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Autore: whitevelyn    22/10/2012    1 recensioni
Perchè la vita, quando stai per morire, non è vero che ti lascia tutta d'un colpo.
La vita, quando stai per morire, si spegne un ricordo per volta.
E hai tutto il tempo di capire quel che stai lasciando.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
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Violin and beat, Yann Tiersen.



Certe volte nella mia mente qualcosa va storto e il nastro si riavvolge, o come altrettanto spesso accade, scatta in avanti d'improvviso, di non saprei dire quanti giorni, ma forse invece solo di pochi minuti, forse addirittura anni. Certe volte passato e futuro fanno il girotondo nella mia testa, che gira così veloce che col frullato di pensieri che ne deriva, invento storie intrise di una fantasia al limite del demenziale, come oggi, diciannove giugno millenovecentonovantasette, per la prova d'italiano.
Forse invece è tutto merito dei film sugli extraterrestri che guardo nelle vecchie videocassette di papà, quelle dove ci sono registrati anche tutti i vecchi spot pubblicitari degli anni Ottanta. O dei poster di David Bowie che la mamma ha appeso nella stanza dei colori, un tipo strano che cambia sempre la tinta dei capelli e col disegno di una saetta che gli scende su un occhio, ma che scrive testi di canzoni molto poetiche che le fanno scintillare gli occhi.
O delle locandine dei film in cui ha recitato Marylin Monroe, che si disegnava quel neo sopra il labbro, e che mamma ogni tanto disegna anche a me, quando giochiamo al salone di bellezza e intanto mi racconta le trame. O dei pomeriggi che dopo scuola ho trascorso in laboratorio con papà, all'acquario di Lincoln Park dove lui lavora, guardando al microscopio tutte quelle cellule piccolissime per le sue difficilissime ricerche. O delle antiche leggende celtiche che mi racconta il nonno ogni anno a Natale e che parlano di mondi nascosti sott'acqua o tra i fiori, in cui vivono esserini fatati, gnomi e folletti che comunicano tra loro in una lingua magica e fanno incantesimi agli esseri umani per farli innamorare o morire. Sta di fatto che ho sempre scritto temi lunghissimi. Gli impulsi che infervorano la mia sconfinata immaginazione sono numerosi e la sfera della mia penna biro scivola sulla carta del foglio protocollo senza mai staccarsi, senza fermarsi, fino al punto finale.
Non so perchè le mie storie finiscono sempre male. Soltanto quando le rileggo dopo averle terminate mi rendo conto di quanto la mia fantasia sia truce e brutale.
Mostri a due teste che rapiscono fanciulle in abito da cerimonia sottraendole ai loro sposi, ghigliottine, mele avvelenate senza il bacio del principe.
Le vittime sono sempre donne con capelli biondissimi. Non lo faccio apposta, non è premeditato, semplicemente lo scrivo senza accorgermene.
Infondo anche quando gioco con le due Barbie che gli zii mi hanno regalato per il mio settimo compleanno, una delle due resta sempre irrimediabilmente mutilata in qualche sua parte, ed è sempre quella bionda, perchè l'altra ha i capelli castani.
L'anno scorso l'insegnante d'italiano, la signorina Reynolds, ha chiamato a colloquio papà e mamma per parlare dei contenuti atipici e poco opportuni dei miei temi, però loro invece non si sono preoccupati per niente e le hanno detto che saranno fieri di me se diventerò la nuova Romero del cinema splatter.
La mamma dice anche che se la signorina Reynolds si è tanto preoccupata è perchè ha i capelli biondissimi come le vittime delle mie storie.
Papà si è messo a ridere e non riusciva più a smettere.
Tra un paio di giorni gli esami saranno finiti e non dovrò più tornare al Sant'Anna, sono abbastanza contenta perchè alle scuole medie non si portano i grembiuli.
Eppure al pensiero di cambiare scuola, al pensiero di cambiare classe, qualcosa mi fa restare col fiato sospeso, con l'aria che non scende e non risale lungo l'esofago, con un macigno nella gola, che mi schiaccia i polmoni se mi muovo sulla sedia verdognola e con un chewing gum appiccicato sotto il sedile.

