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Autore: suni    29/04/2007    2 recensioni
Al 12 di Grimmauld Place, nel silenzio, soltanto un uomo ed una penna d'oca, per raccontare una storia d'amicizia che è una storia d'amore, un amore mai ammesso e mai nato...
(siate altruisti, lasciatemi un commento, anche se probabilmente negativo...)
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James Potter, Remus Lupin, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quarto e Quinto anno

 

Lo zio non c’era quell’estate. Era in Sudafrica con una spedizione  della Gringott.

Questo significava che non potevo in nessun modo avere contatti con i miei amici per più di due mesi,

Per giunta, stavo crescendo, e i Black cominciavano a preoccuparsi del fatto che non dessi segno di voler rimettere la testa a posto ma anzi, andavo peggiorando, nella loro visuale. Non essendo del resto un maestro della dissimulazione, non facevo mistero del mio crescente disinteresse per le loro posizioni e la totale contrarietà alle loro idee.

Furono feroci. E la cosa era doppiamente difficile perché non potevo avere in nessun modo l’appoggio di Jim. Questo mi faceva mancare la stabilità. Eravamo abituati a contare l’uno sull’altro e ad unire le forze davanti a ogni problema, a darci appoggio e solidarietà quando per uno dei due le cose non giravano. Da quasi due anni non passavo così tanto tempo senza avere comunicazione con lui, mi sentivo incompleto. A Grimmauld Place per me era come essere muto, perché non avevo nulla da dire e comunque nessuno mi avrebbe ascoltato. Io, che ad Hogwarts non stavo zitto per tre minuti di fila neanche con la bacchetta puntata, passavo giornate intere in silenzio assoluto, con le urla di mia madre nelle orecchie a ripetermi quanto fossi penoso e infimo. Non potevo parlare, ed ero abituato a parlare con James in continuazione. Non stavo completamente solo da mesi e mesi, ed ero un ragazzino. La mia famiglia non era già più tale per me, perciò essere senza James e Remus era come trovarmi abbandonato a quattordici anni.

Comunque qualcosa di positivo saltò fuori. Visto che non avevo niente, ma proprio niente da fare, svolsi tutti compiti delle vacanze. E visto che, dopo averli finiti, continuavo a non avere nulla da fare, iniziai a spulciare i libri della biblioteca di famiglia, in cerca di informazioni sul mio argomento preferito.

Alcuni libri erano veramente pregiati ed antichi, molto dotti, ma altri assolutamente malsani, come tutto nella mia famiglia. Ce n’era uno in cui erano raccolte testimonianze ben poco affidabili, secondo me, di gente che aveva avuto a che fare coi Licantropi. C’era un tizia, una donnetta insulsa del Devonshire, che lamentava di aver incontrato uno di quei mostri, una vera bestia, “tant’è che pareva intendersela alla perfezione con un randagio mentre aggrediva gli umani”. Sì, perché, ricordava il compilatore del volume, i Mannari non sono generalmente aggressivi con altri animali quanto con gli umani.

Forse, sogghignai, bisognava chiedere alla McGrannit di trascorrere un po’ di tempo con lui: essendo un Animagus, lei poteva…

E così ebbi l’illuminazione.

A settembre mi presentai sull’Espresso con un’idea sfolgorante e una pila di libri in più, trafugati da casa: obiettivo, diventare Animagus illegale.

Ricordo quell’incontro con particolare tenerezza.

James mi venne incontro mentre ero ancora con i Black. Non l’aveva mai fatto: i miei, giustamente, gli ispiravano una certa fifa. Aspettò che mi fossi allontanato da loro solo di qualche metro, poi mi venne vicino. Non osando abbracciarmi sotto lo sguardo indignato e colmo d’odio di mia madre, mi prese soltanto una mano e me la strinse.

“Stai bene?” mi chiese serio.

Risposi di sì. Avevo una gran voglia di ridere e vedere la sua faccia, sentire la sua voce mi ridava linfa vitale. Ma lui era serio, riprese a camminare verso l’Espresso e solo quando fummo lontani, d’improvvisò, mi abbracciò. Fu un gesto quasi spasmodico, che non aveva veramente a che fare con l’abbraccio fraterno e maschile con cui cercò di dissimularlo aggiungendo alcune amicali pacche ed un sorriso.

