonata fino a lasciare intravedere il pizzo del reggiseno, verde come le palme di beverly hills, ed inalo con beatitudine il suo profumo orientale che si mescola a quello delle torte fatte in casa. Le altre mamme indossano tailleur professionali o tute comode e sportive, solo due donne, che restano scostate dalla ressa, sembrano più inclini a seguire un gusto personale. Mimì e Odette Evangelista. Le due mamme di Mathias.
La prima sempre in ghingheri, sembra appena venuta fuori da una di quelle sale da ballo parigine dove le signore indossano solo vestiti con le frange e portano i capelli con la frangetta. La seconda, come sempre, smilza e con le spalle curve, non indossa niente che sia di un colore diverso dal bianco o una delle sue gradazioni, come se facesse parte di un coro di chiesa, e tiene la mano all'altra.
Levi Navarro dice che fa così perchè è ritardata e quindi per forza lo è anche Mathias.
Comunque Mathias non assomiglia nè ad una nè all'altra, ed anche se quasi non parla, o di inglese non capisce ancora molto, mi sembra sia più intelligente di entrambe, ed anche di Levi Navarro intanto che ci siamo.
"Uccellino, vi siete pitturati addosso oggi in classe?"
La mamma mi prende il viso tra le mani e mi bacia la punta del naso e la fronte, proprio sulla parola che descrive l'idea che ha Mathias di me.
Sono l'unica a non essere stata descritta con un aggettivo. Gli altri erano belli, simpatici, chiaccheroni, allegri, calmi, buoni, riflessivi.
Io un uccellino scritto col blu.

"Bene Mathias, tesoro tocca a te.
Tesoro? Vuoi spiegare ai tuoi compagni perchè secondo te Stellah è un uccellino?"
Levi Navarro ride sguaiatamente, mentre gli altri tentano di trattenersi. Olivia guarda me e Mathias con attenzione e resta seria e composta, vestita di tutto punto e col cerchietto a tenerle a posto i boccoli dietro le orecchie.
Mathias guarda nel vuoto.
"La sua mamma ed il suo papà la chiamano sempre così. La sua mamma ha i capelli blu, come il colore che ho usato.
A me piacciono gli uccellini."
Penso alla grande voliera nel suo giardino.
Ma poi non riesco più a pensare. Resto rigida mentre mi protendo nella disperata ricerca di uno sguardo che non trovo dentro i suoi occhi.



Non trovavo mai il fondo dentro i tuoi occhi Mathias, i miei piedi non toccavano mai.
Non trovavo tracce del tuo passato, non sapevo niente di te che non sapevi riemergere dall'oceano e mi trascinavi giù, ad annegare insieme a te.
Non percepivo mai il fondo, Mathias, mai la fine.

E' questa la fine Mathias?


ANGOLINO DELL'AUTRICE
Toc toc, c'è nessuno a proseguire nella folle lettura di questa storia che non ho ancora capito da dove mi stia venendo fuori? Anyway, io mi sto divertendo a scriverla e spero che questo divertimento dia i suoi frutti, cioè che anche voi, se ci siete, vi stiate divertendo a leggerla, anche se non è una massa allegra, ahahahaha. Sono mezza influenzata, è tardi, la testa mi scoppia, ho la gola che va a fuoco, quindi, in caso di errori di ortografia o di giri di parole più strambi del solito, chiudete un occhio ve ne prego. Comunque siamo seri, Stellah in questo capitolo è in terza elementare, ha quindi otto anni e spero che dal linguaggio che cambia gradualmente io stia riuscendo a trasmettervi il senso di una crescita e quindi di un' evoluzione anche lessicale. Immagino talvolta sia persino troppo maturo in alcune terminologie, ma mettiamola così, Stellah è una ragazzina sveglia, curiosa, studiosa e con due genitori che la mettono al corrente dei fatti del mondo e della vita, spero che anche questo traspaia. Inoltre come non ho mancato le altre volte di ricordarvi, questo è comunque sempre un flusso di coscienza, in cui di frequente è possibile s'intromettano i pensieri e quindi la voce della ragazza di 21 anni che è lei in realtà, momenti in cui questo è particolarmente evidente e chiaro quando parla al passato (tratti che cerco più che posso di ricordarmi di evidenziare, evitando il corsivo che uso normalmente nei flashback, che costituiscono comunque la traccia principale della storia.) Ok, che altro aggiungere?
All'epoca in cui è ambientato questo capitolo Stellah sapeva ancora pochissime cose su Mathias, che era solo da qualche mese il suo nuovo vicino di casa, ed ho per questo cercato il più possibile di mantenere alcuni aneddoti che lo riguardano avvolti nel mistero, verranno fuori col tempo, man mano che anche Stellah li scoprirà. Traspare comunque il fatto che ci sia qualcosa di strano in lui e nella sua famiglia. Eeeeeh, Mathias ci darà davvero delle gatte da pelare, è proprio un bel soggettino ahahah. Anche lui avrà tutta una sua particolare evoluzione. Vabbè, vado a letto che è ora. Ringrazio chi mi ha recensito, in particolare Eloise che mi aveva anche consigliato un contest. Ho dato un'occhiata ma la scadenza è a fine mese, e non ho proprio la possibilità di finire questa storia in tempo. Siiiigh, sarebbe stato interessante. Grazie lo stesso, sei stata molto carina. <3
Ah, un'ultima cosa: avrei voluto intitolare questo capitolo "Bird" come la parola che Mathias scrive sulla fronte di Stellah, ma ho deciso che ogni titolo deve rispecchiare il più possibile una situazione tipica di un periodo della vita, o comunque un suo tratto distintivo e cercherò di mantenere questo proposito finchè riuscirò.
  
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