Mi volto a guardare Mathias seduto nel banco alla mia sinistra, scostato della distanza di un passo, perchè così non possiamo copiare o consultarci.
Ha la testa china sul foglio, la sua penna Replay stretta tra il pollice e l'indice, perchè se sbaglia detesta l'odore del bianchetto, che invece a me piace.
Indossa una camicia azzurra con le maniche arrotolate sopra il gomito, col colletto perfettamente stirato, ed un paio di pantaloni di tela bianca, che di sicuro lui riuscirà a non sporcare. Intravedo alla base del collo il cordino nero che gli ho regalato per il suo compleanno l'estate scorsa, con un ciondolo in ceramica a forma di uccellino.
Anche Mathias mi chiama uccellino adesso.
Siamo amici adesso, anche se non sono sicura di cosa voglia dire per lui essere amici.
E' taciturno, talvolta scontroso, però mai sgarbato. E' solo che non gli piace tanto parlare, soprattutto non di sè.
Sua sorella Dakota sta nell'altra sezione, la quinta C. Le maestre dicono che è stato il preside a ritenere opportuna una separazione di questo tipo, perchè a scuola bisogna anche imparare ad instaurare legami che vanno aldilà di quelli familiari, trovare nuovi punti di riferimento. Solo che non hanno capito che Mathias è una bussola impazzita. Non so perchè ma Dakota non ha gli stessi problemi di suo fratello con la nostra lingua e durante gli intervalli l'ho vista spesso giocare con i compagni di classe, atteggiandosi a maschiaccio.
Comunque Mathias non parla molto neppure con lei, che è la sua gemella.
Forse non gli sta molto simpatica. Forse lei è solo troppo diversa da lui. Lei è espansiva, socievole, vivace. Semplicemente forte. Semplicemente così come dovrebbe essere una bambina a dieci anni. Senza quella nebbia triste negli occhi, senza quell'aria dispersa nelle espressioni anche involontarie che le dipingono il volto.
Senza che nessuno la derida, senza che nessuno l'abbia resa la zimbella di tutta la scuola.
Soltanto Mathias ha dovuto sopportare tutto questo, con la sua faccia da martire che non batte mai ciglio.
Mathias stoico bambino indifferente al dolore.
E' così che posso dire di averlo finalmente conosciuto. Quando Levi Navarro gliene ha combinata una delle sue, supportato da quei due palle moscie dei suoi tirapiedi.


Terminata l'ora di ginnastica Mathias non aveva più trovato i suoi vestiti.
Levi aveva chiesto all'insegnante di poter andare al bagno qualche minuto prima del suono della campanella e ne aveva approfittato per rovistare tra le cose di Mathias, in cerca di qualcosa che potesse umiliarlo più del solito, mortificarlo più di quanto non avesse mai fatto prima. E dev'essere stato in quel momento, mentre noi altri bambini stavamo ancora in palestra stesi sul pavimento, con la signorina Yukari Mino che col suo accento cinese, ci introduceva questo nuovo concetto del training autogeno come tecnica di rilassamento, che deve avere avuto il lampo di genio malefico, vedendo i vestiti di Mathias ordinatamente piegati sulla panca di legno, diversamente da quelli di tutti gli altri, gettati alla rinfusa ed appollottolati negli zaini.
Mathias non ha avuto alcuno scatto, alcun gesto convulso, avventato o fuori posto.
Mentre i nostri compagni se ne fregavano, per la prima volta Mathias mi è sembrato scoraggiato.
Si è seduto in un angolo della lunga panca di legno con le ginocchia al petto, circondandole con le braccia.
In mezzo alle risa più o meno diffuse ed alle occhiatine ironiche o cariche di compassione e pietà, ho intravisto gli occhi vigili di Olivia, osservarlo come spesso capita a distanza di sicurezza, di soppiatto. Poi semplicemente è uscita anche lei dagli spogliatoi, insieme a tutti quanti.
Invece io sono rimasta, dapprima immobile, sentendomi inerme come immaginavo si stesse sentendo anche lui.
Il mio primo pensiero è stato quello di andare a dirlo con la signorina Yukari, che avrebbe potuto procurargli un accappatoio o qualcosa con cui coprirsi, ma poi pensandoci meglio, non sarebbe stato come darla vinta a quel verme di Navarro?
Così, spericolata più che mai, mi sono spogliata, restando in canottiera e mutandine, sapendo che quando a casa lo avrei raccontato alla mamma, lei sarebbe stata dalla mia parte. Mathias mi ha guardata negli occhi come non gli avevo mai visto fare con nessuno, ad eccezione di una delle sue due mamme, quella magrissima e silenziosa che non mette mai vestiti colorati.

