Benvenuti a questo
nuovo
capitolo. Leggere le vostre recensioni mi fa enormemente piacere e non
posso
che esservi grata per l'attenzione che finora mi avete dato. In questi
capitoli, Oscar e André non fanno la loro comparsa, anche
perché, voglio
ricordare, non ci sono più contatti tra Rosalie e i suoi due
amici.
Ora però
vi lascio ad una nuova
lettura.
ps. in questo
capitolo ho
alzato il rating e, sì, ci sarà una scena che i
deboli di stomaco non
apprezzeranno. Leggetela digiuni, ok?
I DE
FLORIE
Alcune
settimane dopo, la contessa si interessò nuovamente a me.
-Rosalie,
cara- cinguettò, con quella voce detestabile- ho appena
ricevuto una lettera da
parte di una mia cara amica... la marchesa Renée de Florie.
Mi ha gentilmente
invitato nella sua nuova dimora a Orleans. Ha detto che suo marito ha
appena
allestito l'inaugurazione di due nuove stanze e penso che sia il
momento di
andare.-
La
guardai interdetta.
-Dobbiamo
lasciare questa casa?- chiesi perplessa.
Non
mi piaceva stare in quella dimora fredda e perfetta e mi irritava dover
passare
del tempo con quella donna ipocrita. Andare a Orleans, poi, significava
dover
allontanarmi dalla dimora dei De Jarjayes...un pensiero che mi
demoralizzava.
-Certo,
mia cara- rispose questa, come se avessi detto una sciocchezza- abbiamo
necessità di andare a conversare con quella gentildonna.
Imparerete come la
nobile arte del salotto sia un requisito fondamentale per noi dame.-
Aggrottai
la fronte.
-Io
non voglio diventare una dama.- sentenziai.
La
Polignac, per tutta risposta, cominciò a ridere. Un suono
irritante. La sua
voce da soprano, in quelle occasioni, diventava stridula e faceva
fischiare le
orecchie. Finii con l'odiare la sua risata, quasi senza sapere il
perché, ancor
prima di capire le sue parole. Le avevo detto il vero. Essere
un'aristocratica
non mi interessava. Malgrado avessi conosciuto Oscar e sua madre,
nonostante
fossi stata abbagliata dalla bellezza della regina, la mia opinione sui
nobili
non era minimamente cambiata. Di certo, se avessi dovuto scegliere tra
la mia
vecchia casa e la nuova vita che stavo conducendo, avrei indubbiamente
preferito la prima.
Quell'esistenza
patetica che stavo subendo non mi piaceva e, soprattutto, non mi andava
a genio
la contessa.
-Oh,
tu lo diventerai- disse tranquilla- e sai che è
così. Hai tutte le doti per
diventarlo e, in cuor tuo, questo è il posto dove hai sempre
sognato di vivere.
Anche la tua cara Jeanne, quando viveva con te, aveva questi sogni.
Tutte le
ragazze sognano di vivere come principesse, essere servite e riverite,
vivere
in uno splendido castello, ammirate da tutti...e sai che ho ragione.-
Io
non risposi...e non proferii parola per tutto il tempo che intercorse
per i
preparativi delle carrozze per il viaggio.
Anche
il conte venne con noi, anche se in una carrozza diversa.
La
scusa ufficiale era che, in questo modo, con il mezzo tutto a sua
disposizione,
avrebbe potuto distendere meglio la gamba dolorante.
Non
ne compresi subito la ragione...ma quando lo capii non potei fare a
meno
d'invidiarlo. Per tutta la durata del tragitto, quella donna non fece
altro che
ciarlare di sciocchezze, a cui io non rispondevo. Non seppi nemmeno di
cosa
stesse parlando. Non mi interessava. Le sue maniere erano ai miei occhi
assolutamente fastidiose e, sebbene non la avversassi troppo, era
chiaro che
non la amavo.
Lungo
la strada, vidi in lontananza la cattedrale di Chatres...e mi
sembrò di vedere
Notre Dame.
Orleans
era il luogo dove Giovanna D'Arco venne arsa sul rogo. Una cittadina
che, a
giudicare dal nome, faceva parte dei possedimenti del cugino del re.
Uno degli
aspetti della visita era che ora almeno sapevo, sia pure a grandi
linee,
la fine della grande paladina che aveva permesso alla Francia di
diventare il
grande Paese che pensavo che fosse.
Passammo,
con la carrozza, lungo il corso del fiume Loira, superando vari
edifici.