Prese a dire, velocissimo e affannato, che aveva cercato si scrivermi molte volte da mio zio a Londra, ma i gufi tornavano sempre al mittente: temeva mi avessero scoperto, e solo quando suo padre gli aveva assicurato di non aver sentito di grandi baruffe nella mia famiglia si era un po’ calmato.

“Ma mi sei così mancato” aggiunse.

E solo allora smise la serietà per tornare il solito scanzonato Potter.

Dovetti aspettare un paio di giorni per avere l’occasione di parlargli della mia idea dell’Animagia. Ne fu conquistato e pretese di eseguire anche lui l’incantesimo.

Cos’ prese l’andazzo il nostro quarto anno: assedi ad una sempre più esasperata Evans, sessioni segrete di studio dell’Animagia, tiri mancini tra le Case nemiche e continue esplorazioni del castello. A novembre scoprimmo la Strega Gobba e il passaggio per Hogsmeade: un nuovo universo ci si aprì davanti. Iniziammo a buttare giù degli schizzi e degli appunti, nel quaderno, per ricordare bene tutti i passaggi e  le stanze che trovavamo e le loro posizioni.

Oh, che stupido, dimenticavo un’altra conseguenza molto importante di quell’estate: per il quattordicesimo compleanno di suo figlio, Arnold gli fece il regalo migliore che avremmo mai potuto desiderare: un Mantello dell’Invisibilità.

Hogwarts non aveva più confini, né limiti.

Credo davvero che il quarto anno sia stato il migliore di tutti. Eravamo non più bambini ma non ancora ragazzi, non eravamo niente e potevamo essere tutto, nulla era inadeguato.

A metà novembre Mille Egham mi braccò in corridoio, inaspettatamente, e mi rese noto il suo interesse per la mia persona. Io la guardai a bocca aperta.

Lei prese la cosa come un rifiuto.

“Scusami, lo so che siamo tante” mormorò.

Passai le successive tre ore nei dintorni del mio specchio. Quando James entrò in camera e mi trovò imbambolato davanti alla mia immagine, si rotolò sul letto dalle risate per un paio di minuti prima di disturbarsi a chiedermi quel che stavo facendo.

“Le ragazze mi trovano carino” lo informai, pensando di stupirlo.

Fece spallucce. E allora?, chiese.

Fui io, quello sorpreso. Lui lo sapeva?

Certo, mi disse, quasi tutte le ragazze di Grifondoro del nostro anno e del terzo avevano una cotta per me. Davvero non lo sapevo? Questo spiegava quindi perché non ne avessi approfittato.

E in questo modo cominciò il mio sfruttamento dell’universo femminile di Hogwarts: dolciumi, piccoli regali, favori, tutto andava bene, ogni dono veniva ricambiato con un gesto di avvicinamento per lo più fittizio. Non mi importava niente di quelle ragazze, chiaramente, anche se non mi facevo certo l’autonalisi allora, mi divertivo soltanto. Passavo dolcetti a Peter e accessori sportivi a James, mi facevo desiderare. Era spassoso.

Lui non ne trovava simpatica nessuna. Non ci facevo caso, però era così. E anche le più carine, secondo lui avevano sempre qualcosa che non andava, dal sedere basso all’alito sgradevole. Rideva delle mie spacconate nei loro confronti con fin troppo entusiasmo.

Insomma, esperimenti, ragazze, esplorazioni, scherzi, le prime bevute e il nostro primo vero litigio, poco prima di Natale. Una baruffa ridicola che io e James scatenammo perché qualcuno gli aveva detto di avermi visto abbordare Lily –vero è che in quel mese di scoperte mi ero dato da fare, ma certo non fino a quel punto- e la prese male.

Ricordo, disse “non è per la Evans in sé –proprio così, non è per la Evans in sé- ma da te, Sis, non me l’aspettavo”.

Me la presi anche io. Ci insultammo un po’, ci rinfacciammo le presunte mancanze reciproche.