"Che diavolo fai?"
La voce di Mathias rimbombava nello spogliatoio vuoto, in preda allo sconcerto.
"Non lo vedi? Dai alzati e torniamo in classe. Diamo una lezione a quello stupido. Facciamogli vedere che per noi è uguale, nudi o vestiti."
Mi guardava come se fossi scema, ma anche come se mi ammirasse, ed è stato in quel momento che ho deciso che lo avrei difeso sempre. Insegnandogli a combattere e quando non ce l'avesse fatta trascinandolo via dal campo di battaglia.
E' stato in quel momento che ho deciso che non lo avrei mai lasciato andare.
Ovviamente Navarro è finito dal preside come ogni volta, ma a lui quelle lavate di capo non servono a niente, non gli fanno mai nè caldo, nè freddo.
Gli insegnanti hanno chiamato gli Evangelista e Mimì ha portato a scuola degli abiti di ricambio per Mathias.
Lo scalpore sulle facce degli altri alunni, quando ci hanno visti uscire in quelle condizioni dallo spogliatoio, mano nella mano, è stato qualcosa di straordinario ed esilarante, una sensazione che ho sentito pizzicare sotto pelle come se fossero loro, tutti loro, tutti loro che ci guardavano scioccati, quelli soli, quelli rinchiusi ognuno nella propria solitudine, e non Mathias l'incompreso, non Mathias l'emarginato, non Mathias che aveva me.


"Hai scelto il tema sul presidente Clinton?"
Mathias alza lo sguardo dal foglio e mi sorride in quel modo che non sembra neppure un sorriso. Però ormai io so che lo è.
"No ho fatto il tema libero come te. Ho scritto una storia che finisce male, come quelle che scrivi tu."
Aggrotto le sopracciglia perchè non riesco ad immaginare che razza di storia possa scrivere uno come lui. Con quelle dita bianche, con le unghie tagliate al millimetro, a volte mi fanno paura le idee che potrebbero venirgli in mente, è sempre così calmo, ma come se tentasse di badare ad una pressione interna sempre latente, pronta a fargli saltare per aria i nervi. Due anni fa, quando non ci parlavamo ancora, non era questa l'impressione che ricevevo. Ora è diverso, ora che trascorre i pomeriggi spesso a casa mia, noto sfumature nuove che mi rendono irrequieta, che mi provocano la stessa ansia del piede di Olivia che batte nella gamba del banco anche adesso. Tutto in lui è troppo, esageratamente, intonato. I gesti, i colori, la voce. La sua simmetria, la sua inalienabile delicatezza.
Tutto ciò che lo rende Ritardato agli occhi di Levi, o anomalo agli occhi degli altri compagni, è soltanto paura, genialità ed ancora paura.
Ed io penso di avere paura della sua paura. Perchè non so cosa l'abbia causata, perchè infondo non so niente e lui non parla mai.
Perchè gli fa male.