Passammo il municipio, alcune strade, prima di sboccare in una zona
composta da
numerose ville.
Alla
fine, ci fermammo di fronte ad una costruzione in stile
rococò, anch'essa
decorata su un modello simile, se non identico, a quello della
residenza dei
Polignac.
Sulla
soglia, c'era una coppia, composta da una dama quasi coetanea della
contessa e
da un uomo grasso e dalla pelle rubiconda. -Mia cara Yolande!-
salutò questa,
scendendo le scale.
-Carissima!-
esclamò la contessa venendole incontro.
Le
due si abbracciarono, prese da un entusiasmo che io trovavo strano,
almeno vedendo la contessa. Notai che
erano piuttosto simili. Avevano lo stesso colore degli occhi. Le uniche
differenze erano date dai capelli e dall'abbigliamento, sebbene la
veste fosse
di un modello identico a quello della contessa.
-E'passato
molto tempo, da quando ci siamo separate- disse questa- prego,
però,
accomodatevi. Le stanze sono pronte: per voi, questa gentile ragazza
e...anche
per vostro marito, come al solito?-
-Sì
Renée-
rispose la Polignac- lo preferisco.-
La
casa dei Florie era una delle più ricche di Orleans,
residenza del principe
esclusa. Renée era la cugina di secondo grado della contessa
di Polignac ed
aveva sposato un ricco marchese, alla tenera età di tredici
anni. Era piuttosto
bella ed aveva un fisico florido e sinuoso, esaltato da un vestito
verde acqua.
I capelli color nocciola incorniciavano un viso angelico, perennemente
fissato
in un'espressione composta.
Il
suo marito non poteva vantare la medesima avvenenza.
Aveva
il viso butterato dal vaiolo, a cui era miracolosamente scampato, e due
occhi
scuri e porcini che si posavano qualche volta di troppo sul decollete
della
sposa.
-Il
viaggio è stato di vostro gradimento?- domandò
mentre servivano la cena.
Yolande
tagliò la carne.
-Un
po'disagevole, in verità- rispose - ma posso dire che siamo
stati fortunati. Il
tempo è stato buono e le vie non erano fangose.-
Il
marchese grugnì qualcosa e Renèe
sussultò, salvo poi ricomporsi e riassumere la
posa di prima, anche se indubbiamente meno rilassata.
Aggrottai
la fronte. Fece varie volte quella mossa per tutta la durata della cena
ma
nessuno sembrò curarsene. Solo il conte di Polignac
mostrò un segno di disappunto,
arricciando il labbro, come se volesse dire qualcosa ma non avesse
voglia di
farlo. Mi limitai allora a mangiare quanto mi veniva servito, badando
bene a
non lasciare niente sul piatto. La cucina era molto buona e dovevo
ammettere
che non mi dispiaceva.
-Ho
saputo che il ballo di Parigi è stato un po'diverso rispetto
agli anni passati e che hanno permesso anche ai non nobili di
partecipare.-
fece la Polignac.
-E'colpa
di quegli sporchi borghesi!- sbottò il duca, trangugiando un
bicchiere di vino
rosso- Dovevate vedere con che boria si aggiravano per le sale...tutti
vestiti
all'ultima moda da Madame Bertin. Pensano di essere come noi ma non lo
saranno mai.-
Renée
tremò.
-Su
questo- aggiunse la contessa, lanciandomi un'occhiata- avete
perfettamente
ragione. Come si può pretendere di diventare nobili, quando
l'educazione, il
lignaggio, sono così impuri?-
Cominciò allora una conversazione basata sul concetto della nobiltà di sangue, sulle origini illustri e su una serie di cose che a me parvero solo sciocchezze. In breve, finii con il disinteressarmene. Non mi importava sapere di cosa parlavano...e anche il conte e la duchessa parevano condividere questi medesimi pensieri.
Quest'ultima, in
particolare, pareva a disagio.
Li
guardai per qualche momento, poi mi concentrai sul dolce.
Qualcosa
di decisamente più interessante dei pettegolezzi.
Non
ero però la sola ad annoiarmi. Il conte guardava seccato i
vari mobili e i
quadri alla moda, soffermandosi qualche momento di troppo sugli orologi
della
stanza.
Lo
guardai con compassione.
Se
quella era la vita del nobile, non potevo biasimare la sua
insofferenza.