Ci tenemmo il muso per tutto il giorno successivo –un record- per ritrovarci la sera a zampettarci come gattini, commossi e perdonati.

Le vacanze di Natale furono esaltanti, mi sbronzai da vomitare per la prima volta. Terribile, lo ricordo.

A febbraio coinvolgemmo un titubante ed impensierito Peter nel progetto Animagia, che proseguiva di lena. Ad aprile Remus ebbe l’idea di disegnare una mappa incantata di Hogwarts. Ne prendemmo una da un libro e iniziammo a copiarla, cercando un buon modo per incantarla. Volevamo che fosse accessibile solo a noi e che avesse segnalati tutti i passaggi e i modi per farli funzionare. La nostra esplorazione del Castello si fece sistematica, stanza per stanza, corridoio per corridoio. Un lavoro lunghissimo che ci avrebbe portato via un’enorme quantità di tempo.

Mi chiedo in effetti dove trovassimo tutta l’energia e la costanza per i nostri progetti strampalati e generalmente fini a se stessi, ma forse la risposta è che eravamo semplicemente ragazzini.

Tra un impegno e l’altro, ovviamente, la scuola continuava. Peter era l’unico davvero scarso, Remus un ottimo studente e noi due cadevamo sempre in piedi. Sì, a quell’epoca ci succedeva davvero, ci andava sempre tutto bene, le scampavamo tutte. Forse abbiamo avuto troppa fortuna fino ai diciannove anni e dopo l’abbiamo pagata, non lo so.

E inoltre, Severus si mise in testa che nascondessimo qualcosa. Non so da che lo intuì, certo lui è molto acuto e sottile –non fa che ripeterlo- fatto sta che iniziò a tenerci d’occhio, per non dire spiarci. Lanciava mezze frasi di avvertimento, o di minaccia.

Ne uscii di testa. Oggi mi vergogno molto della perfidia di quegli anni –evita di farglielo sapere, comunque, Remus- ma fu così. Non tolleravo che pensasse di poterci minacciare e sfruttare eventuali debolezze. James, dal canto suo, non sopportava di vedere in pericolo il segreto di Remus, così ci coalizzammo ulteriormente.

Questo è il quadro delle nostre vite. Due sentieri sempre affiancati che proseguono dritti verso qualunque cosa, senza distanziarsi mai se non per brevi istanti non voluti. Comincia a risultare più chiaro, forse, il motivo del mio attuale stato psichico.

Nuovi esami, nuova estate.

Zio Alphard, per mia fortuna, era tornato a Londra.

Così potei scrivere ai ragazzi; raccontavo loro solo piccole cose, tacendo la realtà di quel che si stava dimostrando essere un incubo. Sapevo che James si sarebbe angosciato inutilmente nel sentire delle mie condizioni, perché tanto non poteva fare nulla: era inutile affibbiargli quel peso.

Come previsto, quell’estate Remus fu nominato Prefetto. Siccome non ne avevamo minimamente dubitato, la notizia non ci sorprese nemmeno un po’. A settembre ci presentammo sull’Espresso con una valanga di caustiche battutine sulla sua presunta e diligente ottima condotta –avrei qualcosa da ridire in proposito, e penso che Albus avesse tralasciato di considerare un paio di piccoli pessimi tiri combinati dal nostro amico negli anni- e una caterva di gag stupide.

A volte riuscivamo ad essere davvero due deficienti. Come se il nostro cervello si fosse fermato a dieci anni, e non ne avesse voluto più sapere di maturare. C’erano giornate in cui non facevamo altro che dire idiozie da quando aprivamo gli occhi al mattino fino a che non li richiudevamo la sera; ovviamente, sghignazzando come scimpanzé per tutto il tempo. Dovevamo avere l’aspetto di due primati non ancora completamente evoluti, ma il divertimento era impareggiabile.

La nomina di Remus, comunque, cascava a fagiolo: adesso avevamo anche la copertura di un Prefetto, non ci poteva fermare più nessuno. Che poi, in subordine, Remus ogni tanto cercava di darci un freno: ma io e James non potevamo frenare. Eravamo fatti così, semplicemente. Un’altra delle mille cose che ci rendevano tanto simili. Credo che ci abbiamo anche provato, qualche volta, ma la voglia di esagerare era insopprimibile.