Mathias ha uno strano rapporto anche con le sue due mamme.
Non so quale sia quella vera, ma forse Odette, quella che si veste di bianco.
E' dolce con lei, nel modo in cui uno come Mathias può esser dolce. Una dolcezza fredda, come una granita alla fragola.
Quando li guardo insieme nel loro giardino, il genitore mi sembra sempre lui. La tiene per mano, cammina lentamente, facendo attenzione a dove lei mette i piedi e la guida in ogni impercettibile movimento, persino il più banale. La mamma dice che Odette è autistica, anche se non so bene cosa voglia dire e che per questo Mathias la tratta così e che lui è proprio un ometto.
Verso sera, ma prima che faccia buio, Odette lo guarda dare il mangime agli uccelli nella voliera, ed è come se stesse assistendo a qualche magnifico spettacolo di magia o fuochi d'artificio, come se Mathias fosse un mangiafuoco o un funambolo del circo. Come se lei vedesse cose diverse da quelle che succedono in realtà.
E certe volte spero, che se è davvero così, le cose che lei vede siano almeno belle.
Però forse Mathias ogni tanto si stanca di avere due mamme tanto strane. Con l'altra, che forse è quella finta, ci parla a stento.
E penso infondo sia questo il motivo per cui gli piace tanto stare da noi. Penso gli piaccia la mamma.
L'ho capito il giorno che lei ha voluto fare anche a lui il ritratto nella stanza dei colori. Mathias stava seduto sullo sgabello di fronte a lei, ben attento a non cambiare posizione neppure di una virgola, per non farle perdere il segno del ritratto, con la faccia di cartongesso impietrita nel mantenere la stessa medesima espressione, mentre a me veniva da ridere perchè il suo sforzo risultava completamente inutile dal momento che la mamma stava dipingendo un cerbiatto viola e blu che fugge nella giungla. Ormai io lo so che la mamma fa così, dice che ti fa il ritratto poi si dimentica e si mette a disegnare animali.
O forse no, forse è come il gioco delle parole che abbiamo fatto in terza elementare, quando Mathias mi ha scritto in fronte che per lui sono come un uccellino.
Comunque Mathias stava seduto sullo sgabello ed anche se stava fermo quasi come se fosse un oggetto inanimato, nei suoi occhi era vivissima, più che mai, la scintilla del rapimento, di quando vedi qualcosa di bello in maniera speciale, che sai non ti scorderai più. Forse gli manca solo avere una mamma così.

L'ultimo a consegnare il tema è Levi, Olivia naturalmente è stata la prima.
La campanella trilla nei corridoi ed il primo giorno d'esame di quinta elementare è andato. Questa mattina quando mi sono svegliata mi sono sentita come se stessi per affrontare l'impresa più ardua della mia vita, invece tutto sommato è stato più facile del previsto, anche se la giornata difficile è domani, che c'è la prova di matematica.
Le ruote della bicicletta di Mathias cigolano, i copertoni sfregano sull'asfalto in un eccesso di attrito. Levi gli ha bucato di nuovo le gomme e lui ha appena finito di convincermi a lasciar perdere, perchè volevo andare a prenderlo a calci negli stinchi.
Spero che ad ottobre, lui non capiti in classe con Navarro senza di me, perchè dovrò trovare il modo di fargliela pagare se continuerà a fare il gradasso.
Forse è questa idea che mi fa venire l'asma se penso troppo al fatto che la scuola elementare sta finendo.
Mathias dice che oggi i suoi sono fuori città per questioni di lavoro e mi invita ad entrare.
Non ho più rimesso naso in quella casa dopo il giorno del sesto compleanno di Olivia. Ma ora che i Diamonds non ci sono più, e che con loro sono scomparse anche tutte le cose di loro appartenenza, questa casa sembra un altro posto. Niente è più così in ordine.
Anche gli Evangelista devono avere molto denaro a giudicare dalla quantità industriale di oggetti che invadono e ricoprono ogni superfice possibile ed immaginabile, soprattutto libri, abat joure, candelabri e sculture dall'aria tribale. E' come stare dentro ad un caleidoscopio in cui si moltiplicano le immagini e non finiscono mai, qui dentro niente finisce mai, è solo tutto un caos senza fine. E c'è un odore pungente ed intenso di cera per pavimenti. Ed un grosso e bellissimo mappamondo che cattura la mia attenzione per qualche istante. Poi noto le foto.
Foto incorniciate ovunque.
Riconosco Antòn, il padre di Mathias, con una quindicina d'anni in meno, tenere tra le mani un grosso trombone.
Riconosco di nuovo Antòn in frac accanto ad Odette vestita da sposa. Ed in un altro scatto con un altro frac ed un'altra sposa, in cui riconosco il volto di Mimì.
Li riconosco tutti e tre sorridenti in piedi davanti alla Tour Eiffel.
Li riconosco tutti e tre sorridenti in piedi davanti al Colosseo.
Li riconosco tutti e tre sorridenti in altre decine di foto, in piedi davanti a qualche famoso luogo d'interesse storico sparso per il mondo. Ed in decine di foto assieme a loro riconosco il viso della piccola Dakota. Sulla parete di fronte a me, in mezzo a scaffali, souvenirs di viaggio e cartine geografiche, campeggia una gigantografia del suo viso, il viso di Dakota. Gli occhi di ghiaccio, qualche lentiggine, le labbra coperte dalle mani. Qualche segno di fango sulla fronte ed il naso ed un caschetto da baseball in testa. Proprio un maschiaccio come a scuola.
Di Mathias nemmeno una minuscola fototessera.
Lo guardo mentre s'arrampica sui pioli della scaletta scorrevole montata alla libreria, cercando di recuperare un grosso gatto.
"Come mai non ci sono foto tue qui?"
Si volta e mi guarda con tutta la tranquillità di cui solo lui è capace. Una tranquillità glaciale e poco normale.
"Sono stato adottato, uccellino."