-Ad
ogni modo- fece improvvisamente Yolande- sono del parere che sia
opportuno andare
a fare compere uno di questi giorni. Ho molti pettegolezzi che devo
condividere
con voi, cara cugina, confidenze che annoierebbero molto i nostri
consorti.-
Vidi
la padrona di casa sussultare, rilassando un poco i muscoli delle
spalle, come
se, fino a quel momento, fosse sottoposta a chissà quale
supplizio. Guardò il
marito che, dopo qualche indugio, dette il suo consenso. Solo allora le
due
dame si alzarono...ed io con loro, su invito (o, per meglio dire,
ordine) della
contessa.
Ci
spostammo nel salottino privato di Madame Renée.
Un
ambiente assolutamente frivolo, malgrado la preziosità del
mobilio non
raggiungesse nemmeno lontanamente quello del palazzo dei Polignac. -Mia
cara
Yolande- disse pacata- sono molto felice di avervi nella mia casa.
Finalmente,
dopo molti impegni, avete trovato il tempo di rimediare un momento per
me.-
Lei
sorrise.
-Non
potevo non venire- rispose- ho chiesto un permesso alla regina, dopo
gli ultimi
affanni subiti. A quanto vedo, la situazione della vostra casa
è migliorata
notevolmente. Vostra figlia è in convento?-
Renée
annuì.
-Ricevo
notizie ogni mese e le faccio visita quando posso. - disse-
Diventerà una buona
monaca, come mio marito ha sempre desiderato.-
La
Polignac portò una mano alla bocca, in un gesto colmo di
sorpresa.
-Dunque
non avete progettato per lei delle nozze?- chiese -Volete privare
vostra figlia
della gioia di un matrimonio terreno?-
La
marchesa sussultò lieve.
-La
vocazione di mia figlia ed il desiderio di mio marito hanno la
priorità.-
disse, posando laconica lo sguardo su di me.
La
fissai a mia volta.
-Oh-
fece la contessa, con un sorriso- avete notato Rosalie? Una mia
conoscente mi
ha supplicato di chiedere di occuparmi di lei. A quanto ne so, ha
vissuto in
ristrettezze economiche assolutamente intollerabili. Ella mi ha chiesto
di
provvedere alla sua educazione.-
-E'un
po'troppo grande per portarla in convento.-notò la marchesa,
senza smettere di
fissarmi.
Lo
sguardo dell'altra si accese.
-Oh-
fece- non serve imparare qualche preghiera per vivere come una donna.
Basta il
cervello...e voi lo sapete meglio di me. -
Renée
rise, un po'civettuola.
Poco
dopo, la conversazione proseguì, su temi ameni e frivoli. In
nessuna di quelle
occasioni, si toccò la vicenda di Charlotte. A quanto
pareva, non era costume
dei nobili parlare dei morti.
-Rosalie-
fece improvvisamente la contessa- sono le undici e, considerando la
durata del
viaggio, è bene che vi ritiriate nella camera a voi
riservata. -
La
guardai perplessa.
Non
era vero che avevo sonno ma l'espressione minacciosa della nobile,
abilmente
celata nelle sue maniere melliflue mi spinse ad obbedire. Non mi
interessava
niente di lei...ma non volevo correre il rischio di rendere il suo
disprezzo
nei miei confronti ancora più forte. Come se non bastasse,
il pettegolezzo
della Polignac aveva finito con il nausearmi e non volevo allontanare
da me la
possibilità di evitare un simile supplizio.
Il
soffitto della mia camera era decorato con immagini bucoliche e
personaggi
della mitologia classica. Li fissai a lungo, malgrado, avendo spento la
candela, il buio non permettesse di vedere molto. Il silenzio mi
gravitava
attorno, come una bolla di protezione, lasciando che i pensieri
rimbombassero
nella mia testa.
La
conversazione con il conte mi aveva dato molto da pensare. Conosceva
Nicole,
mio padre...ma non era mai venuto a soccorrerci.
Avevamo
vissuto negli stenti...perché? Perché nessuno si
era mosso ad aiutarci? Perché
avevamo dovuto lottare ogni giorno contro la miseria e la fame, pur
avendo come
padre un nobile? Anche il fatto che sia io che mia sorella Jeanne
portassimo il
cognome di Nicole, appariva quanto mai bizzarro. Quello che era davvero
ironico
poi, era che, in tutta la mia vita, non avessi chiesto alla donna che
mi aveva
allevato perché portassi il suo cognome e non quello di mio
padre.