La cosa più importante di quell’anno, ad ogni modo, fu che poco prima di Natale riuscimmo nella realizzazione del nostro grande progetto: con una trasformazione che ricordo come il dolore fisico più violento mai provato in vita mia, diventai un Animagus. E così pure James, e poco tempo dopo anche Peter, seguendo scrupolosamente le nostre istruzioni.

Ecco, l’Animagia penso sia un buon modo di spiegare noi due: era una cosa MOLTO illegale, MOLTO pericolosa e MOLTO segreta, che doveva restare tra noi. Il genere di cosa che sembrava creata apposta per un simile duo. Adoravamo il fatto di avere un segreto tanto importante da tenere tra noi, di cui parlare sottovoce per non farci scoprire da altri; era un’altra cosa che ci rendeva uniti, e ne eravamo entusiasti.

“Siamo veramente simbionti, Sis!” rise lui la sera stessa dell’avvenuta trasformazione. Ed era vero, tutto sommato.

Adesso potevamo cominciare a tenere compagnia a Remus durante il plenilunio. In realtà quando gli dicemmo che cosa avevamo appena realizzato, credo abbia ipotizzato seriamente di ucciderci. Non di denunciarci al Preside, certo, perché –maledizione a me, razza di stupido- fare la spia NON era proprio una cosa da Remus.

Comunque alla fin fine ne fu contentissimo. E noi ci sentimmo doppiamente fieri di noi, come se non fosse bastata la boria che già ci caratterizzava. Che coppia di piccoli bastardi pieni di sé formavamo! Non so nemmeno io perché; tra noi quattro, l’ho detto, eravamo assolutamente semplici e genuini, ma nei confronti del mondo esterno dovevamo sempre darci un tono, mostrarci al di sopra. Di tutti.

Adesso tutto questo mi fa una gran tenerezza; pensavamo di essere padroni delle nostre vite e perfettamente in grado di controllare la direzione che avrebbero preso, quando in realtà eravamo sballottati alla cieca da eventi molto più grandi di noi. Ma rispecchiandoci l’uno nell’altro riuscivamo a fingere molto bene che tutto fosse nelle nostre mani.

Sempre grazie al Mantello di James proseguiva anche la nostra sistematica esplorazione del Castello. Il Quaderno era ormai zeppo di schizzi, piantine e stratagemmi per localizzare stanze e passaggi segreti. Man mano accumulavamo conoscenze. Trovammo un vecchio volumetto, durante un’illegale gita nel Reparto Proibito, su cui erano segnati alcuni di quei tranelli. Molti non li conoscevamo.

Iniziavamo a capire i meccanismi su cui si basava il funzionamento del castello.

Hogwarts è stata la parte ascendente della nostra parabola: ogni giorno avevamo l’impressione di arrivare più in alto del precedente; anche tra noi, via via, l’intesa era sempre più perfetta. Inoltre cominciavamo quasi ad essere adulti e il nostro rapporto maturava di conseguenza. Gli argomenti di conversazione cambiavano, cominciavamo a parlare di donne, del mondo esterno, a interrogarci su quel che sarebbe stato il nostro futuro.

In quelle ottimistiche immagini del nostro luminoso avvenire c’eravamo sempre tutti e due: dividevamo un appartamento come coinquilini –quando James non si sposava con Lily, naturalmente, una delle varianti più comuni- oppure eravamo vicini di casa o intraprendevamo un qualche tipo di attività lavorativa o commerciale insieme; uno studio da detectives, o un negozio di scherzi. Avevamo progettato anche di aprire una specie di parco giochi magico, in cui i visitatori avrebbero potuto provare sulla propria pelle le buffonate e i brutti tiri di cui eravamo capaci. Comunque, in un modo o nell’altro, immaginavamo sempre le nostre vite come strettamente allacciate.

Ed era così che avrebbero dovuto essere. Se ci fosse solo un po’ di giustizia a questo mondo io e Jim non saremmo stati separati, non così presto. Avremmo dovuto invecchiare fianco a fianco, come previsto, e ritrovarci da vecchi a fumare la pipa in veranda, raccontandoci vecchi aneddoti sui bei tempi andati.