Certe volte dicevi cose, Mathias, che ad ascoltarle mi si sfondavano le orecchie, il cervello, l'anima.
Certe volte sarei voluta scappare via.
Non lo facevo, non lo facevo mai.
Non l'ho mai fatto.
Nella mia mente qualcosa andava storto e passato e futuro giravano veloci come una giostra di cavalli imbizzarriti, mentre non capivo quello che vedevo, e tutto era sfocato, veloce, poco tangibile, ma distinguere il tuo viso in mezzo a quella raffica d'immagini poco nitide, dai contorni bruciati, mangiati, strappati, era sufficiente per me. Sufficiente per sapere che io non volevo davvero scappare.
Per sapere che sarei sempre voluta essere dov'eri anche tu.
Che voglio essere sempre dove sei anche tu.

Finchè morte non ci separi.
Fino a qui. In questa strada.


ANGOLINO DELL'AUTRICE
Pubblico sempre a questi orari improbabili e devo essere pazza dato che col sonno rischio d'incappare in centomila errori d'ogni tipo. Però vabbè ho dato una riletta veloce e mi sembra di aver scritto tutto sommato in maniera accettabile, cioè non particolarmente peggio del solito ahahahah. Comunque, questo capitolo è lungo assai e spero arriviate al termine ancora tutte integre, senza le palle (metaforiche) che rotolano per terra dopo esservi cadute per la noia. Scherzi a parte, non so se manterrò questa lunghezza, è stato spossante scrivere tutto ciò, ma l'ho ritenuto necessario, per iniziare ad introdurre alcuni dei segreti che rendono Mathias tanto impenetrabile.
Dunque, non si fosse capito, dato che non sempre sono brava a spiegare le circostanze più scontate, in questo capitolo Stellah sta sostenendo l'esame di quinta elementare, in particolare il tema di italiano. I nostri amichetti stanno crescendo poco a poco ed hanno dieci/undici anni, e sono in procinto d'iniziare la scuola media, aprendo un nuovo capitolo delle loro giovani vite. Nei prossimi capitoli assisteremo ad un cambio di registro più o meno lieve, dal momento che gli anni della pubertà sono difficili e densi di esperienze significative. Il tono di Stellah è già da qui più maturo, più cosciente e consapevole di quel che dice e pensa.
Ringrazio ancora Eloise, e continuerò a farlo instancabilmente perchè te lo meriti se hai deciso di seguirmi, scema come sono ahahahah. Grazie davvero per tutte le cose carine che mi scrivi e aldilà di questo mi fa immensamente felice sapere che ti piace quello che scrivo, perchè io per prima sono felice quando leggo qualcosa che mi piace. Ochei, un'ultima cosetta e poi metto il silenziatore ahah, niente volevo dirvi che nelle foto in alto potete vedere a sinistra Mathias e a destra sua sorella Dakota, che come spero abbiate compreso a questo punto della storia, non è davvero sua sorella. Alla prossima carine!!
  
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