C'era
sicuramente una ragione...e in quel momento, la sua ricerca occupava
ogni mio
pensiero, come se cercassi un appiglio qualsiasi per non dormire.
Mi
risultava difficile seguire la linea dei pensieri della contessa e, se
non
fosse dipeso da una mera questione di sopravvivenza, di certo, non lo
avrei
fatto. Quel continuo rimuginare, comunque, finì con il
rendere lo stare a letto
qualcosa di insopportabile e fastidioso.
Avrei
voluto parlare nuovamente con suo marito.
La
rivelazione che avevo ancora un parente in vita di mio padre, in
qualche modo,
mi rallegrava. Mi sarebbe piaciuto incontrarla, anche se sapevo che
l'attuale
situazione non mi rendeva le cose molto semplici. Ero ancora abbastanza
digiuna
dalla vita e, soprattutto, non mi era ancora chiaro se avrei fatto bene
a
chiedere a quella donna di mio padre.
Avevo
come il presentimento che non volesse parlarne, un silenzio simile, se
non
identico a quello della morte di Charlotte. Da quando ero giunta nella
dimora
dei Polignac, nessuno aveva mai pronunciato il suo nome.
Solo
Jules aveva rotto il silenzio ma il riserbo da lui dimostrato, denotava
chiaramente come, in tutto questo, la sua presenza fosse assolutamente
secondaria.
Poiché
il sonno non arrivava, decisi di scendere al pianterreno. Avevo
compreso che le
case signorili seguivano chi più, chi meno, lo stesso ritmo
di marcia e questo
significava che non avrei trovato nessuno lungo i corridoi. Mi alzai
con
estrema lentezza, badando che intorno a me non vi fosse alcun rumore.
Volevo
bere dell'acqua e non mi andava di attendere il mattino né,
tantomeno, chiedere
ad una delle cameriere.
Come
se non bastasse, ero piuttosto nervosa.
Non
sapevo cosa volesse da me la contessa e quel pensiero mi angosciava.
Lei
avrebbe deciso del mio futuro ed io non avrei potuto fare altro che
piegarmi.
Non
mi aveva detto niente in proposito e, per quanto ingenua fossi, non mi
erano
sfuggiti i silenzi e il sospetto che mi riservava. Percorsi rapida i
corridoi
e, dopo essere entrata in cucina, bevvi dell'acqua. Nessuno si era
accorto di
me, per mia somma fortuna.
Avevo
mantenuto, malgrado il prolungato tempo vissuto tra i nobili, il mio
passo di
popolana, cosa che mi mise stranamente di buon umore. Non avevo perso
niente
della me stessa di un tempo...ero ancora Rosalie.
Stavo
raggiungendo di nuovo la mia camera, quando una serie di rumori
attirò la mia
attenzione.
Mi
fermai un momento.
I
suoni mi apparivano quanto mai bizzarri.
Un
ladro? azzardai,
rabbrividendo.
Durante
il giorno a Palazzo De Jarjayes, avevo ricevuto da Madamigella Oscar,
come
regalo, una spada, dono che avevo conservato gelosamente, mettendola
nel doppio
fondo del baule che avevo usato per portare via le mie cose.
Quell'oggetto era
una delle poche cose, insieme all'anello di mia madre, che la contessa
non
aveva gettato via.
Ancora
mi era poco chiaro il motivo per cui non avesse messo da parte quel
contenitore
ma era vero che la dama non mi aveva mai messo a conoscenza dei suoi
propositi
nei miei confronti.
I
rumori provenivano da una stanza che, fino a quel momento, non avevo
notato.
Una
porticina minuscola, leggermente socchiusa, da cui fuoriusciva la luce
tremula
di una candela.
Nuovamente
mi fermai.
Man
mano che mi avvicinavo, infatti, sentivo due voci: una femminile,
fievole e
lamentosa ed una maschile, grossa e arrogante che si alternavano ad un
ritmo
affannoso, di pari passo con le ombre che vedevo alternarsi in quella
lucetta.
Mi
sarei voluta affacciare, per vedere cosa stesse succedendo, quando lo
sguardo
mi cadde su uno specchio, affisso alla parete che, per la particolare
posizione
in cui si trovava, rifletteva ciò che avveniva all'interno.
Tremo
ancora al pensiero di ciò che vidi.
Il
marchese era di profilo, con le braghe abbassate, a spingere contro un
altro
corpo che, per via del movimento delle anche di questi, sussultava ad
ogni
assalto. La pelle di quest'ultimo era decisamente chiara, segno che si
trattava
di una donna...a quel pensiero, un velo di nausea mi travolse.