Questa immagine è incollata nella mia mente da tanti anni, così come la voce che mi ripete costantemente che non esisterà mai. E’ un’immagine luminosa ma estremamente dolorosa, perché impossibile. E’ il mio più grande sogno, in realtà: trovarmi vecchio, seduto di fianco a James. Potermi dire di aver passato tutta la vita con lui, averlo fatto davvero, questa è la cosa più straordinaria che io possa immaginare e non l’avrò mai. Mai.

Quell’anno ci aspettavano i GUFO. Verso febbraio Remus inizio a dar vita a piccoli episodi di isteria e noi dovemmo darci una calmata per evitargli il tracollo nervoso. Naturalmente riuscimmo comunque ad evitare di studiare di più, nonostante la sua insistenza. Preferivamo chiuderci nel mantello e andare in giro a spalancare porte chiuse e ficcanasare, oppure chiuderci nella Stamberga, ormai diventata nostro territorio, a sbevazzare e dire volgarità, passatempo prettamente adolescenziale e molto soddisfacente.

James s’inferocì con Piton. Lo buscò una volta a dire qualcosa di estremamente dispregiativo a Lily; la poverina ci rimase malissimo, sul genere lacrime agli occhi e naso che cola: la scena perfetta per il nostro cavaliere senza macchia. Da allora diventò implacabile. Io invece continuavo a pedinarlo per vedere se ci pedinava e lui continuava a pedinare me.

Buffa situazione, in effetti. Che strano, Severus, ci siamo guardati storto per tutta la vita, ma con costanza. Certe volte si ha bisogno di avere qualcuno da odiare, su cui riversare ire e frustrazione; è più comodo se quel qualcuno è già prestabilito, così non hai bisogno di andartelo a cercare: Severus e io ricopriamo magnificamente quel ruolo, l’uno per l’altro.

Comunque sia, James cercò di sfruttare il risentimento di Lily nei confronti di Piton maltrattandolo il più possibile. Non che lei abbia mai dato segno di gradire la cosa, anzi, appena lo veniva a sapere si infuriava come un Avvincino, ma lui non demordeva. Aveva i suoi metodi, diceva, e soprattutto era testardo come un mulo.

Infine, tra i mille ripassi di Remus e le crisi di panico di Peter, che lanciava foschi presagi sul fatto che sarebbe stato bocciato in tutte le materie –e magari, dico io- venne il momento dei GUFO. Ci fu anche quel famoso episodio delle mutande di Severus, un momento a parer mio esilarante. Eravamo così: se non facevamo nulla di strano o emozionante ci annoiavamo e allora decuplicavamo gli scherzi. Era anche un modo per scaricare la tensione, immagino.

Poi l’anno era finito.

Tornai a casa per le vacanze. Era l’ultima estate che trascorrevo a Grimmauld Place e naturalmente all’epoca non lo sapevo.

 

 

 

 

 

 

X sourcream: Ehllallà che permalosa… Ti sono tanto tanto grata anche se sei pasticciona (hahahahahaha che meraviglia) e prima o poi lo mettero’ anche a posto. A presto , biscetta cara.

X Syria Black : Grazie. E’ vero, Peter è un ppersonaggio che ho sempre voluto approfondire, ma mi manca sempre un qualcosa, non riesco veramente a capirlo. C’è una qualche sfumatura che mi sfugge e non mi permette di arrivare alla comprensione. Non so. Spero comunque che qnche il nuovo cqpitolo sia gradito.

X Mixky : E’ vero, c’é qualcosa di Pills in questi capitoli, ma anche qualcosa di Jab e persino di altre storie –sempre mie, ovviamente- tutto mischiato. Non garantisco sul risultato e per l’amor del cielo, per quanto avete di più sacro SMETTETELA TUTTI DI APPASSIONARVI A QUESTO PAIRING ! Accidenti a me e a quando ho dato retta a quell’altra squilibrata mia pari.

Certo, Sirius è bello. E’ perfetto.

bye

   
 
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