Non
era la prima volta che vedevo un uomo possedere una femmina.
Vivendo
in un quartiere povero e degradato, dove si sopravvive di espedienti e
la
miseria è all'ordine del giorno, poteva succedere di vendere
il proprio corpo
per qualche moneta. Se io e mia sorella Jeanne non ci eravamo ridotte a
questo,
il merito era di Nicole e della sua onestà. Questo,
ovviamente non mi aveva impedito di sapere, almeno
in teoria, quale fosse l'atto che precedeva la
gravidanza.
Per
questo motivo, non mi stupii troppo della condotta del marchese. A
differenza
del marito della contessa, questi mi aveva fatto una cattiva
impressione. Non
mi sembrò strano che possedesse una donna con una simile
brutalità,
costringendola a volgere le terga al suo bacino alla stessa stregua di
un animale.
Quello
che davvero mi fece impallidire, fu la persona che si trovava in quella
posizione prona, accovacciata come un cane. Aveva i capelli castani ed
un corpo
flessuoso. Riceveva i movimenti del nobile con una passiva
rassegnazione, come
se non potesse ribellarsi.
Improvvisamente,
alzò la testa e potei così vedere il profilo.
Raggelai.
Era
la cugina della contessa.
Vedevo
la sua espressione strozzata, il viso tinto di un rosso violento andare
in su e
giù come la testa di un mulo.
-ZITTA!-
sibilò il marchese, mettendogli una mano sulla bocca per
impedirle di farsi
sentire. Una mossa davvero poco saggia. Se infatti la sposa gemeva in
silenzio,
a causa dell'ostacolo del palmo, lo stesso non si poteva dire per
l'uomo che, schiacciandola
contro il mobile su cui questa teneva il busto disteso, grugniva su di
lei con
versi gutturali e animaleschi...che mi ricordavano i tacchini che avevo
visto
una volta in una delle fattorie di Arles, durante una visita con
Madamigella.
Non
rimasi a lungo a vedere quell'amplesso.
Un
moto di nausea mi colse improvviso e, dopo una rapida corsa nelle
cucine, mi
ritrovai a rigettare tutta la cena, in una delle latrine che si trovava
in
quella stanza.
Mi fu
chiaro, quindi, che sarebbe stato difficile per me trovare il sonno che
cercavo...e, dopo la vista di quella scena, tale traguardo si era
trasformato
in una chimera.
Furono
molte le cose per cui non avrei dimenticato quel soggiorno e la prima
era
certamente questa.
Il
mattino dopo, fui più silenziosa del solito ma questo
cambiamento non venne
comunque notato. Il conte era apatico come di consueto, il marchese
volgare e
la contessa civettuola in modo fastidioso e molesto.
Notai
che anche la padrona di casa era stranamente poco loquace e, malgrado
gli strati
di trucco, mostrava un insolito livido bluastro sulla spalla. Non si
vedeva
molto, dal momento che era coperto dal vestito...eppure c'era.
Renée
fissava assente il proprio piatto quando, alzando il viso,
incontrò la mia
espressione.
-Non
mangiate?- domandò allora, rivolgendomi un sorriso di
circostanza.
A
quelle parole, mi limitai a sorseggiare un po' del latte alla
portoghese che
avevano fatto portare. Non avevo alcun diritto di rivolgere critiche
sulla
condotta del suo sposo e anche se era chiaro che il marchese la
maltrattava ed
era una persona orribile, io non potevo fare nulla.
Con
la coda dell'occhio, notai lo sguardo della contessa, cadere distratto
sulla
cugina.
Non
sembrava stupita e, malgrado il disagio che la marchesa non riusciva
comunque a
celare del tutto quella mattina, non disse una parola.
Era
come se sapesse tutto...a quel pensiero, venni presa da un profondo
disgusto.
Lei
era a conoscenza del tipo di persona che Renée aveva sposato
ma non avrebbe
mosso un dito per soccorrerla, in caso di pericolo. Tutta la gentilezza
che le
aveva dimostrato non si sarebbe mai tramutata in un aiuto contro la
violenza
dello sposo.
Fu
così che conobbi da presso la vita matrimoniale dei nobili.
Allora, spero che il
vostro
stomaco abbia retto e che il capitolo non faccia schifo, malgrado la
scena
finale lo sia. Grazie a tutti coloro che mi hanno letto e vi ringrazio
per la
cortesia.